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Autore: The Dark Side Of Cookies    01/05/2017    0 recensioni
Routine. Il ripetersi ciclico delle giornate. Nulla cambia finché qualcosa di imprevedibile non accade.
Genere: Horror, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Patrick Stump, Peter Wentz
Note: OOC | Avvertimenti: Violenza
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Basato vagamente sull'omonima canzone di Meneguzzi.

 

Imprevedibile

«Il solito»
Mi sedetti sullo sgabello logoro e scricchiolante del locale aspettando il mio drink. 
«Novità?»
Chiese Joe, il barman, passandomi il mio Mojito. 
«No, sempre la stessa vita.» 
Spostata una foglia smeraldo e preso un sorso chiesi a lui la stessa cosa.
«Si.» Sorrise preparando un Sazerac per un altro cliente.
«Lascio la città» 
Aggiunse la scorza di limone come guarnizione.
«Vado nella città degli angeli, Pete» 
Si allontanò dall'altro lato del locale per consegnare il cocktail. 
«Non puoi! Sei il mio barman preferito!» Alzai la voce per farmi sentire da quella distanza.
«Grazie.» Disse sarcastica Hayley, la regina dei bicchierini. 
«Ma tu sei la mia barlady preferita, non essere gelosa.»
Lei roteò gli occhi e scosse la testa.
«Non posso stare qui con le mani in mano, vuoi qualcos'altro?»
La guardai per un attimo pensando al passato.
Ricordai la nostra breve relazione.
Era dolce, ma poco paziente per restare con me.
«Allora?»
La sua voce mi riportò al presente.
«La cosa più forte che sai fare» Risposi con un mezzo sorriso.
«Sei sicuro?»
Evitai il suo sguardo preoccupato limitandomi ad annuire.
Bere mi aiutava a non pensare ed era quello di cui avevo bisogno.
«Adios Motherfucker» 
Un bicchiere colmo di blu si trovava davanti al mio viso.
«È il nome del cocktail. Prova ad indovinare il perché.» Rise asciugandosi le mani su un angolo del grembiule. 
Ne feci fuori la metà pensando, adios moherfucker.
Me ne pentii subito. Il sapore non era dei migliori, troppo alcol e pochi aromi.
Feci una smorfia al bruciore della mia lingua e della mia gola.
Dopo qualche minuto e alcuni bicchieri in più, la mia testa era più leggera, il mio corpo più caldo. 
Stavo cercando di uscire dalla giacca in pelle quando qualcuno attirò la mia attenzione. 
Sapete, dopo mesi allo stesso bar inizi a distinguere i clienti abituali da coloro che bevono un goccio di tanto in tanto, ma quel ragazzo non era mai entrato in quel locale ne ero certo.
Era un ragazzo non più alto di me.
Capelli ciliegia e sorriso a metà si avvicinava al bancone ancheggiando.
«Ehi»
Sospirò accomodandosi accanto a me.
«Sono Patrick»
La sua voce lenta e calda era musica.
«Cosa mi consigli?»
Una dolce melodia che suonava nelle mie orecchie.
«Non questo» 
Scossi la testa in senso di diniego puntando il dito al mio bicchiere. 
Lui sorrise ed io non riuscivo a smettere di fissare le sue labbra rosee, ne ero ipnotizzato.
Il suo sorriso era poco camuffato dalle parole.
«Allora prendo un Brooklyn»
Spostò lo sguardo verso Hayley per una frazione di secondo, prima di tornare su di me.
I suoi occhi erano come un'alta marea, un blu intenso che mi trascinava lontano dalla riva sicura delle mia mente.
«Allora Pete, che si fa di bello in questa piccola città?»
Avevo detto il mio nome?
Lasciai allontanare il pensiero. 
«Si cerca di andare avanti come in ogni altro luogo»
Allungò la mano poggiandola sulla mia coscia.
Il suo tocco era il vento più caldo dell'Africa ed io non volevo che smettesse di investirmi.
«Sei stato in molti posti?»
Feci segno di no col capo.
«Io sì ed ho incontrato molte persone»
Il suo indice faceva su è giù sulla mia gamba.
La mia bocca divenne asciutta, il mio battito accelerato. 
«Il mio amico ha bisogno di qualcosa da bere» Rise. 
Una risata grassa e rumorosa che morì arrivato il mio drink.
«Grazie» Mi affrettai a dire.
Lui toccò la mia mano sul freddo bicchiere di vetro. 
«Dovresti bere in fretta e fare due passi con me non credi?» Sussurrò. 
Le sue morbide labbra mi sfiorano l’orecchio, un brivido mi attraversò la schiena.
Le sue mani erano come elettricità pura.
Ogni cosa di lui, dal suo aspetto alla sua voce era ingannevole, messe lì come trappole.
La mia mente, il mio istinto, gridava pericolo, ma era tardi. Ormai eravamo mano nella mano nella fredda aria d’ottobre.
«Quindi, ti sei appena trasferito?»
«Diciamo di si. Non tendo a stare troppo nello stesso posto. Mi annoio facilmente» Sembrava triste ed io non chiesi altro.
Ci ritrovammo per le scale di un grattacielo.
«Tranquillo abito al secondo piano» Mi disse prima di farmi entrare nella hall.
Lo seguii silenzioso, gradino dopo gradino. 
«Fai come se fossi a casa tua»
Si tolse la giacca.
Cavolo, la mia era rimasta al bar.
