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Autore: YoungGod    20/04/2017    0 recensioni
"C'erano una volta quattro regni e c’erano una volta quattro re, anche se sarebbe stato più corretto definirli principi.
Centinaia e centinaia di anni fa, laddove aveva sempre regnato la pace, una minaccia era comparsa rischiando di far crollare l’equilibrio dei regni.
Il re nero aveva contagiato il reame di Vlack con la sua pazzia e nascondendosi dietro l’ideale di riportarlo al suo antico splendore aveva convinto gli altri sovrani delle sue buone intenzioni.
Tuttavia non aveva ricevuto il favore di tutti e i giovani principi decisero di debellare la minaccia e combattere per salvaguardare i loro popoli.
Il re nero non riuscì a portare a termine il suo piano e, con un ultimo sforzo, dichiarò che sarebbe tornato costringendo i principi a sigillare i loro poteri in attesa del risveglio del tiranno.
Come riconoscimento del loro sacrificio e del loro coraggio vennero proclamati re e i colori delle loro anime risplendono ancora oggi in cielo, sorvegliando la pace che hanno pagato con le loro vite.
Così arriverà un tempo in cui dovranno tornare e il re rosso, il re giallo ed il re blu rinasceranno per sconfiggere ancora una volta il re nero."
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice: Buongiorno, buon pomeriggio, buonasera o buon- qualsiasi sia l'orario in cui state leggendo questa nota.
Grazie anche solo per aver aperto la storia!
Per il momento dovete sapere che le vicende si svolgono su due linee temporali differenti e che quella passata è scritta in corsivo.
Se deciderete di continuare anche dopo essere incappati in questa nota, buona lettura!
Se vi va lasciate un parere, ne sarei molto felice!









 
PROLOGO
 




“Principe Aranit.” Lo richiamò con timore il servitore dietro di lui continuando tuttavia a seguirlo per non disubbidire all’ordine che gli era stato impartito dal suo padrone.
Il giovane sovrano lo ignorò e proseguì per il lungo corridoio desolato del caseggiato costruito per il suo diletto.
“Princ.. .” Provò ancora l’uomo interrompendosi quando l’adolescente si girò verso di lui con occhi da cerbiatto, sorridendogli e facendogli segno di tacere con un dito prima di ammiccare e iniziare a correre leggermente.
Una risata soave a riempire l’ambiente silenzioso e vuoto.
Il servo guardò il passo misurato del giovane, le caviglie fasciate dai polsini blu ricamati d’oro dei larghi e leggeri pantaloni bianchi e il gilè smanicato della medesima fantasia sotto il quale non aveva niente.
Portava un semplice bracciale d’oro sul bicipite accennato grazie agli allenamenti al quale era sottoposto, che non rappresentava la smania di ricchezza e l’amore per lo sfarzo del giovane erede al trono del regno di Kilaf.
I capelli biondi del principe risplendevano ogni qual volta i raggi del sole filtravano dagli archi costellati di gemme e diamanti, gli occhi che non poteva vedere erano- e ne era sicuro- del colore di quel metallo che portava al braccio e con cui tutto il paese gli aveva fatto omaggio.
Gli edifici dove avevano camminato erano stati fatti solo e solamente per lui, per allietare le sue giornate e soddisfare le sue voglie.
Mai come in quel momento ne fu più certo.
Aranit correva, rideva e si fermava giusto il tempo per permettergli di raggiungerlo, si nascondeva dietro le colonne blu e bianche e sbucava prima che il suo fiato venisse a mancare per la paura di averlo perso di vista.
Giocava nel suo castello che altro non era che la rappresentazione della sua anima sfarzosa e del suo carattere esuberante.
Il sole era il suo compagno di giochi e lo rincorreva, toccava con il suo tiepido calore il terreno dove il principe era passato poco prima, ma non osava mai superarlo come se gravitasse intorno a lui e la sua intera esistenza dipendesse dal ragazzo.
Non c’era altro palazzo in cui avrebbe saputo vederlo, nessun altro posto in tutto il reame; no, il mondo, in cui sarebbe stato più a suo agio.
