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Autore: Rosye    05/05/2017    3 recensioni
In quel momento, nel sentire le sue parole, avrei solo voluto stringerla forte tra le mie braccia e rassicurarla, dirle di non preoccuparsi, di non piangere, perché stavo bene ed ero qui accanto a lei e avrei fatto di tutto per mantenere la mia promessa... ma anche questo mi era impossibile.
- Tratto dal Prologo.
Genere: Guerra, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fugaku Uchiha, Jiraya, Mikoto Uchiha, Sakumo Hatake, Tsunade | Coppie: Minato/Kushina
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
Capitoli:
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Lotteremo Contro il Nostro Destino!
Capitolo 3




 









- Minato -
 





Restai un momento a guardare il maestro chiudere la porta dietro di sé prima d'incamminarmi silenziosamente verso le scale con Tsunade.
Quando mi allontanai quel tanto che bastava dall'ufficio dell'Hokage, riuscii a stento a trattenere un sospiro di sollievo.
Tutto sommato, il mio incontro con lui era andato bene; anche se, pensandoci, il suo strano comportamento non mi era passato per nulla inosservato.
Infatti, malgrado lui avesse cercato di nasconderla, avevo notato chiaramente la sua crescente agitazione quando, Tsunade, gli aveva riferito della presenza di quel dannato sigillo.
Era stato un attimo, sì, ma mi era bastato per capire che dietro tutta questa storia si nascondesse davvero qualcosa di estremamente terribile.
Il problema adesso, stava appunto nel capire di cosa effettivamente si trattasse e di quanto fosse grave la cosa.
«Sei stato fortunato.» mi disse ad un tratto Tsunade, distraendomi dalle mie elucubrazioni mentali ed attirando la mia attenzione su di lei. «Hai trovato grazia agli occhi dell'Hokage.»
La osservai attentamente, aspettando che continuasse a parlare ma lei, non aggiunse altro, si limitò soltanto a guardare di fronte a sé mentre camminava.
In effetti, aveva ragione.
Se l'Hokage non mi avesse protetto dalla decisione del Consiglio, la mia punizione, sarebbe stata molto più pesante del solo essere sospeso per qualche settimana o, del non ricevere il compenso delle missioni svolte per qualche mese.
Probabilmente, anzi, no, quasi certamente, sarebbe stata la fine della mia carriera ninja, se non peggio.
Essere un disertore, specialmente nei tempi in cui ci trovavamo, era considerato un grave crimine per uno shinobi. E la condanna, per chi aveva la sfortuna di essere catturato, era molto severa – pagabile, nella maggior parte dei casi, soltanto con la propria vita.
A quel pensiero, senza che potessi farci poi molto per fermarlo, un brivido, mi salì su per la schiena.
Strinsi le labbra in una linea sottile, imponendomi, di riprendere il controllo delle mie emozioni: non era ancora il momento di cedere alla tensione che avevo accumulato nell'arco di queste ore, dovevo almeno aspettare di essere da solo, lontano da occhi indiscreti. E per farlo, decisi di concentrarmi sulle nuove informazioni in mio possesso.
Come avevo pensato, Jiraiya e Tsunade, sapevano sul serio qualcosa in più su questa storia, anche se, purtroppo, non era poi molto.
Il maestro, sfortunatamente, non conosceva davvero il motivo per cui quei pazzi volevano Kushina.
Le informazioni in suo possesso, si fermavano solo a ciò che aveva scoperto con il suo team mentre era in missione segreta – e, diciamocelo, era veramente molto poco.
Non sapevano neppure come fare per spezzare quell'affare e, adesso, l'unica alternativa che ci rimaneva per aiutare Kushina, era quella di provare a portarla nel suo villaggio di origine, anche se, non capivo perché nei diari di Mito ci fosse una simile indicazione.
Cioè, sì, il clan Uzumaki era uno dei migliori specialisti in campo di sigilli ma, cosa aveva a che fare in tutta questa storia? Come facevano a conoscere una simile tecnica? E soprattutto, perché quegli shinobi avevano usato proprio quel sigillo su Kushina - che era per l'appunto, l'ultima discendente diretta di quel prestigioso ed antico clan?
Da quello che aveva detto prima Tsunade, durante il colloquio con l'Hokage, era chiaro che non sempre il sigillo si limitava a bloccare solo il chakra della vittima, ma, spesso e volentieri, conduceva persino alla morte di quest'ultima. Ed allora, perché usarlo su una ragazzina apparentemente indifesa? E perché scegliere e rapire proprio lei?
Confuso ed arrabbiato, affondai le mani nelle tasche della mia felpa, cercando di fare chiarezza nei miei pensieri.
Avevo bisogno di altre risposte per riuscire a collegare al loro posto tutti i tasselli di questo complicato puzzle.
Troppe, infatti, erano le domande a cui non avevo ancora trovato risposta ed altrettanto tante, erano quelle senza una spiegazione logica.
Scoccai una fugace occhiata a Tsunade, chiedendomi se lei avrebbe risposto a qualche domanda, ma lasciai subito perdere quell'idea.
Non avevo tutta questa confidenza con lei e quasi sicuramente, non mi avrebbe risposto.
Tsunade, del resto, non era Jiraiya e, ad essere onesti, non sapevo proprio come riuscire a farla parlare.
Mi voltai dall'altra parte, facendo vagare i miei occhi in giro senza guardare in realtà niente in particolare, ma la voce di Tsunade, attirò nuovamente la mia attenzione su di lei: «Se hai qualcosa da dire, dilla, invece di fare quel broncio.»
Sobbalzai dalla sorpresa, sentendomi colto in flagrante.
La vidi fermarsi a pochi passi da me e sorridere divertita mentre, i suoi occhi mi osservavano con interesse.
«Andiamo dai, si vede lontano un miglio che muori dalla voglia di domandarmi qualcosa.» specificò, sbuffando ed alzando gli occhi al cielo. «Dall'altra parte, come potrebbe essere diversamente? Sei un ragazzo fin troppo intelligente per non esserti chiesto qualcosa. O sbaglio, forse?»
Ricambiai il suo sorriso, pensando tra me e me che quella donna, per certi versi, era davvero spaventosa. Era riuscita, come se niente fosse, ad intuire il mio stato d'animo.
Senz'altro, avrei fatto meglio, d'ora in poi, a stare attento quando c'era lei nei paraggi.
Comunque, mi ripresi presto dalla sorpresa iniziale e decisi di prendere quell'occasione al balzo.
«Beh, in effetti, ci sono molte cose che non mi sono chiare.» feci, scegliendo accuratamente ogni singola parola da usare e lasciando appositamente l'argomento sul vago per richiamare la sua attenzione.
Lei alzò un sopracciglio, curiosa. «Del tipo?»
Mi avvicinai di qualche passo, tenendo però la giusta distanza tra noi. «Mi stavo proprio chiedendo cosa c'entrasse il clan Uzumaki in questa storia.»
Il sorriso di Tsunade si ampliò, accondiscendente. E per un momento, riuscì davvero a farmi credere di aver abboccato alla mia trappola ma, purtroppo per me, non potevo mica sperare che uno dei tre famosi 'Sannin' fosse così poco furba.
