Fiore dal sale
“Ah,
figlio di puttana! Di' a tua madre di bussarmi di nuovo,
stasera!”
Gridai sghignazzando, mentre prendevo la mira e Bianca faceva saltare
via la testa ad uno di quei merdosi shriek. Poco lontano da me
sentivo i passi grossi come macigni di un ogre farmi tremare la terra
sotto ai piedi e le grida sofferenti di quel mostro, simile al
metallo che strideva sulla pietra. Vidi Carver Hawke sollevarsi in un
salto e conficcargli la spada direttamente nel cranio, abbattendolo.
Gridai d'esultanza, agitando un pugno sporco di sangue nero
nell'aria, e il ragazzo mi sorrise un po' sbilenco. Ansimavamo
entrambi, ebbri di adrenalina e affamati di altra carne putrida, ma
in cuor mio sapevo che ciò che vivevamo non era neanche
lontanamente
la normalità.
Era cominciata cinque, forse sei anni prima. Gli
elfi furono colpiti in tutto il Thedas da un morbo sconosciuto che
faceva sbiancare la pelle, la rendeva traslucida, finché
sembrava
fosse consumata. In pochi erano sopravvissuti; la nostra vecchia
compagna, Merrill, non era tra questi. Eppure avevamo ancora quel
cane rabbioso di Fenris. Non so con esattezza cosa abbia passato
nella vita precedente a Kirkwall, ma deve averlo sufficientemente
temprato.
Il Flagello massacrava tutto il continente; non c'era
luogo che non pullulasse di Prole Oscura – e stavolta
sembravano
inarrestabili, privi perfino di un arcidemone a guidarli, i Custodi
Grigi sciolti, dispersi ed impotenti. I nani si erano trincerati
nelle loro miniere, sospesi tra vita e morte – e nessuno
più
sapeva che fine avesse fatto la mia razza, ormai. Uno dei pochi
coglioni che ancora camminava alla luce del sole ero io, e –
cappio
al collo per veleno mortale, tanto valeva divertirmi prima di
crepare. La Chiesa era collassata, giù come un castello di
carte. Le
antiche rivalità tra maghi e templari erano solo un lontano
ricordo,
ormai, dato che la mattina era un miracolo se ti svegliavi con la
testa ancora attaccata al collo.
Chi ci credeva, diceva che
Andraste era finita. Chi ci credeva, diceva che era direttamente il
mondo, quello ad essere finito. E – di certo a queste persone
non
si poteva dare torto, quando la tua esistenza si annullava: cagare,
mangiare e sopravvivere. Scopare, quando si aveva particolare
fortuna. Era questo ciò che c'era rimasto. Non era neanche
più la
brutalità della guerra e la grandiosità delle
conquiste firmate col
sangue: l'obiettivo era lottare per morire per ultimi. Sopravvivere
abbastanza a lungo per dare degna sepoltura – o degna morte,
più
spesso – ai compagni.
Erano passati quattro giorni da quando
avevo dovuto piantare una freccia in mezzo agli occhi a Sebastian
Vael. Era stato corrotto. E la politica era quella: uccidere prima
che si venisse trasformati. Ormai tutti blateravamo di quanto ci
fossimo abituati, perché ridere era l'unica difesa rimasta
per non
farci raggiungere dalle dita nere della Signora Disperazione;
nonostante questo, chissà perché, continuavamo a
tirare a sorte per
decidere chi dovesse ammazzare il nuovo corrotto, col gioco del
bastoncino più corto. E la fortuna non mi aveva sorriso, per
Sebastian.
“Varric! Dai, nano, ti vuoi far ammazzare?!” Mi
voltai di scatto, giusto in tempo per vedere un genlock cadere come
un fantoccio ai miei piedi. Isabela, meravigliosa anche imbrattata di
sangue, mi sorrideva beffarda, mentre estraeva i pugnali dalla
schiena del mostro e si detergeva una striscia di quella merda nera
che scorreva nelle vene di quei putridumi dalle labbra.
“Non
oggi, dolcezza! Grazie!” Grugnii in risposta, lanciando alla
ex
piratessa un sorriso ammiccante.
