Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
Ricorda la storia  |      
Autore: AlsoSprachVelociraptor    29/04/2017    1 recensioni
"Era in quella situazione per quel maledetto giorno, in cui, per un motivo o un altro, decise di sfidare la flotta dei Tyrell con la sua piccola nave nera e portare cibo e scorte agli uomini dei Baratheon, assediati da ormai quasi un anno. Quel giorno in cui annegò per la prima volta negli occhi blu di Stannis Baratheon, e mise davvero in dubbio tutto ciò in cui sapeva, o aveva creduto di sapere. In cui cambiò qualcosa dentro di lui, si ruppe, si spezzò e mutò, e nemmeno dopo diciotto anni sapeva bene cosa."
Davos/Stannis, Davos/Marya, e tutta la confusione del Cavaliere di Cipolle. Spoiler per ADWD.
(La mia prima fanfiction di ASoIaF/GoT!)
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Davos Seaworth, Stannis Baratheon
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capo Tempesta si trovava leghe e leghe al sud di Approdo del Re, ma era più fredda, più inospitale, più selvaggia. Il vento freddo del Mare dei Brividi si scontrava con quello arido del Mare dell’Estate, e le correnti erano infide e tremende. Dale sentiva il cuore esplodergli nel petto mentre si reggeva alle funi dell’albero maestro, bagnato fradicio e terrorizzato, rimanendo a osservare la figura sicura del padre sulla prua, il timone stretto tra le sue forti mani mentre la loro nave scivolava tra i grossi dromoni dalle vele brillanti. Dale non conosceva quei simboli. Un grappolo d’uva viola su campo blu, una rosa dorata sul verde, altri simboli che per il giovane ragazzo significano poco più che nulla.
Davos alzò un braccio, e l’equipaggio si mise a correre per il ponte della nave come uno sciame di api in un alveare, scontrandosi, scivolando sul legno bagnato dalla tempesta in corso, e Dale si affiancò al padre. A poco più che sedici anni, Dale era già più alto di lui, ma molto, molto più filiforme, con i capelli castano chiaro della madre e gli occhi grigi e profondi del padre, ancora però cristallini, inesperti. Non avevano ancora visto tutta la sofferenza del mondo, era a malapena un mozzo sulla nave nera di Davos.
-Capitano- sussurrò Dale, aggrappandosi istintivamente alla manica del padre. Davos non accettava nessun sentimentalismo a bordo della sua nave, anche se amava suo figlio maggiore più della sua stessa vita. Normalmente l’avrebbe scacciato, su una nave la disciplina è tutto, continuava a ripetere allo stesso Dale e all’ancora giovane Allard, ma vederlo così terrorizzato mosse qualcosa nel suo forse troppo tenero cuore. Prese la sua mano nella propria e la strinse forte, e il figlio ricambiò la stretta, disperatamente.
-Andrà tutto bene, Dale- gli disse, precedendolo. Gli sorrise e gli passò una mano tra i capelli bagnaticci e glieli tirò indietro, liberando la sua visuale. Il ragazzino sembrò rilassarsi, ma nei suoi occhi sgranati leggeva ancora il panico. –raggiungeremo quella caverna, e Lord Baratheon ci ringrazierà per avergli portato il cibo, e poi torneremo da mamma e da Allard e Matthos con tanti soldi! Vivremo bene e potremo prenderci tante cose, te lo prometto.-
Dale si concesse un mezzo sorrisetto. –Grazie pa- ah… capitano.-
Si rizzò bene in piedi e corse sul ponte della piccola nave, afferrando saldamente una corda e tirandola, aiutando la nave a procedere, fino alla caverna sotto il grande castello di Capo Tempesta.
 
-Ricorda, Dale- lo ammonì Davos, prendendo il figlio per un braccio e tirandolo avanti a tutti gli uomini dell’equipaggio, intenti a scaricare le provviste di pesce salato e cipolle nella piazzetta centrale del castello. –Ai lord piace quando uno come noi si inginocchia a lui. Quando gli dimostriamo di essere inferiori. Appena arriva il lord, tu abbassa la testa e inginocchiati, e vedrai che sarà felice.-
Dale annuì, poco convinto. Non voleva sottomettersi a un lord che dipendeva da lui. Era merito suo e di suo padre se quel lord sarebbe sopravvissuto altri giorni, se non sarebbe morto di fame. Eppure doveva sottomettersi, accettare quelle sue presunzioni.
