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Autore: ellacowgirl in Madame_Butterfly    21/04/2017    5 recensioni
[Hashirama x Madara x Tsunade]
“[…] La odi, la odi profondamente, come fosse capace di farti specchiare in un sangue che non hai mai davvero posseduto. Senti il suo, di sangue, scorrerti sulle dita mentre la ferisci, ancora ed ancora, laceri la sua carne ed ancora la odi, perché per quanto male tu voglia farle lei avrà sempre qualcosa per cui resistere.
Lei non cederà mai davvero a te, come non ha mai ceduto lui.”

Madara Uchiha ha vinto la guerra, schiacciato i suoi nemici e distrutto le loro speranze, eppure non è la soddisfazione ciò che prova, ma una logorante angoscia. Un’angoscia che accresce in lui la consapevolezza di non aver davvero ottenuto ciò che profondamente aveva da sempre desiderato, e ciò che gli rimane è tentare di averla per mezzo di ciò – o meglio dire chi – più gli somiglia.
(Terza classificata al contest Seconda chance ~ perché tutti ne meritano una indetto da AriaBlack sul forum di EFP
Partecipante al contest “Keep calm e... fatemi amare la vostra OTP - II edizione” indetto da eleCorti sul forum di EFP)
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Hashirama Senju, Madara Uchiha, Tsunade
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Naruto Shippuuden
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Fanfiction partecipante al contest “Keep calm e... fatemi amare la vostra OTP - II edizione” indetto da eleCorti sul forum di EFP

Note dell’autore: una OS, nata nell’attesa di un volo aereo, di cui ancora non ho capito bene nemmeno io la forma. Volevo inizialmente scrivere di Tsunade e del Raikage A., ma le parole erano troppo sdolcinate e necessitavano di un poco di Angst… dunque ho voluto mantenermi in linea con l’idea iniziale di trattare una coppia (sebbene sia diventata la Hashirama x Madara), ma l’ho fatto in maniera indiretta, tramite un terzo personaggio (Tsunade). Ammetto che possa sembrare (o meglio, probabilmente lo è proprio) una visione un poco malata della situazione, ma ho voluto immaginare un Madara Uchiha oltre la semplice voglia di vendetta e sangue, un Madara Uchiha tormentato, che cerca disperatamente una soddisfazione che nemmeno la vittoria di una guerra gli ha dato. E che probabilmente nulla potrà più dargli, avendo egli distrutto ogni cosa, letteralmente.