Infatti, lasciandomi con un palmo di naso, lei se ne uscì con poche e semplici parole: «Non so, magari prova a studiare la loro storia e forse, capirai qualcosa
Rendendomi conto di essere stato bellamente preso in giro, non riuscii a fare a meno che restarmene immobile con la bocca aperta.
E questo, la dovette divertire molto visto che non riuscì più a trattenersi e mi scoppiò a ridere in faccia.
Mi imbronciai, infastidito.
Perché i grandi dovevano sempre considerarsi migliori di noi?
Tuttavia, non mi arresi e, ignorando il mio istinto di mandarla al diavolo, ci riprovai.
«Tsunade-sama.» la chiamai con tono pacato, incatenando i nostri occhi per qualche secondo. «Conosco a grandi linee la storia di quel clan e so, che sono i migliori in fatto di sigilli ma, non mi spiego perché dovrebbe conoscere una simile tecnica. Cosa c'entrano loro in tutta questa storia? E poi, crede davvero che gli Uzumaki possano fare qualcosa per aiutare Kushina-chan?»
Lei, a quella domanda, stupendomi, smise di ridere e ricambiò il mio sguardo con una lunga ed intensa occhiata penetrante.
Fu un attimo, ma sentii come se i suoi occhi d'ambra, mi trapassassero da parte a parte.
«Non lo so.» ammise alla fine seria, distogliendo all'improvviso il suo sguardo e tornando a guardare di fronte a sé. «…ma c'è una piccola possibilità e, la voglio usare. Comunque,» fece successivamente, cambiando improvvisamente argomento e puntando, fulminea, il suo indice destro a pochi centimetri dal mio naso, spiazzandomi ancora di più. «Non rischiare mai più in quel modo, per nessuna ragione, intesi?» mi ordinò, severa.
Il suo viso era piegato in un cipiglio deciso, quasi austero, ma i suoi occhi, stranamente, non avevano niente di forte, anzi, erano pervasi da una luce di profonda tristezza.
Una tristezza talmente grande, che – sarei stato pronto a scommetterlo – gli stava corrodendo l'anima dall'interno.
«Gli eroi non vivono a lungo, ricordatelo.» disse alla fine, in un sussurro appena percettibile, distogliendo definitivamente lo sguardo dal mio.
Disorientato dal suo repentino cambiamento d'umore, e non sapendo sinceramente come replicare alle sue parole, mi ritrovai soltanto ad annuire.
«Bene.» esclamò lei, stirando le labbra in quello che doveva essere un sorriso gentile, piegandosi leggermente su di me e scompigliandomi i capelli con forza. «D'ora in poi, cerca di fare attenzione...» mi avvertì, infine. «...quei ragazzi, prima, all'ospedale, non stavano scherzando. Stai attento e non ti fidare di nessuno, okay?»
Il suo piccolo sorriso era a così pochi centimetri dalla mia faccia che solo in quell'istante, riuscii veramente a notare che il viso di Tsunade, rilassato e piegato in un'espressione delicata, era davvero molto bello. E nella mia mente, quei lineamenti dolci, quell'incarnato chiaro e quegli occhi – simili all'ambra liquida, richiamarono in qualche modo, un'insolita sensazione che mi sconvolse e mi lasciò del tutto senza fiato.
Ciò che stavo percependo accanto a lei, era come un soffocante presentimento, tuttavia, non era negativo. Non sapevo come spiegarlo esattamente senza farmi prendere per pazzo ma, era un qualcosa che non avevo mai provato prima in tutta la mia vita. Totalmente spiazzato dall'intensità di quello che stavo sentendo, non riuscii neppure ad articolare qualche pensiero concreto, ma lei non ci badò.
Prese il mio silenzio per un muto consenso ed annuì compiaciuta. «Bravo ragazzo!» disse, congedandosi e andandosene via l'attimo seguente, mormorando tra sé e sé qualcosa di simile ad un “Ho bisogno di farmi un bicchierino!”.
Ritrovandomi da solo in mezzo alla via, la osservai mentre si allontanava a passo spedito e si confondeva tra la folla, domandandomi che diavolo mi era preso.
Sospirando pesantemente, mi passai una mano tra i capelli ed alzando lo sguardo su gli enormi volti di pietra degli Hokage che vegliavano sul nostro villaggio dall'alto, desiderai soltanto tornarmene a casa e riposarmi un po'.
Ci sarebbe stato tempo per pensare o indagare, per ora, avevo un disperato bisogno di sentire sulla mia pelle il getto caldo della doccia e il dolce profumo delle mie coperte.
Sospirando nuovamente, m'incamminai verso il mio piccolo appartamento. E fu un grandissimo sollievo, quando, pochi minuti dopo, lo vidi in lontananza.




 
- Jiraiya -





«Ci vorranno soltanto cinque minuti.»
Erano state queste le parole con il quale, Sarutobi, mi aveva adescato e trattenuto nel suo ufficio. Ed adesso, pensandoci con il senno di poi, dovevo immaginare che quella vecchia volpe stesse macchinando qualcosa.
«Di che si tratta?» domandai, senza troppi giri di parole.
Volevo concludere alla svelta e godermi finalmente il mio meritato riposo.
Lui mi lanciò una lunga occhiata indagatrice prima di sospirare pesantemente: «Ti sei arrabbiato.» constatò, posando, con un piccolo gesto, la pipa sul tavolo.
Ricambiai la sua occhiata con uno sguardo truce. «E non dovrei esserlo?»
Nell'arco di neppure ventiquattro ore, erano successe troppe cose che non dovevano accadere e, alcune di esse, potevano essere benissimo evitate.
«Non vedo il perché dovresti.»
«Beh, non saprei.» dissi, fingendo di pensarci veramente. «Magari, il motivo sta nel fatto che vuole trascinare un ragazzino in qualcosa di molto pericoloso: potrebbe essere questa la ragione? Che ne dice?»
Lui per tutta risposta, assunse un'espressione del tutto angelica e stirò le sottili labbra in un sorrisetto divertito – cosa che, diciamocelo, mi fece completamente saltare i nervi. «Ho davvero fatto questo?»
«Avanti sensei...» sbottai, irritato dal suo comportamento. «...perché vuole immischiare Minato in questa missione?»
Non ero mica uno stupido, almeno, non così tanto, per non capire che Sarutobi stesse cercando in tutti i modi di coinvolgerlo, anche se, non ne comprendevo il motivo.
Minato era ancora un semplice Genin e, nonostante fosse un ragazzo molto abile ed intelligente per la sua giovane età, non era ancora in grado di partecipare ad una missione di quel genere: se qualcosa fosse andato storto, poteva seriamente rischiare di perdere la vita e, questo, non potevo permetterlo.
Il maestro, alla mia domanda, rimase in silenzio per un lungo istante, riflettendo forse, se rispondermi sinceramente oppure no, ma poi, con un altro sospiro, iniziò a parlare: «Quel ragazzo ha stoffa.» replicò serio, sostenendo il mio sguardo con il suo. «Inoltre, qualcosa mi dice che durante il viaggio potrà rendersi molto utile.»