La naturalezza di Aranit in mezzo al fasto era innegabile, molto più che una semplice certezza dovuta alla sua natura nobile: era ammaliante, incantatrice, una magia che accadeva tutte le volte che il principe entrava in sala e partecipava a balli e feste, tanto che nessuno prestava più attenzioni alle intrattenitrici e alle danzatrici del ventre.
La voce delle fanciulle chiamate a corte per cantare non bastava a sciogliere l’incantesimo della voce melodiosa di quello che diventava sempre la principale attrazione delle feste dei nobili e le vine suonate con maestria perdevano di fascino se non quando, nonostante le mani esperte che si destreggiavano nel suonarle, il principe si divertiva ad imitare le sinfonie appena sentite.
“Principe Aranit.” Si impose di richiamarlo il servitore, costretto a rovinare il momento di estranea spensieratezza per obblighi maggiori. “Non dovremmo essere qui in questo momento, credo che sia il caso di tornare a palazzo.”
“Credi?” Chiese il giovane con genuina innocenza, arrestandosi quasi offeso per essere stato richiamato come un bambino e  facendo pentire il servo della sua scelta e di non avergli concesso altri minuti per divertirsi tra le colonne e gli archi d’oro. “Credere e pensare non rientrano nelle tue mansioni. Devi semplicemente eseguire i mie ordini.” Gli fece notare Aranit la cui presunzione nasceva solo dall’essere nato nobile piuttosto che da una convinzione maturata con il tempo.
“Avete ragione.” Acconsentì il servitore piegando appena la testa per abitudine. “Permettetemi perciò di farlo.”
“Te lo permetto.”
Aranit tornò a ridere e piegò leggermente la testa di lato con fare furbo, aspettando di essere affiancato dall’altro con cui riprese poco dopo a camminare verso la sua meta.
Non passò poi molto prima che il principe rincominciasse a muoversi e a giochicchiare, quella volta con un drappello di seta che gli era stato regalato da una donna al mercato dove quella stessa mattina erano andati e che aveva tenuto legato al collo fino a quel momento.
Intrecciava la seta intorno al dito affusolato e la risistemava quando quella formava pieghe e si stropicciava, gli occhi erano vigili e attenti, pronti a captare il minimo stimolo esterno per far dannare il servitore vicino a lui e immergersi in quel mondo di divertimento nel quale nessuno a parte lui sembrava poter entrare.
“Siamo arrivati.” Disse il servitore per informare il giovane sovrano e le guardie messe a protezione del grande portone di marmo che scattarono subito sull’attenti facendosi da parte e posizionandosi vicino alle imponenti colonne che sembravano sorreggere tutta la struttura.
“Siamo arrivati.” Ripeté Aranit e forse se gli uomini armati di suo padre non fossero stati così intenti ad abbassare il capo in sua presenza e il servo ad ammirarlo come se fosse stato un gioiello, qualcuno si sarebbe accorto che il suo sorriso non risplendeva più come il sole e l’oro a cui tanto veniva paragonato e che il suo viso giovanile e privo di malizia in verità nascondeva pensieri che non avevano niente a che vedere con la spensieratezza con cui veniva dipinto.
“Puoi venire dentro con me.” Propose il principe al servitore con una mano appoggiata al portone appena socchiuso voltandosi indietro verso di lui che sgranò appena gli occhi per quell’offerta.
“Perdonatemi ma non è il caso.” Declinò con educazione e rispetto l’uomo senza poter far niente per nascondere l’imbarazzo. “Vostro padre è impegnato con i preparativi della festa che a breve inizierà e richiede il mio aiuto.” Spiegò consapevole che anche l’adolescente fosse a conoscenza della situazione e del fatto che anche lui avrebbe dovuto presenziare.
“Già, la festa.” Il principe sembrò rimuginarci su. “Come vuoi. Sono sicuro che farai un ottimo lavoro come sempre.”
Aranit ritornò a sorridere con innocenza per poi catapultarsi all’interno dell’unica stanza di cui veramente gli importava del caseggiato costruito per lui.
