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Autore: Heyale    23/04/2017    0 recensioni
Ghoul ha ventidue anni, un nome che non gli piace rivelare, un piccolo appartamento, una promettente carriera da mercenario e una vecchia Desert Eagle.
Boogeyman ha sedici anni, un nome che non è il suo, un coinquilino assegnatogli dai piani alti, una leggera tendenza infantile e un pugnale che sa usare meglio di qualsiasi altra arma.
Entrambi mercenari, con degli scheletri dell'armadio per cui hanno iniziato a lavorare in questo ambito e con una strana paura e strana voglia di sapere con chi hanno a che fare.
Dal testo
– Sei un idiota. – mormoro, preso dal momento, guardandolo velocemente negli occhi arrossati.
Il moccioso sorride piuttosto faticosamente, ma riesce in qualche modo a stringere la mia maglietta con la mano che prima teneva appoggiata sul suo stomaco: – Eppure mi stai portando tu.
Ah, fa ironia adesso? Giusto, mi sembra il momento adatto per fare una battutina divertente! Complimenti al genio! Se vuole la guerra, comunque, si accomodi: – Solo perché lasciarti là avrebbe inquinato l'ambiente.
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Chaos Theory cap.1 - Loving?

CHAOS THEORY
01
Are you afraid of loving?



Mi chiamano Ghoul perché non provo pietà né mi pento del male che faccio.
E' una specie di tradizione in questa banda chiamarsi con i nomi di leggende metropolitane delle diverse parti del mondo a seconda delle caratteristiche che ogni persona possiede, e io sono uno dei peggiori. Mi sono conquistato una fama parecchio temibile e non potrei esserne più contento, sentirmi chiamare come un demone è quello che più mi s'addice.
Il bello di avere ventidue anni ed essere un mercenario è avere ancora la vita davanti e poter sentire il proprio nome sempre più frequentemente pronunciato da chi lo teme come se si trattasse della peste, che alla fine sia l'uno che l'altra portano alla morte. Del resto questo lavoro è tra i più divertenti: basta un proiettile e vieni profumatamente pagato, tornandotene a casa con le tasche piene e il lavoro finito. L'importante è non mettersi contro le persone sbagliate, insomma, o farsi trovare impreparati. Non siamo stati allenati da un personal trainer che ci abbia insegnato l'autodifesa: nel caso qualcuno venga preso e fermato con un corpo a corpo, a meno che non sia bravo da sé, allora è spacciato. Non che mi interessi, comunque, io preferisco gli attacchi a distanza e senza nessun altro tra i piedi. Quando il capo ci manda a squadre diventa tutta una seccatura a partire dal fatto che la ricompensa va divisa tra di noi. La cosa però mi tocca solo fino ad un certo punto dal momento che l'unico rapporto che c'è tra i miei compagni ed io si tratta solo di rispetto reciproco, non ci sono amicizie o stranezze simili: dato che la vita sembra sempre essere appesa ad un filo tanto vale non affezionarsi mai alle persone, no? Alla fine credo sia uno spreco bello e buono, dato che vivo tranquillamente la mia vita senza problemi direi che non ho bisogno d'altro...non fraintendetemi, non è proprio una vita pacifica quella del mercenario ma è comunque una vita sempre movimentata.
Al suono di questa parola tutti quanti immagino che pensino ad un uomo enorme, muscoloso, cosparso di cicatrici che va in giro con un mitra nella mano sinistra e un machete in quella destra - per non dimenticare la t-shirt mimetica con le maniche strappate, un classico. Mi dispiace contraddire queste credenze, comunque, sono un ventiduenne nella media: ho i capelli neri e gli occhi grigi (colore un po' insolito, ma mi vanno bene così); non sono poi così tanto grande e anzi potrei essere un po' più basso della media. Non giro mai armato fino al collo, l'unica arma che ho quando non devo svolgere il mio lavoro è un coltellino svizzero che mi è stato utile solo in poche occasioni, ovvero quando parenti o amici delle mie vittime mi hanno riconosciuto proprio per la fama che ho in giro e hanno cercato vendetta. E' inutile, comunque, perché chi uccido io non sono di certo persone migliori di me: truffatori, a loro volta assassini, ladri, stronzi in generale. Per questo non rimpiango dover posizionare la mia pallottola nel collo di qualcuno, anzi, in qualche modo mi diverto pure...o perlomeno continuerò a divertirmi finché non toccherà a me, ovvio. Facendo questo lavoro il pensiero di un proiettile non mi spaventa, è chiaro che prima o poi succederà anche a me a giudicare da quante persone ho fatto fuori e le altre trenta persone a testa che vogliono farmela pagare. L'importante è prendere le cose con filosofia, no?
