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Autore: _Reset_    03/05/2017    0 recensioni
non è facile essere diversi, non è facile opporsi alle forte ideologie di genitori e parenti, non è facile essere tanto forti da crescere da soli, oltre i limiti imposti. questo è un abbozzo della vita di un ragazzo che pian piano trova la forza di scrivere la sua storia.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Avete presente quella sensazione di disperazione ed estrema depressione, tipo quando la tua giornata inizia male e continua ad avere un trend che ti porta a pensare al fatidico #mainagioia e inizi a chiederti che hai fatto di male nella tua vita per meritarti tutta questa sfiga? No? Non temete ve la posso descrivere in maniera più che esaustiva e dettagliata visto che sono un esperto!
Vi basti pensare alla mia situazione attuale: io, vestito con infradito, pantaloncini da calcio e canottiera (mio tipico outfit per fare la spesa quando sono costretto da mia madre), con le braccia e le mani stracolme di ingredienti vari che immagino dovrò utilizzare per preparare la cena, sotto il tipico temporale estivo, chiamato amichevolmente diluvio universale. Ovviamente la spesa mi impedisce di coprirmi, non citiamo nemmeno il fattore ombrello, oggetto dalla misteriosa funzionalità visto che non mi è mai capitato di averlo con me nel momento del bisogno, e ovviamente vi sono quei gentilissimi personaggi che pur essendo all’asciutto in una macchina hanno una incredibile fretta di tornarsene a casa per cui estremamente e assolutamente casualmente, per nulla facendo apposta, passano con una incredibile velocità sulla pozzanghera che ovviamente sta di fianco a me creando una perfetta riproduzione in miniatura di uno tsunami e rendendomi se possibile più fradicio, ma sicuramente più sporco di sostanze di dubbia provenienza.
Vedo la gente attorno a me che corre verso il riparo più vicino, chiama taxi, si affolla alla fermata del bus o semplicemente apre l’ombrello correndo verso casa, e ciò mi fa sorridere. Cammino lentamente in questo frenetico fuggi fuggi, ormai conscio di avere acqua fin dentro le mutande e quindi di quanto sarebbe inutile correre al riparo, pensando al fatto che dovrò lavare ogni singolo ingrediente non confezionato.
È solo quando mi suona il cellulare che decido di fermarmi sotto il tendone di un negozio. Per alcuni istanti fisso il mio sguardo nel vuoto, percependo appena la confusione che mi circonda e il suono ritmico della pioggia che cade a terra o che rimbalza sopra il tendone che mi copre. Infine decido di guardare il messaggio. “Prendi anche le mele”. Ora me lo dice? Grande tempismo mamma… che fare? Niente, si torna indietro, solita pioggia, solite persone di fretta, solito negozio, solite mele, solita cassiera, solita strada… ed eccomi qui di nuovo sotto il tendone, tutto uguale eccetto il fatto che sono se possibile più bagnato e sporco di prima e sicuramente più scazzato dalla vita. Ma che bella giornata…
Sto fissando il vuoto senza una apparente ragione valida da alcuni minuti quando noto di non essere solo sotto il tendone. Mi volto quasi spaventato da questa presenza inaspettata. Il soggetto in questione è un ragazzo che incredibile ma vero è più bagnato di me. Sono tanto sorpreso dalla scoperta che esiste un ulteriore livello di bagnato che rimango a fissarlo troppo a lungo, tanto da farlo accorgere di me e del mio sguardo insistente. Si volta e mi sorride cortesemente e con una voce incredibilmente allegra esclama: -Quanta pioggia, vero? -. Mi trovo ad annuire per quanto quella domanda sia al contempo ridicola ed estremamente irritante. I suoi capelli castani scuri sono più lunghi rispetto alla norma per i ragazzi e sono tanto bagnati da incorniciargli il volto. Facendo un gesto rivolto al sacco di mele che a stento tengo in mano aggiunge: -Quelle mele sono di ottima qualità, vero? Le uso sempre anche io! -. Terminata la frase mi sorride attendendo una mia risposta. Sono secoli che non vedo un sorriso così innocente e credibile… Annuisco nuovamente anche se evidentemente ho comprato quelle solo per il fatto che erano le mele verdi che costavano meno. –Ora devo andare, scusa. È stato un grande piacere! -. Esclama nuovamente nel suo modo energico ed entusiasta lasciandomi ancora più perplesso… non abbiamo avuto un gran ché di conversazione… si è divertito a pormi quesiti e ricevere come risposta solo un leggero movimento della testa?
