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Autore: lady igraine    03/05/2017    0 recensioni
Le Terre di Confine, dopo la Caduta del Regno di Neanna, da duecento anni sono governate dal Conclave, una misteriosa congrega di Maghi che stringe nelle proprie mani il destino dei Regni indipendenti.
Ma quando un incubo antico, quello che ormai è solo un racconto per spaventare i bambini, riemerge dall’oscurità, ogni equilibrio è destinato a spezzarsi.
E Sianna, cresciuta nella sicurezza della sua valle isolata, protetta da presenze rassicuranti che la seguono fin dall’infanzia, è l’inizio di quella crepa che incrinerà il suo mondo, e ne ignora la ragione.
Eppure è lei che La Morte sta cercando e, per sopravvivere, Sianna deve presto fare i conti con un passato più complesso di quanto possa anche solo immaginare.
***
«Te l’ho già detto. Le tue linee non sono complete. Non so come spiegarlo… ma il tuo è un futuro che non posso vedere. È come se l’altra metà del tuo destino non fosse incisa sulla tua mano ma da qualche altra parte, come se appartenesse a qualcun altro»
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’ULTIMO CAVALIERE DELLA PIETRA

 

CAPITOLO SESTO

 

Quando giungeva Udara, insieme ad un caldo torrido e appiccicoso, si allungavano le ore, ed il tempo sembrava non riuscire più a scorrere con fluidità. Le campane dovevano suonare ancora una volta, prima di mezzogiorno, eppure il sole non aveva ancora raggiunto il suo zenit e la sala del trono restava in una dolce penombra, dovuta soprattutto alle spesse vetrate colorate che lasciavano riverberi arcobaleno.

Le tribune che costeggiavano il grande salone iniziavano lentamente a popolarsi di nobili, e Aodh seguiva placidamente, con lo sguardo, il percorso dei singoli mentre raggiungevano il posto che a loro era stato assegnato. I più disparati colori erano legati l’uno all’altro, in una raccolta di abiti sfarzosi ed eccentrici provenienti dai quattro angoli del Regno, in un eccesso che in alcuni casi riusciva a risultare fuori luogo, quasi imbarazzante.

Duchi, marchesi, Conti, visconti, baroni, signori e semplici aristocratici.

Erano stati richiamati tutti a Sehar, un evento quasi unico a cui Aodh aveva a lungo sperato di non dover mai assistere.

Contrariamente a molti, il Marchese di Arboris non riusciva a rilassarsi. I suoi nervi fragili lo avevano sempre reso una persona ansiosa, quasi nevrotica, e i lunghi giorni di viaggio per raggiungere la capitale, insieme a quella missiva che ancora stringeva stropicciata tra le mani - inviatagli da Golvan, il segretario del sovrano, e firmata da tutti e nove i conti palatini- non avevano contribuito positivamente al suo precario equilibrio interiore.

Da circa un lustro aveva ereditato il titolo dal padre defunto e si era trovato nella scomoda situazione di dover far fronte ad un territorio instabile e alle richieste capricciose e irragionevoli di Re Edward, e per questo temeva, forse più di tutti, un confronto diretto con il sovrano, un uomo tanto ambizioso di fama quanto spietato.

«State sudando» lo riprese bonariamente Tighe, seduto accanto a lui, con un sorriso paziente. Era un uomo di mezza età, ingrigito e segnato, eppure, per contrasto, la sua indole era serena e pacata, guidata da un forte senso di giustizia e fermezza che la vita non aveva sporcato.

Aodh lo squadrò con le sopracciglia contratte e pensò che era quella sua condizione di nobile minore a tutelarlo. La casata dei Torquall era vassalla della casata di Arboris da quasi un secolo, e il titolo di Barone garantiva ricchezze e responsabilità su porzioni di terre limitate. Per quanto Tighe fosse uno dei suoi consiglieri e compagni più fidati, non poteva comprendere le preoccupazioni che lo muovevano. Il conflitto con le terre di Samhradh, che da anni rendeva il confine una trincea, dopo la morte di suo padre si era acuito per colpa delle Driadi, che avevano scatenato una rivolta nei territori che già da decenni erano stati conquistati e integrati da Sideris.