– Skyler?
Mi volto lentamente: chiunque sappia il mio nome è meritevole di fare la stessa fine delle mie vittime, poco ma sicuro.
Alle mie spalle, in questo bar malandato dove passo la maggior parte delle mie serate, si trova un ragazzino che non credo di aver mai visto in giro. Più che altro mi chiedo per quale assurda ragione questo moccioso dovrebbe sapere chi io sia.
– Sì? – gli chiedo, cercando di sovrastare il volume della musica che sembra voglia non far altro che spaccarmi i timpani.
Il ragazzino mi guarda per un istante con un'espressione annoiata, forse, porgendomi poi un foglio che a causa dell'alcool che mi scorre in corpo non riesco bene a mettere a fuoco in un primo momento. Lancio così nuovamente un'occhiata a lui che, furtivamente, porta le mani nelle tasche e noto che stringe qualcosa. Faccio finta di niente anche se in veste di assassino ho imparato a distinguere certi movimenti e cerco di captare le informazioni chiave di questo foglio. Non riesco molto nel mio intento, ma basta vedere il timbro e la firma di Markus a fine pagina per capire che questo individuo che ho di fonte sarà una gran bella seccatura. Chi è Markus? Markus, che tra l'altro un nome più da cliché non poteva avere, non è altro che il capo di tutta la banda di noi mercenari. Se qualcuno deve uccidere qualcun altro si riferisce a Markus e lui sceglierà a sua volta gli assassini più adatti alla missione: un sistema pratico e conciso, lui non rischia mai la pelle e manda gli altri come avanguardie.
– Cosa ci dovrei fare con te? – domando allora al ragazzino vedendomi costretto ad appoggiare il bicchiere di nuovo sul bancone. Mi sento male a separarmi da tutto quel ben di Dio.
Lui sfila le mani dalle tasche, guardandomi come se gli desse fastidio il fatto che abbia tenuto il foglio in mano per niente: – Vuole che tu mi insegni qualcosa.
Alzo le sopracciglia, divertito: – I mocciosi non sono tagliati per questo lavoro.
– Non è affare mio se non vuoi, queste sono le direttive. Si tratta solo di qualche mese, in fin dei conti. E non sono un moccioso.
Sbuffo, so già che questa situazione sarà un bel grattacapo. Scendo così dal mio sgabello e mi dirigo verso l'esterno, il cucciolo mi segue a testa bassa senza battere ciglio.
Alla luce del lampione vedo che i suoi occhi hanno molta più paura di quello che poteva sembrare all'interno e sono di un colore fin troppo azzurro mentre i capelli, leggermente mossi e forse lasciati crescere un po' troppo, sono castano chiaro nonostante che con le luci del bar avrei giurato che fossero neri. Che strano tipo, sembra più uno studente delle medie che un killer spietato.
– Come ti chiami?
Occhi-azzurri mi guarda incerto, indeciso se rivelarmi o no questa vitale informazione, ma alla fine si arrende all'istinto e abbassa lo sguardo a terra: – Louis. Ma per via del mio modo di fare Markus mi ha già chiamato Boogeyman.
– Boogeyman? – scoppio a ridere, scuotendo la testa per la comicità della cosa. – L'uomo nero? Ma se sei la persona più luminosa sulla Terra!
Louis sfodera un sorrisetto malato, alzando gli occhi verso di me dal basso della posizione in cui si trova il suo viso: – Non mi faccio vedere da chi ammazzo, agisco nell'oscurità. Da qui il nome.
Okay, inquietante.
Credo di essere una calamita per persone strane, io. Cos'ho fatto per meritarmi un ragazzino psicopatico che mi deve seguire ovunque io vada?
– Allora, Boogey, – ridacchio, portando velocemente la mano nella sua tasca ed estraendo il coltellino svizzero che prima ha stretto. – Regola numero uno: non alzare mai un'arma contro di me o finisce male, okay? In uno scontro corpo a corpo, o di velocità, o di altro tu saresti fottuto contro di me. Pure a poker, se ti può interessare. Regola numero due, non chiamarmi col mio nome perché è estremamente imbarazzante. Regola numero tre, ricordati sempre che io ho ventidue anni e tu probabilmente dodici e mezzo, quindi non si discute con me.