Sentì il servitore intimare alle guardie di non far entrare nessuno, soprattutto il re se mai avesse deciso di fare visita al figlio, prima che le enormi porte si chiudessero per celare il segreto agli occhi di tutti.
Erano futili precauzioni quelle, suo padre non sarebbe mai entrato nel suo solitario e vuoto castello dei giochi, come d’altronde nessun’altra persona in tutto il regno di Kilaf.
Il suo viso si rabbuiò ma in un attimo nella stanza scoppiò un vociare a tratti fastidioso che tuttavia lo fece tornare a sorridere.
“Sono di ritorno.” Annunciò egocentricamente, come se l’attenzione non fosse già stata completamente su di lui.
Fece qualche passo in avanti, verso il centro della stanza dove le sue più grandi ammiratrici si rilassavano, alcune distese a parlottare sul grande letto viola perfettamente rifatto, alcune a farsi un bagno nella vasca termale poco alla sua sinistra ed altre ad intrattenersi con dei passatempo che aveva fatto loro portare.
Una delle ragazze gli si avvicinò coraggiosamente, sorridendo dispettosamente da dietro il drappo di seta che gli aveva sciolto dal collo e che si era portata a coprire il viso.
“Ilias.” La riconobbe Aranit divertito, vedendola annuire compiaciuta dall’essere stata ricordata in mezzo alle tante altre che in quel momento avevano lasciato stare i loro affari per osservare il principe, aspettando pazientemente una sua qualsiasi decisione e pendendo dalle sue labbra.
Ilias lasciò cadere a terra la stoffa che ondeggiò appena nell’aria per la sua leggerezza prima di voltare le spalle al giovane sovrano e tentare di farsi rincorrere per catturare la sua attenzione.
Aranit fu più veloce nei fatti e negli intenti e l’afferrò per un polso prima che lei se ne potesse andare facendo tintinnare i braccialetti femminili che aveva.
Li guardò a lungo, li guardò come se fossero stati il suo peggiore nemico e quasi con stizza strattonò la ragazza verso di lui riportandola a dare le spalle al letto.
“Mi dispiace.” Confessò turbato passando un pollice sulle labbra sottili di Ilias, togliendo il lucidalabbra che lo disturbava. “Mi dispiace che siate costretti a conciarvi così.” Aggiunse mentre l’altra mano si insinuava sotto la maglietta di Ilias per accarezzarne il ventre e poi risalire slacciando tutti i bottoni fino ad aprire completamente l’indumento che ora sembrava molto simile al suo gilè. “Ma mio padre non è d’accordo che la sua progenie si intrattenga con dei ragazzi invece che con delle ragazze.” Continuò soffermandosi sul petto privo di seno per poi mirare al collo di Ilias con la bocca, scoperto ormai di tutti quei veli che potevano farlo scambiare per una ragazza.



Lesse con attenzione la pagina del libro che teneva appoggiato alle ginocchia e una volta che fu arrivato infondo cercò di ripeterla a mente per memorizzarla.
Era una lettura semplice, a tratti ridicola se si pensava alla minima difficoltà con cui le informazioni sul suo regno e su quelle degli altri tre erano state riportate, ma gli piaceva leggere e tanto bastava.
Per suo padre in ogni caso non avrebbe fatto differenza e quando sarebbe tornato gliel’avrebbe tolta lo stesso quindi tanto valeva approfittare della sua assenza per accaparrarsi più libri e scritti possibili.
Si sistemò meglio adagiandosi sullo schienale del grande letto dove era steso e sfiorò con una nocca la pila di volumi che aveva esaminato e studiato quella mattina vedendola ondeggiare pericolosamente per via del suo spostamento.
L’idea di fare una pausa o divagarsi con altre cose non gli sfiorò neanche per un secondo la mente e come se non fosse successo nulla tornò al suo libro voltando pagina per arrivare alla fine della descrizione del regno di Kilaf e all’inizio di quella del regno di Trimas, il suo.
Avrebbe dovuto apprendere quella parte con più facilità convivendo con la realtà del suo paese ogni giorno ma la verità era che in tutta la sua vita aveva avuto poche occasioni di accompagnare suo padre in giro per il reame ad occuparsi dei suoi affari.
