Disclaimers:
niente
mi appartiene. Fίsica O Quίmica è di proprietà di
Antena 3. [Questa storia ha partecipato al contest
“Oggetti e giocattoli dimenticati... o ricordati?” sul
forum di EFP indetto da Biancarcano].
Autore su FFZ e
su EFP: KikiEchelon92/EternallyMissed92_
Fandom: Fίsica
O Quίmica
Titolo: Se
fossi ancora qui con me
Oggetto
utilizzato: Maglietta di Fer
Come è stato
utilizzato l’oggetto: Per ricordare/non dimenticare
l’amore perduto
Personaggi: David Ferrán, Fer Redondo Ruano
Timeline: Post
7x05
Avvertimenti:
Missing Moments, Slash, Tematiche Delicate
Note
dell’autrice: Il titolo della storia è tratto da
una strofa della canzone ‘A
Parte Te’ di Ermal Meta. Questa è la primissima
fanfiction che scrivo su Fίsica
O Quίmica.
È stata un’impresa seguire questo telefilm: lo
scoprii quando andava in onda su
Rai4 ma poi lo cancellarono e così lo persi di vista.
Ultimamente, però, ho
riscoperto l’amore per questa serie e sono riuscita a
finirla, nonostante io
abbia dovuto vedermi sesta e settima stagione in lingua originale con i
sottotitoli in inglese, in quanto queste ultime due stagioni non sono
mai state
tradotte e doppiate in italiano – e poi io detesto guardare i
telefilm doppiati…
viva i sottotitoli xD –. Una volta finita la visione del
telefilm, mi sono
sentita letteralmente svuotata. La morte di Fer mi ha lasciata di
sasso, perché
non si meritava di morire in quella maniera assurda per un colpo di
fucile
partito accidentalmente, così come David non si meritava di
veder morire tra le
proprie braccia l’amore della sua vita. Ma va beh,
è andata così e dovrò
farmene una ragione, prima o poi – certo, come no –.
Anyway… la
mia
storia parte da dopo la 7x05 e non tiene conto degli avvenimenti che ne
seguono
– David non si trasferisce in una nuova casa, ma abita ancora
nell’appartamento
in cui conviveva con Fer, e riesce a vederlo/sentirlo senza
l’aiuto datogli da
Yoli nella 7x06 –. Vi auguro buona lettura e, in caso la mia
storia dovesse
farvi schifo, avete il via libera al lancio dei pomodori. -Martina-.
SE FOSSI ANCORA QUI
CON ME
Sommerso
nella penombra della nostra camera da letto, i miei polpastrelli
accarezzano
piano la tua maglietta adagiata sulla trapunta. Te la ricordi, Fer? Era
una
delle tue preferite. Bianca e piena di disegni floreali verdi, in
perfetto
stile hawaiano. È la maglietta che cercavi dopo essertene
andato di casa. L’ho
trovata io, qualche giorno dopo, nascosta sotto al nostro letto. Ma
ormai non
potevo più restituirtela. Il tuo funerale si era concluso
già da mezz’ora.
Mi
stendo su un fianco e mi raggomitolo, portando le ginocchia
all’altezza del
torace. Afferro la tua maglietta e la stringo forte tra le dita. Respiro
a pieni
polmoni il profumo che la tua pelle ha impresso nel tessuto e chiudo
gli occhi.
Nel silenzio della nostra casa riesco ancora a sentire il fragore secco
di quel
dannato sparo che ti ha squarciato il petto, facendo a pezzi il tuo
cuore e strappandoti
alla vita. È un’eco che mi rimbomba nelle orecchie
e mi toglie il fiato. Poi,
privato di ogni mia volontà, lo rivedo. Dietro le mie
palpebre chiuse, inciso
nelle retine, c’è solo rosso. È il
rosso del tuo sangue sparso ovunque. Il ricordo
del suo odore ferroso mi brucia le narici, mi fa salire l’acido della bile fino in
gola. Strizzo
gli occhi. Una lacrima scivola furtiva sulla pelle del mio viso e cade
sul
cuscino. Anche lei, come te, si è infranta
all’improvviso, senza fare rumore.
La
morte, da gran puttana, non ti ha guardato in faccia. Ha stroncato la
tua giovane
vita e non si è fermata a pensare, neanche per un solo
istante, a me, a quanto avrei
sofferto per la tua
mancanza. Da quando sei morto, sono piombato in un baratro oscuro,
senza via d’uscita.
I miei giorni si trascinano lenti, inesorabili, vuoti. Ho smesso di
vivere
perché non è vita senza di te. Ho smesso di
vivere perché non sono riuscito a
salvarti, perché non sono stato in grado di proteggerti. Ho
smesso di vivere
perché quella maledetta notte, al posto tuo, sarei voluto
morire io.