Tutto ad un tratto l’aria gelida di Capo Tempesta sembrò farsi ancora più fredda quando, da dentro il castello, arrivarono voci e rumore di metallo. Uscirono diversi cavalieri, emaciati e dalle armature ormai larghe per i loro corpi sofferenti, e tra loro un ragazzino. Non doveva avere che pochi anni in più dello stesso Dale, alto oltre i due metri, superava di almeno una testa tutti i suoi cavalieri. I vestiti scuri cadevano sul suo corpo pelle e ossa male, facendolo sembrare ancora più gracile e malato di quanto il suo viso scavato e severo, troppo severo per la sua giovane età, già non sembrasse. La sua pelle diafana sembrava essere tanto delicata e sottile da poter essere rotta anche solo a sfiorarla, e su essa i suoi ribelli capelli neri e gli occhi blu come il cielo all’alba risaltavano, anche troppo.
Dale si inginocchiò, come disse il padre poco prima, ma, alzando appena la testa, notò che Davos non lo fece. Rimase a osservare il giovane lord negli occhi, con uno strano sguardo che ancora non gli aveva mai visto. Si inginocchiò lentamente, quasi controvoglia quando il giovane nobile gli fu a qualche passo di distanza. Sul suo viso austero si formò quasi un sorriso.
-Mio lord…-
-Non sono nessun lord, contrabbandiere.-
Anche la sua voce era immatura, ancora giovane. Questo è solo un bambino, pensò Davos, rialzando la testa. –Ser?-
-Preferisco i libri alla spada. Ritenta.-
Davos alzò un sopracciglio, divertito da quella sfida, anche se la situazione era tutt’altro che divertente. –“Mio signore” può andarti bene?-
Il ragazzino moro si lasciò scappare un mezzo sorrisetto soddisfatto sul volto austero. –Può andare.-
Davos si alzò in piedi, con una strana foga, e Dale subito dopo di lui.
-Sono qui per portarti questo carico di pesce e cipolle, mio signore.-
Il ragazzetto moro passò lo sguardo sulle casse stracolme di cibo dietro di loro, sfregando le dita sul mento ancora sbarbato. –E dove l’hai trovato?- chiese, con tono accusatorio. Davos alzò le spalle. –Ha importanza ora?-
-No, ora non ce l’ha.-
Gli occhi blu scuro del giovane nobile passarono su tutto il corpo del contrabbandiere, studiandolo con attenzione e con una certa nota di divertita curiosità. Nel modo in cui lo guardava, sembrava quasi confuso. Poi il suo sguardo passò su Dale, e il giovane sentì un brivido percorrergli la schiena. Il suo sguardo era cambiato, più rigido e distaccato. Si sentì perforare da quegli occhi, che con la luce dell’alba sembravano quasi cambiare colore. Quasi neri di notte, col sole che pian piano saliva in cielo cambiano tinte e sfumature, passando da un blu scuro a quasi un violetto, per poi tornare blu, più chiari e ancora più intensi. Dale abbassò istintivamente lo sguardo, e sentì il nobile sbuffare.
-Io sono Stannis Baratheon, castellano di Capo Tempesta e fratello minore di Robert, lord di questo castello. Ti ringrazio per questo carico, ci hai salvato la vita.-
Senza mostrare nessuna calorosità né gratitudine, si voltò verso i propri uomini, in attesa dietro di lui. –Spartite il cibo per tutti gli uomini della fortezza, in egual numero. Non voglio differenze.-
Si voltò appena verso Davos, uno strano sguardo negli occhi. –Seguimi. Abbiamo affari di cui discutere.-
Senza aspettarlo girò i tacchi e si diresse verso la torre principale del castello, a passi veloci, troppo veloci, seguito a malapena da Davos. Dale, terrorizzato e confuso, si aggrappò alla schiena del padre e lo seguì, esitante.
Il castello era buio, freddo e spiacevole, e al suo interno echeggiavano pianti ti donne e bambini. Dale sentì un brivido lungo la schiena, di nuovo. Quel posto non gli piaceva, ma non poteva far altro che seguire il padre.
Stannis si aggrappò con la mano scheletrica al corrimano e salì le scale di pietra due a due con le sue lunghe e affusolate gambe tremanti, seguito a poca distanza da Davos, ben più basso e con più anni sulle spalle del giovane Stannis, per il quale già un gradino era fin troppa fatica.
-Stannis!- gridò una voce, alla fine della rampa. Un uomo anziano, vestito da maestro, fece capolino dal muro alla fine delle scale. –Fai con calma, sei debole, non mangi da giorni!-
-Taci, Cressen.- ringhiò il ragazzo moro a denti stretti. Salì la scalinata sempre più lentamente, il viso sempre più congestionato e il fiato sempre più corto, ma arrivò in cima. Una volta al fianco del maestro, però, collassò a terra dalla fatica.
