CHAOS THEORY
01
Are you afraid
of loving?
Mi chiamano Ghoul perché
non provo pietà né mi pento del male che faccio.
E' una specie
di tradizione in questa banda chiamarsi con i nomi di leggende
metropolitane delle diverse parti del mondo a seconda delle
caratteristiche che ogni persona possiede, e io sono uno dei
peggiori. Mi sono conquistato una fama parecchio temibile e non
potrei esserne più contento, sentirmi chiamare come un demone è
quello che più mi s'addice.
Il bello di avere ventidue anni ed
essere un mercenario è avere ancora la vita davanti e poter sentire
il proprio nome sempre più frequentemente pronunciato da chi lo teme
come se si trattasse della peste, che alla fine sia l'uno che l'altra
portano alla morte. Del resto questo lavoro è tra i più divertenti:
basta un proiettile e vieni profumatamente pagato, tornandotene a
casa con le tasche piene e il lavoro finito. L'importante è non
mettersi contro le persone sbagliate, insomma, o farsi trovare
impreparati. Non siamo stati allenati da un personal trainer che ci
abbia insegnato l'autodifesa: nel caso qualcuno venga preso e fermato
con un corpo a corpo, a meno che non sia bravo da sé, allora è
spacciato. Non che mi interessi, comunque, io preferisco gli attacchi
a distanza e senza nessun altro tra i piedi. Quando il capo ci manda
a squadre diventa tutta una seccatura a partire dal fatto che la
ricompensa va divisa tra di noi. La cosa però mi tocca solo fino ad
un certo punto dal momento che l'unico rapporto che c'è tra i miei
compagni ed io si tratta solo di rispetto reciproco, non ci sono
amicizie o stranezze simili: dato che la vita sembra sempre essere
appesa ad un filo tanto vale non affezionarsi mai alle persone, no?
Alla fine credo sia uno spreco bello e buono, dato che vivo
tranquillamente la mia vita senza problemi direi che non ho bisogno
d'altro...non fraintendetemi, non è proprio una vita pacifica quella
del mercenario ma è comunque una vita sempre movimentata.
Al
suono di questa parola tutti quanti immagino che pensino ad un uomo
enorme, muscoloso, cosparso di cicatrici che va in giro con un mitra
nella mano sinistra e un machete in quella destra - per non
dimenticare la t-shirt mimetica con le maniche strappate, un
classico. Mi dispiace contraddire queste credenze, comunque, sono un
ventiduenne nella media: ho i capelli neri e gli occhi grigi (colore
un po' insolito, ma mi vanno bene così); non sono poi così tanto
grande e anzi potrei essere un po' più basso della media. Non giro
mai armato fino al collo, l'unica arma che ho quando non devo
svolgere il mio lavoro è un coltellino svizzero che mi è stato
utile solo in poche occasioni, ovvero quando parenti o amici delle
mie vittime mi hanno riconosciuto proprio per la fama che ho in giro
e hanno cercato vendetta. E' inutile, comunque, perché chi uccido io
non sono di certo persone migliori di me: truffatori, a loro volta
assassini, ladri, stronzi in generale. Per questo non rimpiango dover
posizionare la mia pallottola nel collo di qualcuno, anzi, in qualche
modo mi diverto pure...o perlomeno continuerò a divertirmi finché
non toccherà a me, ovvio. Facendo questo lavoro il pensiero di un
proiettile non mi spaventa, è chiaro che prima o poi succederà
anche a me a giudicare da quante persone ho fatto fuori e le altre
trenta persone a testa che vogliono farmela pagare. L'importante è
prendere le cose con filosofia, no?
– Skyler?
Mi
volto lentamente: chiunque sappia il mio nome è meritevole di
fare la stessa fine delle mie vittime, poco ma sicuro.
Alle mie
spalle, in questo bar malandato dove passo la maggior parte delle mie
serate, si trova un ragazzino che non credo di aver mai visto in
giro. Più che altro mi chiedo per quale assurda ragione questo
moccioso dovrebbe sapere chi io sia.
– Sì? – gli chiedo,
cercando di sovrastare il volume della musica che sembra voglia non
far altro che spaccarmi i timpani.