Credo
di essere impazzito dal dolore, Fer. Alcune volte dimentico che te ne
sei
andato per sempre ed apparecchio la tavola anche per te. Román
non ci fa neanche più caso. È come se ti avessi
inventato accanto a me per non sentire la tua assenza, per mitigare
questo
dolore che mi dilania da dentro. Dovunque io vada, tu ci sei. I miei
occhi ti
hanno ricreato per me. Ti vedo seduto sul nostro divano, o in piedi con
le
braccia conserte, mentre il tuo sguardo mi ammonisce quando fumo e bevo
troppo.
Poi scuoti la testa, mi sorridi, e con quel sorriso spegni tutti i miei
tormenti. Ti parlo, immaginando la tua voce dolce e soave rispondermi, e non resisto più. Mi alzo, ti raggiungo ed
allungo una mano verso
di te per poterti finalmente toccare. Cerco di sfiorarti il viso, di
riprovare
il sapore delle tue labbra, di cingerti tra le mie braccia, ma non ci
riesco. Tu
scompari all’improvviso, come fossi fatto di fumo, ed io mi
accorgo di star
stringendo tra le dita il nulla. Forse hanno ragione i miei genitori,
Fer.
Forse dovrei andare da uno psicologo per guarire da questa mia insana
follia. O
forse dovrei ritornare sul ponte dove abbiamo scritto i nostri nomi con
un
pennarello indelebile e, semplicemente, farla finita.
Se
fossi ancora qui con me, Fer, ti direi che sono arrabbiato. Sono
arrabbiato con
te perché sei morto. Non avevi nessun diritto di morire. Non
dovevi farlo. Non ti
perdonerò mai per avermi lasciato solo. Hai rovinato tutto.
Se
fossi ancora qui con me, ti direi che mi manchi. Mi manca ogni cosa di
te. Mi
manca la tua spensieratezza e la sicurezza che mi infondevi nel cuore
col
potere di una sola parola. Mi mancano i tuoi gesti quotidiani, la tua
risata da
bambino, il tuo strofinare il naso contro la mia nuca per svegliarmi la
mattina.
Mi manca il fuoco che divampava nei tuoi occhi durante i nostri litigi,
il tuo
corpo che si arrendeva al mio per fare la pace. Mi manca il tuo modo di
guardarmi, quasi fossi la cosa più bella che ti sarebbe mai
potuta succedere. Mi
manca il tuo modo di amarmi. Mi manca il mio modo di amarti.
Premo la bocca contro
il colletto della tua maglietta,
soffocando le urla che vorrei vomitare e riversare addosso a questo
mondo crudele
ed ingiusto. Mi aggrappo alla
stoffa con le unghie, la graffio come
se volessi ridurla a brandelli, la stropiccio nei miei pugni stretti.
Il mio
corpo trema, squassato e sottomesso alla violenza dei singhiozzi che
fatico a
trattenere. Piango. Piango perché ormai non riesco a fare
nient’altro. Le lacrime
bagnano il mio volto, segnano solchi trasparenti sulla pelle, sporcano
la tua
maglietta inzuppandola di acqua e sale. Sono stanco, Fer. Sono stanco
di me, di
tutte queste lacrime, di tutto questo strazio insopportabile. Sono
così stanco
che vorrei soltanto chiudere gli occhi e non svegliarmi mai
più.
Non
mi rimane quasi più niente di te, Fer. Mi hai lasciato solo
con qualche ricordo
sbiadito, delle foto consumate dal tempo e questa stupida maglietta. Mi
hai
abbandonato. Hai preferito andartene da eroe, esalando il tuo ultimo
respiro
fra le mie braccia. Sei morto e non mi hai nemmeno dato modo di
impedirtelo. Perché
sei stato così egoista?
Un
calore inaspettato mi avvolge il corpo. Il mio cuore accelera il
battito. So che
sei tu, Fer. Ti sento. Sento le tue
braccia cingermi la vita, il tuo petto premere contro la mia schiena.
Sento la
tua bocca sfiorarmi il collo con un bacio leggero e la mia pelle che
reagisce
rabbrividendo. Vorrei aprire gli occhi per poterti vedere, ma ho paura
che tu svanisca
all’istante.
«Non piangere, amore mio», il tuo
è un sussurro
irreale nel mio orecchio, un alito di vento privo di aria,
un’invenzione della
mia mente devastata. «Sono qui con te e lo sarò
per sempre. Te lo prometto», le
tue mani, ora, mi accarezzano dolcemente il viso come se volessero
asciugare e
cancellare il mio pianto. «Andrà tutto bene,
David.»
Allora
abbracciami, Fer. Abbracciami e tienimi
stretto a te, al sicuro fra le tue braccia, al riparo dalla
crudeltà dei giorni
che verranno. Abbracciami forte e non andartene via. Non farlo, ti
prego. Resta
qui accanto a me, dove posso continuare a fingere che tu sia ancora
vivo.