L'ondata di prole oscura
sembrava essersi arrestata, almeno momentaneamente, e così
ne
approfittai per appoggiarmi a Bianca e riprendere fiato. Mi guardai
rapidamente intorno: la desolazione la faceva da padrone. La terra
che un tempo era stata punteggiata di arbusti, lì sulla
costa, ora
era solo sabbia nera, appiccicosa e sporca della corruzione che aveva
avviluppato il nostro mondo. Fantocci informi, più grandi e
più
piccoli ma tutti odoranti di morte, sbucavano dal terreno come
bubboni su pelle purulenta. C'eravamo io, Carver e Isabela, sudati,
ansimanti, covanti terrore. Fenris, Aveline e Donnic incalzavano
quattro mostri che da quella distanza non riuscii a distinguere, ma
–
comunque non importava. Sapevano cavarsela, loro.
Una palla di
fuoco mi passò ad un palmo dalla testa, strinandomi
senz'altro
alcuni capelli sfuggiti alla mia coda. Era stato quell'enorme idiota
di Hawke, che aveva colpito due hurlock in corsa e li aveva
inceneriti.
“Ma che sei, scemo!? Volevi ammazzarmi?!”
Sbraitai quando il mio amico fu a portata d'orecchio. Ghignava mentre
mi si avvicinava, sputando in terra. Il biondino mago era la sua
ombra – come sempre. Era un segreto, ma quando avevo voglia
di
fingere di provare speranza, pensavo a loro due. Non si erano
lasciati, nonostante tutto. Sapevano che sarebbero morti, presto o
tardi, e che l'orologio stava per rintoccare la mezzanotte per noi
tutti. Il loro tuttavia era uno solo ed aveva quattro lancette che
andavano di pari passo.
“Ci
siamo tutti? Possiamo andare?” Domandò Anders,
guardandosi intorno
in quella desolazione da cui noi sembravamo spuntare come funghi.
Forse un dio (se un dio c'era rimasto, lassù) ci avrebbe
visti come
piccoli miracoli. Fiori in mezzo al sale. Per quanto mi riguardava
eravamo gli ultimi figli di puttana di tutto il Creato. Maledetti e
condannati.
Aveline ci raggiunse, al fianco del marito. La donna
aveva continuato a combattere nonostante avesse perso un braccio, un
anno e mezzo prima circa. L'avevano infettata ferendola all'altezza
del gomito, ma aveva scampato la corruzione con l'amputazione di
tutto l'arto. Al posto del braccio ora aveva un moncherino annerito e
fragile come un fiammifero bruciato. “Allora
creperò perché mi
farò staccare la testa!” aveva urlato
in preda alla furia
quando Donnic aveva provato a dissuaderla dal continuare a lottare.
Era stata la prima e l'ultima volta che ci aveva concesso di vederla
fragile. Ad ogni modo quel giorno avevamo definitivamente capito che
eravamo semplici scogli in mezzo ad un oceano e che presto o tardi le
acque ci avrebbero inghiottito. In cosa credi, d'altronde, quando
anche i pilastri vengono meno?
Fenris aveva i capelli impiastrati
di quel nero viscoso e la pelle candida e dal colore malsano
causatagli dal morbo creava uno strano contrasto. Ormai il pallore
impediva di vedere sul serio i ghirigori di liryum che gli adornavano
la pelle.
Distolsi lo sguardo e mi caricai Bianca sulla spalla,
facendo cenno al gruppo di tornare in città; il porto e la
città
bassa erano stati presi anni prima, ma la città alta
resisteva e la
magione di Hawke, sebbene in malora, riusciva a contenerci tutti.
“Allora? Quanto ci siamo divertiti oggi da uno a
dieci?”
Ironizzò Isabela, guadagnandosi un grugnito sdegnato
dell'elfo.
“Quindici.” Rispose col medesimo tono della
piratessa Carver,
che passava la manica sul filo del suo spadone per ripulirlo
(peggiorando la situazione).
Era filato tutto estremamente
liscio. Ormai la normalità era stupirsi di essere
sopravvissuti
tutti un altro giorno. Non osservavo il gruppo alle mie spalle, ma il
chiacchiericcio mi faceva sapere che mi stavano dietro. Gli occhi
erano aperti, i sensi all'erta, le orecchie dritte... e non
bastò.