Il ragazzino mi guarda per un
istante con un'espressione annoiata, forse, porgendomi poi un foglio
che a causa dell'alcool che mi scorre in corpo non riesco bene a
mettere a fuoco in un primo momento. Lancio così nuovamente
un'occhiata a lui che, furtivamente, porta le mani nelle tasche e
noto che stringe qualcosa. Faccio finta di niente anche se in veste
di assassino ho imparato a distinguere certi movimenti e cerco di
captare le informazioni chiave di questo foglio. Non riesco molto nel
mio intento, ma basta vedere il timbro e la firma di Markus a fine
pagina per capire che questo individuo che ho di fonte sarà una gran
bella seccatura. Chi è Markus? Markus, che tra l'altro un nome più
da cliché non poteva avere, non è altro che il capo di tutta la
banda di noi mercenari. Se qualcuno deve uccidere qualcun altro si
riferisce a Markus e lui sceglierà a sua volta gli assassini più
adatti alla missione: un sistema pratico e conciso, lui non rischia
mai la pelle e manda gli altri come avanguardie.
– Cosa ci
dovrei fare con te? – domando allora al ragazzino vedendomi
costretto ad appoggiare il bicchiere di nuovo sul bancone. Mi sento
male a separarmi da tutto quel ben di Dio.
Lui sfila le mani dalle
tasche, guardandomi come se gli desse fastidio il fatto che abbia
tenuto il foglio in mano per niente: – Vuole che tu mi insegni
qualcosa.
Alzo le sopracciglia, divertito: – I mocciosi non sono
tagliati per questo lavoro.
– Non è affare mio se non vuoi,
queste sono le direttive. Si tratta solo di qualche mese, in fin dei
conti. E non sono un moccioso.
Sbuffo, so già che questa
situazione sarà un bel grattacapo. Scendo così dal mio sgabello e
mi dirigo verso l'esterno, il cucciolo mi segue a testa bassa senza
battere ciglio.
Alla luce del lampione vedo che i suoi occhi
hanno molta più paura di quello che poteva sembrare all'interno e
sono di un colore fin troppo azzurro mentre i capelli, leggermente
mossi e forse lasciati crescere un po' troppo, sono castano chiaro
nonostante che con le luci del bar avrei giurato che fossero neri.
Che strano tipo, sembra più uno studente delle medie che un killer
spietato.
– Come ti chiami?
Occhi-azzurri mi guarda incerto,
indeciso se rivelarmi o no questa vitale informazione, ma alla fine
si arrende all'istinto e abbassa lo sguardo a terra: – Louis. Ma
per via del mio modo di fare Markus mi ha già chiamato Boogeyman.
–
Boogeyman? – scoppio a ridere, scuotendo la testa per la comicità
della cosa. – L'uomo nero? Ma se sei la persona più luminosa sulla
Terra!
Louis sfodera un sorrisetto malato, alzando gli occhi verso
di me dal basso della posizione in cui si trova il suo viso: – Non
mi faccio vedere da chi ammazzo, agisco nell'oscurità. Da qui il
nome.
Okay, inquietante.
Credo di essere una calamita per
persone strane, io. Cos'ho fatto per meritarmi un ragazzino
psicopatico che mi deve seguire ovunque io vada?
– Allora,
Boogey, – ridacchio, portando velocemente la mano nella sua tasca
ed estraendo il coltellino svizzero che prima ha stretto. – Regola
numero uno: non alzare mai un'arma contro di me o finisce male, okay?
In uno scontro corpo a corpo, o di velocità, o di altro tu saresti
fottuto contro di me. Pure a poker, se ti può interessare. Regola
numero due, non chiamarmi col mio nome perché è estremamente
imbarazzante. Regola numero tre, ricordati sempre che io ho ventidue
anni e tu probabilmente dodici e mezzo, quindi non si discute con
me.
– Sedici. – mi corregge allora il mio nuovo piccolo amico,
facendo una smorfia. – Non sono nato ieri, se non l'hai notato. Se
avessi potuto iniziare da autonomo, credimi, l'avrei fatto. Ma
passando da una banda all'altra non mi lasciavano andare da solo e mi
hanno affidato a te per un po' di tempo.
Pensare che questo
moccioso abbia mai ammazzato qualcuno mi fa solo ridere, lo devo
ammettere, ma apprezzo l'arroganza con cui alza il viso verso di me e
come non intenda abbassarlo. Se non altro potrò contare per un
ricambio munizioni senza dover perdere tempo, no?
