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Autore: RiyelaAlelita    25/04/2017    0 recensioni
Una città che è diventata un campo di battaglia.
Un giovane soldato che combatte per la causa in cui crede.
Un incontro inaspettato, che porta con sé ricordi, e un segreto inconfessabile.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Thraian rimase fermo a guardare il corpo dell'ultimo uomo che aveva ucciso. Combatteva da qualche ora, ma gli sembravano passati giorni da quando era iniziata la battaglia in quella città. Troppi uomini erano morti sotto la sua spada, che ora grondava di sangue, ma non poteva fermarsi, se non voleva essere lui il prossimo cadavere in quelle vie.
Dei passi risuonarono nella strada vuota, e il giovane soldato si voltò di scatto: un uomo, un comandante a giudicare dall'armatura completa, guardava verso di lui con la spada sguainata; tra le macchie di sangue e terra che ricoprivano il metallo della corazza si poteva ancora distinguere lo stemma dell'usurpatore.
Thraian imprecò tra i denti mentre si preparava ad affrontare quel suo prossimo avversario. Sapeva di avere poche possibilità di sopravvivere a quello scontro, però: lui non era altro che un semplice soldato, senza una vera armatura a proteggerlo e con il braccio sinistro inerte lungo il fianco, da quando il suo scudo di legno era andato in frantumi sotto i violenti colpi di mazza di un nemico. Anche l'uomo si mise in posizione, pronto per iniziare il combattimento, ben protetto dietro il suo scudo di metallo ammaccato.
I loro scambi non durarono a lungo: Thraian non era nelle condizioni di combattere contro quell'uomo, molto più esperto e forte di lui, ma non poteva nemmeno scappare, perché l'avversario lo aveva incalzato fino a spingerlo con la schiena contro un muro.
Quando il suo nemico affondò ancora, lui fu troppo lento a reagire: perse la spada in un maldestro tentativo di deviare il colpo, e una fitta al fianco sinistro lo fece barcollare; cadde contro il muro dietro di lui battendo la testa, e la vista gli si annebbiò per qualche istante. Non svenne, ma l'elmo doveva essersi ammaccato, perché gli premeva sulla testa in modo insopportabile. Se lo levò con un gesto brusco, quindi cercò la sua arma, caduta troppo lontano perché potesse recuperarla. Guardò allora il comandante nemico davanti a lui, aspettando il colpo che lo avrebbe ucciso. L'uomo, però, si era bloccato con la spada sollevata a metà.
-Thraian?- la sua voce risuonò alterata da dietro l'elmo, ma il giovane uomo la riconobbe subito, e capì chi era l'uomo che lo aveva sconfitto, anche prima che sollevasse la visiera e lo guardasse con i suoi occhi nocciola sconvolti.
-Maestro...- mormorò, con un debole sorriso sulle labbra. Se doveva morire, era contento che fosse lui a ucciderlo: Geoffry Kantell, colui che lo aveva avuto per anni come allievo e che gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva sulla spada.
-Non sapevo che fossi qui. Credevo avessi lasciato il regno tempo fa.- continuò il comandante, sfilandosi l'elmo e chinandosi su di lui -Avevo saputo che la tua famiglia era caduta in disgrazia dopo quell'intrigo a corte.-
Thraian annuì debolmente con la testa: -È vero, infatti. Ma mentre ero via mi sono messo al servizio del principe Peter, per restituirgli il trono.-
-Quello non è un principe, è solo un bugiardo. Il nostro re non è un usurpatore, è voluto da Dio.- replicò Geoffry.
-Io gli credo...- iniziò a dire il giovane, ma un attimo di debolezza lo costrinse a chiudere gli occhi e riprendere fiato.
-Thraian!- il maestro lo sorresse mentre stava scivolando a terra -Vieni, ti porto a far curare.-
-No. Sono un nemico, ricordate? Mi ucciderebbero non appe...- Thraian si interruppe ancora: parlare stava diventando sempre più difficile, e la ferita al fianco continuava a lanciare fitte sempre più dolorose.
Geoffry si avvicinò ancora: -Dirò che ti sei arreso, che non segui più il principe...-
Quell'uomo era davvero preoccupato per lui, non voleva lasciarlo morire. Il giovane sorrise ancora, mentre sentiva che le lacrime stavano affiorando dagli occhi: -Ormai è tardi. Sto morendo, ma...va bene così...non rinnegherò le mie idee.-
Aveva paura di morire, certo, ma era inevitabile. Ciò che lo consolava era che l'ultima persona con cui aveva la possibilità di parlare fosse lui, il suo maestro. L'uomo che aveva amato fin dal primo giorno di addestramento, a cui non aveva mai potuto rivelare ciò che provava per evitare una condanna a morte sicura.
“Il Signore mi perdoni, ma questo è ciò che provo...”
Allungò una mano scostando i lunghi capelli biondi di Geoffry, fino a sentire sotto il palmo la sua barba, quindi raccolse le ultime forze che gli rimanevano e lo baciò.
L'ultima cosa a cui pensò, nell'attimo prima di morire, fu che quello doveva essere già il Regno Celeste, perché non poteva esserci beatitudine più grande.


Geoffry sentì le labbra del giovane staccarsi dalle sue, e la sua mano scivolare via dalla sua guancia, ma non riuscì a reagire in alcun modo.
Thraian l'aveva baciato.
Era confuso, non riusciva a capire il significato di quel gesto.
No. Non era così. Lo capiva benissimo, ma non se ne capacitava.