Sembrava davvero convinto delle sue parole, peccato però, che il mio istinto non la pensava allo stesso modo. Coinvolgere maggiormente quel ragazzo in questa storia, significava pure metterlo ancor di più sotto i riflettori e, purtroppo, c'era il rischio che in molti, reputandolo l'anello debole della squadra, non avrebbero perso tempo a fiondarsi su di lui.
Un esempio, era appunto stata la “cordiale” visita di cui Morino ci aveva omaggiato quella stessa mattina in ospedale.
Non avevo ancora dimenticato quel piccolo incidente e, sfortunatamente, c'era un'alta probabilità che una simile situazione si potesse ripetere di nuovo.
«Lo sa che prima, in ospedale, Morino e Kato sono venuti a cercarlo?» gli riferii arrabbiato e, allo stesso tempo, preoccupato.
A quella notizia, lo vidi rimanere visibilmente sorpreso ma, da abile ninja qual'era, si riprese in fretta, nascondendosi dietro una maschera di educata indifferenza.
«Non ne avevo idea.» disse sincero, confermando i miei precedenti sospetti su chi potesse essere il reale mandante di Morino. «Comunque, vedo che il ragazzo sta bene.»
«Solo perché Tsunade ed io siamo riusciti a mandarli via!» ringhiai, furioso. «Ma quel pazzo di Morino gli ha messo gli occhi addosso! E, a questo punto, non soltanto lui! Lo sa che loro non si arrenderanno facilmente, vero
Purtroppo, quella era una verità che entrambi sapevamo bene.
Una volta che Morino e quell'uomo mettevano gli occhi su una preda, non si fermavano fino a quando non riuscivano a catturarla e a banchettare con lei.
Repressi un brivido di terrore al pensiero che individui di quel genere si potessero avvicinare al mio allievo.
Dovevo assolutamente trovare un modo per proteggerlo, ed anche alla svelta – aggiungerei!
«Jiraiya, adesso calmati.» mi ordinò, tranquillo. «Farò in modo che nessuno si avvicini al ragazzo, per il resto, non preoccuparti, ho tutto sotto controllo.»
Gli lanciai uno sguardo scettico. «Ma davvero
Alla mia domanda, Sarutobi, scoppiò in una grossa risata. «Lo sai che negli anni sei diventato un po' troppo apprensivo?»
«Vorrei vedere lei nei miei panni.» borbottai, ripensando, mio malgrado, ai fatti accaduti quella notte.
Mi rizzavano ancora i capelli in testa al ricordo di quando, per provare a rintracciare quei ninja, ero entrato in modalità eremitica e, con mio grande sgomento, avevo avvertito il chakra di Minato in quella dannatissima foresta. Con il cuore in gola e ignorando i continui richiami di Tsunade, avevo persino iniziato a correre come un pazzo in quella direzione, pregando con tutte le mie forze di riuscire a fare in tempo. E per poco, non mi era preso un infarto proprio lì, nel punto in cui mi trovavo, quando avevo percepito l'energia di Minato all'improvviso sparire del tutto.
Avevo seriamente creduto che quel marmocchio fosse stato eliminato dai suoi nemici, grazie al cielo, invece, quella peste aveva solo azzerato il suo chakra per non farsi localizzare da nessuno.
In pratica, quel moccioso, aveva scelto la tattica migliore di tutte: colpisci e scappa!
E dovevo ammetterlo, aveva fatto un lavoro eccellente.
«Se ricordo bene...» disse il maestro, distraendomi dai miei pensieri. «… neanche voi, all'epoca, mi avete reso le cose facili. Eravate dei piccoli scalmanati e non perdevate occasione per azzuffarvi tra di voi.»
«Stavolta è diverso.» obiettai, cercando di calmarmi. «I tempi sono cambiati e, fuori, stiamo per rischiare una nuova guerra.»
La mia osservazione, gli fece morire il sorriso sulle labbra e lo fece tornare serio. «È vero.» ammise, sospirando per la terza volta nel giro di qualche minuto.
Lo osservai attentamente.
Era raro che Sarutobi mostrasse la sua preoccupazione in quella maniera, qualcosa, lo doveva inquietare particolarmente.
«Sensei?» lo chiamai, temendo il peggio. «Cosa sta succedendo esattamente?»
Lui, per tutta risposta, si alzò in piedi e, dandomi le spalle, si diresse a piccoli passi verso la grande finestra del suo ufficio che dava sull'intero villaggio della Foglia.
«Avrei bisogno di chiederti un favore.» se ne uscì, evitando accuratamente di rispondere alla mia domanda.
Gli prestai la massima attenzione, pronto ad aspettarmi di tutto, ma non di certo, quello che mi chiese l'attimo seguente. «Dopo che ritornerete dal Villaggio del Vortice, vorrei che iscrivessi e preparassi la tua squadra per la selezione dei Chūnin.»
Lo guardai allibito, convinto di non essere riuscito a sentire bene ciò che mi aveva detto: «Cosa?» gracchiai, sentendo le mie tempie pulsare dolorosamente in quello che si preannunciava un, imminente e, poderoso mal di testa. «Sta scherzando, vero?»
Ed ora che cavolo aveva in mente di fare?
Non avevo nessuna intenzione di iscrivere i miei ragazzi a quella prova: erano ancora troppo giovani ed inesperti per affrontarla.
Sarutobi, mi lanciò un'occhiata da sopra la sua spalla prima di voltarsi nuovamente verso di me. «Credo invece che sia arrivato il momento, Jiraiya.» disse con calma, ignorando la mia domanda. «I tuoi ragazzi sono usciti dall'Accademia due anni fa con il massimo del punteggio.» specificò poi, prendendo la scheda dei loro dati personali da sopra la sua scrivania e gettandoci una veloce occhiata. «Inoltre, com'è riportato qui, la tua squadra ha già affrontato due missioni di livello B. Sono certo che riusciranno a passare la prova senza troppe difficoltà.»
«Sono ancora dei ragazzini.» risposi, cocciuto. «Le selezioni dei Chūnin sono ben diverse da una missione con il proprio maestro: loro dovranno cavarsela da soli.»
«Ed è giusto così, ragazzo mio.» sospirò stancamente. «E poi, proprio quest'oggi, hai avuto un assaggio delle capacità di Minato. Sei riuscito ad essere un bravo maestro guidando i tuoi allievi scrupolosamente nel loro cammino, ora però, devi saper lasciargli prendere la loro strada.»
Lo guardai sospettoso.
Ormai lo conoscevo come le mie tasche e sapevo molto bene che quando se ne usciva con quelle filippiche, significava che sotto, nascondeva qualcosa.
«Qual è il suo vero piano, sensei?»
Lui sorrise sornione, mentre i suoi occhi brillarono di una luce divertita. «Non ti si può nascondere più niente, eh?»
«Non sono più un bambino.» risposi scocciato, memore di tutte le volte in cui ero caduto nelle sue trappole da piccolo.
«Già.» mormorò, nostalgico. «Ad ogni modo...» disse, tornando serio. «...Non mentivo su i progressi dei tuoi ragazzi e credo seriamente che sia il momento giusto per farli passare di livello.»