– Ci si vede
in quartier generale, moccioso. – alzo la mano all'aria mentre gli
volto le spalle, facendo per tornarmene a casa. Se me l'hanno
appioppato credo di non avere scelta, almeno cerco di passarci
insieme il minor tempo possibile fuori dal lavoro per non dover
rimpiangere quel poco di pace che mi resta.
– Ehi...fermo! –
il ragazzino mi segue, bloccandomi saldamente per il polso prima che
possa raggiungere l'esterno di questo vicolo. Ecco, devo mettere in
chiaro che non sono qui per recitare soap opera da mandare in onda
alle due del pomeriggio dopo Beautiful.
Così mi giro
verso di lui con un sorrisetto ironico: – Togli le tue zampacce da
me.
– Scusa, io... – allontana velocemente la sua mano,
riponendola nella tasca della felpa. – E' solo che, dato che non
hai letto il foglio, non sai che devo venire con te. Ho fatto oggi il
trasferimento e fino ad adesso ho vissuto con un compagno dell'altra
banda...non ti darò fastidio, lo prometto. Ho i miei soldi e Markus
mi ha già dato il primo stipendio, quindi non devi
preoccuparti.
Bene, questo va direttamente nelle cose più noiose
che io abbia mai fatto. Ospitare un moccioso in casa mia? Che, tra
l'altro, si tratta di un appartamento di appena venti metri quadrati
(monolocale, cucina e camera tutto insieme) dove la maggior parte dei
muri è un insieme di crepe e segni di guerra a cui sono attaccate
due mensole per le due pistole scrause che ho in casa al momento
considerando che quelle buone sono in riparazione. A volte sono
talmente scemo che finisco per chiamarle 'le mie bambine' o robe
così, immagino i vicini cosa pensino di me.
Premetto inoltre che
se non sto facendo storie è perché mi è severamente proibito
contraddire gli ordini del capo, e se questo ragazzino andasse a
dirgli che non mi va probabilmente Markus mi farebbe fuori
semplicemente schioccando le dita, quindi preferisco evitare.
–
Vivo in una topaia dove per colazione troverai latte e proiettili. –
lo avverto alla fine, sorridendo mentre prendo le chiavi della
macchina. – E le stanze non sono insonorizzate, considerando che ho
tre porte in tutto: quella d'entrata, del bagno e della terrazza.
–
Per me è okay. – Louis si avvicina ad un cassonetto, prendendo un
borsone attaccato ad esso. – L'avevo messo qui prima di entrare, è
la mia valigia.
– Dai? – proseguo rivolgendogli uno sguardo
seccato, domandandomi se ho a che fare con un assassino o con un
bambino in gita scolastica. Anche se, probabilmente, si tratta più
della seconda opzione.
Senza il probabilmente.
–
Questa è casa tua?!
– I souvenir sono sulla destra e i dépliant
sulla sinistra, speriamo che il tour sia stato gradito. Grazie per
aver scelto la Ghoul Experience.
– Non sei
simpatico.
Louis deposita il suo borsone in mezzo alla cucina,
appoggiando le mani sui fianchi con un'espressione di puro disappunto
dipinta sul viso. Forse non gli piace il nuovo deodorante che ho
scelto giusto l'altro ieri, dovrò informarmi anche sulle sue
preferenze se voglio mirare ad una convivenza pacifica.
Muschio
bianco o brezza marina?
– Cosa c'è che non va? – borbotto
chiudendomi la porta alle spalle, girando la chiave e fermando il
chiavistello. Non si sa mai che qualcuno rintracci il mio indirizzo,
credo che sarei spacciato.
Il moccioso si guarda attorno
schifato, sfiorando con le mani eccessivamente bianche le due pistole
sulle mensole: – Cosa ne pensano i tuoi parenti
dell'arredamento?
Alzo le spalle, accendendo il fornello per
scaldare la caffettiera: – Non ricevo visite dai parenti. Caffè,
Boogey?
Louis scuote appena la testa, guardando distrattamente
l'orologio mentre con gli occhi passa in rassegna tutte le pareti: –
Sono le due di notte...dopo non dormo.
– Oh, poverino. – mi
cambio in velocità (questi sono i comfort di vivere in un
monolocale) per poi tornare sul ragazzino, ancora assorto in chissà
quale oscura presenza. I miei dubbi sulla sua feroce sete di omicidio
cominciano a scendere fin troppo velocemente, devo ammetterlo.