Anche quella volta non aveva fatto eccezione.
“Principe Parish.” Si sentì chiamare da dietro la porta della sua camera prima che qualcuno bussasse sette colpi per farsi riconoscere.
“Entra pure. La porta è aperta.” Disse il ragazzo alzando gli occhi dal libro solo quando la sua serva fu dentro, al sicuro dagli sguardi indiscreti delle guardie.
Era tesa, ma comunque più rilassata di quando dovevano fare quegli scambi con suo padre presente a palazzo.
“Ho trovato il libro che mi avevate chiesto.”
La donna tirò fuori il grande tomo promesso da dietro la schiena, probabilmente nascosto in precedenza sotto il vestito arancione che indossava, e fece un passo avanti sorridendo nel vedere gli occhi acquamarina del principe brillare di gioia.
Poche volte si poteva dire di vederlo tanto entusiasta e ognuna di quelle poche volte si poteva affermare che gli dei avessero incastonato direttamente nel suo sguardo le stelle del firmamento e le gemme più belle del mondo, divertendosi nel non mostrarle al mondo grazie al temperamento pacato del suo principe.
Si soffermò ad osservare la figura del ragazzo stesa sul letto rosso, come le pareti della camera, e sulle sue gambe fasciate dai pantaloni del medesimo colore accavallate per dare un appoggio al libro di cuoio marrone che leggeva incurante della volontà del padre.
La tunica bianca a maniche lunghe non risaltava la sua pallida carnagione e, in un qualche modo, lo aiutava a mimetizzarsi nell’ambiente che aveva provveduto ad arredare secondo il suo gusto personale, anche se qualche volta si potevano notare oggetti stonanti, fuori luogo in mezzo a tutto quel rosso, messi lì per via della poca combattività del principe che aveva ceduto ai consigli degli arredatori.
I capelli di un rosso acceso si amalgamavano alla stanza mentre quegli occhi, in quel momento come mai, sembravano proprio uno di quegli oggetti estranei alla mediocrità di Parish e alla sua poca presenza.
“Grazie.” Disse il ragazzo appoggiando il volume che aveva tra le mani sulle coperte rosse e scendendo dal letto sotto lo sguardo vigile e a tratti dissentito della donna.
“Non c’è bisogno che.. .” Provò infatti a dire senza successo perché in meno di un secondo il principe le aveva preso una mano, lasciandole un sacchetto marrone di cui entrambi conoscevano il contenuto.
Il contatto durò poco, come un soffio di vento di cui ci si accorgeva la presenza solo quando ormai era già andato via, e Parish tornò vicino al letto sospirando sconsolato.
“Mi prenderò tutta la responsabilità se mio padre dovesse scoprirci.” Assicurò come ogni volta il ragazzo mentre la serva riponeva le monete d’oro sotto il vestito come aveva fatto con il libro in precedenza.
Il principe aveva uno sguardo deciso, anche nell’osservare le pareti senza un apparente motivo, e lei ne rimase stupita ricordandosi di come fosse solitamente impacciato e restio al dialogo per la sua timidezza che, tuttavia, non aveva completamente abbandonato viste le guancie diafane appena velate di rossore.
“Sono certa che basterebbe poco per far felice il re.” Tentò di dire la donna, un po’ per consolarlo, un po’ per convincerlo ad uscire dalle sue stanze. “Oggi è una giornata bellissima, ad esempio, e quasi tutte le guardie sono andate con suo padre nel regno di Kilaf per presenziare alla festa che ha organizzato il re: potreste provare ad allenarvi con la spada. Nessuno si accorgerà di voi e tantomeno vi prenderà in giro.”
Parish non fece caso alla libertà che si era presa la donna e si risedette sul letto con un tonfo, attutito dalla morbidezza del materasso che ondeggiò più volte rischiando di nuovo di far cadere la pila di libri abbandonata su di esso.
“Combattere non rientra nei miei interessi.” Confessò come se quello fosse stato un peccato capitale che meritava di essere espiato attraverso la morte. “Non sono adatto per certi tipi di arte.”