Incrociai le braccia al petto, rivolgendogli un'occhiata così tanto diffidente che lui, distorse lo sguardo dal mio.
«D'accordo.» si arrese alla fine, con un altro piccolo sospiro. «In fondo, sono sicuro che presto lo verrai a sapere anche tu.»
«Cosa dovrei venire a sapere?» gli chiesi, alzando un sopracciglio.
«Oltre alla tua squadra, quest'anno verrà iscritto alla selezione per i Chūnin anche il Team 8.»
Stavo giusto per obiettare e dirgli che non me ne fregava nulla di chi si sarebbe iscritto a quella dannata prova e chi no, che, all'improvviso, come un fulmine a ciel sereno, un pensiero mi passò per la testa e mi ammutolii all'istante.
Lo guardai allibito, senza avere la forza di dire nulla.
Lui, come a voler confermare il mio pensiero, annuì con un'espressione grave.
«Sarutobi-sensei...» provai allora a mormorare, sbigottito.
Non riuscivo ancora a capire come gli fosse passata per la testa una simile idea.
Sì, i miei ragazzi erano in gamba e, ormai, nelle nostre missioni, non mi rimaneva che stare a guardare mentre loro facevano tutto il resto; ma, arrivare ad affibbiargli un simile compito - quando, ancora non erano neppure dei Chūnin - mi sembrava davvero troppo!
«Questa, sarà la loro prima missione segreta.» precisò lui, posando il fascicolo che teneva in mano sopra le mille carte che ingombravano la sua scrivania e tornando nuovamente a guardare fuori dalla finestra.
«Ma sono ancora dei ragazzini!» gridai infuriato, riprendendomi dallo shock iniziale.
«Dovresti provare ad avere più fiducia nei tuoi allievi, magari, chissà, ti sorprenderanno.»
«Io credo nei miei ragazzi, ma non per questo li manderò al macello!» sbottai, arrabbiato ed offeso dalle sue parole.
A differenza di ciò che pensava, credevo nelle capacità dei miei allievi; ma c'era una grande discrepanza tra una missione in cui potevo intervenire in qualsiasi momento, e una missione segreta svolta durante una prova dove la maggior parte dei candidati cercava di ammazzare senza pietà il suo avversario.
Inoltre, il Team 8, non era davvero pronto per affrontare una simile prova, neppure con l'aiuto dei miei ragazzi sarebbe riuscito a passare la selezione. Una dimostrazione ce n'era stata data appunto la notte precedente. E se, malauguratamente, le cose fossero andate male, i miei ragazzi, avrebbero rischiato seriamente di restare feriti per proteggere quelle ragazzine; per non contare in più, che purtroppo, una di loro, quasi certamente, non sarebbe stata più in grado di usare il suo chakra.
In parole povere, non importava da che punto si guardava la cosa, quella di Sarutobi, era senza ombra di dubbio una gigantesca pazzia!
Non avrei mai rischiato di perdere un'altra volta i miei allievi in quel modo.
A quel pensiero, i fantasmi di Yahiko, Konan e Nagato tornarono ad infestare la mia mente.
Con una smorfia, strinsi le labbra e rinchiusi il loro ricordo dentro un cassetto della mia memoria, scacciando, in questo modo, i miei sensi di colpa per non essere stato presente quando loro avevano più bisogno di me; e, con fatica, tornai a concentrarmi sulla discussione con Sarutobi.
«Non ho nessuna intenzione di iscrivere i miei ragazzi alla selezione.» confermai, testardo. «E non capisco come quell'incosciente possa solo lontanamente pensare di iscrivere le sue allieve!»
«Lui ha fiducia nella sua squadra...» mi rispose con semplicità, tornando a guardarmi in faccia.
Gli rivolsi un'occhiata ostile. «Questo compito va ben oltre la semplice fiducia nei propri allievi. È da pazzi lanciare questi ragazzi in una simile sfida. E lui, lo dovrebbe sapere abbastanza bene! Per non parlare poi...» mi bloccai immediatamente, preferendo non continuare.
Non volevo dirgli quanto quest'idea di ospitare le selezioni proprio all'interno del nostro villaggio non mi piacesse per niente.
Sfortunatamente, quest'anno sarebbe toccato proprio a Konoha aprire le sue porte alle selezioni per i Chūnin e, dopo il tentato rapimento di Uzumaki, permettere a delle squadre avversarie di entrare tranquillamente, non mi sembrava veramente il massimo, anzi, poteva dimostrarsi un grande errore. Non sapevamo ancora nemmeno cosa stavano cercando gli shinobi della Nuvola ed adesso, gli stavamo regalando il passe-partout per la Foglia su un piatto d'argento!
Senza pensare che, qualcuno, poteva benissimo decidere di attaccare il villaggio dall'interno con la scusa di queste selezioni.
Dal mio punto di vista, era davvero troppo pericoloso permettere al nemico di entrare.
«A cosa stai pensando, Jiraiya?» mi domandò, ad un tratto, distogliendomi dalle mie riflessioni.
Nonostante me lo stesse chiedendo, ero certo che lui avesse intuito dove i miei pensieri stessero ruotando in quel momento.
Mi passai stancamente una mano sugli occhi, indeciso se mostrargli i miei dubbi oppure no, ma alla fine, optai per essere sincero. «Non credo sia una buona idea aprire le porte di Konoha, soprattutto, non dopo quello che è successo ieri notte.»
«Capisco.» sussurrò, abbassando lo sguardo pensieroso. «Hai ragione, ma non possiamo chiudere le porte del villaggio: verrebbe vista come una dichiarazione di guerra.»
«E chi se ne importa!» sbuffai, davvero stufo della situazione precaria in cui si trovavano le Cinque Nazioni. «Non credo che chiudere il villaggio ai nostri nemici faccia poi tutta questa differenza! Prima o poi, che noi vogliamo o no, questa dannata guerra scoppierà.»
Il maestro scosse la testa, afflitto. «Il problema non sta nell'evitare che questa guerra scoppi, ma nel provare a ritardare il più possibile il suo inizio.»
«Non capisco. Che vuol dire?» chiesi, confuso.
«La Nazione del Fuoco si trova in un momento critico...» mi spiegò, agguantando nuovamente la sua pipa da sopra la scrivania. «...nello stato in cui si trova, non riuscirebbe a sopravvivere ad una terza guerra, non adesso per lo meno.»
Rimasi senza parole, troppo sconvolto per riuscire a dire qualcosa di sensato.
Sapevo che a causa della Seconda Grande Guerra il Paese del Fuoco aveva riportato gravi danni, ma non mi sarei mai immaginato che la nostra Nazione si trovasse ancora in una simile situazione di stallo.
Nell'ufficio del maestro scese un profondo silenzio e l'aria, si riempì ben presto dell'odore acre della sua pipa. Fu lui a rompere quel momento di apparente quiete, dopo aver espirato una lunga boccata di fumo. «Il mio compito è quello di proteggere tutti i cittadini della Foglia e per farlo, devo mantenere assolutamente la pace.» sussurrò, con la pipa ben stretta tra le labbra e le mani intrecciate dietro la schiena.