–
Dove dormirò io? – mi chiede poi con un filo di voce, però in
effetti questo è un bel problema. Non ci avevo mica pensato.
Mi
guardo intorno sperando di trovare qualcosa che, giustamente, in
cinque anni non avrei mai visto per poter dare a questo moccioso un
posto in cui appoggiare le chiappe per la notte. Il vaso di fiori? Il
tavolo? La cuccia del cane che avevo un anno fa?
Beh, non sono
cattive idee, ecco. Forse un po' scomode, ma funzionali. E questo è
importante.
– Ti va un materassino? – propongo cercando di
farla sembrare un'idea allettante con un sorrisino da chi promuove
prodotti inutili alla tv. Numero verde in sovrimpressione, chiamate
subito!
– Mi prendi in giro? – è la sua domanda retorica
accompagnata da un'occhiataccia. – Senti, avrò sedici anni e va
bene quello che vuoi, ma sono un assassino esattamente come te. Anche
io ho la mia dignità, sai?
La vedo molto dura.
– Ah sì? –
chiedo allora, scrollando le spalle per alleggerire la tensione. –
Mi dispiace ma non ho letti in più e come vedi non ho un divano ma
una squallida poltrona, quindi o ti accontenti di quella o vieni a
dormire con me, fai tu.
– Hai un letto a due piazze?
Eh? No,
dai, non può avermi preso sul serio. Io non dormo con i ragazzini
più piccoli di cinque anni, non sembrerei altro che un pedofilo.
Sono un mercenario, accidenti, cosa ci faccio un questa situazione?
Non mi sono di certo iscritto ad un servizio gratuito di
baby-sitting, non vedo perché il moccioso ed io dobbiamo addirittura
condividere lo stesso letto adesso. E' una cosa decisamente malsana.
– Sì, ma...
– Perfetto! – esclama con un sorrisone
convinto, trascinandosi dietro la sua borsa gigante nello scanso che
porta a quella che teoricamente dovrebbe essere una camera da letto.
Io questo qui lo faccio fuori prima di domani mattina.
–
Ehi! – sbotto, trovandolo beatamente seduto sul letto. Sulla mia
parte, tra l'altro! Questo è un affronto bello e buono, non ha di
certo iniziato col piede giusto questo ragazzino. – Senti, Boogey,
non so se ti sia chiaro che...
– Mi faccio piccolo piccolo. –
mormora con un sorrisetto da bambino che implora per delle caramelle,
congiungendo le mani in preghiera. – E poi è solo per la notte,
non ti accorgerai nemmeno di me. Non sono mai stato un disturbo per
nessuno, te lo giuro.
Su questo ho una serie di forti dubbi che
credo sarà difficile chiarire, ma non posso fare altro che annuire e
demolire il mio orgoglio come se Miley Cyrus fosse appena salita su
una palla da demolizione pronta a far fuori ogni parete di dignità
ancora rimasta. E lentamente nella mia mente parte anche il
ritornello di Wrecking Ball, forse mi metterei a canticchiarla
se fossi a casa da solo. Sfortuna vuole, però, che non sia affatto
così. Insomma, cosa dovrei fare con un moccioso che dorme nel mio
stesso letto adesso? Mi sono sempre rifiutato di dormire perfino con
mia mamma quando avevo quattro anni e ora mi ritrovo in una
situazione del genere, mi chiedo solo che diamine dovrei fare. Per
non parlare del fatto che sto pregando anche gli dei di cui non
conosco l'esistenza perché gli altri non lo vengano a scoprire. A
quel punto potrei tranquillamente piazzarmi una bella pallottola in
bocca.
– Domani mattina devo fare un salto in armeria. –
borbotto stendendomi accanto a lui dopo aver spento la luce. – Tu
vedi di non fare casini mentre sei qui.
– Perché non mi chiami
una balia? – replica lui con un sorrisetto infastidito, guardandomi
male. – E comunque anche io devo andare in giro domani mattina. Non
preoccuparti, Markus mi ha già dato una copia delle chiavi di questo
appartamento.
– Cosa?!
