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Autore: EuphemiaMorrigan    27/04/2017    4 recensioni
[ShiIta e molti, troppi, Uchiha di mezzo]
Tuttavia la situazione peggiorò nel momento stesso in cui non furono costretti soltanto gli Uchiha di nascita a presenziare a quei ridicoli meeting privi di alcun senso, ma anche coloro divenuti tali per matrimonio, fidanzamento, o sfiga.
E quella specifica volta una parte di Shisui avrebbe tanto voluto fingere d'essere malato, morente, impossibilitato ad alzarsi dal letto a causa della peste, poiché aveva la netta impressione sarebbe stato un completo disastro.
Non a caso si celebrava il ritorno del cugino. Il genietto della famiglia. Rientrato a Konoha dopo anni di studi lontano dal Paese del Fuoco.
Precisamente sette anni, quarantasei giorni e, circa, nove ore. Non che Shisui li contasse.
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Itachi, Shisui Uchiha
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Acromatopsia.
-I personaggi sono di Masashi Kishimoto-

Angolo autrice: Alola ♪♫
Non fatevi ingannare dal titolo leggermente 'pomposo', è una storia veramente semplice, nata unicamente dal desiderio di scrivere qualcosina su Shisui ed Itachi (E la folle famiglia Uchiha). Ma dato che, a parte Pandemonium, non ne avevo mai scritto, ho deciso di 'iniziare' con una trama facile prima di buttarmi su trame/situazioni più complicate.
Precisazioni: Oramai Kaguya è la madre di Madara. L'headcanon mi ha scelta.
La mia idea degli Uchiha, tutti insieme e nelle AU, è sempre stata molto goliardica. Ogni frase da loro detta è portata all'esasperazione, poiché, in fondo, gli Uchiha sono esasperanti.
Buona lettura <3
Di nuovo: è mooolto sempliciotta, ok? Ed ho messo l'avviso OOC perché... Sono un po' cretini tutti, quindi meglio metterlo ^^'

Shisui la considerò un'esperienza inconsueta, una percezione avvolgente atta a snodare i muscoli contriti delle spalle, quella d'aver permesso all'acqua calda di lambirgli il viso così a lungo. Se in quel preciso momento non avesse avuto la certezza di esser con il culo ben poggiato sulla ceramica, avrebbe quasi sentito il proprio corpo galleggiare in balia delle onde. Aveva decisamente visto troppi anime sportivi nell'ultimo periodo.
Tappò il naso con due dita, gonfiò le guance scarne e trattenne il respiro più che poté; seguitò strizzando le palpebre, mentre bollicine d'aria sfuggivano alle sue labbra e salivano in superficie, imponendo la sua emersione.
Scrollò la riccia chioma bruna. Forse avrebbe dovuto smetterla, ormai adulto, di comportarsi in quella maniera bambinesca ogni volta ch'era nella vasca da bagno. Od in piscina.
Rilassò le membra stanche, infine si stiracchiò similmente a Garfield, spaparanzato sul davanzale della finestra di Jon, dopo aver trangugiato una teglia di lasagne. La schiena dolente scricchiolò, come il vecchio pavimento d'una casa infestata da spiriti maligni, all'improvviso gesto e, di conseguenza, lui si preoccupò del rumore udito. I quasi trent'anni di vita cominciavano a mostrarsi, oppure, ancor peggio, aveva le ossa fragili e difettose che, prima o poi, lo avrebbero costretto a strisciare. Invertebrato. Un tritone rinchiuso in una teca, senza l'ausilio di alcun incantato mangime!
In più l'avanzare della mezza età lo aveva fatto iniziare a soffrire d'ipocondria latente.
Provò nuovamente a calmarsi e scacciare le assurde fobie riaffiorate, causa del suo temporaneo malessere. Flesse il collo affusolato all'indietro, nel frattempo che infinitesimali goccioline trasparenti solcavano la liscia pelle diafana, disegnando grazie alla loro scia figure indistinte sino al torace cesellato. Almeno la parte non immersa.
L'uomo sporse una gamba irsuta al di fuori della candida ceramica, la oscillò leggermente, seguendo il ritmo della canzone fischiettata. Poi abbassò di nuovo le palpebre.