 
The end of us
If we don’t end war
War will end us
 
Lo spettacolo fu agghiacciante.
Toccarono terra, abbandonando le nuvole di sabbia con le quali il Kazekage li aveva trasportati sul campo di battaglia, e sangue sporco bagnò le loro scarpe.
Morte, nient’altro era rimasto.
Attoniti, tutti e cinque i Kage persero un battito, forse persino il respiro, e la consapevolezza di essere arrivati tardi – di aver fallito, di nuovo – li pervase con la stessa violenza con cui ogni singolo shinobi era stato spazzato via, in quel luogo distrutto dalla brutalità più indicibile. Non parlarono, non avrebbero saputo cosa dire, mentre i loro occhi specchiavano la disfatta avvenuta per mano di quei pazzoidi: Obito e Madara Uchiha avevano vinto. I corpi di Naruto e Sasuke, considerati gli eroi di quel momento, gli unici che avrebbero potuto fermarli, giacevano inermi e privi di vita a non molta distanza da loro.
«No… no!» esplose il Raikage, i pugni serrati, una rabbia incontenibile ad invaderlo, mentre la Mizukage cadeva in ginocchio, come le avessero sottratto ogni respiro di vita, tutta in un colpo.
Dov’era quella speranza a cui si erano aggrappati?
Dov’era la loro forza?
Avrebbero voluto disperarsi, inermi come non si erano mai sentiti: avevano perso, nella più dolorosa delle disfatte.
Invano Tsunade cercò di percepire anche il più flebile dei chakra, un cenno che qualcuno fosse ancora vivo, là in mezzo, ma il risultato di quella ipocrita ricerca non poté che ferirla come niente aveva mai fatto prima. Lentamente, una lacrima aveva delineato il volto impassibile di Gaara, mentre il vecchio Oonoki non era riuscito davvero a trattenersi: niente singhiozzi, niente grida, solo una disperazione così silenziosa da distruggerlo più di quanto non avessero già fatto le ferite. Fu come sentire l’animo venir raso a zero, letteralmente.
«Tsuna…» Quella voce, così flebile eppure così familiare, fu l’unico sprazzo di vita che li raggiunse. Le iridi ambrate dell’Hokage raggiunsero immediatamente quelle del nonno, capoclan Senju, bloccato da alcuni sigilli a non molta distanza da lei. Accennò a muoversi, ad avvicinarsi a lui quando, ad un metro da lei, fece il suo arrivo l’artefice di quel massacro.
Madara Uchiha.
«Ma guarda, sei ancora viva…» Una voce roca, quella del capoclan Uchiha, eppure velata di soddisfazione quanto di rancore, di disprezzo, di fastidio. Quasi nell’immediato, Obito Uchiha e Kabutomaru arrivarono dinnanzi ai cinque Kage, accerchiandoli.
Ed il Decacoda, evocato nella sua inquietante mostruosità.
Si riavvicinarono, i leader del mondo ninja, pur consapevoli che qualsiasi reazione avrebbe significato per loro una morte certa: non erano riusciti a sconfiggerne uno, di loro, e se nemmeno un esercito era stato capace di fermarli, certamente non vi sarebbero riusciti loro.
Era la fine, letteralmente. «Ho ancora la possibilità di giocare, quindi.» Aveva fatto un passo, ma lei non aveva indietreggiato. Era una donna, sì, ma non una donna debole, avrebbe difeso ciò che le era rimasto a qualsiasi costo.
«E’ me che vuoi, Madara! Lasciala stare!» Hashirama era immobilizzato da profondi sigilli neri, ogni cellula del suo corpo avrebbe urlato di dolore, se solo non fosse stato già morto. Aveva gridato, stringendo i denti per lo sforzo, con la vana speranza che il suo rivale ed amico di sempre lo ascoltasse. Una vana speranza, appunto: Madara non si arrestò, lento si avvicinava, mentre un sorriso sadico si delineava sul suo volto. La vendetta che tanto aveva bramato stava assumendo tonalità ancora più soddisfacenti. «Perché dovrei, Hashirama? Tu sei già morto…» Sadico e freddo nelle sue parole, la raggiunse. Una mano si allungò, la chiara intenzione di arrivare al suo volto – od al suo collo – ma ella lo fermò, una salda presa a cingergli il polso.
L’avrebbe uccisa, lo sapevano tutti e due – tutti e tre.
La prese per il collo con l’altra mano. Rapido, fin troppo, e con troppa forza aveva immediatamente preso a stringerla. Si sentiva soffocare ma non cedeva, né gli lasciava libero l’altro polso.
Era ancora così viva, così ridicolmente attaccata alla vita, glielo leggeva in quelle iridi ambrate così ostinate.
«Patirai pene che non hai nemmeno mai immaginato.»

Non ha i suoi stessi occhi, né lo stesso volto, eppure ti guarda allo stesso modo.
Vorresti strapparle quella compassione dal volto, con violenza. Forse vorresti solo strapparle l’anima, bruciarla, sentirla ardere sotto le tue dita, sotto grida di dolore. Vuoi vederla soffrire – vuoi che senta la sofferenza che il suo clan ha meritato, da sempre – e ti rode ch’ella sappia resistere con tanta tenacia alle tue torture.
Non ha i suoi colori, non ha i capelli scuri, gli occhi neri, eppure sono di una profondità che sa tenerti testa persino in quelle condizioni.
La odi, la odi profondamente, come fosse capace di farti specchiare in un sangue che non hai mai davvero posseduto. Senti il suo, di sangue, scorrerti sulle dita mentre la ferisci, ancora ed ancora, laceri la sua carne ed ancora la odi, perché per quanto male tu voglia farle lei avrà sempre qualcosa per cui resistere.

Lei non cederà mai davvero a te, come non ha mai ceduto lui.
E spingi quella lama a fondo, ancora più a fondo.