Con profondo rammarico e delusione se ne era accorto anche il re, suo padre, che avrebbe preferito avere un erede predisposto alla lotta e che fosse stato degno di presenziare al suo fianco alla riunione dei sovrani dei quattro regni invece che un figlio la cui unica felicità era scaturita dai volumi che leggeva e che studiava.
“Non vi abbattete proprio ora che avete un nuovo libro.” Scherzò la donna appoggiandogli l’oggetto incriminato sulle ginocchia coperte dalla tunica e ricevendo in risposta come ringraziamento un sorriso timido. “Scommetto che nessuno degli attuali principi sia più colto di voi o, e vostro padre non lo può negare, bravo quanto voi negli incantesimi.”
“Dubito che questo mi servirà a destreggiarmi abilmente tra di loro o farmi accettare in qualche modo.” Fece notare Parish stringendo tra le mani il tomo con nuovi incantesimi che si era fatto portare, ripensando alla prima volta in cui aveva incontrato gli altri figli dei re.
Erano nati più o meno tutti lo stesso anno, perciò bene o male si conoscevano e sapevano che un giorno avrebbero preso il posto dei genitori.
Essere già considerato il futuro sovrano più debole o meno carismatico non avrebbe giovato al suo regno.
“Forse ora no, ma quando sarete re, e vi assicuro che lo sarete, la vostra diplomazia vi sarà molto più che d’aiuto.” Lo rassicurò la donna e il principe non volle sapere se era dovuto alla sua posizione o ad un sincero aiuto che gli veniva posto.
Iniziare a pensare che le persone facessero determinate azioni nei suoi confronti in quanto figlio del re, per quanto non fosse stupido e sapesse che ce n’erano, lo avrebbe reso inutilmente paranoico e non voleva peggiorare la sua insicurezza.
“Un giorno sarete alla loro altezza e meriterete quella carica come tutti gli altri principi.”



Annuì una volta che il suo vice ebbe finito di riferirgli le ultime notizie dei fatti recentemente accaduti al confine tra il loro regno, quello di Liov, e il regno di Trimas.
Non c’erano stati ulteriori rivolte dopo il loro intervento e la pace tra i due villaggi adiacenti sembrava essersi ristabilita come era sempre stato.
L’uomo al suo fianco lanciò un’occhiata minatoria alle persone dietro di loro che parlottavano a voce fin troppo alta e che commentavano ogni donna che incontravano nella loro strada che li avrebbe finalmente riportati a palazzo, rimettendo in riga gli uomini con cui avevano sedato la rivolta.
“Principe Sami.” Lo chiamò il vice guardandolo di sottecchi in cerca di una sua reazione. “Siamo in ritardo, abbiamo impiegato più tempo del dovuto per il viaggio.” Disse infine soffermandosi sulle condizioni del giovane e sulle vesti sporche di terra e strappate in diversi punti.
Non avrebbe voluto mettergli fretta o disturbarlo ulteriormente dopo averlo costretto ad intervenire addirittura di persona, ma era ciò che doveva fare.
“Lo so.” Si limitò a dire il ragazzo sorpassandolo dopo aver accelerato il passo incurante della gamba che si era ferito in battaglia.
L’uomo lo guardò avanzare davanti a lui con passo elegante, per niente malfermo nonostante la ferita e il sangue che si poteva intravedere dalle bende bianche.
Gli abiti malconci non intaccavano affatto la sua regalità tanto che, ne aveva avuto conferma in missione, non importava cosa indossasse, si sarebbe riconosciuto ovunque.
La spada nera che teneva legata alla schiena si muoveva con la stessa cadenza del padrone e sembrava danzare con lui ogni volta che faceva un passo.
Niente in confronto a quando veniva sguainata in battaglia, quando davano vita ad un ballo che preannunciava morte per i nemici e sopravvivenza per chi, invece, si poteva definire alleato.
La fatica non lo scalfiva, la mente rimaneva fissa sull’obbiettivo e non c’era niente, nient’altro che lo potesse deconcentrare dal perseguirlo.