Una volta che la sua (fradicia) figura è sparita tra la gente mi decido ad avviarmi verso casa. Ovviamente il temporale non cessa anzi se possibile aumenta la sua potenza e quando arrivo a casa mi trovo a chiedermi se nel frattempo io mi sia trasformato in un tritone. Positivamente colpito dall’avere ancora le gambe e non una coda da pesce gigante apro la porta ed entro. Mia madre ha appositamente preparato per me un accappatoio e una cesta come per dirmi di spogliarmi immediatamente per non allagare tutta la casa. Poso delicatamente tutta la spesa a terra ed eseguo i taciti ordini, poi porto la cesta in lavanderia e la spesa in cucina. Per raggiungere questa passo dal salotto trovando i miei genitori seduti sul divano, con la loro solita aria severa e rigorosa, mentre annuiscono leggermente ascoltando il telegiornale. Lavo tutti gli ingredienti e inizio a scaldare il forno, poi corro a farmi una doccia. In cinque minuti sono di nuovo in cucina. Apparecchio la tavola e finisco di preparare la cena e giusto giusto mentre sto facendo le porzioni sui piatti sento che le sedie del tavolo vengono mosse, chiaro segno che è finito il telegiornale e che il mio tempismo è perfetto come sempre. Raggiungo i miei genitori sorridendo soddisfatto, poso i piatti e mi siedo al mio posto. Senza alcuna parola iniziamo a mangiare, avvolti dal nostro solito inquietante silenzio alcune volte interrotto dal suono delle posate contro il piatto. Una volta finito di mangiare sparecchio il tavolo e vado a lavare i piatti. Nel frattempo sento mia madre che chiude le tende e mio padre che prende il giornale.
-Hai sentito del figlio della signora Ribbons? – sussurra a un certo punto mia madre interrompendo il silenzio. Mio padre chiude il giornale, lo posa e la fissa interessato. Soddisfatta di aver ricevuto le sue attenzioni si siede nella sua poltrona e aggiunge: -Pare che sia omosessuale… io fossi in lei non avrei più il coraggio di farmi vedere in giro! -. Mi viene un tuffo al cuore. Era da almeno una settimana che non toccavano più l’argomento. Non ho bisogno di utilizzare i miei sensi per sapere che entrambi stanno facendo una smorfia schifata e sdegnata allo stesso tempo.
Omofobia. Se non conoscete il significato di questa parola non cercatela sul dizionario, vi basta venire a cena a casa mia una sola volta e tutto vi sarà chiaro.
Omofobi. I miei genitori sono tali. Severi, rigidi, altezzosi e amanti delle tradizioni non perdono alcuna occasione per ricordarmi quanto schifo facciano gli omosessuali, quanto non siano nemmeno degni di essere chiamati persone, quanto sia disonorevole essere tale o avere una tale persona in famiglia.
Inizialmente ci credevo anche io e per ciò mi vergogno un po’. Credevo in ogni parola dicessero i miei genitori, le prendevo come realtà, verità inconfutabili. Ero talmente convinto, che ogni volta che vedevo un uomo con l’aria losca credevo fosse omosessuale e scappavo da mia mamma a dirglielo. Parzialmente mi scuso e mi convinco che sia normale, in quanto fin da bambino sono stato circondato da persone con questa opinione, tra i miei genitori e tutti gli altri miei parenti altrettanto bigotti, però sono felice di esser riuscito a cambiare, a formare una mia idea e vedere il mondo attraverso i miei occhi e non un qualche preconcetto. Non sarei però mai riuscito a cambiare da solo. Molto lentamente ho iniziato ad avere dei dubbi che però mai avrei avuto il coraggio di confermare in una mia ideologia fissa, o almeno così pensavo fino a tre anni fa.
3 anni. Per tre lunghi anni ogni giorno più questa loro omofobia mi ha fatto soffrire. Ogni accenno mi feriva in profondità, mi turbava, mi faceva star male e alcune volte addirittura mi portava all’orlo delle lacrime (perché sì, sono uno sfigato piagnucolone). Sono passati tre anni e ancora mi capita di chiudermi nella mia stanza la sera con il solo desiderio di urlare, dare sfogo a quelle fitte che sento nel mio cuore.
Sono passati tre anni da quando ho incontrato la persona a cui voglio più bene nell’universo, con la quale sono più in sintonia, a cui posso raccontare tutto e con cui non ho timore di essere me stesso. Ebbene sì, tre anni fa ho conosciuto il mio migliore amico… che è gay.
Da quando mi ha detto del suo orientamento sessuale ho iniziato a chiedermi se fosse davvero corretto ciò che dicevano i miei genitori. Inizialmente ero titubante ma ben presto, conoscendo meglio il mio amico e ragionandoci su, ho capito quanto i miei fossero dalla parte del torto.
