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Autore: Emily Kingston    19/04/2017    1 recensioni
C’è confusione, siamo ad una festa alla quale non avevo voglia di andare ma alla quale sono venuto lo stesso, perché almeno posso illudermi di stare bene.
È una tattica che uso spesso: esco, faccio le mie cose e rido. Rido a crepapelle. Rido a squarciagola. Rido finché non mi fanno male le labbra e faccio in modo di sentirmi bene. Faccio in modo che la mia risata risalti sopra a qualsiasi altro rumore così posso dirmi “vedi che è tutto okay”.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Resterai quello che sei
 

No, non ti libererai e non diventerai un altro,
resterai quello che sei: con i dubbi,
il continuo malcontento di te stesso,
gli sterili tentativi di perfezionamento,
le ricadute e l’eterna attesa d’una felicità alla quale
non sei destinato e che non puoi conseguire.
Lev Tolstoj; Anna Karenina
 
 
Il destino è una faccenda complicata.
Ci sono quelli che ci credono e quelli che non ci credono, e il problema è che quelli che ci credono gli danno troppa importanza, mentre quelli che non ci credono lo sottovalutano.
Ci sono stati dei periodi della mia vita in cui ho visto il destino in un’ottica un po’ marxista: così come la religione è oppio dei popoli, un modo per meglio sopportare la realtà e giustificare le nostre insoddisfazioni, così è il destino.
Una scusa. Un piccolo oblio.
Non era destino.
Se son rose fioriranno.
Doveva andare così.
Per me, al tempo, la realtà era che dipende tutto da te. La tua vita dipende da te. Le tue scelte dipendono da te. Le tue gioie e i tuoi dolori dipendono da te.
Oggi, dopo tanti anni e tanti litigi col destino, ho capito che non è così semplice. Non è tutto o bianco o nero. O sì o no. Il destino può essere una scusa, ma ci sono cose che per quanto ci provi non puoi ottenere.
Io forse non posso ottenere la felicità.
D’altra parte, il mondo ha bisogno di noi malinconici. Abbiamo un’ottica da offrire che a volte alcuni hanno paura di provare, ma che a volte può rivelarsi veritiera.
Come gli eterni ottimisti, siamo destinati ad avere ragione solo qualche volta, proprio per quel discorso sul fatto che non è tutto bianco o nero, ma, a differenza degli eterni ottimisti, noi almeno, nel frattempo, stiamo male.
Una volta facevo parte degli eterni ottimisti, poi non so bene cosa sia successo in mezzo. Forse il vano tentativo di essere qualcosa che non posso essere, che non riesco ad essere, e che mi ha riportato al punto di partenza. Probabilmente perché non era destino.
Ed ecco perché, nonostante l’eterno senso d’incompletezza e le ricerche vane, oggi sono qui.
È una calda sera d’estate, il tramonto sta finendo, il cielo è ancora tinto di chiaro all’orizzonte e la sabbia fruscia tra le dita, lenitiva in un certo senso.
C’è confusione, siamo ad una festa alla quale non avevo voglia di andare ma alla quale sono venuto lo stesso, perché almeno posso illudermi di stare bene.
È una tattica che uso spesso: esco, faccio le mie cose e rido. Rido a crepapelle. Rido a squarciagola. Rido finché non mi fanno male le labbra e faccio in modo di sentirmi bene. Faccio in modo che la mia risata risalti sopra a qualsiasi altro rumore così posso dirmi “vedi che è tutto okay”. Certo, è meno convincente quando scoppio a piangere e nel mentre mi ripeto “tu stai bene” fino alla nausea, ma ehi, sono un ragazzo sensibile.
A questa festa in realtà mi ci ha trascinato il mio migliore amico, perché c’è la tizia a cui va dietro da anni e oggi ha deciso che, con l’aiuto di qualche drink, ci proverà finalmente con lei. Mi sono fatto convincere con la scusa che avesse bisogno di una spalla, ma in realtà so benissimo che voleva solo farmi uscire di casa.
In questo momento, infatti, è in un angolo a parlare con lei che ride a qualsiasi cosa lui dica, quindi penso sia decisamente sulla buona strada. Devo ammettere che, ora che ho occasione di osservarla, è una ragazza davvero carina.
Quanto tempo è che penso semplicemente che una ragazza sia davvero carina, anziché desiderare di portarmela a letto?
Probabilmente sono diventato un po’ impedito nel provare emozioni semplici, che non comportino necessariamente il togliersi i vestiti e limitare i sentimenti al minimo, così da rimanere al sicuro. E probabilmente è perché quel destino dal ruolo ambiguo di cui parlavo prima mi ha fatto rendere conto che le emozioni semplici non fanno per me, perché sono molto bravo a deludere le aspettative e quindi i rischi si moltiplicano.
I rischi di prendere la sassata della vita, intendo.