– Sedici. – mi corregge allora il mio nuovo piccolo amico, facendo una smorfia. – Non sono nato ieri, se non l'hai notato. Se avessi potuto iniziare da autonomo, credimi, l'avrei fatto. Ma passando da una banda all'altra non mi lasciavano andare da solo e mi hanno affidato a te per un po' di tempo.
Pensare che questo moccioso abbia mai ammazzato qualcuno mi fa solo ridere, lo devo ammettere, ma apprezzo l'arroganza con cui alza il viso verso di me e come non intenda abbassarlo. Se non altro potrò contare per un ricambio munizioni senza dover perdere tempo, no?
– Ci si vede in quartier generale, moccioso. – alzo la mano all'aria mentre gli volto le spalle, facendo per tornarmene a casa. Se me l'hanno appioppato credo di non avere scelta, almeno cerco di passarci insieme il minor tempo possibile fuori dal lavoro per non dover rimpiangere quel poco di pace che mi resta.
– Ehi...fermo! – il ragazzino mi segue, bloccandomi saldamente per il polso prima che possa raggiungere l'esterno di questo vicolo. Ecco, devo mettere in chiaro che non sono qui per recitare soap opera da mandare in onda alle due del pomeriggio dopo Beautiful.
Così mi giro verso di lui con un sorrisetto ironico: – Togli le tue zampacce da me.
– Scusa, io... – allontana velocemente la sua mano, riponendola nella tasca della felpa. – E' solo che, dato che non hai letto il foglio, non sai che devo venire con te. Ho fatto oggi il trasferimento e fino ad adesso ho vissuto con un compagno dell'altra banda...non ti darò fastidio, lo prometto. Ho i miei soldi e Markus mi ha già dato il primo stipendio, quindi non devi preoccuparti.
Bene, questo va direttamente nelle cose più noiose che io abbia mai fatto. Ospitare un moccioso in casa mia? Che, tra l'altro, si tratta di un appartamento di appena venti metri quadrati (monolocale, cucina e camera tutto insieme) dove la maggior parte dei muri è un insieme di crepe e segni di guerra a cui sono attaccate due mensole per le due pistole scrause che ho in casa al momento considerando che quelle buone sono in riparazione. A volte sono talmente scemo che finisco per chiamarle 'le mie bambine' o robe così, immagino i vicini cosa pensino di me.
Premetto inoltre che se non sto facendo storie è perché mi è severamente proibito contraddire gli ordini del capo, e se questo ragazzino andasse a dirgli che non mi va probabilmente Markus mi farebbe fuori semplicemente schioccando le dita, quindi preferisco evitare.
– Vivo in una topaia dove per colazione troverai latte e proiettili. – lo avverto alla fine, sorridendo mentre prendo le chiavi della macchina. – E le stanze non sono insonorizzate, considerando che ho tre porte in tutto: quella d'entrata, del bagno e della terrazza.
– Per me è okay. – Louis si avvicina ad un cassonetto, prendendo un borsone attaccato ad esso. – L'avevo messo qui prima di entrare, è la mia valigia.
– Dai? – proseguo rivolgendogli uno sguardo seccato, domandandomi se ho a che fare con un assassino o con un bambino in gita scolastica. Anche se, probabilmente, si tratta più della seconda opzione.
Senza il probabilmente.


– Questa è casa tua?!
– I souvenir sono sulla destra e i dépliant sulla sinistra, speriamo che il tour sia stato gradito. Grazie per aver scelto la Ghoul Experience.
– Non sei simpatico.
Louis deposita il suo borsone in mezzo alla cucina, appoggiando le mani sui fianchi con un'espressione di puro disappunto dipinta sul viso. Forse non gli piace il nuovo deodorante che ho scelto giusto l'altro ieri, dovrò informarmi anche sulle sue preferenze se voglio mirare ad una convivenza pacifica.
Muschio bianco o brezza marina?
– Cosa c'è che non va? – borbotto chiudendomi la porta alle spalle, girando la chiave e fermando il chiavistello. Non si sa mai che qualcuno rintracci il mio indirizzo, credo che sarei spacciato.