Lo vidi osservare con amore le vie del villaggio che a quell'ora particolare del giorno brulicavano piene zeppe di persone e, nel profondo, mi vergognai un pochino per essere stato brusco con lui.
«Sensei, qual'è il suo piano?» gli chiesi, in un sussurro roco.
«Voglio schierare la tua squadra come rappresentante del nostro villaggio.» mi rispose schietto. «Nonostante tu mi consideri un pazzo, ho pensato molto bene alle conseguenze di questa scelta e per questo ho scelto proprio la tua squadra tra tutte: perché loro sono i migliori dell'ultimo decennio. Sono sicuro che riusciranno a battere ed intimidire quanto basta gli altri Paesi da un possibile attacco e, dalla determinazione di quel ragazzo, sono anche pronto a giurare che farà di tutto per proteggere i suoi compagni. In un certo senso, mi sento più tranquillo nel saperlo accanto alle nostre squadre.»
Ascoltai in silenzio fino a quando non finì di parlare, comprendendo solo in quel momento che, il piano di Sarutobi, era ancora più ambizioso di quanto avessi solo lontanamente potuto immaginare.
«Vuole usare Minato come punta di diamante?»
Lui annuì, tornando a puntare i suoi occhi nei miei. «Ammiro quel ragazzo e sento che posso fidarmi di lui.»
«E non c'entra Nanami-san* in tutto questo, vero?»
«Puoi non credermi, ma questa volta, lei non c'entra davvero.»
I suoi occhi, sorprendentemente, erano del tutto sinceri.
Stavolta, non stava dicendo mezze verità: era completamente sincero.
«Sensei, e se nonostante il suo piano, usassero comunque queste selezioni per attaccarci? Cosa faremo?» gli domandai allora, temendo di conoscere già la risposta.
Lo vidi sorridere lievemente, come se un simile pensiero fosse inconcepibile. «In quel caso, gli faremo pentire di essere venuti fino a qui.» mi rispose, divertito. «Allora, che farai? Iscriverai la tua squadra?»
Lo fissai per un lungo secondo, diviso dalla ragione che mi obbligava ad acconsentire all'ordine del mio maestro e dal cuore che mi ordinava di rapire i miei allievi e portarli il più lontano possibile da questa insana pazzia.
«Chi saranno le altre squadre?» gli domandai invece, tardando volutamente sulla mia decisione.
Lui sorrise apertamente, capendo il mio gioco. «Oltre al Team 8, verranno iscritti anche il Team 2 e 5.»
Rimasi sinceramente stupito dalla sua scelta: i membri di quelle squadre, erano tutti i discendenti delle migliori famiglie di Konoha.
«E lei pensa che Minato superi persino i gemelli Hyūga* e la coppia Uchiha*?» feci, scettico.
«Penso che quel ragazzo possa riservarci delle grandi sorprese.» mi rispose. «E tu, lo sai molto bene.»
Non riuscii a controbattere perché, nonostante Minato non appartenesse ufficialmente a una casata illustre, conoscevo bene le sue potenzialità e sapevo che sarebbe diventato presto uno dei migliori ninja mai esistiti al mondo.
«Non stava scherzando quando diceva che avrebbe mostrato a tutti la nuova forza della Foglia.» borbottai, ancora esterrefatto. «Mi spiega perché vuole pure la mia squadra in questo quadro?»
«Per rendere le cose perfette, Jiraiya.» replicò, enigmatico. «Per rendere tutto perfetto
Lo guardai stralunato, chiedendomi se per sbaglio nella pipa avesse inserito delle erbe sbagliate o se, dopo tanto tempo, il caro e buon vecchio Sarutobi, avesse deciso di sballassi un po', anche se – resti tra noi, eh! – non era più nell'età per provare simili sostanze.
Lui ricambiò il mio sguardo con uno curioso. «Che c'è?»
«Niente di che… mi chiedevo cosa diavolo stesse fumando.» mi lasciai scappare, ancora prima di rendermi conto di cosa gli avessi effettivamente chiesto.
Per qualche secondo, i suoi occhi, osservarono l'oggetto in legno lavorato per poi puntarsi nuovamente su di me. «Fiori di Calendula e radici di Ginseng Rosso, perché?»
«Oh no, niente. Semplice curiosità.» farfugliai, facendogli con la mano segno di lasciar correre.
Lui sorrise, divertito. «Mia moglie sarà felice di sapere che hai notato ed apprezzato il suo regalo.»
Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva. «B-Biwako-san?» balbettai, completamente intimorito dal solo sentire pronunciare il nome di quella donna terrificante.
Lui annuì, sadico. «È stata lei a donarmi questa particolare miscela, dicendomi, che le proprietà curative di queste piante mi avrebbero fatto bene.»
«Se l'ha detto Biwako-san, non può essere altrimenti!»
«A proposito, perché non vieni una di queste sere a mangiare a casa nostra, mia moglie ne sarebbe felice.»
Alla sua proposta, mi vennero i brividi su per tutta la schiena e i sudori freddi.
Mi grattai nervosamente la nuca con una mano, cercando di trovare una scusa fra mille per declinare il suo invito.
Non avrei mai retto una sera sotto lo sguardo tagliente di quella donna, come minimo, mi sarebbe andata la cena di traverso. «S-sono molto occupato al momento, s-sa com'è… il lavoro, le donne, a-ah ah ah.»
«Ecco, anche di questo volevo parlarti. Di donne.» continuò invece lui, incurante del mio improvviso pallore. Lo vidi fare qualche passo verso di me e dovetti fare ricorso a tutto il mio coraggio per non indietreggiare a mia volta.
«Biwako vorrebbe presentarti una sua cara parente. Da qualche tempo infatti, pensa che ormai sei in età da matrimonio e guarda caso, conosce proprio la ragazza che fa per te!»
Era troppo.
Era davvero troppo!
Sentii il terrore prendere possesso di ogni fibra del mio essere ed istintivamente, feci un balzo indietro, sbattendo la schiena contro la dura e fredda parete del suo ufficio. Mi appiattii maggiormente contro il muro e con la mano cercai freneticamente la maniglia della porta, ma quella era troppo lontana.
Imprecai tra i denti e mi maledii mille volte nella mia mente per non essere stato bravo a prendere le misure di fuga in una simile situazione d'emergenza.
Lo vidi fare un altro piccolo passetto verso di me, mentre i suoi occhi erano pervasi da una luce maliziosa e sadica, tremendamente sadica, per i miei gusti.
«D'accordo sensei!» urlai, spaventato a morte da un possibile matrimonio con una donna burbera e gelida come Biwako-san. «Iscriverò i ragazzi quanto prima alla selezione dei Chūnin!»
Il maestro sorrise sornione. «Oh, davvero?»
Annuii diverse volte, agitato, e lui, ampliò il suo sorriso.
«Dirò a Biwako che per il momento sei molto occupato.»
Non sarei mai stato in grado di descrivere il sollievo che provai nell'udire quelle parole.
«Grazie, sensei.» biascicai, tirando un sospiro di sollievo: Ragazzi, che spavento!
«Ad ogni modo.» dissi, l'attimo seguente. «Per quanto è stata fissata la data?»
