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Autore: PawsOfFire    01/05/2017    3 recensioni
Holger Ivarsson è un artista.
Un uomo di incredibile fascino e di infinita cultura, logorato dai suoi demoni interiori che lo spingono a ricercare la forma più pura e perfetta di bellezza.
Le sue opere, sempre in bilico tra la vita e la morte, sono capaci di suscitare ammirazione e disgusto da parte del pubblico. Un incontro casuale durante la sua personale a Londra sarà la chiave per trovare la perfezione che, struggendosi, ha sempre ricercato.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Siamo tutti sinceri davanti agli occhi di Dio”

 

Lente salivano le ombre di un lucente mattino londinese. Nelle grigie ombre del Tamigi scivolava, tremante, il riflesso della ex fabbrica che adesso è il Tate Modern. Con il suo imponente torrione salutava i migliaia di turisti che si ammassavano sul Millennium Bridge, il suggestivo ponte d’acciaio che collega il passato al presente, il Globe al Tate.
I grossi manifesti di Holger Ivarsson ondeggiavano sospinti da un dolce venticello primaverile. Immensi e neri, i teloni verticali riportavano il suo nome in caratteri cubitali. “Profano”, il nome della mostra, era rievocata dal celebre gatto d’oro massiccio e rubini che alzava il braccio sinistro come un novello nazista, i lineamenti tonti e pacioni di un gatto della fortuna orientale.
“Siamo in coda da ore” commentò una ragazza dal forte accento danese, schiacciata dal fiume umano che si addensava davanti alla biglietteria.
“Pensavo fosse una cosa di nicchia, un’arte macabra ed ironica che interessa solo a quelli della mia età” un londinese sulla cinquantina fumava un grosso sigaro guardando grottescamente Hymn, la statua di bronzo dalle forme plastiche esposta all’entrata “ Io c’ero, sa? Ma non ebbi l’onore di esporre assieme a loro.”

 


Scalzando il gruppo di animalisti che provocatoriamente si esponevano imbrattati di vernice rossa l’artista stesso ebbe difficoltà ad accedere alla sua stessa mostra. Tra le ampie pareti di acciaio e vetro, l’imponente ingresso ostentava la modernità ed il futuro tra pannelli rettangolari e spirali di ferro che si innalzavano al cielo, tra i negozi di souvenir ed i turisti scocciati che desideravano solo vedere la mostra gratuita e permanente, confusi da quel vortice confuso di protesta ed ammiratori di Holger Ivarsson, armati di contanti sonanti e visibilio per il primo giorno di apertura della mostra, durante il quale avrebbe presenziato l’artista stesso.

Quando i primi biglietti vennero stampati finalmente i visitatori poterono accedere alla mostra, sviluppata su piano unico e quattro sale quadrate disposte simmetricamente. Il gatto dorato salutava il loro ingresso a braccio alzato.

“E’ gatto della fortuna” commentava una giovane donna con le amiche.
“Ma io non capisco. Se è così fortunato, perché alza il braccio come un nazista? Ha perfino i baffetti.”
“I gatti della fortuna alzano il braccio destro. Lui alza il sinistro in modo provocatorio e beffardo. L’arte era amata e perseguitata durante il regime nazista. Quadri trafugati e nascosti perché troppo belli per essere bruciati...il gatto saluta la stessa fortuna che si sta procurando. Plasmato in oro e fiamme... benedetta sia l’arte del fuoco affinché espii i suoi peccati per elevarsi alla vita eterna.”
Le giovani sussultarono quando giunse inaspettato il commento dell’artista. Non credevano di poter avere questa sfacciata fortuna. Balbettarono qualche parola confusa, lo sguardo a terra alla ricerca di una reazione intelligente nei confronti di Holger Ivarsson.
Un uomo di indubbio fascino, stretto in un magnifico completo nero firmato Hugo Boss. Al suo passo una dolce nota di acqua di Colonia ondeggiava nell’aria.
Nonostante la vita dissoluta della gioventù, il quarantenne svedese si presentava con una certa classe. La salinatura nei capelli scuri, la mascella forte e gli imperscrutabili occhi di ghiaccio erano capaci di conquistare chiunque, in aggiunta alla sua parlantina colta e sofisticata, seppur definita da alcuni critici “profetica e totalmente folle, irrazionale.”
Le giovani, inizialmente turbate, si fecero autografare il biglietto per poi nascondersi in un’altra sala, borbottando un “che figura di merda...” a labbra strette.


A seguire, dopo il gatto ed il trittico sul sacrificio dei libri, nella seconda sala, il freddo la faceva da padrone. Al centro, nella bianca e spoglia stanza asettica, unblocco di ghiaccio contenente un agnello dominava lo spazio. Il frigorifero era il suo altare ed il freddo preservava entrambi, protetti da uno spesso cubo di vetro.