Il moccioso si guarda attorno schifato, sfiorando con le mani eccessivamente bianche le due pistole sulle mensole: – Cosa ne pensano i tuoi parenti dell'arredamento?
Alzo le spalle, accendendo il fornello per scaldare la caffettiera: – Non ricevo visite dai parenti. Caffè, Boogey?
Louis scuote appena la testa, guardando distrattamente l'orologio mentre con gli occhi passa in rassegna tutte le pareti: – Sono le due di notte...dopo non dormo.
– Oh, poverino. – mi cambio in velocità (questi sono i comfort di vivere in un monolocale) per poi tornare sul ragazzino, ancora assorto in chissà quale oscura presenza. I miei dubbi sulla sua feroce sete di omicidio cominciano a scendere fin troppo velocemente, devo ammetterlo.
– Dove dormirò io? – mi chiede poi con un filo di voce, però in effetti questo è un bel problema. Non ci avevo mica pensato.
Mi guardo intorno sperando di trovare qualcosa che, giustamente, in cinque anni non avrei mai visto per poter dare a questo moccioso un posto in cui appoggiare le chiappe per la notte. Il vaso di fiori? Il tavolo? La cuccia del cane che avevo un anno fa?
Beh, non sono cattive idee, ecco. Forse un po' scomode, ma funzionali. E questo è importante.
– Ti va un materassino? – propongo cercando di farla sembrare un'idea allettante con un sorrisino da chi promuove prodotti inutili alla tv. Numero verde in sovrimpressione, chiamate subito!
– Mi prendi in giro? – è la sua domanda retorica accompagnata da un'occhiataccia. – Senti, avrò sedici anni e va bene quello che vuoi, ma sono un assassino esattamente come te. Anche io ho la mia dignità, sai?
La vedo molto dura.
– Ah sì? – chiedo allora, scrollando le spalle per alleggerire la tensione. – Mi dispiace ma non ho letti in più e come vedi non ho un divano ma una squallida poltrona, quindi o ti accontenti di quella o vieni a dormire con me, fai tu.
– Hai un letto a due piazze?
Eh? No, dai, non può avermi preso sul serio. Io non dormo con i ragazzini più piccoli di cinque anni, non sembrerei altro che un pedofilo. Sono un mercenario, accidenti, cosa ci faccio un questa situazione? Non mi sono di certo iscritto ad un servizio gratuito di baby-sitting, non vedo perché il moccioso ed io dobbiamo addirittura condividere lo stesso letto adesso. E' una cosa decisamente malsana.
– Sì, ma...
– Perfetto! – esclama con un sorrisone convinto, trascinandosi dietro la sua borsa gigante nello scanso che porta a quella che teoricamente dovrebbe essere una camera da letto.
Io questo qui lo faccio fuori prima di domani mattina.
– Ehi! – sbotto, trovandolo beatamente seduto sul letto. Sulla mia parte, tra l'altro! Questo è un affronto bello e buono, non ha di certo iniziato col piede giusto questo ragazzino. – Senti, Boogey, non so se ti sia chiaro che...
– Mi faccio piccolo piccolo. – mormora con un sorrisetto da bambino che implora per delle caramelle, congiungendo le mani in preghiera. – E poi è solo per la notte, non ti accorgerai nemmeno di me. Non sono mai stato un disturbo per nessuno, te lo giuro.
Su questo ho una serie di forti dubbi che credo sarà difficile chiarire, ma non posso fare altro che annuire e demolire il mio orgoglio come se Miley Cyrus fosse appena salita su una palla da demolizione pronta a far fuori ogni parete di dignità ancora rimasta. E lentamente nella mia mente parte anche il ritornello di Wrecking Ball, forse mi metterei a canticchiarla se fossi a casa da solo. Sfortuna vuole, però, che non sia affatto così. Insomma, cosa dovrei fare con un moccioso che dorme nel mio stesso letto adesso? Mi sono sempre rifiutato di dormire perfino con mia mamma quando avevo quattro anni e ora mi ritrovo in una situazione del genere, mi chiedo solo che diamine dovrei fare. Per non parlare del fatto che sto pregando anche gli dei di cui non conosco l'esistenza perché gli altri non lo vengano a scoprire. A quel punto potrei tranquillamente piazzarmi una bella pallottola in bocca.
– Domani mattina devo fare un salto in armeria. – borbotto stendendomi accanto a lui dopo aver spento la luce. – Tu vedi di non fare casini mentre sei qui.