Lui, capendo subito a cosa mi stessi riferendo, tornò ad essere serio. «Tra tre mesi, a partire da oggi.»
«Bene.» mormorai, sollevato. Mi restava ancora un po' di tempo per allenarli.
Mi fissò per qualche istante, prima di chiamarmi. «Jiraiya?»
Ricambiai il suo sguardo senza dire nulla, in attesa che continuasse a parlare.
«Grazie.» disse solamente, consapevole di quanto in realtà, mi costasse iscrivere quei ragazzi a quella dannata prova ed affibbiargli un compito di una tale portata.
Sospirai pesantemente, sentendomi stranamente svuotato da ogni emozione. «Non mi ringrazi, sensei.» replicai in un sussurro appena percettibile.
Avevo come la brutta sensazione di avere appena fatto un errore madornale ad accettare la sua proposta. «Piuttosto, preghi che non capiti niente, altrimenti...»
«Stai tranquillo, Jiraiya, non gli accadrà niente di grave.» m'interruppe, promettendomi qualcosa che neppure lui, in fondo, poteva veramente sapere.
E non saprei spiegare il perché, ma quelle parole alle mie orecchie, suonarono, più che altro, come un tentativo di auto-convincimento. Forse, il tutto, era dovuto al suo tono atono o forse, in realtà, era la mia paura che qualcosa andasse storto a farmi pensare al peggio.
Scossi la testa, provando a scacciare via quella terribile sensazione che mi stava strisciando nel petto.
«Posso andare, adesso?» gli chiesi, desideroso di tornarmene a casa e riposare un po'.
«A dire il vero, ci sarebbe un'altra faccenda della massima importanza di cui ti vorrei parlare.» disse, scrutandomi con circospezione, quasi timoroso di rendermi partecipe dei suoi pensieri. E con orrore, mi ritrovai a pensare che conoscevo fin troppo bene quell'espressione e, purtroppo, già sapevo che non ne sarebbe venuto niente di buono da questa conversazione. Non persi tempo, non lo feci neppure parlare. Scattai subito come una molla, neanche avessi preso la scossa elettrica.
Ad essere onesto, rispetto a questo, avrei senz'altro preferito incontrare Biwako mille volte con il sorriso sulle labbra ed organizzare con lei mille matrimoni, che toccare un simile tasto con Sarutobi.
«No!» esclamai, irritato.
«Jiraiya, ascolta...» provò a dire, pazientemente.
«No!» ringhiai, interrompendolo ancora una volta.
Sapevo bene cosa mi voleva chiedere e, per la milionesima volta, la mia risposta era sempre la stessa; ormai, non volevo neanche più ascoltarlo ripetere quelle gigantesche cazzate.
«Sensei, questa storia non la riguarda!»
«Lo so, ma...» tentò nuovamente, senza nessun risultato.
«No, sensei, con tutto il rispetto, ma lei non sa un beneamato cavolo!» esclamai, fuori di me.
«Jiraiya, per favore...»
«Si ricordi che lei è vincolato dalla promessa fatta a Nanami!»
All'udire quelle parole, incassò la testa tra le spalle come se avesse ricevuto un forte schiaffo. «Non potrai proteggerlo dalla...»
«Stia zitto!» tuonai, battendo un pugno sulla scrivania in mogano. «Stia zitto, non provi neanche a dirlo!»
Non ero mai stato così irrispettoso con lui, l'avevo sempre stimato come un secondo padre e forse di più, ma non potevo permettergli di rivelare qualcosa a quel ragazzo: Minato non l'avrebbe sopportato.
Rabbrividii al solo pensiero.
Gli lanciai uno sguardo di fuoco, mentre lui lo sosteneva impassibile.
Come faceva a non capire? In fondo, anche lui era stato un maestro ai suoi tempi e avrebbe dovuto comprendere facilmente la mia scelta di portare questo segreto nella tomba.
Con la forza di un uragano, senza che avessi modo di fermare i ricordi, mi ritornò in mente tutto di quella maledetta notte piovosa. Erano passati quasi tre anni ma, potevo sentire ancora lo scrosciare della pioggia e le raffiche del vento gelido sulla pelle mentre, disgraziatamente, tenevano stretto tra le mie braccia quel corpo ormai senza vita.
No, non sarebbe successo di nuovo.
L'avevo giurato a lei e a me stesso: avrei protetto Minato a tutti i costi!
«Jiraiya.» mi richiamò Sarutobi, pacato. «Minato prima o poi verrà a conoscenza della verità...è inutile tenerlo all'oscuro di tutto.»
Sentì il mio cuore mancare qualche battito nel petto dal terrore.
Era vero. Aveva dannatamente ragione, prima o poi avrebbe scoperto la verità: era solo questione di tempo; però, egoisticamente, non volevo che ciò accadesse.
«No.» mormorai con un filo di voce, perdendo il mio spirito battagliero e deglutendo a vuoto. «Non voglio... non è ancora il tempo.»
Sarutobi puntò i suoi occhi scuri nei miei. «Per quanto vorrai scappare?»
Abbassai lo sguardo, colpevole. Senza avere il coraggio di rispondere.
«Ragazzo mio...»
«No, sensei.» esclamai, stringendo i pugni con forza. «Non posso permetterlo.»
Il maestro sospirò, sconfortato. «Deve sapere la verità, almeno questo glielo dobbiamo.»
«Lo farò io stesso, ma non ora...» dissi, con il cuore in gola. «...Aspettiamo ancora un altro po'.»
Soppesò per qualche istante le mie parole, alla fine annuì, comprensivo. «Va bene.»
Mi fissai corrucciato le mani, e per uno spaventoso attimo, le vidi tinte di sangue. Sobbalzai, strizzando gli occhi. Quando li riaprii, erano tornate callose e pulite.
Distesi i nervi, cercando di calmare il mio battito accelerato e respirai profondamente, desiderando cancellare dalla mia mente quel terribile e strisciante senso di colpa.
Avevo un disperato bisogno di uscire fuori da quell'ufficio e gettarmi sotto il getto caldo della mia doccia per cercare inutilmente di lavare via ogni traccia dei miei peccati nascosti.
Senza aspettare il congedo, mi voltai e uscii fuori da quella stanza, ormai diventata ai miei occhi troppo claustrofobica.
E come accadeva tutte le volte che i ricordi venivano a galla, iniziai a correre verso una meta imprecisa, provando, ancora una volta, a scappare dai miei demoni interiori.




 
- Minato -





Senza perdere altro tempo, balzai sul balcone della mia stanza ed entrai direttamente dalla finestra – che avevo sempre la brutta abitudine di lasciare aperta.
Quando attraversai la stanza, involontariamente, il mio sguardo andò a posarsi sulla cornice in acero bianco che era poggiata sulla scrivania e, nell'osservare la giovane donna sorridente che vi era ritratta, un triste sorriso affiorò sulle mie labbra; ma distorsi subito gli occhi da quell'immagine e mi diressi in bagno dove, mi spogliai velocemente e gettai i vestiti nel cesto della biancheria sporca.