Ciò nonostante, ammetto che continuo imperterrito a sbagliare e ricascarci, sperimentando nuove cose solo per capire che nessuna fa davvero per me e mi mette al sicuro come pensavo. Tranne il sesso occasionale.
Uscire, conoscere una ragazza per un’ora, andarci a letto e poi a mai più rivederci. Niente nomi, niente numeri di telefono, niente chiacchiere. Quel contatto fisico necessario a farti sentire almeno un pizzico di qualcosa, ma senza rischi. È una fiamma che non può bruciarti.
Da una parte, questo stile di vita mi fa sentire infinitamente vuoto e mi fa riflettere sul fatto che io sia solo un codardo che ha scelto la strada facile: quella senza sentimenti, perché se non senti niente non puoi stare male. Che in realtà, poi, non è nemmeno vero.
A volte fa male non sentire niente più che sentire qualcosa.
Dall’altra, però, buttarsi di nuovo nella mischia e correre il rischio, giocando al solito vecchio gioco al quale perdono tutti, mi sembra quasi impossibile. Mi sento come un alcolizzato che non riesce a smettere di bere anche se sa che si sta fottendo il fegato.
Io non so bene cosa mi sto fottendo, ma qualcosa sicuramente.
Nonostante i miei buoni propositi, noto una ragazza seduta al bancone del bar, sotto al gazebo che hanno montato in spiaggia. È da sola, un braccio appoggiato al tavolo e la mano a sorreggere la testa, e fissa il suo bicchiere ormai vuoto. Sembra estremamente annoiata o forse ha litigato con qualcuno, alle feste succede sempre qualche casino del genere. Sono un po’ come un vaso di Pandora dal quale escono triangoli amorosi, vecchi e nuovi rancori e scelte sbagliate che portano spesso a grandi disastri il mattino successivo – oppure, nel migliore dei casi, solo a un grande post-sbornia.
Non so perché mi avvicino. Non sembra una ragazza con la quale provarci, il tentativo è quasi un no sicuro.
Quando sei ad una festa e vuoi provarci con una ragazza, non scegli mai quella che se ne sta in disparte a guardare il vuoto. Devi puntare una che sembri disponibile e con la quale quasi sicuramente andrai in porto, così da evitare figuracce e fatica inutile.
Forse sono masochista, quindi. O forse, inconsciamente, voglio fare un primo tentativo di abbandonare le vecchie abitudini.
L’ho quasi raggiunta, perfezionando, nel tragitto, la mia battuta d’apertura, in modo che attiri la sua attenzione, ma senza che le mie intenzioni (che poi, quali sono le mie intenzioni?) siano troppo ovvie, ma quando sto quasi per fare l’ultimo passo che mi separa dal bancone, sbuca un tizio dalla folla e le passa un braccio attorno alle spalle. Lei sposta lo sguardo dal bicchiere al ragazzo che le si è appena avvicinato e, dopo mezzo secondo di spaesamento, gli fa un gran sorriso e inizia a parlare a ruota libera. Magari non è il suo ragazzo e ho ancora una possibilità, ma il tizio non si schioda e lei sembra avere un oceano di cose da dire, forse su chiunque o qualsiasi cosa le facesse fissare il bicchiere in quel modo.
Quando capisco che non resterà mai più sola, le do le spalle e mi accorgo di una ragazza che mi sta guardando dalla massa di gente che balla a pochi passi da me. Ha gli occhi chiari che brillano sotto alle luci della discoteca improvvisata e i capelli biondi che le ricadono morbidi sulle spalle. Anche se ha visto che la sto guardando, non sposta lo sguardo e a quel punto decido di avventurarmi nella jungla di corpi che mi si srotola di fronte.
Appena la raggiungo, neanche prova a parlarmi o a presentarsi, continua semplicemente a ballare come se io fossi un corpo come tanti capitato accanto a lei per sbaglio. Si muove con sicurezza, stretta nel vestito scuro che la copre fino a poco sopra il ginocchio e alla fine mi decido ad appoggiarle le mani sui fianchi, facendomi guidare da lei.
È un contatto fisico sterile ma che cerco di riempire con l’eccitazione. L’adrenalina. Il desiderio.
Quando mi bacia è prevedibile. Violento quasi. E all’improvviso, non so perché, anche se mi si è spalmata addosso e ho la bocca impegnata in una lotta, apro gli occhi. La ragazza triste al bancone è di nuovo sola.
Ma io ormai sono avvinghiato alla ragazza provocante in abito da sera che mi guadava con fare predatorio e non posso mollarla per raggiungere la ragazza triste al bancone alla quale vorrei tanto chiedere perché ha gli occhi così tristi.
Per questo richiudo i miei e faccio finta di niente. Mi dico che non era destino. Cancello la sua immagine dalla mente e lascio che si riempia con quella della ragazza che sto baciando.
Perché forse le vecchie abitudini sono troppo dure a morire.
Forse non muoiono mai.

 
 
   
 
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