JUST
A MATTER
OF TIME
COULD WE START AGAIN, PLEASE?
“Je veux vivre” cantava Giulietta nell’opera di Gounod. “Je veux vivre” cantava, con gli occhi di tutti puntati addosso, con il pubblico ai suoi piedi. Niente le dava più soddisfazione che sentirsi la regina incontrastata del teatro, che cantare e lasciare che la sua voce salisse fino a toccare gli angeli. La musica era sempre stata tutta la sua vita, fin da quando era bambina e ancora di più negli ultimi due anni, da quando l’Opera di Parigi era stata distrutta in quel maledetto incendio. Da allora per lei niente era più stato lo stesso. Forse la sua vita era cambiata in meglio, forse in peggio, ancora non lo sapeva con certezza. Però sapeva una cosa: era soddisfatta di quel che era diventata in quei due anni. Prima Donna alla Royal Opera House di Londra, Christine Daaé aveva raggiunto ancora una volta la vetta della sua carriera, senza misteriose presenze a spianarle la strada e a minacciare i direttori e senza ricchi corteggiatori pronti a sposarla. Una vita senza Erik e senza Raoul. Le mancavano entrambi come l’aria, ma era il prezzo che aveva dovuto pagare per la sua ingenuità. Aveva rotto il suo fidanzamento con Raoul una settimana dopo il rogo dell’Opera Populaire, dopo essere scappata dalla sua villa per tornare a Parigi. Aveva cercato madame Giry e le aveva confessato tutto, sperando quasi che la donna l’accusasse di essere una stupida. E invece l’aveva accolta a braccia aperte, come avrebbe fatto una madre. Ricordava vagamente di averle domandato se avesse avuto notizie di Erik, di essere scoppiata in lacrime alla sua risposta negativa, di averle chiesto di accompagnarla nei sotterranei per cercarlo e di aver ricevuto nuovamente un “no”, questa volta più deciso. Aveva passato un paio di mesi assieme a lei, ritrovando una sorta di tranquillità, interrotta solo dalle discussioni con Raoul, fermamente deciso a non lasciarla andare, né a rompere il fidanzamento. Christine aveva provato a spiegargli perché non poteva sposarlo, aveva cercato di fargli capire che la sua vita era, ed era sempre stata, in un teatro e che restando con lui avrebbe dovuto rinunciare alla musica, ma il visconte si era rifiutato di starla a sentire. Erano passati quasi due anni dal litigio che li aveva definitivamente divisi e in quasi due anni non si erano più visti, né avevano più avuto l’uno notizie dell’altra. Lei poteva solo sperare che, con tutto quello che era successo a Parigi in quegli anni, Raoul stesse bene e che magari avesse trovato una donna capace di dargli quello che lei non aveva potuto. Lo scroscio di applausi dalla platea la risvegliò dai suoi pensieri. Persa com’era nelle sue riflessioni non si era nemmeno resa conto che la sua aria era terminata, ma non era la prima volta che le capitava: da quando era arrivata a Londra aveva imparato a distaccarsi mentre cantava, una cosa che avrebbe fatto infuriare Erik, se solo fosse stato lì per vederla. Il risultato che otteneva era molto simile a quello della Carlotta dei tempi d’oro: una voce stupenda e nessuna emozione. Si inchinò, mentre dai palchi e dalle file più vicine piovevano fiori lanciati dagli ammiratori. Attese con il sorriso sulle labbra che il sipario si chiudesse, poi si diresse verso il suo camerino per cambiarsi e prepararsi alla lunga serata che, ne era certa, la aspettava.
La malinconia nei suoi occhi
grigi al sentire nuovamente il suono di quella voce, la voce del suo
Angelo… fu
come risvegliarsi da un incubo durato due anni. Sul palco, nel ruolo di
Giulietta, Christine Daaé cantava come non l’aveva
mai sentita fare prima. E
dire che lui era stato il suo maestro per tanti anni…
Sembravano essere passati
secoli dall’ultima volta in cui l’aveva vista, la
terribile notte della sua
disfatta, la notte in cui lei se n’era andata, la notte in
cui lui l’aveva lasciata
andare con il suo fidanzato. La sua doveva essere una maledizione:
scappare da
lei e dal suo ricordo solo per ritrovarla di nuovo
nell’ultimo luogo in cui si
sarebbe aspettato di vederla. Quello che non riusciva a spiegarsi era
come,
dopo averla lasciata a Raoul de Chagny, fosse riuscito a trovarla sul
palco di
uno dei maggiori teatri di Londra. L’unica spiegazione che
gli sembrava
plausibile era che, alla fine, Christine avesse capito che non valeva
la pena
sacrificare la sua musica per sposare un visconte. E a quel punto gli
sorgeva
spontanea una domanda: perché? Perché, se poteva
evitarlo, aveva lasciato che
lo scandalo dell’Opera Populaire avvenisse?