Il suo viso era impassibile, ma mai minaccioso od ostile.
Il principe Sami era la roccia del regno di Liov, una roccia sulla quale suo padre aveva fatto in modo di far ergere il reame, ma il ragazzo portava quel peso senza lamentarsi e senza la minima traccia di insofferenza per quel compito.
Era un ottimo comandante, aveva avuto modo di scoprirlo durante quel lungo periodo passato fuori da casa, ed eseguiva gli ordini con la stessa diligenza con cui lo faceva la servitù, senza tuttavia mai perdere la sua signorile grazia che lo aveva sempre caratterizzato da quando ricordava.
Viveva per Liov e sarebbe morto allo stesso modo per salvaguardare la pace tra i quattro regni stando a ciò che aveva detto e che suo padre aveva preso come un ideale giovanile che con il tempo sarebbe scemato, quando si sarebbe reso conto che non poteva morire per il regno su cui avrebbe dovuto regnare.
Lui però, da misero soldato qual’era, non aveva potuto far altro se non credere a quelle parole pronunciate tanto seriamente.
“Mi è stato riferito che non ci accoglierà nessuno al ritorno. Avrebbero voluto organizzare una festa ma purtroppo il sovrano di Kilaf ha richiesto la presenza dei vostri genitori.”
“Non importa.” Disse Sami osservando le mura del palazzo a pochi metri da lui, soffermandosi sul blu degli archi e delle finestre e riuscendo a scorgere persino la sua camera delle stesse tonalità.
Entrarono nel cortile senza incorrere in troppe complicazioni.
“Il re!” Si sentì dire da uno degli uomini dietro di lui e in pochi secondi i soldati crearono due ordinate file ai lati del viale sterrato, lasciando al centro il principe che mosse giusto qualche passo di lato prima di poter effettivamente vedere il padre.
“Sami!” Esclamò felicemente il sovrano avanzando con urgenza e uscendo dal guscio che le sue guardie avevano creato intorno a lui.
La regina, sua madre, lo salutò compostamente con un sorriso ed un cenno della testa che lui ricambiò con un lieve inchino.
“Padre.” Lo salutò con rispetto Sami prima che il suo sguardo vagasse automaticamente a scrutare i dintorni e si fermasse vicino alle fontane, come richiamato dalle piastrelle azzurrine che formavano un tappeto rettangolare sopra l’erba.
Il re rise accortosi del comportamento del figlio e con una pacca sulla spalla lo esortò a fare ciò che voleva e raggiungere la pavimentazione costruita apposta per lui.
“Bentornato a casa.” Gli disse facendolo annuire. “Non occorre che tu venga con noi nel regno di Kilaf. Ora pensa a divertirti, figlio mio.” Aggiunse infine prima di essere richiamato dalla moglie che lo esortava ad andare per non arrivare in ritardo.
“Lo farò.” Assicurò il principe alla schiena del padre che ormai aveva ripreso a camminare fuori dal cortile del palazzo affiancato dalla regina e dalle guardie. “Vale lo stesso per voi.” Proclamò poi e agli uomini che lo avevano seguito non servì nient’altro, neanche uno sguardo, per capire che potevano finalmente dispiegarsi.
Si congedarono educatamente da lui facendo un inchino e non ci misero poi molto a sparire per tornare chi alle loro case, dalle loro famiglie, chi nell’infermeria del palazzo.
Sami fece un passo avanti e finì sopra le piastrelle azzurrine che iniziarono a reagire alla sua presenza diventando blu come i suoi occhi fissi sulle figure che si stavano formando dal suolo.
Contò mentalmente fino a tre prima di estrarre con estrema precisione e velocità la spada dal fodero  e scagliarsi verso il sé stesso davanti a lui che evitò il colpo.
Si girò verso la sua destra e parò un affondo con la lama, spingendo indietro la sua copia che finì fuori dal tappeto di piastrelle e che si dissolse appena toccata l’erba del giardino.
Evitò, attaccò e deviò incurante del sudore che gli imperlava la fronte prematuramente e girò su sé stesso per colpire uno dei suoi cloni al fianco.