Non bastava mai. L'avevo detto pochi giorni prima a Fenris: il mondo
non ci voleva più. Il nostro tempo era finito. Eravamo noi
gli
sciocchi a continuare a mantenerci ancorati al fondo. Eppure questo
sprofondava inesorabile. Mi ricordai di come l'elfo si fosse detto
d'accordo, con quella sua voce roca e stonante su quel corpo solo
apparentemente gracile. Voce che sentii di nuovo, allarmata.
Un'imprecazione nella sua lingua sibilata e poi il mio nome.
Un
lampo di luce fu forte, tanto da accecarmi, e non capii quale dei due
maghi l'avesse lanciato. Nel voltarmi, però, un'ombra nera
mi
atterrò. Il fiato di pura putredine sul collo, ferri
incandescenti
al centro dello stomaco, una tenaglia stretta sulla coscia. Avevo
picchiato la nuca a terra e l'unica cosa che sentivo davvero era
l'intontimento dovuto al colpo. L'atmosfera intorno a me si era fatta
improvvisamente concitata, febbrile come se un pezzo di pane fosse
stato lanciato in mare e un banco di muggini avesse cominciato a
cibarsene. Mani, dolore, singhiozzi vaghi. Roteavo gli occhi, senza
mettere a fuoco. Il cielo sopra di me era una matassa di brutte
nuvole grige. La lanugine sotto al letto. Riuscii a sentire il peso
di Bianca abbandonarmi e provai davvero ad agitarmi, a chiedere ai
miei amici cosa cazzo stesse succedendo, che potevano calmarsi... e
poi espettorai una boccata di sangue, che mi colò lungo il
collo e
il petto. Qualcuno mi sostenne la nuca e potei vedere di essere stato
sollevato. La barba nera poteva essere solo di Hawke.
“Haw--”
risucchiai l'aria. Una nuova boccata di sangue. Abbassai lo sguardo
sul petto ed a parte lo sporco era integro. Peccato per i tre buchi
all'altezza dello stomaco. Chiusi gli occhi.
“Anders! Anders,
per il merdoso Creatore, vieni qui! Ti prego Anders---” era
la voce
di Hawke. Strana. Tremava. La ricevevo direttamente nel cranio. Il
biondino gli disse qualcosa che non riuscii ad afferrare e poi mi
venne imposto un calore sconosciuto, benefico, sulla pancia. Provai a
sospirare di sollievo, ma la strada fino ai polmoni sembrava essermi
preclusa.
Il mio nome. Ancora una volta. Una mano calda sulla
guancia.
Sognai.
Sognai prima di essere di nuovo nella mia patria, tra i cunicoli
umidi e grezzi. Nei budelli stretti di terra, dove l'aria non passava
ma la felicità quasi stagnava. Sognai mia madre e le dita
tozze che
preparavano il pane nero. Bartrand e i suoi piccoli occhi
assottigliati nella cattiveria. Mio padre, anche. Che mi stringeva la
spalla. Le carezze delle cosce tornite di Bianca. Sognai di essere in
groppa ad un drago. Di prendere le nuvole e mischiarle alle stelle.
Di squarciare il cielo con la mia freccia e di far piovere vino
– e
cazzo, se la gente ne era contenta. Sognai di essere ovunque, di
essere chiunque. Un bambino che affondava le mani nella terra, una
donna scossa da un orgasmo, un uomo, lancia in resta, che lottava per
sua madre. Un vecchio troppo stanco, un'elfa bagnata nel fiume e
timida delle sue nudità. Eppure sei bella e non devi
vergognarti,
dolcezza.
Capii quanto avevamo perso. Capii l'amore, la saggezza,
il dolore, la tristezza, l'invidia, la lussuria, la risata, la
bellezza. Capii tutto e tutto mi fu chiaro. Capii me stesso, la mia
balestra tra le mani, i miei amici sorridenti, la bontà
della birra
nelle sere di dicembre. Sorrisi anch'io, ad un certo punto. Ed aprii
gli occhi e tutto era sparito. Non c'era dolore, a parte un bruciore
diffuso in tutto il corpo. Pregai di tornare incosciente: la mia
testa era più bella della realtà.
“Varric! Varric, ti
scongiuro--” Misi a fuoco Hawke, il volto congestionato e
bagnato
di lacrime. Non mi ci volle molto a capire che a quanto pareva il mio
orologio aveva raggiunto la mezzanotte. Non avevo rimpianti,
comunque: la mia era stata una bella vita. Certo, se la Nera Signora
mi avesse avvertito per tempo mi sarei messo in ghingheri e mi sarei
goduto un'ultima notte con Isabela ed un buon bicchiere di quel
piscio che eravamo stati costretti a chiamare vino. L'educazione
lì
non aveva bussato, però.