Ricordava quando l'aveva visto la prima volta: il suo primo allievo, ancora un ragazzino, che lo guardava con i suoi occhi neri sempre pieni di ammirazione, che lo ascoltava ogni volta entusiasta. L'aveva visto crescere, diventare un uomo, senza mai perdere quel suo modo di essere. E, col passare degli anni, si era reso conto di provare qualcosa per quel giovane, qualcosa che non era amicizia, che andava oltre il rapporto tra un maestro e il suo allievo.
Quello che dici è peccato. Prega e pentiti. Grande è la misericordia del Signore, ti perdonerà.
Così aveva detto il prete quando ne aveva parlato in confessione. E lui l'aveva fatto: aveva pregato giorno e notte, aveva digiunato, aveva umiliato il suo corpo perché il Padre lo liberasse da quei suoi empi sentimenti.
Ma non era successo. Niente in quello che provava sembrava cambiare, anzi: diventava più forte ogni momento che passava con Thraian. Non poteva dirlo, però, non poteva parlarne con nessuno, se non voleva essere giustiziato per sodomia, rischiando anche la vita del ragazzo.
Con dolore e sollievo aveva salutato l'allievo alla sua partenza, sperando che la lontananza lo liberasse da quel peso.
Nemmeno quello era servito, se ne rendeva conto in quel momento. Lo aveva amato e continuava ad amarlo, non c'era niente che potesse cambiare quel fatto.
E ora, in quella città che era diventata un campo di battaglia, scopriva che i loro sentimenti erano gli stessi.
Si sfilò un guanto, e con mano tremante gli accarezzò la guancia coperta dalla barba incolta, quindi prese il suo viso e lo strinse contro l'armatura fredda e sporca. L'aveva amato, e l'aveva ucciso. Affondò il volto nei suoi riccioli neri e non provò più a trattenere le lacrime.
Un uomo non deve piangere.
Glielo avevano ripetuto fin da quando era bambino. Eppure, come poteva non farlo, in quel momento? Come poteva trattenere tutto quando una guerra civile gli aveva appena portato via la persona che più importava in tutto il mondo?
“Se solo avessi saputo che era qui...”
Ma era davvero così? Avrebbe rinunciato a combattere, a servire il suo re, se l'avesse saputo? Quel re, che difendeva il suo trono da un uomo che si definiva il legittimo erede del regno mandando altri a morire. Qual era il senso in tutto quello? Era una delle infinite vie con cui il Signore li puniva per i loro peccati? Con cui puniva lui per il suo peccato?
“È davvero peccato quello che provo? È davvero peccato sentire ciò che sento?”
Per la prima volta in vita sua, la fedeltà verso il suo re e la fede in Dio vacillarono, per poi crollare, come se tutte le fondamenta su cui poggiavano fossero svanite. Dentro di lui non era rimasto che il vuoto, in cui niente più importava, nemmeno la sua stessa vita: si sarebbe anche lasciato morire lì, con l'uomo che aveva amato stretto al petto.
“Non posso lasciarlo qui, però.” si disse, riscuotendosi appena dal suo dolore. Doveva almeno dargli una degna sepoltura, evitare che finisse in una fossa comune o, peggio, che fosse lasciato agli animali, fuori dalla città.
A fatica si sollevò. Si sentiva soffocare, l'armatura sembrava pesare più che mai; la tolse, un pezzo dopo l'altro, ma il peso che sentiva addosso non scemò.
-Comandante!-
Un giovane soldato lo guardava sconvolto a qualche passo di distanza. Da quanto era lì? Per quanto tempo l'aveva osservato mentre il dolore lo svuotava, lo uccideva?
-La battaglia è finita da molto tempo. Abbiamo vinto. Sua Maestà richiede la vostra presenza.- riferì il ragazzo, raddrizzando le spalle in una posa marziale.
Geoffry distolse lo sguardo da lui e sollevò il corpo di Thraian: -Non sono più il comandante di nessuno. Non ho più un re, né un Dio. Torna pure a riferire questo a chi mi cerca.-
Nel silenzio che seguì la sua affermazione, l'uomo superò il giovane, dirigendosi fuori città.
-Quindi volete dire che disertate e tradite il nostro re e Nostro Signore?- gridò il ragazzo. Nella via risuonò il rumore di una spada estratta dal fodero.
Senza voltarsi, Geoffry fece una smorfia: -Bravo, vedo che conosci la legge. Se vuoi andare fino in fondo, non mi tirerò indietro. Questa è la mia schiena, scegli ciò che è più giusto per te.-
Ancora silenzio mentre l'uomo continuava ad allontanarsi, poi alcuni passi frettolosi. La spada che gli trafisse l'addome fu meno dolorosa di quanto avesse pensato. Cadde in avanti, sul corpo del suo giovane amato, il viso accanto al suo. Sorrise.
“Spero che tu mi stia aspettando da qualche parte, perché non nasconderò più quel che provo.”
Con fatica, avvicinò il suo volto a quello di Thraian, fino a sfiorare le sue labbra, prima che tutto fosse avvolto dall'oscurità.
Questo è un racconto che ho scritto qualche tempo fa per un concorso. Il tema doveva essere drammatico, e per la prima volta ho deciso di uscire dal genere fantasy, scrivendo qualcosa richiamasse di più lo storico. Spero che il tentativo sia riuscito, e che vi sia piaciuto.
Se volete, lasciate una recensione: mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate ^-^
   
 
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