L’artista era lì, con loro.
“Che orrore!” commentò una donna sulla trentina, storcendo il naso dal disgusto ma senza staccare gli occhi dalla gracile figura animale.
“E’ l’agnello divino. Vede? Il ghiaccio ne preserva la bellezza e la purezza di chi non ha mai conosciuto il mondo...vive una vita eterna nella sua bolla di ghiaccio che nessuno può toccare...un giorno, forse, la tecnologia potrà farlo tornare in vita. E’ perfettamente intatto. Come se dormisse.”
La donna si voltò. Holger era lì, accanto a lei, con le braccia appoggiate lungo la transenna che impediva ai visitatori di avvicinarsi all’opera. Guardava lei e guardava l’opera, difficile capire quale dei due ammirasse di più.
“Mi perdoni, non me ne capisco molto di arte” commentò lei, in lieve imbarazzo.
“L’arte è bellezza ed essa è presente in ogni nostro sguardo. Io sono Holger Ivarsson, lei come si chiama?”
“Mi chiamo...Alice Foster. Sono...sono una modella ma nel tempo libero mi piace venire qua, insomma...è bello.”

La giovane fu colta in sprovvista da quegli occhi azzurri che scrutavano ogni suo movimento, cogliendo sfumature nella sua mimica come nessun altro era mai riuscito a fare prima d’ora.
“In...in realtà sono una ballerina. Poso per un’accademia d’arte qua a Londra.”
“Quindi sa apprezzare la bellezza, vivendo in un mondo circondato di bellezza.”

Alice sorrise, abbassando lo sguardo. Le mani sembravano fatte melma, scivolando l’una nell’altra con le dita che parevano martoriarsi a vicenda. Fu solo grazie all’arrivo tempestivo di un affabile critico d’arte che Holger interruppe la strana conversazione per dedicarsi a lui.

Solo nella terza sala, dove bombe a grappolo e micce di dinamite erano camuffate da uccelli tropicali, che i due si incontrarono di nuovo.
Questa volta la giovane venne colta da una spiacevole sensazione di imbarazzo. L’artista le scivolò nuovamente accanto, sfiorando le spalle con le dita.
“Mi scusi, non volevo toccarla.”
“Si figuri...c’è molta gente. Si fatica a camminare.”
“Siamo appesi ad un filo. Non crede, signora Foster? Come questi uccelli. Sono bellissimi e variegati. Ed esplodono. Mi strazia sapere che tutto ciò che è bello non sempre dura in eterno.”

Quelle parole le misero una certa angoscia. Ma quell’uomo era come un magnete. Sembrava recitare una parte studiata a tavolino. Il fatto che si ricordasse il suo cognome la metteva a disagio, ma non poteva scappare. Non ancora.
“Cosa mi dice dunque della quarta sala? È vuota.”
“Venga con me. Le spiegherò la mia visione del mondo.”


“Il nulla è meraviglioso. La negazione della bellezza è ancora più bella della bellezza stessa. Perdoni il gioco di parole. Anche le meraviglie hanno dei difetti. La non essenza è perfetta. Perchè non esiste...ed è questo che la rende meravigliosa.”

L’angoscia svanì. Alice si rese conto di non aver mai sentito nessuno parlare in un modo così bello, colto ed accurato. Nessuno l’aveva mai guardata in quel modo.
Lei ricercava la bellezza ma, negli occhi di chi la guardava, spesso vi erano commenti sporchi che la rilegavano al bell’oggetto superficiale che rappresentava il suo lavoro da modella.
Ma lei era bellezza, innegabile fascino della sua pelle color sabbia ed i lunghi ricci d’ebano. Era intelligenza che voleva essere coltivata e che amava il bello.
Rispettava il bello. Danzava, praticava il bello.
Si schiuse in un sorriso.
“Mi dica. Le piace l’arte minimalista?”


Si ritrovarono a bere un caffè in un bar-museo estremamente peculiare.

Lui impeccabile nel suo espresso corretto e lei semplice nel suo cappuccino americano.
Parlarono ore di bello. Della perfezione geometrica. Delle farfalle e delle medicine che adornavano le pareti del locale.
“Anche le pastiglie hanno il loro fascino” commentò Holger, davanti ad una vetrinetta di pasticche bianche e tonde.
“Il cerchio è la forma che più si avvicina alla perfezione” commentò Alice,senza distogliere lo sguardo dalle loro figure riflesse nel vetro.
“Non esiste in natura nulla di così perfetto. Essa stessa è imperfezione che cerca di creare il sublime ma fallisce. Guardi i mosaici con le farfalle.”
“Le farfalle sono bellissime, eppure vivono un giorno.”
“Non è forse questo lo stesso concetto di bellezza? Morire prima che la natura faccia il suo corso, preservandole in una bellezza eterna?”
La voce di Holger tremava di fervente passione mentre parlava, osservando assorto la grande vetrina contenente una moltitudine di farfalle azzurre. Il bar ne disponeva di molteplici, posti ai lati dei tavoli ed intervallati da grandi vetrate azzurre sulle quali era stato dipinto un immenso DNA a microscopio.
“Anche la vecchiaia è bellezza. E’ naturale invecchiare. Se non viene preservato il corpo decade, scompare”“Ma in quell’attimo, quel dannatissimo attimo in cui è ancora tutto intatto...quella è perfezione. E vale la pena di essere conservata.”
I due si scambiarono uno sguardo fugace, cogliendosi a vicenda. Le loro mani si intrecciarono ed i discorsi vennero dimenticati.
“Stasera lei è libera?”