Davos corse quasi per raggiungerlo, stranamente preoccupato, e si inginocchiò al fianco del ragazzino. Il maestro sembrò quasi non reagire, inginocchiandosi a sua volta e passando una mano sulla fronte madida del ragazzo. –Succede troppo spesso, ormai.- sussurrò all’incredulo contrabbandiere.
-È sempre stato un bambino malaticcio… senza mangiare da così tanto tempo non ha fatto altro che peggiorare la sua condizione.-
Alzò lo sguardo su Davos, abbassando ulteriormente il tono di voce. –Per cortesia, aiutami a portarlo nelle sue stanze… sono troppo vecchio per sollevarlo, ormai…-
Davos annuì con sicurezza e passò le braccia sotto al corpo pelle e ossa del giovane, sollevandolo fin troppo facilmente. Era ben più alto di Davos, ma non pesava nulla.
-Dale, torna dagli altri, e rimani là.- lo ammonì suo padre, tenendo Stannis tra le braccia, protettivamente. Dale rimase a fissarlo, incredulo e contrariato.
-Dale!- gridò ancora Davos, ben più nervoso. –Fa’ quel che ti dico, subito!-
Dale strinse i pugni e, contrariato, scese di nuovo le scale. Non voleva che suo padre fosse così preoccupato per un lord. Aveva rischiato di essere catturato e ucciso dai nemici pur di portargli dei rifornimenti, e ora questo. Uscì dal castello e non si voltò.
 
-Non è nulla di che, non devi preoccuparti così tanto, Ser..?-
-Non sono un cavaliere.- lo ammonì Davos. –Sono solo un contrabbandiere di Fondo delle Pulci.-
Cressen rimase seduto sul bordo del letto, a osservarlo con attenzione. –Sei un buon uomo, Davos.-
Davos aggrottò la fronte ma non alzò lo sguardo dal ragazzo svenuto, che aveva portato fino al suo letto nella sua solitaria stanza. –Sono un contrabbandiere, ho fatto anche tante cose cattive.-
-Ma hai portato cibo qui per noi.-
-Per i soldi-
-Mi hai aiutato a trasportare Stannis fino a qui quando è svenuto.-
-Per avere una ricompensa maggiore.-
Cressen lo fissò con sdegno. –Non mentire, non a me. Conosco gli uomini, e non sei uno di quelli che usa queste situazioni. Lo vedo nei tuoi occhi, ho visto la compassione e la preoccupazione.-
Davos non seppe fare altro se non voltarsi a osservare il mare, fuori dalla finestra della stanza. Era vero, si era preoccupato per quel castellano, quel ragazzino poco più grande del suo Dale, gracile e debole, eppure così forte, così nobile, con così tanto peso sulle sue magre spalle.
Non rispose perché non aveva nulla da rispondere. Non era mai stato capace di mentire.
La porta della camera si aprì, e una magra servetta entrò barcollando nella stanza, tenendo un pesante vassoio su una mano e un bambinetto con l’altra. Era magro, roseo e iperattivo, con grandi occhi verde-blu e folti capelli neri, scompigliati sulla sua testolina sempre in movimento. Tra le manine magre teneva una cipolla, che continuava a mordicchiare. A ogni morso faceva uno strano versetto.
-Brella, lui è il cavaliere che ha portato le cipolle??- squittì lui, sfuggendo alla presa della donna e correndo incontro a Davos. L’uomo si lasciò scappare un sorriso e alzò il bambinetto per le ascelle, prendendolo in braccio. Il bambino, doveva essere il fratellino minore di Stannis, aveva a malapena l’età del suo Matthos, che aveva lasciato a Fondo delle Pulci.
-Non sono un cavaliere, mi spiace.- gli disse con calma. Ma il bambino sembrò non ascoltarlo. –Sei il Cavaliere delle cipolle!- gridò, agitandosi tra le sue braccia. –Sei venuto a salvarci!- gridò ancora, abbracciandolo. Davos non potè fare altro che abbracciarlo a sua volta, ricevendo gli sguardi sollevati della servetta e del maestro.
Brella appoggiò il vassoio con una mezza cipolla striminzita e una striscia di pesce secco sul mobile al fianco del letto su cui riposava il giovane castellano, assieme a un bicchiere d’acqua.