Non sapevo di essere sotto stretto
controllo del mio superiore, ma vedo che la mia reazione riesce
comunque a divertire il moccioso che, dopo essersi sistemato i
capelli chiari con la mano, se ne esce con un colpetto di tosse: –
Tranquillo, non faccio party scatenati mentre il paparino non
è in casa.
Roteo gli occhi verso di lui, sbuffando: – Ha-ha,
che simpatico.
– Buonanotte, Ghoul.
Ah bene, pure la
buonanotte adesso? Vuole un biberon di latte caldo magari? O una
bella favola della dolce dolce notte?
Spero che si renda conto che
questa è una convivenza forzata e che io non sono il suo tutore o
migliore amico, peggio ancora, semplicemente questa è una situazione
che spero di sbrigare al più presto possibile se voglio continuare a
fare i cazzi miei fino a mattina e dormire poi di giorno quando ho i
miei giorni liberi, finché questo parassita girerà per casa non
credo che potrò fare proprio come mi pare e piace.
–
Buonanotte, Boogey.
Ah, ma chi me lo fa fare?
Spero che
tutto questo sia uno scherzo. Un enorme scherzo. Un gigantesco
scherzo. Un colossale scherzo.
Sbatto più volte le palpebre,
magari sono addormentato, ma non succede niente. Rimane tutto com'è.
Dai, per favore, qualcuno mi dica che sono su Candid Camera o
qualcosa del genere. Non posso sopportare una cosa del genere, è
estremamente fastidiosa ed imbarazzante. Soprattutto imbarazzante.
Se quel pidocchio pensa che lasciarmi una brioche e il cappuccino
sul tavolo sia un buon modo per iniziare allora ha decisamente
sbagliato strada. Pensa forse di comprarmi? Non sono di certo quel
genere di persona che...ehi, aspetta, ma è alla crema. E il
cappuccino è incredibilmente buono.
Il punto è che,
considerando che sono appena le nove, quando accidenti avrebbe avuto
il tempo di uscire, fare i suoi giri, rientrare per portarmi la
colazione e uscire di nuovo? A conti fatti è un ragazzino di sedici
anni che si spaccia per un famigerato assassino quando credo non
sappia cosa sia un revolver, non sapevo nemmeno avesse risparmi con
sé. E men che meno che facesse anche servizio cameriere non
richiesto, tra l'altro. Accanto a questo cabaret comunque c'è un
biglietto col suo numero di cellulare e l'annessa scritta 'in caso io
dovessi combinare casini'. Beh, per lo meno ha capito al volo le
regole, questo è senza dubbio un punto a suo vantaggio.
Bando
alle ciance credo che un ringraziamento gli spetti di diritto, ma
fino ad allora ho comunque un lavoro da mantenere perciò dopo
essermi reso almeno un po' decente mi dirigo verso l'armeria. Non amo
andare lì considerando che è gestita da un mio collega, diciamo,
che è peggio di una di quelle vecchiette che trovano un'amica al
mercato. E' sempre pronto a scambiare quel genere di due chiacchiere
di cui tu faresti volentieri a meno dato che si tratta di voci di
corridoio e basta, e tra l'altro se muovi un passo falso in sua
presenza sai in partenza che nemmeno in ventiquattr'ore Markus lo
verrà a sapere. Per questa ragione lui viene chiamato Kraken, ovvero
il mostro marino che non lascia mai scampo con i suoi tentacoli. E,
ripeto, se potessi evitarlo sarei ben contento di farlo.
Il
campanellino appeso sopra alla porta dell'armeria suona non appena
entro come se fossi in una farmacia o simili, mentre un'ondata del
tipico odore di ferro mi travolge. Bene, non posso fare a meno di
dire di trovarmi nel mio habitat naturale almeno. Mi levo gli
occhiali da sole portandoli in testa prima di salutare il collega di
Kraken che sta attualmente caricando delle vecchie pistole, per
quanto sia maggio c'è fin troppo sole. Lancio un'occhiata in giro e
noto con disappunto che hanno spostato il reparto delle munizioni per
le pistole, ma prima che possa trovare qualcuno con cui lamentarmi
davanti a me spunta un Kraken tutto sorridente e pieno di energie: –
Ghoul!
– Ehi. – ricambio con qualcosa come un decimo della sua
enfasi. – Come va?
Provo a fare un po' di conversazione solo per
non passare per uno stronzo apatico, non perché sia realmente
interessato. So che questa è la prova del fatto che io sia realmente
uno stronzo apatico, ma del resto meno sanno di me questi tizi e
meglio è per tutti quanti.