 
Faceva freddo, in quell’orrida stanza buia, un’umidità tremenda pareva penetrarle persino nelle ossa. Era incatenata al soffitto, i piedi sfioravano appena il terreno gelido, il corpo era in uno stato di perenne tensione che non le consentiva di riposare o di riprendersi, nemmeno per un istante.
L’aveva torturata per giorni, forse settimane, aveva perduto coscienza troppe volte per constatare quanto tempo fosse passato dal giorno della disfatta.
Si era accorta, però, che suo nonno era stato portato via. Fino a quel momento era stato tenuto anch’egli in quella stanza, non per essere torturato, non fisicamente almeno, quanto per assistere: Madara sapeva di non potergli infierire dolori fisici, perciò lo aveva costretto a guardare le pene che avrebbe inflitto all’ultima discendente del suo amato clan.
Ma aveva fallito, perché per quanto infierisse su di lei, sul suo corpo, Tsunade non s’arrendeva, portando avanti lo stesso spirito che aveva sempre avuto anche Hashirama. Era dunque diventato intollerabile, per l’Uchiha, averli nella stessa stanza, vedere quanto in realtà si somigliassero, quanto ad ogni colpo inferto sembrassero sempre capaci di sopravvivere.
Aveva fatto il suo ingresso con violenza anche quel giorno, sbattendo la porta e percorrendo quella stanza lugubre in pochi passi, come avesse avuto fretta di raggiungerla, di stringere il suo volto tra le dita e costringerla a guardarlo.
«Perché?!» aveva gridato a denti stretti. Le era così vicino da poter ancora percepire quell’insopportabile calore rilasciato da un corpo vivo.
«Perché gli somigli così tanto?!»

Ti sei ritrovato a cercare in lei qualcosa di lui – di Hashirama.
Tremenda è stata la tua ossessione, per anni, decenni, da ritrovarti ora dipendente da qualsiasi cosa che possa assomigliargli.
Lei non è lui, non conosce le sue tecniche, non è così forte, non ti darebbe la stessa soddisfazione in uno scontro… eppure non puoi farne a meno. Una droga, una tremenda droga che non sa saziarti perché – maledizione – lei non è lui.
Eppure è tutto ciò che ti è rimasto: un fuoco che ancora arde, che vorresti si spegnesse ma continua a consumarti.
E’ tremendo il modo in cui ti affascina, insinuandosi nel tuo odio nel risponderti a tono, nel mantenere ancora quel fare superbo, quasi saccente, sfacciato come non ne hai mai veduti.
E’ già morta, lo sa, ma non gliene frega niente, lei continua a darti battaglia persino con lo sguardo.
Il suo solo respirare è per te un segno di sfida, e desideri solo soffocarlo, e desideri solo che non cessi.

 
Le dita scesero, dal volto passarono al collo con la stessa durezza, la stessa forza, e quella rabbia indomita che cresceva in lui e non s’arrestava. Sentiva il suo respiro, sentiva la carotide pulsare all’impazzata, alla ricerca disperata di un modo per sopravvivere che lui non le avrebbe mai concesso.
Profumava. Coperta di sangue, ridotta nelle peggiori condizioni, non aveva comunque perso qualcosa di suo. E non resistette, con la stessa violenza con cui le aveva reciso il corpo si avventò sulle labbra di Tsunade, intrappolandole, facendole sgranare gli occhi in un gesto che mai si sarebbe aspettata.
E non s’arrestò. Parve volerle togliere il respiro con quel bacio, il corpo andò ad aderire a quello di lei, rendendosi conto per la prima volta di quanto fosse formoso, piacevole. Si fermò solo quando sentì il proprio, di sangue, sulla lingua: l’aveva morso, ed il suo sguardo ambrato pareva attenderlo, sconvolta, eppure sempre dannatamente determinata. «Che… diavolo… pensi… di fare…?!» Parlava a fatica, ma non si era trattenuta dal rifiutarlo, come avesse avuto ancora le facoltà per farlo.
Desiderò distruggerla, sì, ma desiderò anche possedere di nuovo quelle labbra, quel calore così vivo, di un corpo che non s’arrendeva alla morte come il suo, che parve ormai impossibile resistervi.
Folle era divenuto il suo sguardo mentre aveva ripreso a baciarla, entrambe le mani portate al suo volto, il corpo premuto con violenza, fin quando di colpo – d’improvviso – non si staccò da lei, dandole le spalle ed uscendo, lasciandola nuovamente respirare.
Stava impazzendo, ne fu consapevole.