Il mio migliore amico si chiama Nicholas Palmer e siamo coetanei. È letteralmente la persona più buona, dolce e gentile che io abbia mai incontrato. È sempre pronto ad aiutare gli altri, che siano amici o meno, c’è sempre quando hai bisogno di parlare con qualcuno, ti ascolta e ti dà validi suggerimenti, capisce se qualcosa non va semplicemente guardandoti negli occhi, è generoso e non si tira mai indietro. Nick non è forte fisicamente, eppure io l’ho sempre visto quasi come un pari dei supereroi più famosi, anzi in alcuni casi l’ho ritenuto addirittura superiore. Infatti avendo fatto coming out molto spesso è vittima di bullismo. Lo insultano e lo picchiano e alcune volte è dovuto addirittura andare in ospedale per ciò. Eppure… io lo invidio. Vorrei essere come lui… Per quanto crudeli possano essere gli insulti, per quanto forti possano essere i colpi, lui si rialza sempre da terra, con la testa in alto e sorride. Guarda negli occhi quei bulli e sorride, come per dire “Puoi continuare fin quando vuoi tanto io non cambio e sono felice così come sono”. Questo io ho sempre ammirato di lui: aveva avuto il coraggio di fare una scelta difficile e che sicuramente gli avrebbe reso la vita più complessa, e per quanto la gente potesse opporsi a questa sua decisione lui era felice.
Per quanto io abbia provato a trovare una logica a ciò che sostengono i miei, sono giunto alla conclusione che hanno torto. E da allora anche solo l’idea che se sapessero che Nick è gay rivolgerebbero pure su di lui tutti gli insulti che amano attribuire agli omosessuali mi ha fatto soffrire. Non riesco ad accettare che una persona dolce ed adorabile, così esplicitamente buona come Nicholas debba soffrire così tanto, fino ad essere insultato e addirittura ferito fisicamente per il semplice fatto che ritiene più attraenti gli uomini alle donne. Che hanno fatto di male gli omosessuali per meritarsi ciò? Inizialmente continuavo a chiedermelo, poi ho capito che non c’è una risposta. Così come nell’antichità bruciavano vive donne sospettate di essere streghe, così come le persone dai capelli rossi erano considerate legate al demonio ora la società ha scelto di odiare gli omosessuali. Solo perché sono diversi? Non avrebbe alcun senso… a quel punto chiunque dovrebbe starmi alla larga perché essendo sfigato potrei passare il malocchio! Hanno forse paura di essere stuprati, di essere obbligati ad essere come loro? Mille domande mi frullavano nella testa tre anni fa, ma ben presto ho capito che in verità non c’è alcuna risposta valida, non c’è una logica.
Più il mio legame si rafforzava con Nicholas più mi era difficile accettare i discorsi dei miei genitori. Soffro non tanto per quello che dicono, piuttosto per il mio essere incapace a reagire. Sono ormai abituato alle parole crudeli proferite nei discorsi dei miei, eppure per quanto io ci tenga a Nick non sono mai riuscito ad oppormi, a difenderlo. Eppure lo so, Nicholas non farebbe mai del male a nessuno, non penserebbe nemmeno mai di stuprarmi o obbligarmi a diventare gay. Anche perché Nick ha il fidanzato.
Nicholas e il suo compagno sono la coppia più bella che io abbia mai visto sulla faccia della terra. Avete presente le coppie dei film? Ecco, loro sono ancora più belli. Io ho visto il mio migliore amico innamorarsi, ho sentito i suoi racconti dei primi appuntamenti, ho visto la scintilla nei suoi occhi ogni volta che mi parlava di lui e ho notato la sua dolce ansia ogni volta che aspettava impaziente un suo messaggio o una sua chiamata. Esattamente come ogni altro ragazzo della nostra età. Ho passato più di un pomeriggio con loro e mai una volta mi sono sentito a disagio, mai una volta mi hanno fatto sentire di troppo, mai una volta.
Ma ultimamente non è solo il pensiero di Nicholas che mi fa soffrire durante i dialoghi tra i miei genitori. Ci siamo trasferiti in un’altra città e ora siamo lontani, quindi Nick è al sicuro almeno dai miei genitori. Eppure continuo a soffrire… e non capisco il perché.
Mi chiudo in camera con la solita voglia di urlare, di strapparmi dal petto quel mio cuore che tanto soffre. Mi accascio per terra con la schiena appoggiata alla porta prontamente chiusa a chiave. Sento come una voragine dentro di me che risucchia ogni mia energia, ogni mia emozione eccetto una. Stringo al petto le gambe e appoggio la testa alle ginocchia, poi inizio a piangere silenziosamente, per non farmi scoprire.
  
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