– Ah, sai, non va molto bene. – è
la sua risposta da depresso che cerca un po' di compassione, il che
mi porta a dover fingermi ancora più interessato. Che palle. Cosa mi
importa a me del suo benessere o meno? Non sono mica il suo
psicologo.
– Oh, mi dispiace. Come mai?
Datemi un Oscar per
la recitazione.
Kraken sbuffa, appoggiando i gomiti al bancone: –
La mia ragazza ha detto che se non comincio a ricordarmi tutte le
date dei compleanni della sua insulsissima famiglia allora lei mi
pianta. Puoi ben capire, cosa ci posso fare io se la sua prozia
compie gli anni il ventidue gennaio? Cosa me ne faccio io di quella
data? Al massimo le compro una bottiglia di grappa alla liquirizia e
tutti contenti, no?
– Giustissimo. – spero che il mio tono da
persona decisamente seccata non emerga più del dovuto. – Prova a
parlare con la tua ragazza e dille che al massimo ti ricorderai la
data dei suoi genitori ed eventuali fratelli. Trova un compromesso,
dico io. A volte è la strada più semplice.
– Potrebbe essere
una buona idea. – Kraken mi sorride come se gli avessi appena
permesso di raggiungere il Nirvana. Devo ammettere che ha proprio la
faccia da idiota. – Grazie, amico.
Non sono suo amico, sia ben
chiaro. Sono un cliente ed eccezionalmente un collega. Non
spingiamoci oltre, per favore.
– Figurati. – cinguetto come
un imbecille, sorridendogli alla bell'e meglio. – Piuttosto sarei
venuto qui per delle munizioni, se non ti dispiace.
– Oh, certo,
scusami. – Kraken per fortuna si ricompone per sembrare almeno un
po' professionale, assumendo un'espressione da esperto nel suo campo.
– Per quale arma, allora?
– Una Desert Eagle. Dammi pure due
blocchi, grazie.
– Desert Eagle, eh? – il mio collega si
sfrega il viso con una mano, dirigendosi chissà dove facendomi segno
di seguirlo. Perché, dico io, dovevano spostare il reparto
munizioni? L'hanno tenuto dov'era per sette anni, non guastava di
certo un mese in più. Avevano qualche strana esigenza, forse?
Extreme makeover home edition, immagino.
– Queste
vanno?
Esamino i proiettili per qualche secondo, concludendo con
un sorriso: – Sono loro.
– Perfetto, il prezzo lo sai già.
Piuttosto, ho sentito che c'è un nuovo arrivo da noi.
– Ah sì?
– tiro fuori i soldi per poi appoggiarli sul bancone, guardando
confuso il ragazzo davanti a me. – Sono passato ieri mattina da
Markus ma non mi ha detto niente.
Kraken fa di spallucce: – Mah,
dicono che sia un ragazzino...aspetta, com'era? Boogeyman, forse.
Ah,
merda.
In effetti potevo arrivarci, però. Che cretino.
–
Mai sentito. – me ne esco con un sorrisetto, recuperando in fretta
il resto. Meno cose sa e meglio è.
– Dicono anche che stia da
te. Sicuro di non conoscerlo?
Ecco, porca merda.
Cos'ho fatto
io per finire in mezzo a questo circolo vizioso? Perché proprio a
me, poi? Ci sono alcuni di noi che vivono in regge dove non si vede
nemmeno la fine del giardino, mi chiedo perché diavolo proprio io
debba badare al moccioso.
Così sbuffo, alzando le spalle: – Non
voglio che si sappia in giro più del dovuto.
– Il tuo segreto è
al sicuro con me! – Kraken batte fin troppo amichevolmente la mano
sulla mia spalla, sorridendomi. Come se ci credessi, poi.
–
Troppo buono. – borbotto alla fine, dileguandomi scuotendo la mano
come facevo quando ero bambino e salutavo mia mamma dal pulmino
scolastico. Per carità, meglio andare via da questo covo di matti
prima che io cominci ad interessarmi a ciò che è successo nella
casa del Grande Fratello nella puntata di ieri sera. Preferirei
astenermi dal diventare quel genere di persona che già odio.