Perché, se sapeva di non amare
nessuno dei due, aveva lasciato che cercassero di uccidersi a vicenda,
ingannando entrambi? Ma soprattutto, perché continuava a
tormentarlo? In quei
due anni aveva fatto tutto il possibile per dimenticarla e per
lasciarsi alle
spalle il suo passato: era fuggito dalla Francia, accogliendo al volo
la
proposta del daroga di rifugiarsi
in
Inghilterra, ed era arrivato fino in Scozia, dove il Persiano aveva uno
dei
suoi tanti agganci. Si era rifatto una vita, una vita che scorreva
quasi
irrealmente tra i vari lavori che lo tenevano occupato. Continuava a
comporre,
anche volendo non avrebbe potuto smettere, non ne era capace, e aveva
rispolverato la sua vecchia passione per l’architettura, che
aveva sepolto dopo
le ore rosa di Mazenderan. Sembrava che tutti i suoi problemi fossero
scomparsi, assorbiti dalle terre verdi delle Highlands. O almeno,
così aveva
creduto fino a quando i suoi vari affari e l’insistenza di
Nadir non lo avevano
portato a Londra… e alla Royal Opera House. Aveva il
fortissimo sospetto che il
maledetto daroga avesse organizzato
tutto di proposito. Gli aveva chiesto innocentemente di incontrarlo
quella sera
all’Opera per discutere di alcune faccende, qualcosa riguardo
una villa o un
palazzo, non lo sapeva, Nadir era stato molto vago. La
verità era che gli aveva
lanciato un'esca… e lui aveva abboccato come un idiota. E
ora pativa le pene
dell’Inferno in anticipo, mentre il suo lato peggiore gli
sussurrava
all’orecchio i metodi migliori per liberarsi di quel
dannatissimo Persiano una
volta per tutte. Si alzò di scatto, ignorando lo sguardo
interrogativo del daroga,
uscì dal palco e si lanciò verso
la prima finestra che trovò nel corridoio appena illuminato.
Inspirò a fondo e
l’aria fredda dell’autunno londinese gli
rischiarò la mente. Doveva parlare con
Christine. Non le avrebbe permesso di entrare nuovamente nella sua vita
senza
sapere come e perché. Doveva parlarle…
perché, sebbene avesse passato quegli
ultimi due anni a cercare di dimenticarla, non era mai davvero riuscito
a
smettere di amarla.
L’aria nel foyer cominciava a
farsi pesante e a Christine girava la testa. Si sentiva osservata e non
le
piaceva per niente. Era nel bel mezzo della festa che seguiva sempre le
prime,
circondata da colleghi e ammiratori e immersa in una piacevole
conversazione
con Sonja,
«Esibizione mediocre, madame.»
mormorò, accennando un inchino ironico col capo
«Una volta cantavate con l’anima.»
E il suo tono, a metà tra il rimprovero e lo scherno,
infiammò il sangue di
Christine. Non era abituata ad arrabbiarsi, non lo era mai stata. Da
bambina
aveva sempre fatto tutto quello che le veniva chiesto e crescendo aveva
proseguito per la stessa strada, fino a perdere completamente il
controllo
sulla sua vita. L’impotenza era stata sua compagna costante
in quegli anni, ma
non era mai arrivata alla vera rabbia, la rabbia che invece stava
provando in
quel momento.
«Una volta avevo un’anima con cui
cantare.» ribatté con voce ferma nonostante quelle
lacrime che non poteva
evitare. Faticava a credere che fosse davvero lì, di fronte
a lei, nella semi
oscurità di quel corridoio. In quei due anni si era talmente
convinta della sua
morte che rivederlo non le sembrava reale e anzi, aveva quasi paura di
svegliarsi all’improvviso nel suo appartamento e scoprire che
era stato tutto
un sogno. E forse, in fondo, sarebbe stato meglio così.
