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Autore: bloodred_rose    08/06/2009    3 recensioni
Cosa sarebbe successo se Raoul avesse aspettato, non dico tanto, ma almeno una decina di minuti prima di svegliarsi la mattina dopo il ballo in maschera? Sarebbe arrivato più tardi al cimitero e avrebbe lasciato il tempo a due personaggi che conosciamo bene di chiarirsi. O almeno di provare a chiarirsi. Perché tutto nella vita è solo una questione di tempo...//Ok, non ho ancora idea di come continuerà questa cosa, ma posso assicurarvi che continuerà (ho parecchie idee a proposito) e temo di essere costretta a dirvi che quasi certamente mancherà un vero e proprio lieto fine... Io vi ho avvisati... Ricordatevi che una recensione (anche negativa) non ha mai fatto male a nessuno^^.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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COULD WE START AGAIN, PLEASE?

JUST A MATTER OF TIME

COULD WE START AGAIN, PLEASE?

 

Je veux vivre cantava Giulietta nell’opera di Gounod. “Je veux vivre” cantava, con gli occhi di tutti puntati addosso, con il pubblico ai suoi piedi. Niente le dava più soddisfazione che sentirsi la regina incontrastata del teatro, che cantare e lasciare che la sua voce salisse fino a toccare gli angeli. La musica era sempre stata tutta la sua vita, fin da quando era bambina e ancora di più negli ultimi due anni, da quando l’Opera di Parigi era stata distrutta in quel maledetto incendio. Da allora per lei niente era più stato lo stesso. Forse la sua vita era cambiata in meglio, forse in peggio, ancora non lo sapeva con certezza. Però sapeva una cosa: era soddisfatta di quel che era diventata in quei due anni. Prima Donna alla Royal Opera House di Londra, Christine Daaé aveva raggiunto ancora una volta la vetta della sua carriera, senza misteriose presenze a spianarle la strada e a minacciare i direttori e senza ricchi corteggiatori pronti a sposarla. Una vita senza Erik e senza Raoul. Le mancavano entrambi come l’aria, ma era il prezzo che aveva dovuto pagare per la sua ingenuità. Aveva rotto il suo fidanzamento con Raoul una settimana dopo il rogo dell’Opera Populaire, dopo essere scappata dalla sua villa per tornare a Parigi. Aveva cercato madame Giry e le aveva confessato tutto, sperando quasi che la donna l’accusasse di essere una stupida. E invece l’aveva accolta a braccia aperte, come avrebbe fatto una madre. Ricordava vagamente di averle domandato se avesse avuto notizie di Erik, di essere scoppiata in lacrime alla sua risposta negativa, di averle chiesto di accompagnarla nei sotterranei per cercarlo e di aver ricevuto nuovamente un “no”, questa volta più deciso. Aveva passato un paio di mesi assieme a lei, ritrovando una sorta di tranquillità, interrotta solo dalle discussioni con Raoul, fermamente deciso a non lasciarla andare, né a rompere il fidanzamento. Christine aveva provato a spiegargli perché non poteva sposarlo, aveva cercato di fargli capire che la sua vita era, ed era sempre stata, in un teatro e che restando con lui avrebbe dovuto rinunciare alla musica, ma il visconte si era rifiutato di starla a sentire. Erano passati quasi due anni dal litigio che li aveva definitivamente divisi e in quasi due anni non si erano più visti, né avevano più avuto l’uno notizie dell’altra. Lei poteva solo sperare che, con tutto quello che era successo a Parigi in quegli anni, Raoul stesse bene e che magari avesse trovato una donna capace di dargli quello che lei non aveva potuto. Lo scroscio di applausi dalla platea la risvegliò dai suoi pensieri. Persa com’era nelle sue riflessioni non si era nemmeno resa conto che la sua aria era terminata, ma non era la prima volta che le capitava: da quando era arrivata a Londra aveva imparato a distaccarsi mentre cantava, una cosa che avrebbe fatto infuriare Erik, se solo fosse stato lì per vederla. Il risultato che otteneva era molto simile a quello della Carlotta dei tempi d’oro: una voce stupenda e nessuna emozione. Si inchinò, mentre dai palchi e dalle file più vicine piovevano fiori lanciati dagli ammiratori. Attese con il sorriso sulle labbra che il sipario si chiudesse, poi si diresse verso il suo camerino per cambiarsi e prepararsi alla lunga serata che, ne era certa, la aspettava.