Non esisteva nulla di meglio al mondo dei Toto ad alto volume ed un caldo bagno ristoratore, dopo una stressante giornata di lavoro, seguita da conseguenti ore di jogging per scaricare il nervosismo. Così la pensava Shisui e, sì, anche il resto della popolazione.
Ma non gli importava. Lui s'era sempre reputato perfettamente nella norma, al limite del noioso. Non provava il desiderio di ergersi oltre la massa e le preferenze di questa; aveva imparato a farsi andar bene sia il gregge che il recinto spinato di cui faceva parte, per niente intenzionato ad uscire e venir sbranato dal lupo in agguato.
La coscienza collettiva era notevolmente più forte del singolo individuo, anche negli sbagli. Un uomo solo non sarebbe mai riuscito a cambiare le sorti di quella terra, molti, uniti dagli stessi interessi e valori, probabilmente sì. Fin quando non si sarebbe presentato un ennesimo motivo di scissione e conflitti.
Di certo, però, non doveva interessare a lui ed il suo barboso lavoro da impiegato in un'Agenzia di viaggi.
Allungò il braccio destro verso l'alto e poi stirò le dita, aprendo il palmo; analizzò la mano umida e pallida, di quella sfumatura di grigio identica ad ogni altra, simile a quella mostrata da qualsiasi oggetto, superficie, o persona, su cui si posavano i suoi occhi malati.
Fin dalla nascita vivere in un mondo privato di colori lo intristiva terribilmente, rinsecchiva la sua anima, tanto che, non appena era divenuto abbastanza indipendente, aveva ripreso a sottoporsi ad un quantitativo di visite mediche smoderate, soprattutto fuori Konoha, in cerca di una soluzione. Una speranza qualsiasi di risolvere la sua acromatopsia congenita.
Ma la risposta era sempre quella: non c'era cura.
I dottori a cui si rivolgeva, spesso, gli pareva si fossero messi d'accordo quando, tutti, alla fine gli ricordavano la sua fortuna: non essere affetto da una forma degenerativa che, man mano, lo avrebbe portato alla completa cecità.
Shisui, in realtà, non lo trovava comunque consolante.
Doveva indossare lo stesso, quasi costantemente, degli occhiali da Sole, data l'ipersensibilità delle cornee; almeno, però, rispetto a quand'era bambino c'erano stati dei piccoli miglioramenti ed in casa poteva evitare di fare il cosplay di Ray Charles. Tanto più che s'era sempre rifiutato d'imparare a suonare uno strumento.
Decise di non avvelenarsi la mente con quei problemi insormontabili, almeno quel pomeriggio. Uscì lentamente dalla vasca, legò un asciugamano sulla vita magra e, in seguito, passò la tovaglietta di stoffa fra i capelli scarmigliati mentre, gocciolando da capo a piedi, s'avviava in camera da letto.
Vide Odino, lo yorkshire isterico che viveva con lui da anni, senza neppure degnarsi di pagare l'affitto, comodamente acciambellato sul materasso e lo raggiunse, lasciandogli qualche carezza sulla groppa. Credenza comune diceva che i cani vedessero in prevalenza in bianco e nero, quello era il motivo che lo aveva spinto a prenderne uno.
E lo aveva chiamato come una divinità perché il suo senso dell'umorismo faceva abbastanza schifo, non a caso rideva da solo delle sue stesse, pessime, battute.
Spostò lo sguardo verso la sveglia a led posta sul comodino; segnava già le sette di sera.
Doveva cambiarsi in fretta, ritardare alla riunione di famiglia significava rimetterci il collo, oltre la sanità mentale, ma quella si perdeva partecipando. Di solito.
Rapidamente infilò i primi abiti raccattati dall'armadio, lasciò una pacca sulla testolina buffa del suo animale domestico e, passandosi le dita fra i capelli umidi, uscì di casa. Costretto a rientrare un secondo dopo per prendere le lenti scure, maledicendo la sua distrazione.
Era tutta colpa dei parenti. Lo agitavano.