– Perché non mi chiami una balia? – replica lui con un sorrisetto infastidito, guardandomi male. – E comunque anche io devo andare in giro domani mattina. Non preoccuparti, Markus mi ha già dato una copia delle chiavi di questo appartamento.
– Cosa?!
Non sapevo di essere sotto stretto controllo del mio superiore, ma vedo che la mia reazione riesce comunque a divertire il moccioso che, dopo essersi sistemato i capelli chiari con la mano, se ne esce con un colpetto di tosse: – Tranquillo, non faccio party scatenati mentre il paparino non è in casa.
Roteo gli occhi verso di lui, sbuffando: – Ha-ha, che simpatico.
– Buonanotte, Ghoul.
Ah bene, pure la buonanotte adesso? Vuole un biberon di latte caldo magari? O una bella favola della dolce dolce notte?
Spero che si renda conto che questa è una convivenza forzata e che io non sono il suo tutore o migliore amico, peggio ancora, semplicemente questa è una situazione che spero di sbrigare al più presto possibile se voglio continuare a fare i cazzi miei fino a mattina e dormire poi di giorno quando ho i miei giorni liberi, finché questo parassita girerà per casa non credo che potrò fare proprio come mi pare e piace.
– Buonanotte, Boogey.
Ah, ma chi me lo fa fare?


Spero che tutto questo sia uno scherzo. Un enorme scherzo. Un gigantesco scherzo. Un colossale scherzo.
Sbatto più volte le palpebre, magari sono addormentato, ma non succede niente. Rimane tutto com'è. Dai, per favore, qualcuno mi dica che sono su Candid Camera o qualcosa del genere. Non posso sopportare una cosa del genere, è estremamente fastidiosa ed imbarazzante. Soprattutto imbarazzante.
Se quel pidocchio pensa che lasciarmi una brioche e il cappuccino sul tavolo sia un buon modo per iniziare allora ha decisamente sbagliato strada. Pensa forse di comprarmi? Non sono di certo quel genere di persona che...ehi, aspetta, ma è alla crema. E il cappuccino è incredibilmente buono.
Il punto è che, considerando che sono appena le nove, quando accidenti avrebbe avuto il tempo di uscire, fare i suoi giri, rientrare per portarmi la colazione e uscire di nuovo? A conti fatti è un ragazzino di sedici anni che si spaccia per un famigerato assassino quando credo non sappia cosa sia un revolver, non sapevo nemmeno avesse risparmi con sé. E men che meno che facesse anche servizio cameriere non richiesto, tra l'altro. Accanto a questo cabaret comunque c'è un biglietto col suo numero di cellulare e l'annessa scritta 'in caso io dovessi combinare casini'. Beh, per lo meno ha capito al volo le regole, questo è senza dubbio un punto a suo vantaggio.
Bando alle ciance credo che un ringraziamento gli spetti di diritto, ma fino ad allora ho comunque un lavoro da mantenere perciò dopo essermi reso almeno un po' decente mi dirigo verso l'armeria. Non amo andare lì considerando che è gestita da un mio collega, diciamo, che è peggio di una di quelle vecchiette che trovano un'amica al mercato. E' sempre pronto a scambiare quel genere di due chiacchiere di cui tu faresti volentieri a meno dato che si tratta di voci di corridoio e basta, e tra l'altro se muovi un passo falso in sua presenza sai in partenza che nemmeno in ventiquattr'ore Markus lo verrà a sapere. Per questa ragione lui viene chiamato Kraken, ovvero il mostro marino che non lascia mai scampo con i suoi tentacoli. E, ripeto, se potessi evitarlo sarei ben contento di farlo.
Il campanellino appeso sopra alla porta dell'armeria suona non appena entro come se fossi in una farmacia o simili, mentre un'ondata del tipico odore di ferro mi travolge. Bene, non posso fare a meno di dire di trovarmi nel mio habitat naturale almeno. Mi levo gli occhiali da sole portandoli in testa prima di salutare il collega di Kraken che sta attualmente caricando delle vecchie pistole, per quanto sia maggio c'è fin troppo sole. Lancio un'occhiata in giro e noto con disappunto che hanno spostato il reparto delle munizioni per le pistole, ma prima che possa trovare qualcuno con cui lamentarmi davanti a me spunta un Kraken tutto sorridente e pieno di energie: – Ghoul!