 

 
La malinconia nei suoi occhi grigi al sentire nuovamente il suono di quella voce, la voce del suo Angelo… fu come risvegliarsi da un incubo durato due anni. Sul palco, nel ruolo di Giulietta, Christine Daaé cantava come non l’aveva mai sentita fare prima. E dire che lui era stato il suo maestro per tanti anni… Sembravano essere passati secoli dall’ultima volta in cui l’aveva vista, la terribile notte della sua disfatta, la notte in cui lei se n’era andata, la notte in cui lui l’aveva lasciata andare con il suo fidanzato. La sua doveva essere una maledizione: scappare da lei e dal suo ricordo solo per ritrovarla di nuovo nell’ultimo luogo in cui si sarebbe aspettato di vederla. Quello che non riusciva a spiegarsi era come, dopo averla lasciata a Raoul de Chagny, fosse riuscito a trovarla sul palco di uno dei maggiori teatri di Londra. L’unica spiegazione che gli sembrava plausibile era che, alla fine, Christine avesse capito che non valeva la pena sacrificare la sua musica per sposare un visconte. E a quel punto gli sorgeva spontanea una domanda: perché? Perché, se poteva evitarlo, aveva lasciato che lo scandalo dell’Opera Populaire avvenisse? Perché, se sapeva di non amare nessuno dei due, aveva lasciato che cercassero di uccidersi a vicenda, ingannando entrambi? Ma soprattutto, perché continuava a tormentarlo? In quei due anni aveva fatto tutto il possibile per dimenticarla e per lasciarsi alle spalle il suo passato: era fuggito dalla Francia, accogliendo al volo la proposta del daroga di rifugiarsi in Inghilterra, ed era arrivato fino in Scozia, dove il Persiano aveva uno dei suoi tanti agganci. Si era rifatto una vita, una vita che scorreva quasi irrealmente tra i vari lavori che lo tenevano occupato. Continuava a comporre, anche volendo non avrebbe potuto smettere, non ne era capace, e aveva rispolverato la sua vecchia passione per l’architettura, che aveva sepolto dopo le ore rosa di Mazenderan. Sembrava che tutti i suoi problemi fossero scomparsi, assorbiti dalle terre verdi delle Highlands. O almeno, così aveva creduto fino a quando i suoi vari affari e l’insistenza di Nadir non lo avevano portato a Londra… e alla Royal Opera House. Aveva il fortissimo sospetto che il maledetto daroga avesse organizzato tutto di proposito. Gli aveva chiesto innocentemente di incontrarlo quella sera all’Opera per discutere di alcune faccende, qualcosa riguardo una villa o un palazzo, non lo sapeva, Nadir era stato molto vago. La verità era che gli aveva lanciato un'esca… e lui aveva abboccato come un idiota. E ora pativa le pene dell’Inferno in anticipo, mentre il suo lato peggiore gli sussurrava all’orecchio i metodi migliori per liberarsi di quel dannatissimo Persiano una volta per tutte. Si alzò di scatto, ignorando lo sguardo interrogativo del daroga, uscì dal palco e si lanciò verso la prima finestra che trovò nel corridoio appena illuminato. Inspirò a fondo e l’aria fredda dell’autunno londinese gli rischiarò la mente. Doveva parlare con Christine. Non le avrebbe permesso di entrare nuovamente nella sua vita senza sapere come e perché. Doveva parlarle… perché, sebbene avesse passato quegli ultimi due anni a cercare di dimenticarla, non era mai davvero riuscito a smettere di amarla.

 