Fu un immenso piacere per me entrare dentro la doccia ed aprire il getto dell'acqua calda perché, finalmente, iniziai a sentire i muscoli e i tendini rilassarsi poco per volta.
Appena finii di insaponarmi, appoggiai i palmi aperti sulle piastrelle color panna della doccia e restai immobile sotto quel fiotto d'acqua bollente nella speranza che, insieme al sapone, scivolasse via anche tutta l'ansia e la paura che avevo provato in quelle ultime ventiquattrore.
Era assurdo credere che, i ninja della Nuvola, erano riusciti ad infiltrarsi indisturbati nel nostro villaggio e ad arrivare facilmente a Kushina nonostante, le alte mura di Konoha, fossero circondate da forti e spesse barriere di protezione e da rigidi controlli.
La cosa, mi preoccupava seriamente, anche se, con quello che era successo, non dubitavo neppure per un istante che, l'Hokage, si fosse già messo all'opera per rafforzare maggiormente le barriere che proteggevano la Foglia.
D'altronde, non si conosceva ancora il reale motivo per cui Kumo avesse messo gli occhi su Kushina e, sfortunatamente, non si poteva escludere che la Nuvola, ritentasse un secondo rapimento.
Purtroppo, avevo come il brutto presentimento che questa non fosse stata né la prima volta che cercavano di farle del male e, nemmeno l'ultima. Dovevamo stare attenti, soprattutto adesso che sapevano di essere stati scoperti.
Non c'era nulla di più pericoloso di un avversario che ormai, non gli restava più nulla da perdere.
Questo pensiero mi fece tremare fin dentro le ossa dal terrore.
Qualsiasi fosse la reale ragione di questo attacco, non potevo rischiare di perdere un'altra persona a me cara… non di nuovo e, specialmente, non lei.
Ad un tratto, inaspettatamente, mi balenò in mente un altro volto, tanto diverso da quello di Kushina ma, altrettanto prezioso per me.
Fu così improvviso che, non riuscii neppure a prepararmi alla consueta e dolorosa fitta che mi attanagliava il petto ogni volta che, il suo ricordo agrodolce, tornava a tormentarmi.
Scossi con forza la testa per scacciare dalla mia mente quei caldi e dolci occhi color nocciola e mi costrinsi a rinchiudere, per l'ennesima volta, dentro un cassetto del mio cuore, tutte le ferite del passato.
In fondo, non avevo tempo per piangermi addosso.
Il passato era passato, punto.
Non dovevo più rievocare il suo viso o qualsiasi cosa avesse a che fare con lei.
Forse, sarebbe stato meglio togliere pure la sua foto dalla mia scrivania, eppure, ogni volta che ci provavo, qualcosa dentro di me, mi fermava dal farlo.
Probabilmente, una piccola parte di me, non si era ancora arresa ed attendeva disperatamente il suo ritorno.
Comunque stavano le cose, per il momento, preferivo non pensare a lei e sopprimere ogni ricordo che riusciva a scatenare in me quelle fitte dolorose. Forse, un giorno, chissà, mentre ero in giro per svolgere qualche missione, l'avrei incontrata di nuovo e allora, soltanto allora, con lei davanti, sarei riuscito ad affrontare il fantasma del suo abbandono e, magari, sarei riuscito anche a voltare pagina; malgrado ciò, dovevo in ogni caso andare avanti e lottare per vivere al meglio il presente. Anche se, non credevo minimamente che “scappare dal passato” potesse definirsi un “vivere il presente”, ma almeno, ci stavo provando e questo, era ciò che davvero contava.
Perso nei miei pensieri per com'ero, inizialmente, non mi accorsi nemmeno che l'acqua era divenuta fredda.
Quando riaprii gli occhi e notai questo piccolo particolare, decisi di uscire dalla doccia.
Mi asciugai alla svelta e, dopo che indossai un pantalone e una maglia presi a caso dal portabiancheria del bagno, andai in cucina per bere qualcosa di fresco.
Dopo aver visto Kushina uscire in quello stato dalla sala operatoria, mi si era completamente chiuso lo stomaco e il colloquio con il Terzo, di certo, non mi aveva aiutato a farmi tornare l'appetito ma, mi sforzai di prendere se non altro un po' di succo.
Nel portarmi il bicchiere alle labbra, lanciai una piccola occhiata all'orologio a muro appeso sopra la porta della cucina: era quasi mezzogiorno e mezzo.
Era ancora troppo presto per andare a trovare Kushina; sempre se, Tsunade, non avesse già dato ordini ben precisi riguardo alle visite.
Avevo come la strana sensazione che, per non farla stancare troppo e, permetterle di riposare tranquillamente, senza che nessuno la disturbasse, quella donna, fosse capacissima di vietare qualsiasi visita da parte di amici e parenti.
Mi lasciai scappare un lungo sospiro e decisi di mettere, per il momento, da parte tutti quei pensieri. Era meglio cercare di riposare un po'. In fondo, ero veramente stanco e la doccia che avevo fatto, mi aveva rilassato quel tanto che bastava per poter provare a dormire.
Con questo proposito, lasciai il bicchiere nel lavabo della cucina e mi diressi in camera da letto.
Quando mi sdraiai, compresi davvero quanto bisogno avevo di distendermi e riposare prima di andare da lei ma, appena chiusi gli occhi, senza nessun preavviso, mi apparse davanti il suo volto addormentato e tremendamente pallido.
Era come se quell'immagine di lei, appena uscita dalla sala operatoria, fosse stata marchiata a fuoco dietro le mie palpebre ed ora, mi stesse perseguitando.
Mi rigirai nel letto, cercando di cacciare via quell'immagine, ma non ci riuscii.
A nulla serviva cambiare posizione, non potevo chiudere occhio senza che la rivedessi distesa in quella stramaledettissima barella. Ed avevo la convinzione che, se prima non mi fossi accertato che avesse almeno riaperto gli occhi, non ci sarei sicuramente riuscito.
Mi rigirai per l'ennesima volta ed affondai la testa sotto al cuscino, ma in quell'istante, un'altra immagine sostituì la precedente e nella mia mente, riecheggiarono pure le sue parole.
Quelle stesse parole che mi aveva sussurrato con uno sguardo impaurito e sofferente: …anche se sono una forestiera?
Ne ero certo, non avrei mai dimenticato le sue lacrime né, tanto meno, il peso del suo dolore.
Essi, inspiegabilmente, erano riusciti a scavare in me un solco profondo che si sarebbe potuto rimarginare solamente con i suoi sorrisi.
Ecco perché, sopra la cima di quell'albero, avevo promesso a me stesso di proteggerla.
Le mie azioni, non erano state gestite solo dalla compassione che avevo provato per lei in quel frangente.
No, avevo deciso di aiutarla perché ero sicuro che soltanto se lei sarebbe stata felice, lo sarei diventato pure io.
In qualche modo a me ignoto, e allo stesso tempo spaventoso, adesso, dalla sua felicità, dipendeva anche la mia.
Ripensai al modo in cui, in preda al suo sfogo, si era stretta a me ed aveva continuato a farlo pure quando si era addormenta tra le mie braccia.