Come lo facevano gli incontri del clan Uchiha, non erano mica nell'ottocento, cavolo!! Eppure era tradizione di famiglia raccogliersi, di solito la sera e sempre nell'abitazione di Fugaku, unicamente perché aveva il garage più grande, per festeggiare liete notizie o piangere la morte di qualche vecchio, cioè annoiarsi in entrambi i casi.
Tuttavia la situazione peggiorò nel momento stesso in cui non furono costretti soltanto gli Uchiha di nascita a presenziare a quei ridicoli meeting privi di alcun senso, ma anche coloro divenuti tali per matrimonio, fidanzamento, o sfiga.
E quella specifica volta una parte di Shisui avrebbe tanto voluto fingere d'essere malato, morente, impossibilitato ad alzarsi dal letto a causa della peste, poiché aveva la netta impressione sarebbe stato un completo disastro.
Non a caso si celebrava il ritorno del cugino. Il genietto della famiglia. Rientrato a Konoha dopo anni di studi lontano dal Paese del Fuoco.
Precisamente sette anni, quarantasei giorni e, circa, nove ore. Non che Shisui li contasse.
Fresco di laurea, master, e contratto a tempo indeterminato nello studio legale del padre, Itachi s'era ufficialmente trasformato da persona normale, a damerino incravattato.
E Fugaku osava anche commuoversi di gioia!
Internamente, ovvio, ma gli Uchiha sentivano l'olezzo di certi sentimenti, essendo poco provati da loro, infatti lo aveva notato immediatamente nell'espressione algida dello zio quando aveva posato piede nel garage sgombro, però fin troppo illuminato per i suoi gusti. Tanto che, anche con gli occhiali da Sole al naso, dovette stringere un poco le palpebre, in modo da distinguere gli altri partecipanti.
Rimase profondamente stupito alla vista di suo nonno, Kagami Uchiha, impegnato a sonnecchiare, appollaiato sopra una sedia, rischiando di pendere d'un lato ogni, adrenalinico, secondo trascorso ad oscillare. Non usciva di casa dalla fine della seconda guerra mondiale -ninja-, con quale magia nera lo avevano convinto? O forse semplicemente era morto e lo avevano impagliato e poggiato lì come presenza.
Vicino all'anziano uno scoglionato Indra stava faticando a tenere alta la concentrazione, tediato dalla serata appena iniziata, mentre Ashura sembrava spaesato, quasi non comprendesse perché fosse lì, giacché non era di certo lui il pazzo sposato con una Uchiha. E studiava tutti quegli strani cloni con sconcerto, provando a distinguerli. Almeno i maschi dalle femmine.
Izuna ed Obito erano fermi in un angolo, a sguardo basso e silenziosi, probabilmente messi in punizione dalle loro dolci metà.
Madara stava dormendo sulla spalla della sua donna, o badante, ancora non lo aveva capito.
Intanto Sasuke starnazzava, al solito, stritolando il polso del suo rimbecillito ragazzo, provando in ogni modo a trascinarlo abbastanza lontano da Itachi. Infantile, ed arrabbiato con il maggiore per tutti quegli anni di distanza.
Il figliol prodigo era seriamente tornato. E Shisui ritenne alquanto preoccupante, vista la situazione di giubilo, che Fugaku non avesse ancora ammazzato il maiale grasso.
“Mi sentite? Pronto? Pronto?! -Si rivolse alla donna accanto a lui- Dimmi se funziona, Mikoto!” Il capofamiglia continuò a parlare al microfono, che nessuno sapeva dove diamine avesse trovato, picchiandolo con le dita e cercando invano di regolare il volume.
“Caro, fai meno rumore”.
“Sì, Mikoto. -Strillò il suo nome, stordendo la maggior parte dei presenti- Ci siamo tutti?”.
Tajima grugnì in assenso, l'unico ad aver preso sul serio quella pagliacciata, soltanto come approfondimento delle forze nemiche, cioè la famiglia di Fugaku, intanto che Kaguya, seguito l'esempio del figlio maggiore, sonnecchiava addosso al marito, opportunamente con dei tappi nelle orecchie, così da non ascoltare quelle stupidaggini.