– Ehi. – ricambio con qualcosa come un decimo della sua enfasi. – Come va?
Provo a fare un po' di conversazione solo per non passare per uno stronzo apatico, non perché sia realmente interessato. So che questa è la prova del fatto che io sia realmente uno stronzo apatico, ma del resto meno sanno di me questi tizi e meglio è per tutti quanti.
– Ah, sai, non va molto bene. – è la sua risposta da depresso che cerca un po' di compassione, il che mi porta a dover fingermi ancora più interessato. Che palle. Cosa mi importa a me del suo benessere o meno? Non sono mica il suo psicologo.
– Oh, mi dispiace. Come mai?
Datemi un Oscar per la recitazione.
Kraken sbuffa, appoggiando i gomiti al bancone: – La mia ragazza ha detto che se non comincio a ricordarmi tutte le date dei compleanni della sua insulsissima famiglia allora lei mi pianta. Puoi ben capire, cosa ci posso fare io se la sua prozia compie gli anni il ventidue gennaio? Cosa me ne faccio io di quella data? Al massimo le compro una bottiglia di grappa alla liquirizia e tutti contenti, no?
– Giustissimo. – spero che il mio tono da persona decisamente seccata non emerga più del dovuto. – Prova a parlare con la tua ragazza e dille che al massimo ti ricorderai la data dei suoi genitori ed eventuali fratelli. Trova un compromesso, dico io. A volte è la strada più semplice.
– Potrebbe essere una buona idea. – Kraken mi sorride come se gli avessi appena permesso di raggiungere il Nirvana. Devo ammettere che ha proprio la faccia da idiota. – Grazie, amico.
Non sono suo amico, sia ben chiaro. Sono un cliente ed eccezionalmente un collega. Non spingiamoci oltre, per favore.
– Figurati. – cinguetto come un imbecille, sorridendogli alla bell'e meglio. – Piuttosto sarei venuto qui per delle munizioni, se non ti dispiace.
– Oh, certo, scusami. – Kraken per fortuna si ricompone per sembrare almeno un po' professionale, assumendo un'espressione da esperto nel suo campo. – Per quale arma, allora?
– Una Desert Eagle. Dammi pure due blocchi, grazie.
– Desert Eagle, eh? – il mio collega si sfrega il viso con una mano, dirigendosi chissà dove facendomi segno di seguirlo. Perché, dico io, dovevano spostare il reparto munizioni? L'hanno tenuto dov'era per sette anni, non guastava di certo un mese in più. Avevano qualche strana esigenza, forse? Extreme makeover home edition, immagino.
– Queste vanno?
Esamino i proiettili per qualche secondo, concludendo con un sorriso: – Sono loro.
– Perfetto, il prezzo lo sai già. Piuttosto, ho sentito che c'è un nuovo arrivo da noi.
– Ah sì? – tiro fuori i soldi per poi appoggiarli sul bancone, guardando confuso il ragazzo davanti a me. – Sono passato ieri mattina da Markus ma non mi ha detto niente.
Kraken fa di spallucce: – Mah, dicono che sia un ragazzino...aspetta, com'era? Boogeyman, forse.
Ah, merda.
In effetti potevo arrivarci, però. Che cretino.
– Mai sentito. – me ne esco con un sorrisetto, recuperando in fretta il resto. Meno cose sa e meglio è.
– Dicono anche che stia da te. Sicuro di non conoscerlo?
Ecco, porca merda.
Cos'ho fatto io per finire in mezzo a questo circolo vizioso? Perché proprio a me, poi? Ci sono alcuni di noi che vivono in regge dove non si vede nemmeno la fine del giardino, mi chiedo perché diavolo proprio io debba badare al moccioso.
Così sbuffo, alzando le spalle: – Non voglio che si sappia in giro più del dovuto.
– Il tuo segreto è al sicuro con me! – Kraken batte fin troppo amichevolmente la mano sulla mia spalla, sorridendomi. Come se ci credessi, poi.
– Troppo buono. – borbotto alla fine, dileguandomi scuotendo la mano come facevo quando ero bambino e salutavo mia mamma dal pulmino scolastico. Per carità, meglio andare via da questo covo di matti prima che io cominci ad interessarmi a ciò che è successo nella casa del Grande Fratello nella puntata di ieri sera. Preferirei astenermi dal diventare quel genere di persona che già odio.