Brella si avvicinò a Davos, aprendo le braccia e cercando di riprendere il bambino, che fissava il fratello sul letto, immobile. –Andiamo Renly, vieni con me.- disse, con dolcezza. Il bambino negò, scoppiando tutto ad un tratto a piangere. –Stanny! Voglio Stanny!- urlò, premendo il viso contro la spalla di Davos. –Voglio rimanere con Stanny…-
“Stanny” è un nomignolo carino, si ritrovò a pensare Davos. Rimase perso nei suoi pensieri mentre, lentamente, Stannis Baratheon si risvegliava dal suo torpore, tirandosi a sedere e stringendo le coperte tra le dita. Il suo sguardo vagò dalla serva al maestro, fino allo stesso Davos. Sgranò gli occhi e si rialzò le coperte sul petto, come se fosse nudo davanti a un’intera folla, benchè gli fosse stata solo tolta la pesante casacca, rimanendo con una camicetta larga sul suo corpo macilento.
-Stannis, sei svenuto sulle scale…- tentò Cressen, ma il ragazzo alzò un braccio, diventando paonazzo in viso, per l’imbarazzo, o forse per essere così osservato.
-Fuori. Tutti.- tuonò, fuori di sé dalla rabbia. Brella aprì la porta e si fiondò fuori da essa, seguita da Cressen, ben poco convinto. Davos non voleva farsi aspettare, ma il bimbo tra le sue braccia scoppiò a piangere e gridare il nome del fratello. Senza nemmeno pensarci, Davos si avvicinò di nuovo al letto del ragazzino, che continuava a fissarlo con le guance rosse e lo sguardo pieno di astio, appoggiò Renly sulle sue gambe e premette istintivamente una mano sulla testa di Stannis. Al contatto il ragazzo si irrigidì, sbiancando tutto ad un tratto. Davos gli scompigliò i capelli e tornò verso la porta, come se nulla fosse. Potrebbe essere mio figlio, potrebbe essere Dale. Stannis si strinse il fratello al petto, rimase a fissarlo mentre usciva e si passò a sua volta una mano tra i capelli, annodati e incrostati di sale.
-..contrabbandiere. Aspetta.-
Davos si voltò, sorpreso, non aspettandosi di certo altro da quel ragazzetto tanto austero.
Stannis aprì le labbra, cercò di dirgli qualcosa, ma si morse le labbra e abbassò la testa, come se le parole non volessero abbandonare la sua gola. –Ti ringrazio per… per le scorte. Puoi andare.-
Dopo un mezzo inchino, il contrabbandiere annuì e si richiuse la porta alle spalle, pensieroso. Cosa avrebbe voluto dirgli il ragazzo, per lui, era ancora un mistero.
 
L’equipaggio della rozza barca che aveva chiamato Nave Nera, ma che probabilmente non meritava nemmeno un nome per quanto povera e grezza era, si riversò nella grossa sala centrale di Capo Tempesta. Per la prima volta dopo mesi, la grossa tavolata era imbandita, e i cavalieri e i servi di tutto il castello erano riuniti a brindare e cenare assieme, con le poche cipolle e i pochi pesci portati sulla Nera, assieme a fiumi di vino. Sugli spalti, Stannis sedeva a capotavola, mani conserte e sguardo severo, vestito con un elegante farsetto nero e dorato. Al suo fianco, il piccolo Renly giocava con un cervo scolpito nel legno.
-Ah, il mio contrabbandiere.- annunciò a voce alta Stannis, alzandosi in piedi. Allungò un braccio verso di lui, muovendo la larga manica e invitandolo sullo spalto al suo fianco, dove vi erano due sedie vuote. Davos gli sorrise, e a grandi falcate salì sul palco. Era la zona dei nobili, dei padroni del castello e dei ricchi ospiti. Non quella dei contrabbandieri.
Stannis scostò la sedia e rimase ad attenderlo, con sguardo severo puntato su di lui. Dale era dietro di lui, terrorizzato. Non l’aveva mai nemmeno visto, un castello, e ora fare parte della corte gli sembrava qualcosa di incredibile, spaventoso. Suo padre, senza esitazione, si sedette al fianco di Stannis, e sulle labbra sottili del ragazzo sembrò quasi formarsi un sorriso di sollievo. Dale si sedette al suo fianco, a disagio. Non gli piaceva quella postazione così visibile, non si sarebbe mai abituato a guardare gli altri dall’alto al basso. Vennero servite una misera cipolla bollita e un filetto di pesce essiccato, annacquato con tanta, troppa birra di bassa qualità. Lord Stannis mangiò appena, dando il proprio filetto di pesce al fratellino minore, con molto più appetito di lui. Non badava al cibo perché era troppo occupato con Davos. Era quasi rapito da lui, rimaneva appoggiato con il gomito al tavolo e il mento alla propria mano, ad ascoltare qualsiasi stupida storia da ubriaco che Davos gli raccontava. Dale notò che suo padre, ormai, era ubriaco marcio. Raramente l’aveva visto così propenso a perdere completamente lucidità. Balbettava e strascicava le parole, col viso completamente rosso e un sorrisone sulle labbra bagnate dalla birra, un braccio buttato dietro le esili spalle del giovane lord. “Non ubriacarti mai con gli estranei, Dale” soleva dirgli suo padre. “sono tutti nemici, là fuori. Sii sempre lucido” gli aveva ripetuto almeno un centinaio di volte. E ora lo ritrovava lì, seduto al suo fianco, praticamente addosso a quel ragazzino. Dale realizzò con ritardo che forse era una sua tattica per volere qualcosa da lui. Più gioielli, una ricompensa maggiore? Poteva essere per ingraziarsi quel lord tanto duro e severo, quanto giovane e inesperto.