“Varric---” di nuovo Hawke. Fui
costretto a guardarlo negli occhi. Piangeva ancora.
“Dovete
uccidermi.” Sussurrai. Lo vidi scuotere istantaneamente la
testa,
in modo febbrile, la mano di Anders gli si stringeva sulla spalla
convulsamente. Era ineluttabile. Come l'antica bellezza del creato.
Sapevo che la corruzione mi avrebbe mantenuto in vita giusto per
farmi trasformare in un mostro senza senno. Non erano i buchi in
pancia, il problema, ma il morso sulla coscia. Potevo quasi sentire
l'acido di quel loro sangue entrarmi nelle vene. Era strano essere
così lucido.
Sapevo che Hawke non avrebbe mai trovato la forza
di farlo e così mossi il viso fino a osservare il biondino.
Lui
incassò il capo nelle spalle, lasciandosi sfuggire un
singhiozzo. Fu
Isabela a farsi largo nel mio campo visivo.
“Sei sempre
stupenda, dolcezza.” Le soffiai, mentre lei induriva il
volto. Due
solchi chiari partivano dagli occhi e terminavano alle mascelle,
facendosi strada nel sangue di prole oscura e nello sporco. Aveva
pianto, ma ora i suoi occhi sembravano aridi.
“Dovevo crepare
prima io.” Mi ringhiò, scoprendo i denti come una
tigre. Per le
palle del Creatore, la Nera Signora non m'aveva avvertito, ma morire
con quella visione mi rendeva benedetto.
“A quanto pare invece
ho vinto io la gara”, mormorai in quella voce che
già cominciava a
non appartenermi. Mi sfuggì un singhiozzo, mentre
distoglievo lo
sguardo. Ero sempre stato un bravo narratore e come tale avevo
parlato molte volte d'amore e morte, sviscerando gli argomenti,
spacciandomi per saggio. Però saggio non lo ero ed entrambi
mi
continuavano a fare una paura fottuta. In mezzo a tutte le mie
parole, quelle che mi riempivano la bocca, dovetti ammetterlo: non
avrei voluto morire.
Isabela scosse il capo e si accostò al mio
orecchio, mormorandomi: “Verrò a prenderti a calci
in culo anche
nell'aldilà.” e io risi, mentre il sangue mi
macchiava i denti e
mi scivolava lungo il mento. Poi mi voltai verso Anders e lo osservai
un istante – fin quando non mi si annebbiò la
vista. La corruzione
saliva.
“Biondino, prenditi cura di Hawke.”
E poi mi
rivolsi al mio migliore amico. Un'anima gemella, a modo suo. Un
cretino come me.
“E
io e te ci rivedremo, invece. Non è così brutto
andarsene, sai? Per
un attimo, ho creduto di essere immortale.*” Mormorai, mentre
le
palpebre smettevano di reggere e si chiudevano morbide. Parole che
compresi solo io. Di lì a poco mi sarei nuovamente svegliato
da
bestia, se non avessi avuto l'assassina dalla mia parte. Non volli
sentire Hawke che veniva trascinato via a forza da Carver dalla
stanza, ma fui grato ad Anders quando mi strinse la mano.
Le
labbra di Isabela si posarono sulle mie nello stesso istante in cui
le sue lame mi baciarono la gola.
Walking_Disaster's corner:
(*): “Per un attimo, ho creduto di essere immortale”; frase tratta dal film Midnight in Paris, Woody Allen.
La FF è stata scritta basandosi sui prompt numero 42 e 53 della challenge indetta dalla pagina Dragon Age – Italia. 42: Post-apocalittica AU; 53: “Per un attimo, ho creduto di essere immortale” - Midnight in Paris. Cliccare qui per l'evento.
Mi odio. Sono pessima. Piango forte. Perdoname
madre por mi vida loca.
*Piang.* *Si allontana
fustigandosi.*
Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va. Ed un
ringraziamento sincero alle admin della pagina Dragon
Age –
Italia
per i prompt che mi hanno ispirato questo... questo suicidio. Ecco.
Grazie per aver letto,
WD