Aodh si era ritrovato impreparato di fronte alla poca autorità che lui e i suoi baroni riuscivano ad esercitare su quel piccolo popolo di selvaggi.

«Non dovresti essere tanto sereno. Non stai considerando i fatti. Tutti i conti palatini hanno ritenuto di dover coinvolgere il Re in una questione giuridica, se noi ci troviamo qui. In uno stato normale, non lo avrebbero mai fatto, sono troppo ubriachi del potere che possono esercitare al di là del Re per limitarsi volontariamente. E questo ci pone di fronte ad un problema di una certa importanza»

Gli angoli della bocca del Barone si ritirarono, per lasciare il posto ad un’espressione contratta, assorta quasi.

«Cosa intendete dire?»

Il marchese scosse il capo piano, insicuro.

«Non lo so nemmeno io. Ma una causa tanto grande da spingere Re Edward a radunare tutti i propri feudatari, non sono sicuro di volerla conoscere.»

«Non pensavo fosse questo ad angustiarvi»

«Dovrebbe angustiare tutti. Guardaci. Sta succedendo qualcosa, qualcosa d’importante. E sarò un vigliacco, ma vorrei non doverne fare parte»

Le voci concitate che avevano riempito il salone di suoni cessarono all’improvviso quando, precedute da un cigolare pesante, le porte principali destinate alla famiglia reale si aprirono lentamente. Con solennità, due araldi si fecero avanti e annunciarono l’arrivo del Re, che fece loro seguito insieme alla sua scorta, la guardia reale.

Edward era un uomo dotato di una calma apparente inquietante e di profondi e sinistri occhi color pece, che Aodh aveva incrociato da vicino soltanto nell’infanzia, quando ad affrontarlo non doveva esserci lui ma suo padre. Il volto squadrato, ben curato, con un pizzetto spolverato di bianco a circondare la bocca sottile e severa, era quello delle sue memorie e di poco era mutato. La corona che gli cingeva la fronte, sormontata da quattro archetti e illuminata al centro da uno smeraldo grande quanto una noce, con l’anello ornato da pelliccia d’ermellino, nascondeva una chioma ora più rada e scolorita, nera come ali di corvo nelle memorie infantili del marchese.

Sembrava di molto invecchiato, ma l’età non lo aveva privato della forza crudele e prevaricatrice che era in grado di manifestare già solo con il suo incedere ponderato e distinto. Lo strisciare morbido del suo pesante mantello sulla pavimentazione accompagnò la sua studiata attraversata del salone, fino al capo opposto, dove sorgeva, su un piano rialzato, il trono.

Aodh si sentì incredibilmente piccolo e incredibilmente meschino, si guardò le mani contratte, strette l’una all’altra come in cerca di un appiglio, e provò solo vergogna. Il gravoso silenzio gli rese difficile deglutire.

Re Edward fece scorrere lo sguardo lento sulla sala e i presenti, prima di rompere il vuoto rispettoso che li aveva avvolti, ma quasi a volerlo far penare ulteriormente, non li informò della ragione di quel richiamo. Iniziò invece a interrogare i suoi vassalli per essere ragguagliato sulla momentanea situazione delle sue terre.

La parola passò al Conte Leheren Eguerdi di Meridiem, e poi ancora a Imanol Lanegun delle Idi.

«Che notizia abbiamo invece, riguardo al fronte di Samhradh?»

Il Re fece scorrere i suoi occhi severi sulle file di volti intimiditi, si soffermò sullo scranno che raccoglieva i Conti Palatini, ma i consiglieri tacquero ed in risposta, una piccola ruga andò a scavarsi tra le sue folte sopracciglia.

«Se il Marchese di Arboris rifiuta di prendere la parola, mi troverò costretto a chiedere al suo generale. Zilar, vuoi rispondere tu per il tuo padrone?»

 Aodh sussultò, colpito a tradimento. Guardò fugacemente Tighe in viso, per raccogliere il proprio coraggio, ma l’uomo era impallidito. Allora cercò Zilar, generale supremo delle truppe Sideriane del Sud, mentre in piedi, nella sua tenuta da parata, affiancava gli altri tre grandi generali a tutela dell’ingresso.