Ed era schizzata a tre la quota di Uchiha eliminati a causa della narcolessia. Nell'ultima riunione avevano raggiunto la decina di comatosi.
“Sono soddisfatto ci siano facce nuove. Ciao, Izumi!” La salutò con la mano, parlando sempre a tono troppo alto.
“A me avevano detto che si mangiava gratis!” Esclamò Hikaku dall'ultima fila.
In effetti era l'unico motivo per il quale anche Shisui era lì. Il ritorno del cugino non c'entrava nulla, soprattutto con lui, che in quel momento non stava provando minimamente ad incrociare in qualche modo il suo sguardo. Davvero. Era impegnatissimo a tentare di distinguere i tramezzini al tonno da quelli al paté, dato che gli parevano tutti uguali.
“Ehm, sì, fra poco potrete mangiare. Vorrei prima rubare qualche minuto del vostro tempo e parlarvi di quanto sia fiero della carriera appena iniziata di...”.
“Ok, bel discorso, ma noi siamo qui per il cibo” Si lamentò Teyaki, reprimendo uno sbadiglio. Parevano tutti sotto dose di morfina.
Fugaku s'ingolfò all'ennesima interruzione, lanciò uno sguardo contrito alla moglie e poi, bubolando al microfono come un gufo, si arrese al disinteresse generale “Fate come volete! Mio figlio Itachi rimane comunque il migliore del clan!”.
In quel momento parve tanto una fangirl, mancavano i pon-pon, eppure s'attirò lo stesso le ire di ogni Uchiha presente, e rispettivi consorti.
Izuna, alzando il capo ciondolante, anche lui precedentemente colpito dalla malattia della madre e del fratello, aveva inarcato un sopracciglio, sperando di aver udito male. Obito osservava il più grande con un misto di pena e disgusto, ma forse era colpa degli stuzzichini al fegato. Tajima era diventato una statua di sale, colpito nel suo orgoglio di padre. Sasuke stava ringhiando dal fondo della gola e Madara s'era risvegliato, giusto il tempo per rivolgere un gestaccio al vecchio pazzo, poi era tornato volentieri ad assopirsi.
“Itachi chi?” Il silenzio carico di tensione venne rotto da Kagami, che ancora non aveva compreso dove si trovava, e dal bontempone che, alla domanda, aveva fatto partire la sigla di Doctor who.
Shisui sospirò, parlando per la prima volta e rivolgendosi all'anziano nonno “Il figlio maggiore di Fugaku Uchiha, tuo nipote”.
Aggrottò la fronte, a disagio, quando due occhi d'onice sostarono improvvisamente, e troppo a lungo, su di lui; con tutta probabilità, a causa del delirio degli Uchiha presenti, Itachi s'era accorto solo allora della sua silenziosa presenza. Avrebbe preferito rimanere invisibile.
“La checca?”.
“No, la checca riconosciuta è solo Sasuke. Per ora” Precisò Izuna.
“Ehi! State insultando il mio fidanzato?”.
“Sta' zitto, dobe”. Non era auspicabile mettersi contro di loro, l'ultima volta avevano quasi fatto scoppiare a piangere Naruto. Dicendo al ragazzo ch'era andato a fuoco Ichiraku.
Indra provò un vago senso di ribrezzo dinnanzi a quella piatta isteria generale, malgrado ciò chiese, rincarando la dose “Non avevamo deciso nella precedente riunione che fosse un'anatra?”.
“Papera” Venne corretto da un coro, a cui presero parte anche i genitori del ragazzo.
“Tzè, è la stessa cosa!”.
“Che brutto vivere in una famiglia così poco tollerante...”.
“Hai per caso qualcosa da ridire su come ci comportiamo, Obito? -Domandò minaccioso Tajima- Devo riferirlo ai tuoi genitori?”.
“No, no. Scusami, zio”.
“Amore! Non farti mettere i piedi in testa da tutti!” Lo scosse per le spalle, Rin, intimandogli di reagire al bullismo del parente.
“Grande, grosso e bietolone” Disse Sasuke, schioccando la lingua contro il palato.
Madara biascicò sul petto della fidanzata “Coglione”.