«E ora dov’è quell’anima,
Christine?» la sua voce fredda le penetrò fin
nell’anima. Si avvicinò,
costringendola ad alzare il volto per continuare a fissarlo negli
occhi, ora
gelidi. Nuove lacrime cominciarono a formarlesi agli angoli degli occhi
mentre
il respiro iniziava a farsi più affannato.
«Va’ all’Inferno, Erik!»
sibilò
con il poco fiato che la gola stretta dal pianto le lasciava. Un
sorriso storto
piegò le labbra di lui.
«Già fatto, mon ange.
Ho vissuto all’Inferno per tutta una vita.» Si
avvicinò
ancora, costringendola ad arretrare finché si
trovò con le spalle al muro. Poi,
chinandosi su di lei, con gli occhi illuminati dal fuoco
dell’ira, sussurrò: «Un
Inferno in cui tu non hai mai smesso di torturarmi.» Lei
continuò a fissarlo, i
lineamenti contratti dalla rabbia, mentre le lacrime non sembravano
voler
smettere di scorrere.
«E credi che per me sia stato
tanto diverso?» gridò «Credi che io
abbia vissuto il lieto fine di una favola?
Tu non hai la più pallida idea di quello che ho passato in
questi due anni! Mi
sono dovuta rifare una vita tormentata dagli incubi del passato,
tormentata dal
peso della tua morte sulla mia coscienza!» Erik
indietreggiò, sbalordito, e per
un attimo gli sembrò che il tempo fosse tornato a due anni
prima. Gli sembrò di
sentire ancora sulla pelle la forza di quello schiaffo che aveva
ricevuto nei
sotterranei del suo teatro. Solo che questa volta lei non
l’aveva toccato. A
corto di parole, si limitò a fissarla, senza riuscire a
riconoscere nella donna
che aveva davanti la ragazza ingenua e spaventata dell’Opera
Populaire, mentre
la domanda che non riusciva a farle aleggiava nell’aria. A
quel suo improvviso
mutismo Christine sembrò calmarsi.
«In due anni non ho più avuto
notizie.» riprese, la sua voce poco più che un
sussurro «Mai una lettera, mai
un messaggio. Non sapevo dov’eri, non sapevo se eri ancora
vivo…» si avvicinò e
gli sfiorò il viso con mano tremante, la sua rabbia svanita
nel nulla,
nonostante tutto. Erik serrò gli occhi e trattenne il
respiro, combattuto tra
il cedere e il resistere.
«Perché non mi hai mai fatto
sapere nulla?» Spalancò immediatamente gli occhi e
fece un altro passo
indietro, come se avesse paura di restare così vicino a lei
anche solo un
secondo di più.
«Perché avrei dovuto?» chiese a
sua volta, la voce bassa per mascherare l’emozione che
l’alterava. Si rifiutava
di credere che lei potesse aver sentito la sua mancanza, o che potesse
provare
qualcosa nei suoi confronti, come la luce nei suoi occhi scuri sembrava
sostenere. Si era già fidato di lei una volta e ricordava
fin troppo bene
com’era andata a finire. E soprattutto ricordava bene il
perché.
«Lui dov’è?»
domandò dopo un
attimo di esitazione, con la voce sempre più bassa. Non
aveva bisogno di
pronunciare nessun nome, Christine sapeva benissimo a chi si stava
riferendo.
«Come?» sussurrò lei, stupita,
anche se in fondo si aspettava quella domanda.
«Dov’è, Christine?» chiese di
nuovo con una vena di minaccia nel suo tono impaziente.
«Non lo so.» rispose senza mai
distogliere lo sguardo dal suo. Cercava di mostrarsi il più
sincero possibile,
ma sapeva che lui non le avrebbe mai creduto, sebbene stesse dicendo la
verità.
Come aveva immaginato lo vide avvicinarsi, gli occhi grigi resi
tempestosi
dalla luce del sospetto e da quella, nascosta più in
profondità, della gelosia.
«Non mentirmi, Christine…» la
voce gli uscì come un basso ruggito, un avvertimento di come
il fantasma che
era stato non fosse mai realmente morto, ma solo assopito.
