The Call
 

Due settimane non erano abbastanza. 

“Sherlock!” Aveva urlato con tutta l’aria che aveva nei polmoni e tutta la disperazione del cuore. 

Non era stato sufficiente a fermare quel gesto disperato, quel salto, quell’addio nascosto in quelle parole. John ancora la sentiva la sua voce tremante, triste e bagnata di emozioni che mai gli aveva sentito esprimere prima. Grondava di sentimento, John lo sentiva e riusciva anche a vederlo da lì. 

Provò ad afferrargli la mano quando Sherlock la tese verso di lui dal tetto del Bart’s, ma erano troppo lontani, distanti. 

Ogni volta che John ripensava a quegli ultimi istanti si domandava perché non gli avesse confessato quanto lo amava? Perché non aveva provato a trattenerlo con il suo amore? E se non lo avesse voluto? Se… John era un uomo dilaniato dai se e dai ma ormai. Vagava in casa in cerca di un posto comodo, tranquillo, sicuro, tutto ciò che quel luogo ormai non era più. Non avrebbe trovato un solo angolo in grado di cullarlo dolcemente, era tutto così spigoloso, così pungente e gelido. Era impossibile restare lì.

La decisione di andarsene da Baker Street era stata presa dopo aver riconosciuto quanto quel posto lo stesse ormai consumando con una speranza inutile come quella di vederlo ritornare. Passavano giorni in cui semplicemente restava seduto sulla propria poltrona - mai una volta che avesse provato a sedersi su quella nera, no, perché era già occupata dalla sua ingombrante assenza - a fissare quella porta nell’ingenua speranza che si aprisse per lasciarlo entrare. 

Gli occhi scrutavano spesso anche il suo cappotto adagiato sul divano ormai da due settimane. 

Lo avvolsero lì dentro una volta che ebbero spogliato Sherlock per l’autopsia. Greg non aveva avuto il cuore di rivolgergli nemmeno mezza parola, distrutto com’era, sapeva che non avrebbe avvertito nemmeno mezza sillaba; ma si limitò a posargli quell’indumento sulle spalle e John si sgretolò sotto quel peso scuro che ora portava su di sé. A braccia incrociate e mento poggiato sul proprio petto, John pianse tutte le lacrime che gli restavano. 

Era stato quello il luogo, era stato quello il momento giusto per farlo. 

Ora che la casa era diversa John aveva potuto prendere una boccata d’aria, ma poi l’apnea era ritornata. In orario e fastidiosamente opprimente come sempre. Era difficile chiudere gli occhi, era difficile prendere sonno ed era ancora più difficile evitare gli incubi. 

L’unica cosa che gli permetteva di dormire per almeno cinque ore di seguito era chiamare il numero di cellulare di Sherlock e attendere che partisse la segreteria. 

“Qui è Sherlock Holmes. Se volete-” quella partiva e John sorrideva ad occhi chiusi, con il cellulare premuto accanto alla guancia in un abbraccio che non avrebbe mai potuto raggiungere veramente Sherlock. 

E riascoltava i messaggi in segreteria.

“John, ho bisogno di te all’incrocio tra-” e John riusciva a sentire il suo respiro pesante, doveva aver corso; riusciva quasi a vederlo mentre cercava di riprendere fiato, una mano tra i capelli forse. 

E continuava così, andava avanti ascoltando la sua voce, permettendosi di addormentarsi con lui che lo accompagnava, come se non se ne fosse mai andato. 









Angolo della scrittrice:
andiamo avanti a flash fic a quanto pare ormai. Visto che sono nel pieno del blocco dello scrittore (e quando mai, sempre a me insomma) ho pensato bene di dare sfogo a quelli che sono praticamente i miei headcanon principali e questo era uno dei tanti. Immaginare John che disperato com'è non fa altro che cercare di allontanarsi da ciò che gli procura dolore (la casa) e al tempo stesso non è in grado di dire addio completamente, ricorrendo così a qualsiasi mezzo pur di sentirlo vicino. 
Spero di riuscire a pubblicarne un altro entro sera... combattiamo questo blocco maledettissimo!