Mi guardai attorno. 
La luce calda delle lampadine ad incandescenza illuminava un divano di pelle scuro, una libreria abbastanza fornita, un tavolino di vetro dallo stile moderno, ma nessuna pianta o decorazione; era tutto così strano, tutto così statico.
«Che fai lì?» Rise.
I suoi occhi bruciavano i miei. 
«Niente»
Mormorai voce asciutta e guance calde. 
Afferrò le mie mani. 
Per favore non lasciarle, non lasciarle mai. Pensai. 
«Per favore» dissi ad alta voce senza nemmeno accorgermene.
«Cosa vuoi?»
La sua voce bassa e sensuale si adagiava sul mio collo, un brivido lungo la schiena. 
«Pete…?» 
Baciò il mio pomo d'Adamo quando deglutii a vuoto. 
Inspirai ed espirai profondamente.
Il mio respiro affannoso.
«Io…Um, posso?» La mia lingua impastata dall’anticipazione e desiderio.
Afferrai il colletto della sua camicia impaziente, ma lui mi spinse alla parete premendo le sue labbra sulle mie. 
Era un bacio sporco, passionale. 
Provai a prendere il controllo, mani sui fianchi movimenti scoordinati e fiato corto; mentre pensavo a non arrendermi il mio corpo lo aveva già fatto.
«Ti farò male» La sua voce era nata per frasi come quelle, tutto fiato e determinazione.
Afferrò il mio labbro in un morso, mani impegnate a spogliarmi.
Il mio basso ventre ebbe una sorta di click arrivate ai miei jeans, conoscevo quella sensazione.
«Tu… Dovresti…»
Tirai la sua camicia strappandola al primo bottone. 
Abbassai lo sguardo sul suo petto pallido e perfetto.
«Guarda cosa hai fatto!»
Tirò i miei capelli e mi persi nel momento.
Non sapevo che quello potesse farmi sentire così.
«Era la mia preferita»
Mi sollevò dal muro per spingermi sul divano. Un suo ginocchio fermo contro di me. 
Gemetti al contatto.
Era così piacevole.
«Ti piace, eh?» 
Persi nuovamente il fiato. 
«Preferisco-»
Mi fermai prima di finire la frase.
La sua mano era nel posto giusto. 
Parole incoerenti iniziarono a scivolare dalle mie labbra e quasi urlai quando Patrick si spostò per liberarsi degli inutili indumenti.
Era così bello, dannazione.
Lasciai che le miei mani raggiungessero quanto più possibile.
Lo afferrai per i fianchi.
«Merda» Sputai fra i denti. 
Era su di me.
Si fermò. Occhi lussuriosi e labbra umide mi fissavano.
«No, ti prego» Provai ad afferrarlo. Non doveva, non poteva fermarsi adesso.
Lui mi ignorò completamente scendendo dal divano.
Per favore, per favore. Torna qui. Continua.
La mia pelle fremette al contatto con l'aria della stanza.
Ero nudo, fu l'unica cosa che riuscii a pensare prima che la sua bocca fosse su di me. 
«Sembri così buono.» Mormorò, mani sui miei fianchi.
Iniziai ad ansimare piano quando il suo naso mi sfiorò la coscia. 
Quella era la cosa più pornografica che avessi mai visto.
Capelli arruffati, labbra che riuscivo solo ad immaginare e occhi, quegli occhi. 
I suoi occhi sorridevano, mi guardavano intenti. Un segreto in loro che non riuscivo a comprendere.
Il suo fiato caldo era così giusto. Sembrava il ritratto della tentazione ed io dovetti chiudere gli occhi per far durare quel momento un po’ di più. 
Qualcosa di caldo è bagnato, la sua lingua, era ferma contro la mia coscia.
Afferrai i suoi capelli muovendo la mia mano fra le ciocche lisce. 
«Rick» Supplicai. 
«Sai» Sentii le sue labbra come un fantasma su di me «pensavo che fosse più… Capisci?» 
Lecco lentamente, era quasi doloroso. 
Alzai il bacino cercando più contatto.
Fu allora che mi morse.
No, non era decisamente un morso sensuale. Faceva male e sentivo il mio sangue scorrere.
«Ah! Cazzo!» Urlai a pieni polmoni. 
Iniziò a leccare di nuovo, concentrato e attento.
I rumori e i piccoli versi che uscivano da quella maledettissima bocca. Merda. Erano così sexy.
Non riuscivo più a distinguere il piacere dal dolore.
«Così, bra-vo» Respirai accarezzandogli una guancia. 
Giuro, sentii il suo sorriso anche ad occhi chiusi.
Muoveva la sua lingua in maniera metodica. Era così bravo. Dio.
«Sto…Io» avvertii prima di perdere il controllo.
Chiusi gli occhi più forte. 
Una serie di parole lascio la mia bocca mentre tremavo.
Mi sembrava di fluttuare. 
Aprii gli occhi.
Lui sorrideva, sporca bocca di sangue e sguardo vuoto. 
Lecco le sue labbra.
Una sensazione orribile alla coscia ferita, era come se… deglutii… Come se stesse staccando la mia pelle. 
Era come se le mie gambe fossero intorpidite.
«Che cazzo!» 
Provai ad alzarmi. Cazzo!
Strinse la presa sui miei fianchi.
Sentii la pelle strapparsi, quasi svenni.
Raccolsi le mie ultime forze.
«Ho dimenticato la giacca al bar!» Provai a spingerlo invano.
«No, non hai dimenticato nulla.»
Le sue unghie, no, i suoi artigli, mi stavano lacerando la pelle.
Non riuscivo a muovermi, non riuscivo a respirare. 
Chiusi gli occhi aspettando la fine.