“Non volevo essere troppo volgare davanti a Rin”.
Il maggiore ghignò “Il coglione era per te, infatti”.
“Sasuke-kun potresti smetterla di istigarlo?!” Intervenne Sakura, azzittendo il ragazzo con un'occhiataccia.
“Ma se è lui che istiga, dattebayo!”.
Hikaku, che aveva fin da subito presto posto vicino ai rifornimenti di cibo, affermò divertito “Ora se le suonano di santa ragione”.
“Io punto su nii-sama!”.
Shisui trattenne a fatica le risate, incrociò le braccia al torace e riversò la schiena contro la parete più vicina, godendosi lo spettacolo. Era uno strano studio quello che portava avanti da anni, osservando periodicamente i suoi parenti, e quelli acquisiti, socializzare fra loro.
Un po' come si faceva con le scimmie ed un casco di banane appositamente lanciato al centro della gabbia.
Imprecò a bassa voce al sentire lo squillo del proprio cellulare e, senza neppure controllare chi fosse, lo estrasse dalla tasca dei pantaloni e s'incamminò verso il giardino, rispondendo nel mentre “Pronto?”.
Sperava si trattasse di un'interruzione veloce, non voleva perdersi lo scontro del secolo.
“Non mi era mancata la nostra famiglia, e come immaginavo non hai cambiato numero”.
Il ragazzo sentì una voce ben conosciuta provenire dalle sue spalle; storse le labbra, infastidito, sopprimendo il brivido che lo colpì a quel suono profondo e poi chiuse l'inutile chiamata ricevuta. Aveva davvero creduto di poter scampare ad un confronto, almeno quella sera, invece la sfiga che lo tormentava, a differenza sua, ci vedeva benissimo.
“Yo, Itachi! Vedo che non sei abbronzato per niente, o almeno lo immagino dall'evidente pallore, nonostante i tuoi ultimi anni a Suna”.
“Forse perché li ho passati tutto il tempo a studiare?” Domandò, inusualmente sarcastico.
“Ooh, non lo sai che 'tanto lavoro e niente svago rendono Jack un ragazzo annoiato'?”.
Itachi rilassò i tratti, ma non riuscì a non rimbeccare “La tua cultura cinematografica è sempre così populista”.
“Almeno io la ho una cultura e non passo il tempo a friggermi il cervello, cugino”.
Nonostante avesse risposto in modo pacato e scherzoso, scese un surreale silenzio fra loro; il leggero imbarazzo aleggiava nell'aria, indecisi su come comportarsi dopo anni di lontananza.
Da una parte Shisui avrebbe gradito dimenticare il passato, spinto dal desiderio di ritrovare la solita familiarità assieme a lui, stabilita sin da quando erano bambini, dall'altra gli rimaneva difficile rivolgersi ad Itachi come sempre. Provando un misto d'impaccio ed euforia, soprattutto a ricordare come s'erano lasciati.
Tolse gli occhiali neri, dato che ormai il Sole era tramontato, e s'infilò le mani nelle tasche, poi, dandosi un calcio mentale, propose “Vuoi rimanere il resto della serata insieme alla nostra pazza famiglia, ad ascoltare le accuse di abbandono di tuo fratello, o preferisci fuggire con me?”.
“Ad ascoltare le tue di accuse d'abbandono?”.
S'era sbagliato, od aveva ben notato un vago senso di colpa nel tono di voce?
“No, non davvero. -Lo rassicurò seriamente, poi aggiunse- Dopo i primi tragici mesi ricoperto da kleenex, aver buttato al vento le mie lacrime virili e sentito bruciare i tagli sui polsi, io ed il mio psicologo ce ne siamo fatti una ragione. In poche parole ho preso un cane, e questo è vero. Si chiama Odino”.
Itachi accennò un sorriso sincero alla sua idiozia, per niente stupito del fatto che unicamente Shisui riuscisse a rilassarlo con poche semplici parole, la maggior parte delle volte anche senza alcun senso. Probabilmente era il suo modo di esprimersi, la sfumatura calda ed avvolgente quando gli si rivolgeva, il viso disteso e gli occhi brillanti. Faticava ad immaginare quelle iridi incapaci di distinguere i colori, data tutta la vitalità da loro sprigionata nell'istante in cui si posavano su di lui.