Il soldato, dopo un attimo di esitazione, fece un passo avanti.

«Vostra Maestà, le truppe sono infiacchite e il morale è basso. Earrach ha portato soccorso alla regione di Samhradh. Non hanno un vero esercito, ma agiscono in maniera scomposta, imprevista, e la loro conoscenza del territorio ci ha costretto a muoverci con più cautela. Oltretutto, presto dovremo ritirarci in attesa dell’Udaherria»

Re Edward annuì, palesemente contrariato.

Le regioni di Aimsir erano l’ultimo vero baluardo di difesa dei faerie insieme alla Regione dei Laghi. Le uniche terre dove ancora erano gli spiriti naturali a governare e il sangue degli angeli continuava a scorrere nei loro discendenti. Il precedente sovrano aveva intessuto dei rapporti di pace con il Conclave e gli Spiriti, ma Re Edward aveva abbandonato rapidamente questa linea di pensiero e prima che la Congrega potesse intervenire, aveva iniziato la lenta espansione dei propri domini.

«Il nostro marchese avrà una spiegazione plausibile, ovviamente, e saprà dirmi perché il mio esercito non sta avendo il supporto che mi era stato garantito»

Il Sovrano si rivolse a lui personalmente, e Aodh fu costretto ad alzarsi in piedi, i pugni stretti lungo i fianchi per non mostrare cedimento.

«Le Driadi si sono rivoltate, Vostra Maestà»

«Le Driadi? Non erano ormai state sottomesse molto tempo addietro? Così mi aveva assicurato il Marchese vostro padre»

Aodh si sforzò di riordinare rapidamente i propri pensieri, per spiegare nella maniera più chiara e concisa l’instabilità della propria Marca, ma non ci riuscì.

Le Driadi erano creature dal sangue fatato che da secoli occupavano l’antica foresta di Keyll, ma suo padre aveva strappato quei boschi a Samhradh che lui era solo un bambino e da allora erano sotto la tutela del Marchese di Arboris. A causa della guerra aveva dato ordine di abbattere parte delle grandi sequoie che la caratterizzavano, per costruire gli avamposti e gli accampamenti, non aveva considerato che i selvaggi dei boschi non avrebbero approvato.

Il suo esercito si era spaccato su due fronti, ma la guerriglia interna si era rivelata tanto problematica quanto la sottomissione dei popoli delle steppe. Il legame che le Driadi avevano con l’ambiente naturale aveva sempre reso difficile i rapporti, ed ora rendeva ancor più complicato e insidioso lo scontro.

«Ho cercato di sedare queste sommosse, sto cercando di stanare i loro villaggi. Ma si sono nascoste, e delle truppe inviate in quei boschi quasi nessuna ha fatto ritorno». Il sudore freddo gli imperlava la fronte, chiuse gli occhi, prese un profondo respiro e si decise a raccontare ogni cosa «I sopravvissuti delirano. Vaneggiano di spiriti evanescenti. Dicono che la foresta è maledetta, che l’hanno stregata, ed ora nessuno desidera più addentrarvisi»

Gli morì la voce e sobbalzò quando il sovrano, furioso, batté con forza il pugno sul bracciolo del trono. Il tonfo si propagò macabro nella sala.

Aveva sentito voci in passato, leggende forse, ma che lo avevano terrorizzato. Si diceva che contrariando il Re si andava incontro ad un cappio, e Aodh tremava al solo pensiero. Sehar non era nota solo per le torri di vetro e i mostri di vapore, ma soprattutto per le forche e i corvi, per le crudeli manifestazioni di giustizia che il popolo apprezzava come un qualunque, innocuo spettacolo.

«Quante sciocchezze! Sanno usare la magia, ma non ci sono superiori. I maghi popolano il nostro Regno fin dai tempi più antichi, eppure ancora veniamo messi in ridicolo da simili trucchi!»