Sbatto la porta di casa dietro di me, appoggiando la schiena
contro di essa. Sono troppo vecchio per le scale di questo palazzo,
devono assolutamente mettere un ascensore se non vogliono trovarsi un
cadavere sulle scale prima o poi. Lancio le munizioni sul tavolo, ma
appena alzo gli occhi mi ritrovo davanti Boogey in tutta tranquillità
che sorseggia beatamente una tazza di caffè con addosso un misero
paio di boxer. Mi prende in giro?
– Che accidenti fai? –
sbotto, lanciandogli addosso la mia felpa. – Per l'amor di Dio,
mettitela.
– Non hai mai visto un uomo in mutande? Dico,
insomma, ti guardi mai allo specchio?
Che fa, protesta adesso? Osa
ribattere contro il sottoscritto? Questo moccioso deve imparare
meglio a scegliersi i suoi nemici, poco ma sicuro.
– Senti, –
inizio, avvicinandomi a lui fino a metterlo spalle al muro,
guardandolo dritto negli occhi. – Sei qui da nemmeno
ventiquattr'ore e già giri per casa mezzo nudo, quindi vedi di darti
un contegno che qui non siamo con i tuoi genitori. Queste sono le
regole e tu le rispetti.
In realtà credo sia perché non voglio
che si prenda un raffreddore o simili, ma il suo sguardo si
inasprisce velocemente mentre si mette la felpa con un movimento
incurante: – Se vuoi che faccia il bravo bambino vedi di non
nominare la mia famiglia, allora. – E' la sua risposta decisamente
astiosa, mentre si dilegua senza aggiungere altro per poi chiudersi
in bagno.
Gesù santo, non ho di certo richiesto un ragazzino
lunatico io. Cosa ne posso sapere io dei suoi nervi scoperti se non
lo conosco nemmeno da un giorno? Non ho di certo detto niente con
l'intenzione di infastidirlo, quello che era giusto dire allora l'ho
espresso, punto e basta. Non vedo il bisogno di scomodare il
melodramma considerando che ci tiene ad essere visto come un
assassino. Gli assassini non piagnucolano, accidenti, da dove
accidenti sbuca fuori questo qui? Forse dovrei chiedergli scusa e
fare il fratellone comprensivo, ma magari sarebbe meglio rimandare
tutto ciò a quando gli sarà passato l'attacco di isteria. Mica l'ho
fatto apposta, comunque. La mia coscienza è pulita, ci tengo a
precisarlo...insomma, più o meno. Pseudo-pulita.
Nel caso non si
sia notato, qui stiamo delirando.
Nemmeno ventiquattr'ore e già
ho i sensi di colpa, incredibile. Questo è un record. Tanti applausi
a mister Louis per essere il detentore di questo prezioso record.
E'
inutile che mi sbatta tanto, comunque, il danno è fatto e non mi
resta che aspettare. Intanto mi dirigo verso il mio armadio per
cambiarmi, ma prima che possa raggiungerlo qualcosa cattura la mia
attenzione. Sul letto disfatto, infatti, giace un pugnale che non
credo di potermi permettere neanche dopo aver incassato i soldi di
cento omicidi. Mio non è di certo perciò a rigor di logica
dev'essere del moccioso, anche se mi chiedo dove diavolo abbia
potuto reperire un'arma dall'elsa d'argento con degli inserti dorati.
Soprattutto non lo facevo tipo da combattimento corpo a corpo
considerando come si è appena fatto mettere spalle al muro da me,
speravo fosse più tipo da pistole a lunga gittata...sempre che sia
ciò che dice di essere, chiaramente. E ho dei dubbi a riguardo.
Finalmente la porta del bagno si apre dopo tre quarti d'ora,
facendo uscire un ragazzino finalmente con qualcosa addosso e con uno
sguardo quasi lugubre. Sensi di colpa che crescono, evviva!
Devo
farmi coraggio e ammettere che forse ho alzato troppo la voce
considerando che si tratta di un moccioso di sedici anni e che in
effetti come lui non sa niente di me allo stesso modo nemmeno io so
qualcosa di lui, perciò mi alzo dalla poltrona e appoggio il
computer per terra, prendendo poi le chiavi della macchina.
–
Mettiti le scarpe. – gli ordino, infilandomi velocemente le
mie.
Lui mi guarda male, sbuffando: – E perché?