“Vuoi davvero non parlarne?” S'informò, affiancandolo e cominciando a percorrere il viale poco illuminato con lentezza; aveva quasi rimosso la serenità di quelle camminate notturne.
Il maggiore osservò il profilo serioso, il mento sottile e poi le labbra rivolte verso il basso; s'incantò diversi secondi a studiare le lunghe ciglia scure, che lasciavano formare strane ombre sugli zigomi mascolini, rendendolo ancor più fascinoso. Eppure non si rese conto d'essersi avvicinato eccessivamente per analizzarlo e, quando incrociò il suo sguardo confuso, tornò a distanziarsi con un colpo di tosse.
“Abbiamo detto tutto il giorno della tua partenza, anzi, forse ti devo delle scuse”.
Itachi storse il naso al ricordo. Ai suoi errori.
Prima di andarsene da Konoha e trascorrere gli ultimi anni nel Paese del Vento aveva scelto, masochista com'era sempre stato, di chiudere qualsiasi strano rapporto stesse nascendo con il cugino. E gran parte del motivo era perché ne aveva avuto timore a causa della stretta parentela intercorsa fra loro, la lunga amicizia che li univa e, un po', la questione che fossero due ragazzi. Non aveva mai avuto il desiderio d'un contatto fisico con altri, spingersi oltre una semplice carezza, ed all'epoca non si spiegava per quale motivo provasse quelle sensazioni soltanto nei confronti di Shisui.
“Non voglio sentirti ritrattare quel bacio, io...”.
“Aspetta, aspetta. -Lo interruppe, teatrale e rinvigorito da quelle poche parole- Vuoi discuterne ora? Qui? Circondati da cacche di cane lasciate da qualche incivile, e non sono io, Odino è stitico, dopo quasi un decennio di silenzio? In cui non ci siamo confrontati neanche via telefono, Skype o piccione viaggiatore?”.
In quel lungo periodo non pareva per nulla cambiato, e stranamente la conferma di ciò gli scaldò il cuore. Permettendogli volentieri di sfogare ancora la sua adorabile stupidità.
“A questo punto speravo almeno in un mazzo di rose ed una dichiarazione strappalacrime” Continuò, infatti, sorridendo furbetto.
Itachi tentò, senza troppo successo, di rimanere sulle sue “Gradirei tu fossi serio, e preferisco le camelie”.
“Sono serio, leggi fra le righe”.
Shisui compì qualche passo in avanti, sollevò un braccio verso di lui, lento, in modo da non farlo ritrarre al contatto; sfiorò con il pollice la ruga d'espressione nata sulla fronte pallida e, annullando ancora un poco la breve distanza, soffiò “Dovresti scioglierti, lo stress invecchia la pelle”.
“E le stronzate il cervello”.
L'uomo rise, riempiendo la quiete surreale con la sua ilarità “Era una battuta quella che ho appena sentito uscire dalle tue belle labbra, Itachi? Se è così dovrò segnarmi questo giorno”.
L'altro si beò del tocco gentile che gli stava rivolgendo, ora passato a sfiorargli il collo in tensione con polpastrelli tremuli; percepì il fiato bollente di Shisui sul mento e, d'istinto, immerse le dita fra i freschi capelli ricci.
“Non vorresti ricordarlo per altro?” Ormai parlava direttamente a contatto con la sua bocca.
“Tipo?”.
Ingenuamente Itachi si disse che, forse, invece di lasciarsi vincere dalla brama dei loro corpi, avrebbero dovuto discutere, affrontare tutto ciò ch'era accaduto in quegli anni, tornare così a conoscersi come un tempo e decidere, insieme, di accantonare ogni paura per iniziare a camminare fianco a fianco. Affrontare la realtà, smettendola di rinchiudersi in una solitaria illusione, distanti, ma ancora coinvolti sentimentalmente da quella relazione acerba che, a causa sua, del rifiuto, non era mai riuscita a sbocciare in gioventù.