Mi svegliai tra le lenzuola del mio letto, la mente stranamente libera dal veleno che era l’alcool. 
Guardai la mia gamba e non vidi nulla. 
Nessun segno, né cicatrici né lividi. 
Era stato un brutto sogno?
Mi affrettai ad indossare qualcosa, un paio jeans e una maglietta a caso sarebbero stati più che sufficienti. Afferrai le chiavi e uscì di corsa. 
Il cielo era scuro sopra la mia testa.
Nuvole pesanti coprivano la luna che risplendeva di un giallo quasi innaturale. 
«Ehi, Pete!» Hayley mi sorrise da dietro il bancone, aveva cambiato colore di capelli erano biondi, anzi gialli, come la luna pensai. 
«Ti stanno bene» le dissi nervoso. 
«Grazie» Sorrise sistemando i bicchieri e le bottiglie sulle mensole. 
«Dov'è Joe?» Chiesi notando la sua assenza, senz’ombra di dubbio era colui che parlava di più con i clienti e il silenzio di quella sera era palpabile.
«Si è trasferito, tre giorni fa. Pete, quando sei venuto qui con il tuo ragazzo ti ha invitato alla sua festa “d'addio” se così possiamo definirla. Non ti ricordi?» Mi guardò con un’espressione stranita, probabilmente rifletteva la mia.
«Hayley, quale ragazzo?» Chiesi terrorizzato dalla risposta.
«Mmm, capelli ciliegia, occhi blu e- Oh, eccolo!» Lei salutò qualcuno alle mie spalle. 
La paura mi aveva congelato, non riuscivo a voltarmi.
«Hayley. Pete» Quella descrizione, quella voce. 
Un paio di mani pallide erano strette attorno alla mia vita, riconobbi le maniche della mia giacca. 
Sentivo il mio cuore accelerare, un misto di paura e incredulità mi incollò al pavimento.
«Andiamo, credo che tu abbia bevuto abbastanza alla festa di Joe» Rise fra sé iniziando a camminare verso l'uscita senza allentare la presa su me. 
Guardai la mia amica che a sua volta ci guardava divertita, sperando che il mio sguardo urlasse aiuto, non lo fece.