Sbatto la porta di casa dietro di me, appoggiando la schiena contro di essa. Sono troppo vecchio per le scale di questo palazzo, devono assolutamente mettere un ascensore se non vogliono trovarsi un cadavere sulle scale prima o poi. Lancio le munizioni sul tavolo, ma appena alzo gli occhi mi ritrovo davanti Boogey in tutta tranquillità che sorseggia beatamente una tazza di caffè con addosso un misero paio di boxer. Mi prende in giro?
– Che accidenti fai? – sbotto, lanciandogli addosso la mia felpa. – Per l'amor di Dio, mettitela.
– Non hai mai visto un uomo in mutande? Dico, insomma, ti guardi mai allo specchio?
Che fa, protesta adesso? Osa ribattere contro il sottoscritto? Questo moccioso deve imparare meglio a scegliersi i suoi nemici, poco ma sicuro.
– Senti, – inizio, avvicinandomi a lui fino a metterlo spalle al muro, guardandolo dritto negli occhi. – Sei qui da nemmeno ventiquattr'ore e già giri per casa mezzo nudo, quindi vedi di darti un contegno che qui non siamo con i tuoi genitori. Queste sono le regole e tu le rispetti.
In realtà credo sia perché non voglio che si prenda un raffreddore o simili, ma il suo sguardo si inasprisce velocemente mentre si mette la felpa con un movimento incurante: – Se vuoi che faccia il bravo bambino vedi di non nominare la mia famiglia, allora. – E' la sua risposta decisamente astiosa, mentre si dilegua senza aggiungere altro per poi chiudersi in bagno.
Gesù santo, non ho di certo richiesto un ragazzino lunatico io. Cosa ne posso sapere io dei suoi nervi scoperti se non lo conosco nemmeno da un giorno? Non ho di certo detto niente con l'intenzione di infastidirlo, quello che era giusto dire allora l'ho espresso, punto e basta. Non vedo il bisogno di scomodare il melodramma considerando che ci tiene ad essere visto come un assassino. Gli assassini non piagnucolano, accidenti, da dove accidenti sbuca fuori questo qui? Forse dovrei chiedergli scusa e fare il fratellone comprensivo, ma magari sarebbe meglio rimandare tutto ciò a quando gli sarà passato l'attacco di isteria. Mica l'ho fatto apposta, comunque. La mia coscienza è pulita, ci tengo a precisarlo...insomma, più o meno. Pseudo-pulita.
Nel caso non si sia notato, qui stiamo delirando.
Nemmeno ventiquattr'ore e già ho i sensi di colpa, incredibile. Questo è un record. Tanti applausi a mister Louis per essere il detentore di questo prezioso record.
E' inutile che mi sbatta tanto, comunque, il danno è fatto e non mi resta che aspettare. Intanto mi dirigo verso il mio armadio per cambiarmi, ma prima che possa raggiungerlo qualcosa cattura la mia attenzione. Sul letto disfatto, infatti, giace un pugnale che non credo di potermi permettere neanche dopo aver incassato i soldi di cento omicidi. Mio non è di certo perciò a rigor di logica dev'essere del moccioso, anche se mi chiedo dove diavolo abbia potuto reperire un'arma dall'elsa d'argento con degli inserti dorati. Soprattutto non lo facevo tipo da combattimento corpo a corpo considerando come si è appena fatto mettere spalle al muro da me, speravo fosse più tipo da pistole a lunga gittata...sempre che sia ciò che dice di essere, chiaramente. E ho dei dubbi a riguardo.

Finalmente la porta del bagno si apre dopo tre quarti d'ora, facendo uscire un ragazzino finalmente con qualcosa addosso e con uno sguardo quasi lugubre. Sensi di colpa che crescono, evviva!
Devo farmi coraggio e ammettere che forse ho alzato troppo la voce considerando che si tratta di un moccioso di sedici anni e che in effetti come lui non sa niente di me allo stesso modo nemmeno io so qualcosa di lui, perciò mi alzo dalla poltrona e appoggio il computer per terra, prendendo poi le chiavi della macchina.
– Mettiti le scarpe. – gli ordino, infilandomi velocemente le mie.
Lui mi guarda male, sbuffando: – E perché?
– E' mezzogiorno e ho fame. Andiamo a mangiare da qualche parte.