Passarono un lungo pomeriggio assieme, entrambi rapiti dalle parole, dal bello.

Visitarono luoghi meravigliosi, estasiati l’uno dell’altra. Quando calò il sole Holger la invitò formalmente a cenare nella sua casa a Londra. Entrambi vivevano un sogno ad occhi aperti e per lei fu impossibile rifiutare.
Tartare di manzo e vino rosso deliziarono il loro pasto in quel bellissimo attico londinese dal sapore minimalista, dai muri bianchi ed il piastrellato nero sul quale poggiava una pelle di una mucca pezzata.
“E’ una bella casa” commentò Alice, portando alla bocca un calice di rosso d’annata.
“Mi piace questa geometria. E’ tutto così...schematico. Ordinato. Alcuni pensano che una mente schematica sia fredda, ma io non la penso così”
“Vi è un’affascinante determinazione nell’ordine. Ogni elemento occupa un determinato spazio e non deve essere cambiato. Ma è talmente soggettivo che due occhi diversi rischiano di trovare disordine nel reciproco ordine.”
“Assolutamente affermativo”
commentò Holger, posando sul tavolo il calice oramai vuoto. “L’importante è che lei gradisca il mio, di ordine.”
“Posso darti del tu?”


Mani e corpi finirono per intrecciarsi su quel divano in pelle nera. Un pappagallino imbalsamato scrutava con i suoi occhi di vetro i loro volti rossi desiderosi ed ansanti dal suo trespolo di legno, muto testimone del loro amore.

“Sembra un sogno ad occhi aperti” disse Alice, sistemandosi i capelli selvaggi che le incoronavano il viso come una meravigliosa regina.
“Vorrei brindare per noi” Holger si cacciò malamente qualcosa addosso, lei indossò la sua camicetta azzurra.
“Sarebbe bellissimo preservare questo momento in eterno. Vorrei poter stare per sempre qui, a contemplare il bello del mondo assieme a te, lontani dagli sguardi saccenti degli altri.”
“E’ quello che voglio anche io”

Tra i muri nascosti di quella cucina, l’artista si preparava ad una nuova opera.
Bastò un pizzico di polvere nei bicchieri. Brindarono al loro nuovo amore e bevvero assieme. Un bicchiere, due bicchieri.


Entrambi divennero stanchi. Il sonno prese il sopravvento.

“Andiamo a dormire?” Holger la accompagnò a letto e si sdraiarono assieme. Le accarezzò la schiena ed i capelli, piano piano, ascoltando i loro respiri farsi sempre più lievi.
“Adesso” disse Holger, in un flebile respiro “Sigfrido si è bagnato nel sangue del drago, donandoci l'immortalità.”
“La bellezza eterna nell’attimo che fugge...”
“Ci sveglieremo in un mondo migliore dove tutto è perfetto.”
Il mio amore è con me e nessuno potrà più farci del male. Adesso siamo invincibili.”
Le loro dita si intrecciarono un’ultima volta. Poi fu silenzio.


Li ritrovarono in quell’attico londinese di asettica bellezza, dove animali impagliati e pelle facevano da padroni. Silente il serpente che si aggrovigliava sul ramo nella camera da letto, gli occhi di vetro di un testimone che non può più parlare, dove nulla è perfetto ma rimane solo il vuoto, insensibile, della decadenza.


Angolo dell'Autrice

Buonsalve e buon primo maggio!
Ho pensato a questa storia dopo essermi lanciata nella lettura della biografia di un noto artista contemporaneo (che cito più volte indirettamente, oltretutto...)
Volevo scrivere qualcosa di fragile, dove i temi delicatissimi dell'arte contemporanea si mescolano con la ricerca tormentata di un artista dalla vita sregolata alla ricerca di una utopia. Ci tengo a precisare di essere contro a qualsiasi forma di violenzaquesta storia è solo frutto della mia fantasia. Che, dopo pagine di squali in formaldeide, inizia a pensare a cose.
Spero che la storia possa essere di vostro gradimento. 
Vi ringrazio per essere passati di qua. Alla prossima ~

   
 
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