Ormai le copie erano rimaste in due.
“Principe Sami!”
Avanzò e si mosse in modo da invertire le posizioni per poter guardare in volto il suo vice che l’aveva richiamato con preoccupazione quando aveva notate delle goccioline di sangue macchiare il pavimento ancora blu.
“Avevate detto che vi sareste divertito.” Disse l’uomo osservando come il ragazzo si muovesse con maestria tra i cloni creati per il suo addestramento grazie ad un incantesimo del mago più potente di Liov.
“Lo sto facendo!”
Sami venne colpito al viso ed indietreggiò rischiando di toccare l’erba ma si tamponò con una manica il naso sanguinante e strinse ancora più saldamente la spada che iniziava a brillare di blu sotto i raggi del sole che c’entravano ben poco con quella strana reazione.
“Vi prego di riposarvi, allora.” Cercò di persuaderlo l’uomo consapevole del fatto che il divertimento di cui parlava il principe altro non era che una sensazione scaturita dal fatto che avesse passato la sua intera infanzia a non fare altro che allenarsi a combattere, più che da un vero e proprio svago.
“Voglio.. .” Sami evitò un colpo e la copia ruzzolò sull’erba scomparendo. “Voglio ripartire per il fronte.” Confessò il ragazzo lasciando basito il vice.
Non era da lui cercare la guerra, per quanto potesse sembrare il contrario in quel momento a vederlo combattere con tanta naturalezza e bravura.
“Non ce n’è più bisogno.”
“Voglio.. .” Lo ignorò Sami eliminando anche l’ultimo clone ed appoggiandosi alla spada nera piantata a terra per sorreggersi e riprendere fiato. “Voglio andare nel regno di Vlack.”
Gli occhi del principe rimasero le uniche cose blu in mezzo ai colori sgargianti del giardino ma bastarono per attirare il suo sguardo.
“Se volete passare a trovare.. .”
“Ho sentito di altre rivolte che stanno scoppiando nel regno, potrebbero coinvolgere anche i nostri territori.” Spiegò Sami per eliminare ogni traccia di dubbio sistemandosi i capelli neri. “E’meglio prevenire che trascinino anche il nostro popolo con la mia presenza laggiù, al confine.”
“Come desiderate.”



Osservò il soffitto della sala del trono con insistenza, come se distogliere lo sguardo dal marmo grigio potesse costargli la vita.
Lasciò che il capo ciondolasse e che il sangue fluisse al cervello mentre accarezzava quasi per gioco l’anello che portava al mignolo e che suo padre lo costringeva ad indossare insieme a tutti gli altri gioielli che aveva al collo.
Per sbaglio i suoi occhi finirono sulle pareti nere e non passò poi molto prima che distogliesse scottato lo sguardo per puntarlo nuovamente sul soffitto che dava l’unica parvenza di aria fresca in quell’enorme stanza fin troppo opprimente per i suoi gusti.
L’avrebbe cambiata non appena sarebbe diventato re.
“Principe Zaki.”
Il rumore delle catene che si trascinavano sul pavimento era simile al sibilo cantilenante con cui era stata pronunciata quella frase e gli fece alzare gli occhi al cielo scocciato dalla consapevolezza che non sarebbe più potuto stare in pace.
“Che vuoi, Shadi?” Chiese il ragazzo girandosi verso l’oscurità da dove il servo era sbucato e nella quale sembrava sempre divertirsi a nascondersi ignorando il fatto di essere uno schiavo senza possibilità di muoversi liberamente.
Il giovane guardò con sguardo indecifrabile le catene di pesante metallo ai piedi del servitore, le caviglie ferite dal continuo sfregare per muoversi quel tanto che gli era concesso e le ossa sporgenti delle clavicole dovute alle sua innaturale magrezza.
Gli occhi erano rotondi e sporgenti, di colore verdognolo, come la sua pelle secca e rugosa da cui si potevano scorgere diversi ematomi violacei.
La schiena ormai perennemente ricurva non lo aiutava con l’altezza già scarsa ed il passo zoppicante con il quale gli si stava avvicinando era lento.