Boogey mi fissa stranito, mettendosi velocemente le scarpe: – Aspetta che prenda i soldi almeno, se...
– Non preoccuparti. – lo interrompo, aprendo la porta di casa per evitare che veda la mia espressione. – Offro io. Muoviti.
Dio, che imbarazzo. Non mi ricordo più come si gestiscono le situazioni in cui commetto uno sbaglio e devo rimediare, ma non credo nemmeno che la colpa sia mia al cento per cento. Devo ancora capire perché il pidocchio sia in possesso di un pugnale come quello che ho visto sul letto, perciò immagino che avremo un bel po' di cose di cui parlare e fare ciò con un bel panino da fast food davanti è senza dubbio molto efficace.
– Sei sicuro? – mi chiede una volta essere salito in macchina, tenendo però lo sguardo fisso davanti a sé. Beh, per lo meno non sono l'unico ad essere in un mare di imbarazzo. Questo è un altro punto a suo vantaggio.
– Ma sì. – sbuffo, mettendo in moto in velocità. – E' il mio ringraziamento per la colazione di stamattina.
E anche un modo per chiedergli scusa, ma questo deve capirlo lui. Io non glielo dico di certo.
Il ragazzino mormora qualcosa di incomprensibile, nascondendo poi il viso nel colletto della giacca. Mi viene da ridere, lo ammetto, ma cerco di trattenermi per non creargli una situazione di potenziale arrossamento delle guance. Odio quando succede a me perciò, se posso, lo evito anche agli altri.
– Piuttosto... – ricomincio, accendendo la radio per avere un minimo di sottofondo. – Quando devi uccidere, lo fai col pugnale che c'era poco fa sul letto?
Louis sussulta un momento, girando il viso verso di me, preoccupato: – Diciamo di sì.
– E...dove l'hai preso? Insomma, è molto bello.
Tentenna qualche secondo, concludendo poi con un sorriso: – Sai cos'è l'effetto farfalla? O la teoria del caos?
Eccolo là, ora parte anche a fare il filosofo! Basta, qui non ci siamo proprio. O stabiliamo delle regole ben precise o questa convivenza finirà presto con un omicidio, giusto per restare in tema.
– Sentiti nominare. – me ne esco, lanciandogli uno sguardo veloce. – Quella teoria che dice che da un evento se ne genera un altro, o roba simile, vero?
– Un battito d'ali di una farfalla in una parte del mondo può generare un uragano dall'altra parte del mondo. – recita teatralmente, portando gli occhi verso l'alto per ricordarsi le parole. – Questo dice. E diciamo che quel pugnale è stato il mio battito d'ali.
La mette sul poetico, adesso. Come paragone ammetto che rende, è ovvio che non vuole parlarmene apertamente ma perlomeno al momento so che è grazie a quel pugnale se ora lui fa l'assassino, o comunque una storia simile. A dirla tutta non so cosa si nasconda dietro quegli occhi azzurri, ma immagino che dovrò aspettare ancora un po' per scoprirlo. Del resto lui non s'impiccia nei miei affari e forse dovrei fare lo stesso, ma qualcosa mi spinge a volerlo conoscere meglio. Non so di cosa si tratti sapendo che in fondo è solo un ragazzino di sedici anni che dovrò sopportare solo per un paio di mesi, ma spero di scoprirlo presto. Un assassino non è tagliato per i sentimenti.



ANGOLO AUTRICE
A dirla tutta non so cos'ho fatto.
Questa è una storia scritta e conclusa già un anno fa, ma improvvisamente mi è venuta voglia di publicarla e quindi... Be', eccoci qui.
Spero vi piaccia almeno la metà di quanto piace a me, è una storia di quattro capitoli scritta tempo fa tanto per distrarmi da un blocco dello scrittore in un'altra long e devo dire che è servita.
Vi lascio con uno spoiler dal capitolo 2:


– Ehi... – cerco di farmi sentire senza sembrare mezzo morto e farlo preoccupare ancora di più, ma non appena i suoi occhi si spalancano capisco di aver ottenuto l'effetto contrario.
Merda.
– Sei vivo! – esclama, prendendo velocemente le distanze da me per lasciarmi respirare. Ora che lo vedo chiaramente posso confermare che i suoi occhi siano lucidi, e noto che la sua maglietta è completamente insanguinata.

A presto!

Ale xx




  
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