Probabilmente però il periodo di distanza era stato eccessivo, dato che, senza neanche accorgersene, lo aveva avvicinato maggiormente, annullando la flebile rimostranza, mentre cancellava e scacciava ogni limite tracciato da sé stesso.
Annegò sulla bocca di Shisui, il contatto fra le loro pelli gli provocò un leggero formicolio e si lasciò guidare unicamente dalla soddisfazione di quell'attesa unione; continuò a vezzeggiare le ciocche scure, le tirò un poco, strappandogli un gemito seguito da un morso sul labbro inferiore. Intimandolo di fare il bravo.
Gli occhi opachi s'incatenarono a quelli più scuri, liquidi, e Shisui avvertì un lieve senso di vertigine destabilizzarlo, perdendo l'orientamento; serrò le dita dietro la sua schiena e stritolò la giacca elegante da lui indossata, trattenendolo con trasporto dal fuggire ancora. Lo invase con la lingua quando gli concesse il permesso, i denti lottarono, si sfregarono, finché non sentì il gusto zuccheroso sulle papille gustative, sintomo che Itachi non aveva ancora smesso di vivere, quasi, di soli dolciumi.
Lo spinse delicatamente contro il lampione acceso, dovendo strizzare le palpebre alla luce diretta che colpì le sue iridi sensibili, ma continuò a ricambiare famelico quella voglia, apprezzando più del lecito, ormai completamente ignaro di essere ancora in strada, come il corpo di Itachi scivolasse sinuoso addosso al proprio.
Si stavano consumando. Appassionati, sensuali, il fiato corto e le mani spasmodiche, piene di promesse inespresse...
“Ah! Beccati!” L'acuta esclamazione di Sasuke, impegnato ad immortalare il momento compromettente, proprio come gli aveva insegnato il fratello maggiore, aveva sorpreso così tanto i due che, ancora abbracciati, s'erano voltati sconvolti verso la folla inferocita.
“Ve lo avevo detto ch'erano finocchi! Mi faceva sempre male il collo in loro presenza, la mia cervicale non sbaglia mai”.
Indra alzò gli occhi al cielo “Con quelle ciglia lo avevamo capito tutti, Izuna”.
“Ma hai visto che cazzo hai tu al posto delle sopracciglia?” Sputò fuori Madara, incattivito dal fatto d'essersi dovuto alzare.
“Non ti azzardare più a rivolgerti al fratellone in quel modo, stupido procione rabbioso!”.
“E tu non parlare così al mio nii-sama!”.
“Obito lasciami! Voglio vedere anche io!” Si lamentò Rin, cercando di scacciare la mano dell'uomo da davanti i suoi occhi.
Tajima sogghignò di gusto “E così la famiglia di Fugaku si estinguerà, lasciando a noi ogni privilegio! Madara, Izuna, ingravidate le vostre mogli!”.
“Tuo suocero è un po'...”.
“Sta' zitto, Naruto!”.
“Ma uffa perché tutti mi dicono di stare zitto, dattebayo!”.
Kagami, a braccetto d'una sconsolata Mikoto, cominciò ad agitare il suo bastone in aria non appena posò lo sguardo sui due sconsiderati nipoti “Se avessero vissuto durante la guerra, sarebbero stati deportati!! Incestuosi!!”.
“Non pensavo che Kagami fosse così intollerante. Sbaglio o a te e Naruto non ha mai detto nulla, Sasuke-kun?”.
“Perché crede che il teme sia femmina”.
“Sta' zitto, dobe!”.
“E basta azzittirmi voi due!”.
A differenza di Itachi, pallido come un morto e freddo come un ghiacciolo, Shisui sorrise felice ad ogni stramba esclamazione di quei pazzi Uchiha, presi a dar spettacolo in mezzo alla strada. In fondo, vivere in un mondo bianco e nero non era poi così male, fin tanto che ritrovava i colori perduti nella sua famiglia.
E magari se lasciava un piattino al terreno qualcuno gli avrebbe anche lanciato dei soldi; il giusto per pagare la futura cauzione dei parenti, quando sarebbero stati arrestati per rissa ed atti osceni in luogo pubblico.

 

   
 
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