La verità è che il disperato sei tu.
La verità è che hai così disperatamente bisogno di qualcosa che appartenga a lui, che ti aggrappi a qualsiasi frammento, persino all’ultima dei Senju.
Ti aggrappi alle sue labbra e martori il suo corpo, ma non trai soddisfazione, non trai ciò che vorresti davvero.
Per quanto tempo hai soffocato tutto questo, Madara?
Per quanto tempo hai desiderato vincere, uccidere chiunque a te si opponesse – com’è effettivamente accaduto – per poi renderti conto che non avesse nulla a che fare con la soddisfazione?
Hai vinto, hai sottomesso ogni terra ninja, hai ottenuto l’immortalità - ma ora? Ora di cosa vivrai?

Per cosa vivrai?
La verità è che la tua disperazione è
lui, e sedarla con lei non ti salverà.

 
«Cosa le hai fatto?» Era bloccato a terra da quei sigilli neri, gli stessi che gli aveva piantato nel corpo durante lo scontro. Madara se ne stava invece in piedi, appoggiato alla parete di fronte, con le braccia incrociate e lo sguardo ancora dischiuso, come stesse riflettendo.
Non gli rispose, chiuso in un silenzio che per tanto tempo lo aveva accompagnato, contrariamente ad Hashirama che, con sua profonda irritazione, zitto non c’era mai stato. «E’… viva?» V’era rabbia nel suo tono, eppure mai era stato velato d’odio. Nemmeno in quel momento, nemmeno quando Madara aveva distrutto tutto ciò che aveva costruito e stava lentamente uccidendo la sua preziosa nipote, quel maledetto Senju non lo odiava. Aprì gli occhi scuri solo a quella domanda, solo per poter guardare la sua espressione preoccupata, che sembrava ancora volerlo salvare, in un qualche modo.
Ingenuo, Hashirama lo era sempre stato, e Madara lo aveva sempre detestato per questo: riusciva a vedere il mondo in una maniera per lui inconcepibile. E quella stessa maniera l’aveva vista nello sguardo di Tsunade, l’aveva vista brillare in lei quando, sentitasi insultare durante il loro primo scontro, si era fatta avanti e lo aveva attaccato direttamente con la più incosciente e coraggiosa delle intenzioni.
«Non intendo ucciderla.»
Avrebbero dovuto rassicurarlo, quelle parole, eppure Hashirama conosceva quel tono, il peggiore che il rivale avesse potuto usare. «Hai già vinto, Madara. Hai distrutto… ogni singola speranza. Cosa puoi volere ancora?» C’era dolore, nelle parole del capoclan Senju, un dolore che aveva origini così lontane e radicate da essere divenuto una costante quando si rivolgeva all’altro. Le labbra dell’Uchiha si inarcarono appena, abbozzando un sorriso sadico, come stesse letteralmente giocando con la vita di chiunque, in quel momento: nessuno lo avrebbe più fermato, nessuno lo avrebbe ostacolato, perciò qualsiasi cosa avesse avuto intenzione di fare l’avrebbe fatta.
«Sei così ingenuo, persino da morto!» lo derise, staccandosi dalla parete ed accennando qualche passo in direzione della porta. «Ho vinto, sì, ma non ho avuto tutto ciò che volevo. E questo non mi basta.» Hashirama lo seguì con lo sguardo per quanto gli fu possibile, mentr’egli apriva la porta e si fermava un attimo prima di varcarla. «Intendo prendermi tutto ciò che è rimasto del tuo adorato clan e della tua adorata gente, Hashirama.»
Un ultimo sguardo, folle, intriso di una crudeltà che il capoclan Senju sperava si fosse estinta da secoli. «Mi prenderò lei, e con lei assisterai alla disfatta di tutto ciò che hai creato, di tutto ciò in cui hai creduto.» Tornò a voltargli le spalle, la porta che si chiudeva, Hashirama che rimaneva senza respiro.
«Solo così ti avrò finalmente sconfitto, amico mio.»