Lo urlò, e Aodh riuscì solo a incassare la testa tra le spalle, con il desiderio di potersi ritrarre il più possibile. Aggiunse flebilmente, più per giustificare se stesso che per coraggio «Non credo si tratti di meri trucchi di magia. Sembrerebbe siano Spiriti, a giudicare dai racconti oserei dire di Secondo Livello»

Edward rilassò le spalle e si appoggiò con atteggiamento annoiato allo schienale del suo trono.

«Spiriti non Tangibili dunque. Da quello che mi hai riferito, è probabile. Ora che la fonte del problema è stata identificata però, mi aspetto un immediato quanto decisivo provvedimento»

Aodh borbottò il suo assenso e tornò ad accomodarsi, la testa china per la mortificazione che lo stava divorando.

Il Re riprese a parlare, con voce tonante, ma il marchese non riuscì a guardarlo.

«Mi duole informarvi, compagni, che il motivo di questo mio appello improvviso non è dettato dall’incompetenza che alcuni tra noi stanno manifestando, quanto piuttosto, l’arrivo di una voce.

Una diceria che qualche uccellino ha portato da oltre i nostri confini. Una voce di tale portata che, se veritiera, potrebbe distruggere tutto ciò che abbiamo faticosamente costruito»

Le parole dell’uomo si depositarono con estrema pesantezza sul suo animo. Aodh le accolse, raccolto nelle proprie spalle, e un presentimento negativo gli accartocciò lo stomaco. Intorno a lui i nobili avevano incominciato a vociare, discorsi indistinti sovrapposti l’uno all’altro.

La mano di Tighe si posò sulla sua spalla, in un gesto di conforto e di sprono. Sentendo il peso familiare del supporto del suo vassallo e amico, Aodh si decise a risollevarsi. Edward si era alzato, si stava dirigendo con calma al centro del salone e lì, come il grande oratore che era, riprese

«Pare che il Conclave di Sirideainn si stia riunendo. I sovrani che ancora aderiscono al trattato postumo la Guerra dei Duecento anni sono stati chiamati a raccolta. E non solo loro. Pare che siano stati richiamati gli Spiriti e le Entità naturali»

Un momento di pausa e il Re iniziò a percorrere a passi lenti e soppesati la stanza, come ad aumentare un nervosismo latente ma già fin troppo pressante.

«La cagione di questa riunione della Congrega pare essere la guerra intestina che dilania Dubhar, oltre i monti Fengari, e tuttavia non dobbiamo sottovalutare la gravità di questo fatto. Certamente noi, che abbiamo infranto il trattato ed espanso i nostri territori, non passeremo impuniti. Il Conclave detiene, idealmente, un potere assoluto»

«Non sta dicendo quello che sta dicendo» mormorò Aodh, più a se stesso che al proprio vassallo. Deglutì rumorosamente e Tighe si chinò su di lui per bisbigliare «Che cosa ha in mente?»

Lo ignorava, ma una parte di sé aveva imparato a conoscere la tracotanza che caratterizzava Re Edward, ed era proprio quella parte a metterlo in guardia.

Il Sovrano placò i borbottii di panico che già si stavano sollevando dalla folla.

«Il Conclave ci confischerà terre e ricchezze. Con molta probabilità, deciderà di deporci per insediare nuovi membri, più disciplinati al loro volere»

Un’ondata di malcontento attraversò i presenti.

«Queste pecore non hanno capito niente!» commentò Tighe con sprezzò, ed il marchese non poté che trovarsi d’accordo con il proprio vassallo.

«Sta facendo leva sulla nostra ambizione. Credo di aver compreso quale sia la sua richiesta. Ma è folle, non può credere che verrà seguito»

«Da tempo siamo in disaccordo con la Regione dei Laghi, Menekse non ha mai approvato la nostra politica aggressiva, e di certo questo non è un mistero. Ma d’altronde, che può saperne una donna dei Faerie di come si governa un regno?»

Quell’ironia critica fu seguita da risate di scherno da parte di una buona fetta della nobiltà, e questo turbò Aodh.

 

Non basterà fare leva su Menekse e le sue manie pacifiste per spingerci ad un massacro.

 

Voleva convincersene, ma lo scetticismo cresceva dentro di lui a pari passo con il timore.

«Tutto questo preambolo ben orchestrato, Maestà, dove vuole condurci?»