 
L’aria nel foyer cominciava a farsi pesante e a Christine girava la testa. Si sentiva osservata e non le piaceva per niente. Era nel bel mezzo della festa che seguiva sempre le prime, circondata da colleghi e ammiratori e immersa in una piacevole conversazione con Sonja, la Prima Ballerina. Eppure continuava a provare quella sensazione di disagio, come se una presenza incorporea tenesse il suo sguardo di fuoco puntato sulla sua schiena. Si era voltata cercando di scovare tra i presenti chi la stesse osservando con tanta intensità, ma aveva colto solo qualche occhiata sfuggevole, niente fuori dal normale. Un pensiero improvviso le attraversò la mente e la fece rabbrividire. Era come essere inseguita dagli occhi di un fantasma… Sospirò. Aveva pensato molto a Erik in quei due anni, ma non l’aveva mai ricordato come il Fantasma dell’Opera. Per lei era sempre stato il suo Angelo, o il suo maestro. O il suo amante, anche se solo nei suoi sogni. Scosse la testa e, salutando Sonja e pochi altri, si diresse verso l’uscita, alla ricerca di aria fresca e di uno spazio fisico dove lasciar correre i suoi pensieri. Infilò un ampio corridoio, lasciato in penombra e completamente deserto, dove le voci del foyer arrivavano soffocate creando un’atmosfera quasi piacevole. Camminava lentamente e di tanto in tanto sospirava, cercando di rilassarsi. Poi, di punto in bianco, si fermò. Qualcuno la stava osservando. Non era più solo una sensazione, era una certezza. Si voltò di scatto e il suo cuore smise per un attimo di battere. Mai, nemmeno se avesse potuto vivere mille anni, sarebbe stata in grado di dimenticare i suoi occhi. Riconobbe quelli ancor prima che la mezza maschera bianca, ancor prima che i lineamenti del suo viso. Erik. Era vivo, era tornato. Lacrime calde iniziarono a scorrerle lungo le guance mentre lui si avvicinava lentamente. La squadrò per un minuto buono, poi piegò le labbra in un sorriso amaro.
«Esibizione mediocre, madame.» mormorò, accennando un inchino ironico col capo «Una volta cantavate con l’anima.» E il suo tono, a metà tra il rimprovero e lo scherno, infiammò il sangue di Christine. Non era abituata ad arrabbiarsi, non lo era mai stata. Da bambina aveva sempre fatto tutto quello che le veniva chiesto e crescendo aveva proseguito per la stessa strada, fino a perdere completamente il controllo sulla sua vita. L’impotenza era stata sua compagna costante in quegli anni, ma non era mai arrivata alla vera rabbia, la rabbia che invece stava provando in quel momento.
«Una volta avevo un’anima con cui cantare.» ribatté con voce ferma nonostante quelle lacrime che non poteva evitare. Faticava a credere che fosse davvero lì, di fronte a lei, nella semi oscurità di quel corridoio. In quei due anni si era talmente convinta della sua morte che rivederlo non le sembrava reale e anzi, aveva quasi paura di svegliarsi all’improvviso nel suo appartamento e scoprire che era stato tutto un sogno. E forse, in fondo, sarebbe stato meglio così.
«E ora dov’è quell’anima, Christine?» la sua voce fredda le penetrò fin nell’anima. Si avvicinò, costringendola ad alzare il volto per continuare a fissarlo negli occhi, ora gelidi. Nuove lacrime cominciarono a formarlesi agli angoli degli occhi mentre il respiro iniziava a farsi più affannato.
«Va’ all’Inferno, Erik!» sibilò con il poco fiato che la gola stretta dal pianto le lasciava. Un sorriso storto piegò le labbra di lui.
«Già fatto, mon ange. Ho vissuto all’Inferno per tutta una vita.» Si avvicinò ancora, costringendola ad arretrare finché si trovò con le spalle al muro. Poi, chinandosi su di lei, con gli occhi illuminati dal fuoco dell’ira, sussurrò: «Un Inferno in cui tu non hai mai smesso di torturarmi.» Lei continuò a fissarlo, i lineamenti contratti dalla rabbia, mentre le lacrime non sembravano voler smettere di scorrere.
«E credi che per me sia stato tanto diverso?» gridò «Credi che io abbia vissuto il lieto fine di una favola? Tu non hai la più pallida idea di quello che ho passato in questi due anni! Mi sono dovuta rifare una vita tormentata dagli incubi del passato, tormentata dal peso della tua morte sulla mia coscienza!» Erik indietreggiò, sbalordito, e per un attimo gli sembrò che il tempo fosse tornato a due anni prima. Gli sembrò di sentire ancora sulla pelle la forza di quello schiaffo che aveva ricevuto nei sotterranei del suo teatro. Solo che questa volta lei non l’aveva toccato. A corto di parole, si limitò a fissarla, senza riuscire a riconoscere nella donna che aveva davanti la ragazza ingenua e spaventata dell’Opera Populaire, mentre la domanda che non riusciva a farle aleggiava nell’aria. A quel suo improvviso mutismo Christine sembrò calmarsi.
«In due anni non ho più avuto notizie.» riprese, la sua voce poco più che un sussurro «Mai una lettera, mai un messaggio. Non sapevo dov’eri, non sapevo se eri ancora vivo…» si avvicinò e gli sfiorò il viso con mano tremante, la sua rabbia svanita nel nulla, nonostante tutto. Erik serrò gli occhi e trattenne il respiro, combattuto tra il cedere e il resistere.
«Perché non mi hai mai fatto sapere nulla?» Spalancò immediatamente gli occhi e fece un altro passo indietro, come se avesse paura di restare così vicino a lei anche solo un secondo di più.
«Perché avrei dovuto?» chiese a sua volta, la voce bassa per mascherare l’emozione che l’alterava. Si rifiutava di credere che lei potesse aver sentito la sua mancanza, o che potesse provare qualcosa nei suoi confronti, come la luce nei suoi occhi scuri sembrava sostenere. Si era già fidato di lei una volta e ricordava fin troppo bene com’era andata a finire. E soprattutto ricordava bene il perché.
«Lui dov’è?» domandò dopo un attimo di esitazione, con la voce sempre più bassa. Non aveva bisogno di pronunciare nessun nome, Christine sapeva benissimo a chi si stava riferendo.
«Come?» sussurrò lei, stupita, anche se in fondo si aspettava quella domanda.
«Dov’è, Christine?» chiese di nuovo con una vena di minaccia nel suo tono impaziente.
«Non lo so.» rispose senza mai distogliere lo sguardo dal suo. Cercava di mostrarsi il più sincero possibile, ma sapeva che lui non le avrebbe mai creduto, sebbene stesse dicendo la verità. Come aveva immaginato lo vide avvicinarsi, gli occhi grigi resi tempestosi dalla luce del sospetto e da quella, nascosta più in profondità, della gelosia.
«Non mentirmi, Christine…» la voce gli uscì come un basso ruggito, un avvertimento di come il fantasma che era stato non fosse mai realmente morto, ma solo assopito.
«Non credermi se vuoi, ma non sto mentendo.» ribatté la donna in un tono molto simile «Non so niente di lui: che sia ancora a Parigi o che sia all’Inferno non fa differenza, Raoul de Chagny non è più affar mio da tempo.» E lo disse con tale freddezza che per un momento, un momento soltanto, Erik le credette. L’istante successivo la domanda di lei lo sprofondò di nuovo nell’abisso del sospetto.
«Perché ti importa?»
«Sai benissimo perché.» rispose gelido. Si era reso conto, durante quell’incontro, che non poteva impedirsi di essere geloso, non era in grado di farlo… forse per il semplice fatto che non era mai stato in grado di smettere di amarla. Nonostante tutti i suoi tentativi, nonostante quei due anni passati lontani da Parigi e dai ricordi che la città risvegliava, nonostante tutta la rabbia e il rancore… semplicemente non poteva fare a meno di lei. Tornò ad avvicinarsi, intrappolandola contro il muro per non lasciarla andar via senza avergli prima dato la risposta che aspettava.
«Dimmi dov’è…» non era più una domanda, ma un ordine.
«Non lo so.» rispose di nuovo, sempre con la sua sicurezza acquisita, ma con un tono più cauto, turbata da quell’improvvisa vicinanza. Esattamente come due anni prima si ritrovò con la gola stretta dalle sue dita, l’avvertimento che il poco autocontrollo del suo Angelo era andato perso.
«Allora» sussurrò lui, la voce pericolosamente calma «comincia con il dirmi perché dovrei crederti.» Christine si limitò a fissarlo negli occhi per un interminabile attimo, poi, con un filo di voce, rispose:
«Perché ti amo…» la mano si strinse ancora di più attorno alla sua gola, lasciandola senza fiato.
«Dimmi di nuovo, Christine,» la voce gli uscì come un sibilo mentre pronunciava quelle parole all’orecchio di lei «perché doveri crederti…» E di nuovo, nonostante la stretta, la donna rispose:
«Perché ti amo.» Senza una parola di più Erik allentò la presa e le diede le spalle prima che lei potesse leggergli negli occhi la confusione di emozioni che stava provando. Fece per andarsene, ma la sua voce irata lo fermò.
«Non osare lasciarmi così!» gridò nella vana speranza che lui si voltasse. «Se te ne vai adesso, Erik, giuro su Dio che non mi rivedrai mai più!» A quelle parole tornò a fissarla, una maschera di indifferenza accanto a quella nera che già indossava.
«Troppo tardi…» si limitò a dire, prima di sparire tra le ombre del corridoio.