E così sei stato consumato: l’odio è diventato brama, la brama un bisogno.
Il modo con cui resta aggrappata alla vita ti affascina, ti disarma, ed al contempo ti irrita come non mai.
È spacciata, lo sa – lo sa che deciderai tu, della sua vita, eppure non si arrende.
Lotta come avesse ancora una speranza.
Anche
lui aveva lottato così, sempre.
Ma ciò che più ti manda in bestia è che lei gli somigli così tanto, ed al contempo in un modo del tutto differente: lei lotta per la sua gente, con ostinazione non si arrende perché sa di doversi occupare di loro – vuole farlo ad ogni costo – mentre lui… lui aveva lottato così per
te, per riportati al villaggio, per darti un’altra possibilità.
Ma tu l’hai gettata, calpestata con l'orgoglio e l'ottusità.
E quella possibilità vuoi che sia negata anche a lei, vuoi costringerla al tuo stesso inferno – come se questo significasse trascinare un po' anche lui, con te.
Lui ha cercato di salvarti dal tuo inferno, lo sai, ma non hai mai voluto farti salvare. Ed ora che ti rendi conto che davvero non avrai mai pace, vuoi tenerti stretto l’ultimo frammento che ti è rimasto di lui: Tsunade.
L’hai odiata sin dal primo momento, perché dal primo momento si è dimostrata ardita quanto lui.
Quanta forza inutile, quanta bellezza sprecata… ti concedi di ammirarla in silenzio, dietro quel perenne sguardo d'odio e disprezzo: accorgerti che rispecchia ogni tuo pretenzioso e supponente canone – di donna, s’intende – ti fa imbestialire ulteriormente.
La disprezzi, ma sai di concederle il privilegio di una considerazione particolare, da parte tua.