“Scendete immediatamente!” Urlò Shadi muovendo le mani vicino al viso concitatamente e rischiando più volte di inciampare sulle catene quando cercò di accelerare.
L’asprezza e l’acidità con il quale gli aveva parlato gli fecero aggrottare le sopracciglia e assottigliare pericolosamente lo sguardo.
“Quanta devozione verso colui che ti ha reso schiavo.” Costatò il ragazzo riferendosi al padre e ghignando appena nel vedere gli occhi rotondi del servo spalancarsi lentamente. “E quanta presunzione verso colui che potrebbe renderti libero di nuovo.”
Il giovane sovrano tornò a guardare svogliatamente il soffitto grigio continuando a muovere l’anello sul quale era inciso più volte lo stemma della famiglia reale e sul quale anche Shadi non poté fare a meno di concentrarsi.
Era fatto d’oro, come le collane che Zaki indossava, ma un oro particolare di recente scoperta, lavorato dai migliori artigiani del regno di Vlack che l’avevano ideato proprio pensando al loro giovane principe borioso.
Era oro nero.
Lo stesso re aveva elogiato gli artigiani non appena visto il nuovo metallo prezioso indosso al figlio e aveva espressamente chiesto che ogni gioiello del ragazzo fosse fatto di quel materiale.
I più superstiziosi che ritenevano fosse di malaugurio scherzare con così tanta leggerezza sul colore della morte e dell’oscurità erano stati messi a tacere con ricchezze e, i più restii, violenza, andando incontro al tanto temuto sonno eterno.
“L’unico ad essere presuntuoso, qui, siete voi. Presuntuoso ed arrogante.” Disse Shadi non risultando affatto convinto delle sue veritiere parole, ma involontariamente affascinato dal magnetismo del sovrano che sedeva sul trono del padre assente.
Il principe Zaki era completamente steso, i piedi appoggiati sul trono della madre e la testa a penzoloni dal bracciolo costellato di diamanti di quello del padre.
In tutto quel nero della stanza niente risultava più puro dei capelli e degli occhi profondi e senza fine del giovane; niente era più nero, un nero senza traccia di bianco o grigio a smorzarne l’oscurità, un nero denso dal quale difficilmente si riusciva ad uscire.
A malincuore Shadi dovette ammettere che la sala del trono sembrava essere stata creata proprio per il ragazzo e che il principe Zaki si mostrava a suo agio più di quanto non lo fosse il re che troppo spesso era costretto ad ostentare il suo potere per governare.
“Sì, ma ho anche dei difetti.” Rispose con superbia il giovane voltandosi ancora verso di lui e facendo tintinnare le collane che aveva legate al collo pallido e che richiamarono Shadi con prepotenza dai pensieri in cui si era perso.
Ecco, il principe Zaki era quello, un buco nero che trascinava e attirava a sé le persone con o senza il proprio favore, era la perdizione di chi consapevole di star sbagliando continuava a gravitargli intorno consumandosi lentamente, giorno dopo giorno, in una lenta tortura che all’inizio poteva sembrare piacere.
Il principe Zaki era come quell’oro nero, non brillava e risplendeva come il metallo da cui era nato ma aveva il suo stesso identico fascino perché in un modo tutto suo, fatto di magnetismo e suggestione, attraeva con la curiosità di qualcosa mai visto prima.
Shadi scosse il capo privo di capelli ed indietreggiò scavalcando con la magra caviglia la catena che si trascinava dietro per poi dare le spalle al trono e rintanarsi nuovamente nell’oscurità degli angoli più bui della sala sogghignando di chi aveva ritenuto il metallo nero il maggior pericolo del regno, ormai al sicuro.
“Quando sarò re.. .”
Si sentiva cantilenare dal principe Zaki qualche volta ridacchiando e qualche volta con impazienza.
“Quando sarò re.. .” La mano accarezzava ancora l’anello d’oro nero che sembrava in quel momento molto simile alle catene con cui era imprigionato il servo. “Quando sarò re.. .sì, perché no? Potrei liberare anche te, Shadi.”


 
   
 
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