Il respiro del Marchese si bloccò in gola e lo fece tossire. Era così assorto da non essersi reso conto che Tighe si stava animando, non aveva fatto in tempo a impedirgli di alzarsi in piedi.

Edward abbozzò un sorriso, una piega perversa delle labbra che non lasciava presagire nulla di buono, e riprese a muoversi, la mano infilata nella cintura e lo sguardo spavaldo rivolto verso l’alto.

«Menekse mi ha intimato di cessare ogni pretesa sulle regioni di Aimsir, se non desidero scatenare un conflitto che, arrogantemente, sostiene non possiamo vincere. È pura presunzione, da parte di quella… “donna”, credere di poterci irretire con poche, banali parole. Il Conclave ha perso prestigio e la Regione dei Laghi è in declino. È questa l’unica, inoppugnabile verità»

Un suicidio.

 Dichiarare guerra al Conclave era un suicidio.

Tighe, contrariamente a lui non riuscì a tacere «Il Conclave basa la sua forza su una rete di alleanze solide da secoli. Una guerra contro Menekse scatenerebbe un conflitto tale da coinvolgere tutte le Terre di Confine. Neppure la collaborazione di ogni nobile presente in questa stanza potrà garantirci la sopravvivenza. E se reagiremo, verremo messi in ginocchio senza pietà. Menekse sarà una donna, ma non conosce perdono. Non è saggio sfidare il Piccolo Popolo così apertamente. Il mio casato non acconsentirà»

«Maledizione idiota, siediti e taci» lo sibilò, anche se ormai era troppo tardi. Lo sguardo scettico e beffardo di Edward era già rivelatore.

«Sei molto ardito per la misera posizione che occupi» scrollò le spalle e si rivolse ai presenti tutti, come a sottolineare quanto poco Tighe contasse in quel frangente.

Una mosca che sfida un gigante, era l’unica impressione che Aodh aveva ricavato.

«Il regno di Dubhar è in miseria, i Clan si massacrano tra loro. L’Esperia si trova ancora a gestire le scorribande dei Clan dell’Est, e i territori che ci confinano a Ovest sono stati ormai occupati solo da gruppi di Nomadi. Mettendo in scacco l’Esperia, isoleremmo la Regione dei Laghi da Emer e dalle isole. Se mai si è presentata davanti a noi l’occasione per sciogliere il giogo che ci lega da troppo tempo al Conclave, è questa. Possiamo finalmente sottomettere i faerie e dominare la penisola»

I consensi furono molti.

Troppi.

L’odio per la congrega sarebbe stato la loro rovina, ed anche Aodh avesse voluto obiettare, non ne avrebbe trovato il coraggio, non finché si fosse trovato tra quelle mura. Sarebbe stato più sensato ritirarsi ad Arboris e, solo successivamente, rifiutare di rispondere al proprio vincolo vassallatico.

Non doveva essere l’unico ad averlo pensato, ma Tighe era impulsivo, e si stava scontrando con qualcosa di troppo grande anche se non voleva realizzarlo.

Infatti, non reo, tentò ancora di controbattere «Non dobbiamo lasciarci influenzare da questa rosea apparenza. Vostra Maestà, state dimenticando il vero nemico»

La sicurezza di Edward parve incrinarsi un poco, ma il sovrano dissimulò rapidamente il proprio sconcerto «Illustrami, ti prego»

«L’angelo»

La voce di Tighe aveva tremato, pervasa da un rispetto reverenziale nel solo pronunciare quella parola.

«L’angelo?»

«Sì. L’angelo che si vocifera da anni sia in possesso della Congrega. Se veramente a difesa del Conclave ci fosse un angelo, andremmo incontro alla nostra disfatta, per nuove terre e nuovi titoli»

Incredibilmente, alcuni annuirono, forse spaventati più dall’idea di quell’essere mitologico che dal sovrano.

Aodh non si unì a loro.