 
La stanza era in totale silenzio, ed al semibuio. Lui era seduto a capotavola, attendeva qualcosa – forse qualcuno – fermo in una compostezza che non aveva mai abbandonato. Aveva vinto, contro tutti, non poteva non possedere anche in quel momento una fierezza senza uguali.
Il primo Uchiha.
Il suo volto era corrucciato, sembrava soppesare pensieri scomodi mentre le mani picchiettavano sul tavolo di tanto in tanto. La sua decisione era la migliore, quella che gli avrebbe portato una soddisfazione superiore al suo tormento: un sorriso sadico si fece largo sul suo volto.
La porta finalmente venne aperta, a forza ella venne spinta all'interno da shinobi sotto il controllo del Rinnegan ed a nulla servirono i suoi tentativi di opposizione, esattamente com’era accaduto in quel momento – almeno all'apparenza. Le era stato concesso di lavarsi, di vestirsi di abiti puliti per poter essere quantomeno presentabile, ma le era stata lasciata in corpo una quantità di chakra tanto infima che non avrebbe potuto ribellarsi in alcun modo.
Immediatamente le iridi ambrate erano andate a fissarsi su di lui – no, ad aggredirlo: contrariamente al nonno, ella non possedeva pacatezza o, come preferiva dire Madara, buon senso, perciò sin da subito non si era trattenuta, né aveva avanzato verso di lui.
«Cos’è questa pagliacciata?» E la schiettezza, anche quella sapeva irritarlo come non mai: possibile che la discendente di una nobile famiglia fosse tanto impertinente?
«Siediti.» Non si perdeva in inutili chiacchiere, lui, continuava a dare ordini. Tsunade si concesse ora uno sguardo alla situazione in cui si trovava dinnanzi: una tavola preparata minuziosamente per un pasto, Madara seduto all'altro lato, apparecchiato per una seconda persona proprio davanti a lei.
Quasi rise. «Fai sedere una Senju alla tua tavola, Uchiha.. Cos'è, sei a corto di amici?» lo provocò senza mezzi termini, non accennando ad ubbidire.
Madara schioccò le dita e qualcuno entrò a servire la cena: un profumo allettante, tremendo per chi – come Tsunade – non mangiava da fin troppo tempo, considerata la condizione di ‘prigioniero speciale' in cui era stata sino a quel momento.
Strinse denti e pugni, ma non distolse lo sguardo da quello che lei avrebbe sempre considerato solo un pazzo assassino: un ricatto, non ci avrebbe mai visto nient'altro, dubitando di quello che avrebbe potuto essere un buon gesto.
Madara la detestava anche per questo: non era corruttibile. «Cerca di superare la stupidità tipica della tua stirpe.»
«Se ancora non ti fosse stato chiaro, non ho intenzione di sottostare a te. Piuttosto la morte.»
Sbuffò, Madara, prendendo mano alle bacchette servite gli qualche istante prima. «Hashirama era decisamente più ragionevole...» commentò, concentrandosi ora sulla sua cena. «Radere al suo un altro villaggetto non mi costa molta fatica.» Cominciò la sua cena, come se non avesse appena esposto una minaccia, sapendo esattamente quale tasto toccare. Tsunade deglutì, arrendendosi a sedere a quel tavolo.
«Cosa vuoi, Madara?» Era insofferente, era evidente. La prospettiva di quietare la fame, di ristabilire un minimo le proprie forze era una tentazione dettata dalla necessità fisica, ma l'orgoglio non sembrava volerne sapere.
«Con te non c’è modo di trovare una via di mezzo, mh?» Non che gli dispiacesse, lui che era sempre stato particolarmente estremo in ogni cosa, ma aveva saputo ch'ella – invece – fosse stata un'Hokage sempre stranamente equilibrata, nonostante la tempra.
«Non mi sei sembrato capace di apprezzarla, una via di mezzo, visto che hai raso al suolo praticamente tutto.» Di nuovo non parlava di sé, non aveva nemmeno considerato le terribili torture che le aveva inflitto. Non gli rinfacciava ciò che aveva fatto a lei, ma che aveva fatto a coloro a cui teneva.
Esattamente come quel patetico di Hashirama.
Non rispose, parve voler digerire quella fastidiosa considerazione con un altro assaggio dalla pietanza a lui servita.
«Sarai mia moglie.» Una constatazione, un dato di fatto, non una proposta.
Tsunade sgranò gli occhi, allucinata, mentre lui non sembrò minimamente prendere in considerazione la sua reazione. «Gli ho tolto tutto.» cominciò senza guardarla, come parlasse ancora tra sé e sé, tra una boccata e l’altra. «Il Villaggio, i suoi patetici abitanti. Ho ucciso le sue speranze, ho imprigionato il suo corpo.»
Si pulì le labbra con un tovagliolo. «Gli ho tolto tutto tranne il sangue. Quale modo migliore per farlo prendendomi la sua nipote preferita, nonché attuale Hokage del suo sciocco Villaggio?» Solo ora la guardò, alzò lo sguardo per farle capire che sì, diceva sul serio.
Tsunade non reagì, non subito almeno, cercando di metabolizzare faticosamente la follia che aveva appena udito. Dopotutto, lui glielo aveva detto sin dal momento in cui era scesa in campo contro di lui: l'avrebbe eliminata in quanto discendente diretta del suo peggior nemico.
Si alzò di scatto, e nel farlo rovesciò l’intera tavola con forza – qualcosa che difficilmente si sarebbe potuto toglierle. «Non sarò uno sfogo per le tue ossessioni, Uchiha!» Rabbiosa, mai si sarebbe aspettata ch'egli avesse intenzione di arrivare sino a quel punto. Ucciderla dopo lunghe torture sarebbe stato prevedibile, logico, ma quell’opzione era intrisa di un malsano tormento.
Gliela lesse in faccia, quella rabbia straziante, e ne gioì tanto da non reagire al suo ennesimo affronto: rimase composto, e sorrise. «Oh no, cara Tsunade, sarai molto di più.» schiocco di nuovo le dita, gli shinobi entrarono e la bloccarono con la stessa forza con cui l’avevano trascinata sin lì.
«Sarai la mia vittoria finale.»