A giudicare dalla timida mano di Stannis sul ginocchio di suo padre, il ragazzo apprezzava le attenzioni di Davos. Dale sentì il sangue salirgli alle tempie. Quel ragazzino doveva avere circa la sua età, e non sarebbe stato difficile, con qualche pugno ben assestato, rompergli quel suo grosso naso.
Afferrò la manica del padre e la strattonò con forza, e Davos si girò scocciato verso il figlio, fissandolo male. –Sono impegnato- sbottò, in maniera molto più comprensibile. Non è davvero ubriaco, pensò Dale con un sospiro di sollievo. I suoi occhi grigio pallido erano lucidi e decisamente poco fermi, notò anche. E le sue paure tornarono a galla. Forse lo è.
-Se sei stanco vai a dormire, io ho degli affari da fare. Vai, è tardi.-
Con una mano lo scacciò e gli rivolse un mezzo sorrisetto, tornando a voltarsi verso il giovane castellano, intento a fissarlo con forse fin troppa insistenza. Dale si alzò di scatto, fece cadere la sedia, e scese dal soppalco, camminando a passi pesanti fino alla spoglia camera che era stata assegnata a lui e suo padre. Lanciò gli stivali incrostati di sale contro il mobile vicino al suo vecchio letto, accese una candela su esso e si tuffò sotto le coperte, voltato verso il letto del padre. Non aveva sonno, voleva aspettarlo per parlargli, per discutere di cosa volesse fare.
Non poteva rimanere a Capo Tempesta, non voleva rimanerci, odiava quel posto e tutti quei nobili, e odiava come si comportava suo padre Davos con loro. Non era più un capitano, lì in mezzo a quei maledetti nobili e cavalieri. Non era l’uomo forte e coraggioso e sempre pronto ad agire, amato e rispettato da tutti com’era sulle sue navi. Lì era considerato come feccia di Fondo delle Pulci, poco più che un animale. Da quasi tutti, almeno. Le attenzioni di quel ragazzetto magrolino e deboluccio, dagli occhi gelidi e tremendi, erano fin troppe. Lo odiava, lo odiava più di tutti gli altri lord e ser in quel maledetto castello.
In quei pensieri Dale non si accorse di essersi addormentato, e quando se ne accorse la candela era ormai esaurita e il sole trapelava dalle spesse imposte della finestra. Si alzò e scalciò via le coperte, voltandosi verso il letto del padre e trovandolo esattamente come la sera prima. Intatto, vuoto, freddo.
Dale tirò un pugno al materasso e scoppiò a piangere.
 
Davos non aveva mai davvero fatto un bagno caldo. Da ragazzino aveva fatto il bagno del fiume delle Acque Nere, da giovane aveva provato i famosi bagni di Bravos in compagnia di qualche donnetta, e anche di qualche ragazzotto. Per Davos, uno o l’altro non avevano mai fatto davvero differenza.
Per la prima volta, quel giorno aveva fatto il bagno in una vasca in un castello. Era talmente grossa che, seduto con la schiena contro il bordo e le gambe stese davanti a sé, non riusciva a toccare il bordo opposto. Stannis gli raccontò che era appartenuta alla sua famiglia da qualche generazione, e che tutti i Baratheon erano dei mostri di due metri, raramente anche oltre. Stannis sembrava uno di quelli, già sui due metri a diciotto anni, e in quella vasca stava stretto. Le gambette magre e lunghe, lunghissime rimanevano piegate, strette al suo petto pallido, e… Davos l’aveva intravisto attraverso la porta socchiusa dei bagni, mentre si preparava prima della cena serale, e quella immagine l’aveva accompagnato per tutta la serata.