«È normale» Disse sorridendo. 
Eravamo sul retro del locale, il suo sorriso bruciava il mio stomaco. 
«Non… Non» Balbettai.
Non sapevo cosa volessi dire, nemmeno m'importava una volta che mi baciò.
Era strano ed irreale.
Sbagliato. Mi diceva la testa. 
Giusto! Mi urlava tutto il resto.

I miei occhi si riempirono di immagini. 
Era come guardare frammenti di un film.

«Non voglio farlo» La mia voce era triste persino per le mie orecchie.
Ero nel giardino di casa Trohman, attorno ai miei piedi i resti di una festa ben riuscita, al mio fianco il ragazzo dagli occhi mare.
«Devi» Patrick disse afferrandomi il polso.
Era serio. Così serio che mi rassegnai.
«Diventerà più facile col tempo, te lo prometto» Mi sorrise.

Gettai la lattina per terra e prima di andare verso il mio amico.

Joe era davanti a me, sorrideva mentre sistemava i bicchieri sulle mensole di cristallo. 
Era un maniaco dell'ordine, ogni bicchiere perfettamente allineato.
«Mi mancherai» Dissi con una voce afflitta.
Mi sarebbe mancato parecchio.
«Non sto per morire» Rise togliendosi per l’ultima volta il grembiule con il quale aveva accesa il barbecue e la serata.
A quella frase qualcosa in me si spezzò, forse l'unico filo di sanità che mi teneva legato a quel mondo, forse la mia coscienza stessa era andata silenziosamente in frantumi.
Lo guardai lanciare uno sguardo a Patrick prima di accennare un sorriso.
«Sono felice di lasciarti in buone mani»
«Non devi andare per forza» Proposi.
«Voglio farlo, Pete»
Lo abbracciai. Il lupo che salutava l’agnellino.
«Mi dispiace» Sussurrai prima di poggiare le mie labbra sul suo collo e affondare i denti.

Potevo sentirlo.
Sentivo il sapore ferroso riempirmi la bocca, la consistenza dura e viscosa della pelle contro il mio palato.
Eppure, eppure era buono.
Non riuscivo ad esserne disgustato o sentirmi in colpa, l'unica cosa che riuscivo a pensare era ancora.

Improvvisamente ero di nuovo sotto la sfarfallante luce a neon, abbagliato e confuso.
Anche Patrick era lì con un cattivo sorriso sulle labbra.
«D-dove è adesso?» Chiesi in un sussurro.
Doveva essere un incubo, non poteva essere vero.
«Perché perdere tempo a porre domande delle quali sai la risposta?» Schioccò la lingua stufo.
«Non è possibile! Non è vero!» Gridai.
Patrick scoppiò a ridere, sollevò il cappello più indietro sul capo e iniziò a camminare.
«Devi imparare a sopravvivere Pete e per farlo non ti resta che seguirmi» Disse.

 

   
 
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