– E'
mezzogiorno e ho fame. Andiamo a mangiare da qualche parte.
Boogey
mi fissa stranito, mettendosi velocemente le scarpe: – Aspetta che
prenda i soldi almeno, se...
– Non preoccuparti. – lo
interrompo, aprendo la porta di casa per evitare che veda la mia
espressione. – Offro io. Muoviti.
Dio, che imbarazzo. Non mi
ricordo più come si gestiscono le situazioni in cui commetto uno
sbaglio e devo rimediare, ma non credo nemmeno che la colpa sia mia
al cento per cento. Devo ancora capire perché il pidocchio sia in
possesso di un pugnale come quello che ho visto sul letto, perciò
immagino che avremo un bel po' di cose di cui parlare e fare ciò con
un bel panino da fast food davanti è senza dubbio molto efficace.
–
Sei sicuro? – mi chiede una volta essere salito in macchina,
tenendo però lo sguardo fisso davanti a sé. Beh, per lo meno non
sono l'unico ad essere in un mare di imbarazzo. Questo è un altro
punto a suo vantaggio.
– Ma sì. – sbuffo, mettendo in moto
in velocità. – E' il mio ringraziamento per la colazione di
stamattina.
E anche un modo per chiedergli scusa, ma questo deve
capirlo lui. Io non glielo dico di certo.
Il ragazzino mormora
qualcosa di incomprensibile, nascondendo poi il viso nel colletto
della giacca. Mi viene da ridere, lo ammetto, ma cerco di trattenermi
per non creargli una situazione di potenziale arrossamento delle
guance. Odio quando succede a me perciò, se posso, lo evito anche
agli altri.
– Piuttosto... – ricomincio, accendendo la radio
per avere un minimo di sottofondo. – Quando devi uccidere, lo fai
col pugnale che c'era poco fa sul letto?
Louis sussulta un
momento, girando il viso verso di me, preoccupato: – Diciamo di
sì.
– E...dove l'hai preso? Insomma, è molto bello.
Tentenna
qualche secondo, concludendo poi con un sorriso: – Sai cos'è
l'effetto farfalla? O la teoria del caos?
Eccolo là, ora parte
anche a fare il filosofo! Basta, qui non ci siamo proprio. O
stabiliamo delle regole ben precise o questa convivenza finirà
presto con un omicidio, giusto per restare in tema.
– Sentiti
nominare. – me ne esco, lanciandogli uno sguardo veloce. – Quella
teoria che dice che da un evento se ne genera un altro, o roba
simile, vero?
– Un battito d'ali di una farfalla in una parte
del mondo può generare un uragano dall'altra parte del mondo. –
recita teatralmente, portando gli occhi verso l'alto per ricordarsi
le parole. – Questo dice. E diciamo che quel pugnale è stato il
mio battito d'ali.
La mette sul poetico, adesso. Come
paragone ammetto che rende, è ovvio che non vuole parlarmene
apertamente ma perlomeno al momento so che è grazie a quel pugnale
se ora lui fa l'assassino, o comunque una storia simile. A dirla
tutta non so cosa si nasconda dietro quegli occhi azzurri, ma
immagino che dovrò aspettare ancora un po' per scoprirlo. Del resto
lui non s'impiccia nei miei affari e forse dovrei fare lo stesso, ma
qualcosa mi spinge a volerlo conoscere meglio. Non so di cosa si
tratti sapendo che in fondo è solo un ragazzino di sedici anni che
dovrò sopportare solo per un paio di mesi, ma spero di scoprirlo
presto. Un assassino non è tagliato per i sentimenti.
ANGOLO AUTRICE
A dirla tutta non so cos'ho fatto.
Questa è una storia scritta e conclusa già un anno fa, ma
improvvisamente mi è venuta voglia di publicarla e quindi...
Be', eccoci qui.
Spero vi piaccia almeno la metà di quanto piace a me, è
una storia di quattro capitoli scritta tempo fa tanto per distrarmi da
un blocco dello scrittore in un'altra long e devo dire che è
servita.
Vi lascio con uno spoiler dal capitolo 2:
Merda.
– Sei vivo! – esclama, prendendo velocemente le distanze da me per lasciarmi respirare. Ora che lo vedo chiaramente posso confermare che i suoi occhi siano lucidi, e noto che la sua maglietta è completamente insanguinata.
A presto!