Sperava di riuscire ad ubriacarlo, fargli perdere quell’aria fredda e dura che lo accompagnava perennemente con l’alcool, ma delle semplici attenzioni, battutine, un braccio dietro alle spalle e qualche carezza più delicata bastarono a scioglierlo. All’inizio voleva solo amicarselo un po’, ma col passare del tempo la situazione si fece ben più pesante. Forse per troppo alcool, forse per quell’ancestrale voglia che Marya, che per quanto si sforzasse non poteva soddisfare, Davos si risvegliò nella camera del giovane castellano. Il ragazzo se n’era andato, sparito nel nulla. Davos non aveva ben chiaro cosa fosse successo la notte prima, non voleva nemmeno scoprirlo, e decise di chiarirsi le idee con un lusso che forse non si potrà mai più permettere.
Finito il bagno, rindossò gli stessi vestiti della notte precedente e sgattaiolò via dai bagni, spogli a quell’ora, sperando di non essere visto, dirigendosi fuori dal castello, ancora confuso e parecchio spaventato. Ripensò alle sue stesse parole. Potrebbe essere mio figlio. Si morse il labbro inferiore a sangue e tirò un forte pugno alla porta, lasciando lo scuro legno sporco di sangue. Il sangue sulle sue nocche lo fece sentire meno disgustato di sé stesso. Dove stava andando? Cosa stava facendo?
Girò i tacchi e tornò alla propria camera, in cui non era davvero mai entrato, trovando il figlio seduto sul letto, le mani tra i capelli, e gli occhi lucidi e rossi.
Aprì la bocca, fece per sgridarlo, per parlargli, forse semplicemente per urlare, ma Davos non aveva voglia di sentire nulla del genere.
-Partiamo. Prendi quello che devi ed esci, torniamo a casa.-
La sua bocca rimase spalancata nello stupore generale. –Ma tu hai…-
-Io non “ho” niente. Non è successo niente. E tu non sai niente. Alzati e andiamocene, o giuro che ti lascio qui a morire di fame.-
Con le casse ora vuote di cibo e piene di draghi d’oro, cervi d’argento e monete di rame, Davos e la sua ciurma erano pronti a salpare. Davos non voleva voltarsi, non voleva guardare ancora quegli occhi blu, così distanti e così tremendamente bisognosi di vicinanza, non voleva ancora perdersi in quel mare troppo profondo per un uomo semplice come lui. Ma si voltò comunque, verso il giardino davanti al castello, e il suo sguardo si intrecciò con quello del ragazzo.
-Eddard e gli uomini Stark stanno arrivando e spingono le forze di Mace Tyrell verso… Stannis? Mi stai ascoltando?- disse il cavaliere davanti a lui. Ma per Stannis, in quel momento non esisteva nessun Eddard e nessun Mace. Scostò il cavaliere e a passi veloci si avvicinò al capitano della nave nera.
-Te ne vai?- si lasciò scappare il giovane, con un tono più disperato che accusatorio. –Di già?-
Davos annuì, abbassando il capo. –Sì, mio signore.-
-Ieri notte non avevi tutte queste attenzioni ai titoli nobiliari, contrabbandiere- sussurrò il ragazzo. Davos si bloccò, il sangue gelato nelle vene. Alzò appena lo sguardo, gli occhi sgranati e pieni di terrore. –Mio signore, io…-
Stannis alzò un braccio, bloccandolo. –Non parlare, contrabbandiere. Non ti ho ringraziato in maniera adeguata. Non ti sarò mai riconoscente abbastanza, credo. La mia verginità non mi sembra una ricompensa decente per un carico di scorte per un intero castello sotto assedio.-
Si voltò e si guardò intorno, sicuro di non essere ascoltato. Tornò di nuovo a guardare Davos negli occhi, dall’alto in basso, senza superbia. Gli rivolse un mezzo sorriso. –Ma sei comunque un lurido pirata.-
-C’è differenza, tra pirata e contrabbandiere…-
-Non m’interessa, Davos.- lo interruppe, con una nota di nervosismo. –Tu hai fatto del bene, ma hai fatto del male. Un atto buono non cancella uno cattivo, né uno cattivo quello buono. Avrai la ricompensa, ma sarai punito. Se ne hai il coraggio, contrabbandiere, se sei davvero così sincero, vieni da me dopo che l’assedio sarà finito. Io sarò qui ad aspettarti.-
Prese la sua mano destra nella propria, bollente e scheletrica. Davos non potè fare altro che alzare la testa, e perdersi in quel mare in tempesta, quelle iridi che gli chiedevano, gli imploravano di tornare da lui. Non abbandonarmi, Davos, gli dicevano. Non anche tu.