Conosceva la famosa diceria, ma aveva sempre pensato che fosse solo un ulteriore modo per sottomettere con il timore i Regni. Era un ragazzino, quando aveva saputo per la prima volta di questo fantomatico difensore del Conclave, era stato suo padre a raccontargli ogni cosa, lo aveva messo in guardia. Gli aveva sempre raccomandato di non commettere sciocchezze, quando fosse giunto il suo momento.

Lo aveva fatto anche in punto di morte, drenato dai salassi e schiantato dal tifo.

Eppure, ora vedeva in quel semplice uomo con una corona in testa un pericolo ben più pressante che in una leggenda popolare.

«Tra un Tempo esatto a partire da oggi, mi aspetto di ritrovarvi qui, prima del mezzogiorno. Ai presenti, illustrerò il motivo per la quale nulla abbiamo da temere da questo sedicente angelo. Diceria fomentata ai miei occhi solo per incrementare un potere che va spegnendosi»

Si sedette sul trono, la dignità che la sua figura un poco affaticata riusciva ad emanare, portava istintivamente a prendere in seria considerazione tutta la sua spavalda sicurezza.

«A coloro che stanno seriamente valutando di non presentarsi, ricordo il vincolo della promessa che ci lega. E alle conseguenze che, state certi, verranno scontate con gli interessi» un sorriso perfido e rilassato si dipinse sul suo volto di pietra.

Ancora una volta, Aodh chinò lo sguardo sulle proprie mani, torturate istintivamente per tutto il tempo di quella riunione.

«Mi giuraste fedeltà. Rispettate quel giuramento, e non incapperete nel disonore. Sono certo che fra trenta giorni avrò la risposta che mi aspetto di sentire»

L’assemblea venne sciolta e i dignitari cominciarono a confluire nel cortile esterno. Ancora carico di apprensione, Aodh si affiancò a Tighe in quella piccola folla, mentre scendevano la scalinata. All’aperto, lo colpì il profumo delle spezie, l’odore dei pasti caldi di mezzogiorno nelle vie cittadine che giungeva fino a lì. Il corrimano della scalinata, dalla forma sinuosa, era decorato a mosaico con frammenti di pietre colorate che creavano effetti geometrici, e decorate con ceramiche colorate a motivi floreali erano le grandi abitazioni nella zona più ricca della città.

Le cupole a bulbo di vetro delle torri del palazzo reale, con la strombatura ampia e le nervature esterne che ricordavano una spuma di crema, sotto il sole brillavano proiettando riflessi di luce sulle mura colorate dell’edificio e le tegole vivaci.

C’era qualcosa di incredibile, in quella città, un calore di stoffe allegre smosse dal vento, un’originalità architettonica, o forse proprio l’uso smodato di cupole di vetro che illuminavano Sehar di un manto d’incanto.

Il marchese si perse nella propria, personale contemplazione fino a quando non furono fuori portata d’orecchio, nei giardini d’ingresso del palazzo.

«Non avresti dovuto fare quell’intervento. È evidente che ha in mente qualcosa, ma se ti esprimi così apertamente non arriverai lontano»

Tighe stemperò il tutto con un sorriso bonario «Sicuramente ha in mente qualcosa. Per questo la nobiltà deve fare fronte comune. Ha bisogno di noi, gli forniamo uomini e vettovagliamenti. Da solo non potrebbe sostenere i costi di una guerra»

Nonostante l’età, Tighe restava un incredibile idealista senza speranza.

In parte, Aodh temeva per l’amico, sospettava che per piegare al proprio volere i suoi feudatari, il Re avrebbe usato qualunque mezzo.

«Non conterei troppo sul buon senso qui dentro. Li hai visti? Per lo più si facevano ingolosire da promesse visionarie»

«Non vi fidate a sufficienza delle persone. È questo il vostro problema»

Il marchese rispose con una smorfia scettica.

«Vedremo. Nel frattempo stai attento però. Non mi fido di lui. Il fatto che la decisione finale sia stata rimandata mi inquieta»

Il Barone sorrideva gioviale, non gli portava rancore benché non lo avesse appoggiato di fronte al consiglio, e di questo Aodh era grato. Si sentiva facilmente inadeguato, di fronte ai compiti che ci si aspettava sapesse gestire senza difficoltà, e l’unico obiettivo che si era prefissato in politica era di sopravvivere. Era un essere troppo piccolo e informe, di fronte a Edward come agli altri, per poter sperare di meglio.