Sei stato lontano dal calore per troppo tempo, ed ora che lo stringi tra le mani pare bruciarti l’animo.
Morbida è la sua pelle, saporiti i suoi baci.
Metterle un anello al dito e costringere ogni abitante di Konoha ad assistere ad un teatrino come quello non è sufficiente a domarla, lo sai, per questo non hai esitato ad andare oltre.
Bello è il suo volto quasi da far male,avvenente un corpo che non esiti a spogliare.
Hashirama in prima fila ha pianto, lo hai visto benissimo, eppure non è di gioia che il tuo animo s’è riempito – ma di angoscia, una tremenda e riluttante angoscia.
Strappi ogni inutile veste, ti porti su di lei perché sai che è il modo giusto – l’unico – con cui potrai davvero averla.
E
lei ti guarda come lui ti ha guardato durante tutta la cerimonia.
Violento è il tuo movimento dentro di lei, perché sai che altrimenti esiteresti, che ancora una volta rinunceresti per chissà quale altra soddisfazione che mai potrebbe raggiungerti.
Ansima, il tuo corpo reagisce a quel suono, eppure ti senti ancora così tremendamente colmo di rabbia da non riuscire a fermarti.
Perché non la smette di fissarti in quel modo?
Perché – maledizione – non si arrende nemmeno quando ogni briciola del suo corpo è stata presa, dominata?
Continui, insisti, infierisci sin quando non sei tu a gemere, sentendo che anche lei non ha potuto non lasciare le labbra dischiuse, mentre ti abbandoni sul suo corpo umido e martoriato.
Ansimi, il tuo corpo ha provato un piacere che la tua mente mai padroneggerà, di questo ne sei certo.
Dovresti sentirti appagato ed invece ti senti soltanto più vuoto.
Ti sembrano sbagliati quei capelli biondi liberi sul cuscino, ti sembra inutile quel seno così prosperoso e troppo delicato quel volto.
Non è lui. Non è lui.
Non è lui.
Non l’è mai stata, per quanto tu abbia voluto convincertene.
Ed è in quel momento, quando il tuo corpo si è abbandonato ad una sensazione prettamente carnale e la tua mente è pervasa da cieca afflizione, che te ne accorgi: la sua mano ha raggiuntola tua tempia, ed ogni cellula all’interno del tuo cranio sta morendo.
La senti, lo comprendi sebbene ogni cosa si stia offuscando brutalmente e vertiginosamente: una tecnica per sigillare ogni singolo neurone che ti porta ad essere ciò che sei.
Eppure lo sapevi, che seppur non avesse le conoscenze di Hashirama non fosse meno intelligente di lui.
La vista si appanna, i tuoi occhi cominciano a tingersi di un bianco fastidioso ma riesci a guardarla, almeno un’ultima volta prima di accettare che abbia davvero trovato l’unico modo e momento per renderti inoffensivo: un rivolo di sangue esce dalle sue labbra, ed il sorriso strafottente che ti rivolge è colmo della soddisfazione che tu avevi voluto, ma che lei si è presa. Il suo petto sanguina, non ritiri nemmeno la mano che l’ha colpita a morte, perché tanto sai che ha ottenuto ciò che voleva.
Dopotutto, sei tu quello spasmodicamente attaccato alla vita, lei vi ha rinunciato solo per porre fine alla tua.
Lei – lui – ha vinto.


La guerra tra Senju ed Uchiha era finalmente finita, ma al prezzo più alto: la loro, di fine.





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Titolo: The end of us
Fandom: Naruto
Personaggi: Hashirama Senju, Madara Uchiha, Tsunade Senju (triangolo)
What if?: cosa sarebbe accaduto se la guerra non fosse stata vinta dall’Alleanza, ma da Madara Uchiha ed Obito Uchiha con l’aiuto di Kabutomaru.
Introduzione: “[…] La odi, la odi profondamente, come fosse capace di farti specchiare in un sangue che non hai mai davvero posseduto. Senti il suo, di sangue, scorrerti sulle dita mentre la ferisci, ancora ed ancora, laceri la sua carne ed ancora la odi, perché per quanto male tu voglia farle lei avrà sempre qualcosa per cui resistere. Lei non cederà mai davvero a te, come non ha mai ceduto lui.” Madara Uchiha ha vinto la guerra, schiacciato i suoi nemici e distrutto le loro speranze, eppure non è la soddisfazione ciò che prova, ma una logorante angoscia. Un’angoscia che accresce in lui la consapevolezza di non aver davvero ottenuto ciò che profondamente aveva da sempre desiderato, e ciò che gli rimane è tentare di averla per mezzo di ciò – o meglio dire chi – più gli somiglia.
  
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