L’uomo non seppe come rispondere. Abbassò la testa, si inchinò rozzamente, prese una cassa con all’interno qualche sacchetto di spezie provenienti da Tyrosh, o forse dalle Isole dell’Estate, e si voltò, scendendo le scale esterne a Capo Tempesta che portavano alla grotta sotto al Golfo dei Naufragi, dov’era attraccata la sua nave nera. Suo figlio lo stava aspettando, e assieme a lui tutto il suo equipaggio. Ormai il sole stava calando, l’ora era buona per tornare ad Approdo del Re, per scappare da Stannis.
 
Marya decise di aspettare dentro casa il ritorno del marito, seduta vicino al fuoco, accarezzandosi lentamente il pancione sempre più grande sotto la vecchia tunica di lana grezza. Maric, ha deciso di chiamare il bambino. Come suo padre, il suo buon padre che le fece sempre vivere una vita felice, e mai la fame. Era un carpentiere, e Marya sperava che anche il suo piccolo Maric, un giorno, potesse diventarlo. O un pescatore. Non un contrabbandiere, tuttavia. Non aveva mai amato il lavoro del marito, se poteva essere definito lavoro: mesi, anni e mesi senza mai tornare a casa, traffici strani, e sempre più ferite sul corpo sempre più stanco di Davos, ogni volta che tornava a casa.
-Mamma! Papà è tornato!- gridò Allard, saltando giù dal davanzale della vecchia casupola di Fondo delle Pulci e fiondandosi alla porta, aprendola di forza e correndo fuori di casa. Rientrò pochi secondi dopo, però, con uno sguardo strano e senza parole. Troppo strano per l’iperattivo Allard.
Marya si alzò a fatica dalla vecchia sedia e si avvicinò alla porta, preoccupata, per ritrovarsi poco dopo tra le braccia del marito. Alzò lo sguardo sul suo viso, ma non era più Davos. Non quel ragazzetto che aveva sposato, troppi anni prima. Nella sua folta barba castana ormai le macchie grigie agli angoli delle labbra erano sempre più ampie, i suoi occhi grigi avevano una scintilla diversa che li faceva brillare. Cos’era quel bagliore? Quel giorno le sue iridi erano grigio scuro, sembravano quasi blu.
-Davos, cos’è successo?- sussurrò Marya. Lui tentò di sorriderle, ricambiando a fatica l’abbraccio e staccandosi quasi subito. –Sono stanco, lasciami entrare in casa, ti prego.-
Dopo una frugale cena, Davos si decise finalmente a parlare. La sua mano destra era guantata, come non era mai stata, e tenuta sempre nascosta. Marya l’aveva notato, ma aveva deciso di non dire niente: Davos odiava che gli rovinassero le sorprese.
-Lord Stannis è stato gentile, con me. Anzi, no. È stato giusto.-
Marya si voltò a guardare Dale, che si irrigidì sulla sedia. Dale le aveva detto tutto, quel giorno di quasi un anno prima. Papà non è tornato la notte, papà si è scopato quel moccioso di merda, io lo odio, papà non ti ama più?
Davos non sapeva che lei sapeva. Non voleva rovinargli la sorpresa, nemmeno in questo caso. Marya, in qualsiasi caso, continuava ad amare Davos come il primo giorno in cui si erano conosciuti. Non importava se suo marito, di tanto in tanto, voleva andare a sfogare qualche suo istinto con quel ragazzo. Era giovane, ma che importanza aveva? Il marito di sua sorella frequentava regolarmente bordelli pieni di ragazzine. Che differenza faceva, una puttanella a Fondo delle Pulci o il figlio di un lord a Capo Tempesta?
Davos finalmente sorrise. –Lord Stannis mi ha ringraziato nel migliore dei modi.-
Aprendo le gambe?, si ritrovò a pensare Marya. Scacciò quei pensieri. Lei amava suo marito, e non era in nessun modo infastidita dalla sua scappatella. Perché solo questo ora: una voglia passeggera di carne fresca, se su quelle ossicina di carne ce n’era ancora. Non era infastidita, continuava a ripetersi. Non lo era.
-Io sono Ser Davos, ora. E noi siamo la famiglia Seaworth. Lord Stannis mi ha concesso il cavalierato, un castello, una nave! Un futuro per tutti noi!-
Marya smise di pensare e si alzò in piedi, buttandosi tra le braccia del marito e scoppiando a piangere. Lui la strinse con forza, e presto si ritrovarono tutti i bambini addosso. Anche Davos quasi si concesse una lacrima di felicità, o forse di dolore. Strinse la mano destra al petto. -…ma tutto ha un prezzo.-
Si sfilò il guanto e alzò ciò che rimaneva della mano destra.