xXx

NdA: Chiedo umilmente perdono per l'enorme ritardo, ma sappiate che non ho passato questi ultimi sei mesi a divertirmi! Purtroppo ho avuto un sacco di problemi con la scuola e quindi il capitolo è andato mooooooooooolto a rilento...spero solo che per lo meno sia leggibile. Anyway, da settimana prossima dovrei avere più tempo per cui spero di riuscire ad aggiornare prima...debiti permettendo. E adesso passiamo ai ringraziamenti^^

A uchiha_girl: Grazie mille per i complimenti, ma non esagerare, non sono mica così brava!^^ Comunque sono molto contenta che la soria per ora ti piaccia e spero che continui a piacerti.

A Elby: Oook, forse hai ragione, lo scorso capitolo poteva essere più calmo XD... Felicissima di sapere che la confessione di Christine non è stato un fiasco totale (è la parte che mi ha dato più problemi...) e che il daroga ha riscosso così tanto successo ^^ ... Nel prossimo capitolo lo vedremo all'opera nel suo ruolo di coscienza... e con questo ho detto tutto.

A Amy Foster: So che alcuni passaggi sembrano troppo rapidi, però purtroppo scrivendo non me ne accorgo e quindi non riesco a farci molto... cercherò di provvedere con i prossimi capitoli. Per il resto, mi fa piacere che i personaggi siano riusciti e per quanto riguarda Erik... bhè, dipende da cosa intendi con cattivo XD. 

Come sempre grazie anche a tutti quelli che leggono e non recensiscono. Per ora è tutto, a presto, spero.

Your obedient servant,

bloodred_rose 

 

  
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