«Può essere, mi guarderò le spalle. Ma il vostro problema mi pare ben più impellente. Come pensate di liberarvi di quegli spiriti? Le amadriadi sono un ostacolo ben più ostico di quanto la nostra Maestà abbia voluto ammettere, nessuno resiste ai loro incanti»

Aodh si grattò distrattamente la guancia, sovrappensiero «Già. Non riesco nemmeno a immaginare come siano riuscite a radunarne un tale numero»

Il sorriso di Tighe si spense, la fronte segnata di arricciò in rughe profonde «Che pensate di fare?»

Avevano abbandonato i cortili del palazzo che si aprivano sull’immensa piazza di Izarargi. A costeggiare la ringhiera in ferro battuto a ricami naturali che delimitava i confini del Palazzo Reale, attendevano in ordine le carrozze dei nobili. Diversamente dalla carrozza che usava per i lunghi viaggi a distanza, grande quanto un piccolo appartamento, questa era sottile e disadorna, laccata di nero, perfetta per gli spostamenti nelle vie cittadine.

Aodh riconobbe la propria grazie ai colori d’abito del cocchiere in piedi, accanto ai cavalli bianchi ornati della gualdrappa con lo stemma della sua casata. Si avvicinò, lentamente, mentre la sua mente inseguiva una soluzione che non sembrava volersi mostrare.

Il cocchiere aprì lo sportello ed una scaletta si srotolò ai suoi piedi con un rumore metallico.

Prima di salire, si voltò a guardare l’amico che pareva intenzionato a ricevere necessariamente una risposta.

«Non lo so, non ho molte scelte. Penso che chiamerò a Corte degli Ammazza Spettri»

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Buongiorno, sono circa tornata!

Fondamentalmente, le note sono uno dei motivi per cui pubblico tanto sporadicamente. Sento che dovrei dire qualcosa di sensato e magari chiarificatore, ma alla fine non ne sono mai capace!

Comunque, visto che le cose iniziano a diventare tante, ho pensato di fare un piccolo schema. Lo aggiornerò mano a mano che si aggiungeranno nomi e persone.

Potrei dover giungere a farlo anche per i personaggi, ma spero non sia così necessario perché mi annoio a morte a mettere le cose in fila!

Ogni Regno o regione ha la propria lingua, ma siccome sono contraria alle classiche frasi inventate dove i personaggi sembra abbiano un raschietto in gola che non vuole saperne di sparire, ho optato per qualcosa di più semplice.

Per cui, sono alcuni dettagli legati alla tradizione a distinguere un Regno dall’altro, dettagli come le formule di saluto, i nomi delle stagioni, dei mesi, e altre piccole fissazioni da psicopatica quale sono.

 

REGNI PRINCIPALI

 

Regione dei Laghi:

Ø  capitale Sirideainn, sede del Conclave.

 

Regno di Dubhar (o delle Ombre):

Ø  capitale Nesia

 

Regioni di Aimsir:

Ø  Samhradh

Ø   Earrach

Ø   Foghara

Ø  Geamharadh

 

Regno di Sideris:

Ø  capitale Sehar

Ø  Contea di Meridiem

Ø  Contea delle Idi

Ø  Marca di Arboris

 

Regno di Emer

Regno di Esperia

Steppe dell’ovest

Isole di Þoka

 

LUOGHI

Lochlainn, villaggio di sacerdoti Dravidi a Nord, sul fiume Ishtar

Glenn Dubhar, paesino tra le montagne del Centro

Foresta di Keyll = Regione boscosa di Samharadh assimilata alla Marca di Arboris

Monti Fengari = Catena montuosa che divide Sideris dalla Regione dei Laghi

 

STAGIONI

Nel Regno di Dubhar: 

Ø  Samhradh = Estate

Ø  Earrach = Primavera

Ø  Foghara = Autunno

Ø  Geamharadh = Inverno

 

 

Nel Regno di Sideris:

Ø  Udara = Estate

Ø  Udaherria = Primavera

 

 

A presto!

  
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