Marya sentì il sangue gelarle nelle vene. –Lord Stannis mi ha dovuto punire per quello che ho fatto. Ero un contrabbandiere, ho contrastato la legge. È stato giusto così. Lord Stannis è un uomo giusto, mi ha dato per le mie giuste azioni, e mi ha tolto per quelle sbagliate. Ora potrò servirlo al meglio.-
Seduta su una sua gamba, Marya rimase a guardarlo negli occhi. Era diverso. Qualche anno prima, se qualcuno si fosse azzardato anche solo a minacciarlo in una maniera simile, sarebbe stato picchiato a sangue. Invece ora Davos era felice nel mostrarle quel moncherino sanguinolento coperto di bende ormai rosse e incrostate. Un uomo inchinato, ligio ad un lord, un cavaliere come tanti che per tutta la sua vita ha sempre schernito.
Cosa ti ha fatto, pensò lei. Cosa ti è successo? Chi sei?
 
Ogni volta che ripensava a quella lettera, il morso sul suo collo doleva, bruciava. Ti ho amata, scrisse mentre ancora era sicuro di morire, giù nella Tana del Lupo a Porto Bianco. Davos non è mai stato in grado di mentire, e dirle che ancora la amava con tutto il suo cuore sarebbe stata una crudeltà. Ama i suoi figli, più della sua stessa vita, e prova un grande affetto per la sua Marya. Ma amore è un termine che, ormai, Davos non sa più usare. Davos amava la sua vecchia, dolce, paziente moglie, che lo sopportò e lo aspettò, e diede alla luce i suoi sette figli.
Si scostò la pesante sciarpa e tastò la base del collo, premendo ciò che rimaneva delle sue dita contro il profondo morso sulla sua pelle.
-Voglio che tu ricordi a chi appartieni, a chi devi tornare- gli ringhiò Stannis, leccandosi via il sangue dalle labbra, una notte di qualche settimana prima a Forte Orientale. –Questo freddo ti fa dimenticare anche di essere vivo. Ma tu mi devi ricordare, Davos, devi ricordarti di tornare da me, vivo.-
E Davos ricordava, anche fin troppo bene. Anche sulla prua di quella nave, sferzata dai venti freddi del Mare dei Brividi, diretta verso la tremenda Skagos. Non sapeva cosa avrebbe trovato là, se avrebbe davvero scovato il giovane Stark e il suo metalupo o, soprattutto, se sarebbe tornato.
Ma Davos doveva tornare, l’aveva promesso. L’aveva promesso nella lettera a Marya e l’aveva promesso sotto le pellicce nel letto di re Stannis.
Era in quella situazione per quel maledetto giorno, in cui, per un motivo o un altro, decise di sfidare la flotta dei Tyrell con la sua piccola nave nera e portare cibo e scorte agli uomini dei Baratheon, assediati da ormai quasi un anno. Quel giorno in cui annegò per la prima volta negli occhi blu di Stannis Baratheon, in cui mise davvero in dubbio tutto ciò in cui sapeva, o aveva creduto di sapere. In cui cambiò qualcosa dentro di lui, si ruppe, si spezzò e mutò, e nemmeno dopo diciotto anni sapeva bene cosa.
Si aggrappò con più forza alla balaustra, mentre tra il vento e la nebbia del gelido mare del nord, all’orizzonte, tra grigio e grigio, si iniziava lentamente a scorgere la costa nera dell’isola di Skagos.
Tornerò da te, e lo farò per amore.
Ma chi amava davvero Davos?
 
 
 
 
Note dell’autrice
Ciao! Sono Al, e sono nuova nel fandom di ASoIaF/GoT. È la prima fanfiction su questo fandom, e sulla mia grande otp di tutta la serie, la Stannis/Davos! Amo le loro interazioni, e adoro come entrambi siano così profondamente legati l’uno all’altro.
Ho iniziato le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco da circa un anno, e ho finito tutti e cinque i libri qualche mese fa. Premetto che non ho seguito la serie, ma purtroppo mi sono ritrovata ad amare profondamente i design degli attori della serie tv rispetto al libro… miserere di me… Spero vi sia piaciuta, grazie per la lettura, e le recensioni sono sempre ben accette! Ciao!
 
Parentesi per chi già mi conosce: prometto che sto andando avanti con DH, la mia lunga fanserie di JoJo per ora in pausa. Davvero. Lo giuro. Il capitolo 19 uscirà presto (SPERO) ma perdonatemi per questo piccolo sgarro… non linciatemi….
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones / Vai alla pagina dell'autore: AlsoSprachVelociraptor