«Non credermi se vuoi, ma non sto
mentendo.» ribatté la donna in un tono molto
simile «Non so niente di lui: che
sia ancora a Parigi o che sia all’Inferno non fa differenza,
Raoul de Chagny
non è più affar mio da tempo.» E lo
disse con tale freddezza che per un
momento, un momento soltanto, Erik le credette. L’istante
successivo la domanda
di lei lo sprofondò di nuovo nell’abisso del
sospetto.
«Perché ti importa?»
«Sai benissimo perché.» rispose
gelido. Si era reso conto, durante quell’incontro, che non
poteva impedirsi di
essere geloso, non era in grado di farlo… forse per il
semplice fatto che non
era mai stato in grado di smettere di amarla. Nonostante tutti i suoi
tentativi, nonostante quei due anni passati lontani da Parigi e dai
ricordi che
la città risvegliava, nonostante tutta la rabbia e il
rancore… semplicemente
non poteva fare a meno di lei. Tornò ad avvicinarsi,
intrappolandola contro il
muro per non lasciarla andar via senza avergli prima dato la risposta
che
aspettava.
«Dimmi dov’è…» non
era più una
domanda, ma un ordine.
«Non lo so.» rispose di nuovo,
sempre con la sua sicurezza acquisita, ma con un tono più
cauto, turbata da
quell’improvvisa vicinanza. Esattamente come due anni prima
si ritrovò con la
gola stretta dalle sue dita, l’avvertimento che il poco
autocontrollo del suo
Angelo era andato perso.
«Allora» sussurrò lui, la voce
pericolosamente calma «comincia con il dirmi
perché dovrei crederti.» Christine
si limitò a fissarlo negli occhi per un interminabile
attimo, poi, con un filo
di voce, rispose:
«Perché ti amo…» la mano si
strinse ancora di più attorno alla sua gola, lasciandola
senza fiato.
«Dimmi di nuovo, Christine,» la
voce gli uscì come un sibilo mentre pronunciava quelle
parole all’orecchio di
lei «perché doveri crederti…»
E di nuovo, nonostante la stretta, la donna
rispose:
«Perché ti amo.» Senza una parola
di più Erik allentò la presa e le diede le spalle
prima che lei potesse
leggergli negli occhi la confusione di emozioni che stava provando.
Fece per
andarsene, ma la sua voce irata lo fermò.
«Non osare lasciarmi così!»
gridò
nella vana speranza che lui si voltasse. «Se te ne vai
adesso, Erik, giuro su
Dio che non mi rivedrai mai più!» A quelle parole
tornò a fissarla, una
maschera di indifferenza accanto a quella nera che già
indossava.
«Troppo tardi…» si limitò a
dire,
prima di sparire tra le ombre del corridoio.
xXx
NdA: Chiedo umilmente perdono per l'enorme ritardo, ma sappiate che non ho passato questi ultimi sei mesi a divertirmi! Purtroppo ho avuto un sacco di problemi con la scuola e quindi il capitolo è andato mooooooooooolto a rilento...spero solo che per lo meno sia leggibile. Anyway, da settimana prossima dovrei avere più tempo per cui spero di riuscire ad aggiornare prima...debiti permettendo. E adesso passiamo ai ringraziamenti^^
A uchiha_girl: Grazie mille per i complimenti, ma non esagerare, non sono mica così brava!^^ Comunque sono molto contenta che la soria per ora ti piaccia e spero che continui a piacerti.
A Elby: Oook, forse hai ragione, lo scorso capitolo poteva essere più calmo XD... Felicissima di sapere che la confessione di Christine non è stato un fiasco totale (è la parte che mi ha dato più problemi...) e che il daroga ha riscosso così tanto successo ^^ ... Nel prossimo capitolo lo vedremo all'opera nel suo ruolo di coscienza... e con questo ho detto tutto.
A Amy Foster: So che alcuni passaggi sembrano troppo rapidi, però purtroppo scrivendo non me ne accorgo e quindi non riesco a farci molto... cercherò di provvedere con i prossimi capitoli. Per il resto, mi fa piacere che i personaggi siano riusciti e per quanto riguarda Erik... bhè, dipende da cosa intendi con cattivo XD.
Come sempre grazie anche a tutti quelli che leggono e non recensiscono. Per ora è tutto, a presto, spero.
Your obedient servant,
bloodred_rose