In quel momento, mi era sembrata così fragile ed indifesa che, avevo avuto la paura di poterla spezzare facilmente se non avessi fatto molta attenzione… Basta, non potevo continuare così!
Mi alzai di scatto dal letto e mi vestii in un battito di ciglia con degli abiti puliti.
Dovevo assolutamente controllare che lei stesse bene, altrimenti, non avrei avuto pace.
Fortunatamente, il mio appartamento, si trovava al centro del villaggio e, non distanziava poi molto dall'ospedale. Infatti, raggiunsi in pochi minuti il grande edificio a tre piani con il tetto blu – che fungeva da ospedale a Konoha.
Per una frazione di secondo, mi venne la malsana idea di entrare direttamente dalla finestra per non farmi vedere da nessuno ma, scacciai subito quell'ipotesi; anche perché, ad essere onesti, non volevo rischiare di introdurmi nella stanza sbagliata.
Scossi la testa, sorridendo lievemente al pensiero che, Jiraiya, in questi anni, aveva esercitato senz'altro una cattiva influenza su di me.
E me lo stavo giusto immaginando sghignazzare con i pollici all'insù, approvando con fierezza il mio piano di usare la finestra anziché la porta, quando, improvvisamente, me lo vidi sfrecciare davanti come una scheggia – per la miseria, neanche avesse avuto il diavolo alle calcagna!
E per giunta, non mi degnò nemmeno di uno sguardo, anzi, era come se non mi avesse proprio visto.
Accigliato, lo osservai correre.
Che cosa accidenti gli era successo per essere così sconvolto?
Feci per chiamarlo, ma non me ne diede neppure il tempo: era già sparito.
Perplesso, piegai leggermente la testa di lato, chiedendomi, se per caso, era un vizio del “Team Sarutobi” sparire a quel modo però, decisi ben presto di lasciar perdere e di continuare per la mia strada: avevo bisogno di vedere Kushina, subito.
Non m'importava se era solo per un'istante, dovevo vederla.
Volevo assolutamente vederla.
Preoccupato da ciò che mi attendeva, mi passai una mano tra i capelli per smorzare l'ansia e con un profondo respiro, varcai la soglia dell'ospedale.
Quando entrai però, la mia attenzione, fu inevitabilmente catturata da un forte trambusto e da alcune voci femminili.
Tra di esse, purtroppo, riconobbi la voce nasale di Nabiki Yamanaka* – l'infermiera più saccente ed arrogante mai assunta all'ospedale di Konoha – intenta, a discutere animatamente con due ragazze, una delle quali era particolarmente infuriata.
Mi bastò lanciare solo un'occhiata nella loro direzione per riconoscerle: erano Mikoto Uchiha ed Akemi Hyūga, le compagne di squadra di Kushina.
Anche se, onestamente, mi meravigliai molto di trovarle lì.
Che io sapessi, Kushina, purtroppo, non era mai riuscita a rapportasi nemmeno con loro e, questo, aveva pure penalizzato di molto la loro squadra; ma, adesso, il vederle discutere con quell'infermiera mi fece uno strano effetto.
Possibile che le cose stessero per cambiare in meglio?
Me lo augurai davvero.
«Vi ripeto per l'ennesima volta che, quella paziente, non può ricevere visite, andatevene!» gridò Nabiki, facendo riecheggiare le sue urla per tutta la sala d'aspetto e terrorizzando a morte un bambino di sì e no cinque anni, ma non poteva di certo sperare d'intimidire in quel modo, due delle migliori kunoichi del mio anno d'Accademia.
«Forse non mi sono spiegata...» ringhiò, Mikoto tra i denti, inviperita come non l'avevo mai vista: sembrava quasi bruciare dalla collera più nera. «...voglio sapere qual è la stanza di Uzumaki Kushina, ora!»
La donna, gonfiò il petto come un gallo pronto al combattimento ed io, mi ritrovai a sorridere di quella scena.
La vista di Nabiki, tutta scompigliata e paonazza, alle prese con quella furia di Mikoto, era davvero uno spasso.
«Tsunade-sama, ha dato ordini ben precisi. Mi dispiace, ma la paziente non può ricevere visite al momento.» se ne uscì alla fine, guardandole dall'alto in basso e confermando i miei precedenti sospetti.
«Non può fare un'eccezione?» chiese allora Akemi, supplichevole.
«No, è fuori discussione!»
«Ma noi...» provò ancora la giovane Hyūga, prima d'essere interrotta brutalmente dalla sua amica.
«L'avverto, se non ci dirà...» iniziò freddamente, ma fu interrotta a sua volta dalla compagna.
«Mikoto.» la chiamò, timidamente.
Lei infastidita, si voltò a guardarla. «Che c'è?»
Non restai ad ascoltare altro ed approfittando della distrazione di Nabiki, attraversai il corridoio, sperando di non incontrare nessuno.
Nemmeno avevo concluso quel pensiero che appena svoltai l'angolo mi scontrai con qualcuno e ruzzolai a terra come un salame.
Imprecando tra i denti provai a rialzarmi, ma quel qualcuno fu più rapido di me, mi acciuffò da dietro con forza e mi trascinò dentro una stanza.
Cercai di liberarmi, ma il mio aguzzino non allentò la sua presa d'acciaio.
«Shh!» ordinò, bisbigliando al mio orecchio.
Ma che diavolo...?
Riuscii solo a pensare, prima di sentire dei sonori passi riecheggiare dietro la porta contro cui ero stato malamente sbattuto ed immobilizzato.
M'irrigidii preoccupato, e soltanto in quell'istante compresi che se lui non mi avesse afferrato e portato lì, sarei stato beccato senza via di scampo.
Quando i passi furono ben lontani, il mio aguzzino, o forse, era meglio dire, il mio salvatore, mi lasciò andare: «Credo che con questo siamo pari, baka
Trattenni a stento un sospiro di sollievo nel riconoscere quella voce e sorrisi divertito, lanciando un'occhiata in giro giusto per non rispondergli subito; dalle dimensioni e dalla grande quantità di scope, secchi e rastrelli mi aveva trascinato dentro lo sgabuzzino dell'ospedale.
«Non direi...» dissi alla fine, per provocarlo. «...Io ti ho trattato con più gentilezza, mi pare!»
Il suo sbuffo contrariato mi fece quasi scoppiare a ridere.
«Comunque, grazie.»
Senza degnarsi di rispondere, mi allontanò con poca grazia dalla porta e l'aprì silenziosamente, guardando fuori. «Via libera, non c'è nessuno.» fece, preparandosi a sgusciare via dallo sgabuzzino, ma non gliene diedi il tempo.
Lo agguantai per un braccio, prima che lui potesse uscire. «Ehi, aspetta!»
Non era un caso che lui si disturbasse a girovagare per un corridoio d'ospedale e non avevo dubbi neanche su cosa fosse venuto a cercare; anzi, avrei dovuto pensarci subito, dove si trovava l'una era inevitabile incontrare anche l'altro e poi lei, stranamente, era l'unica persona al mondo in grado di persuaderlo a fare qualcosa di simile.
«Che vuoi, scemo?» sbottò, infastidito.
«Sei riuscito a trovare ciò che cercavi?» gli chiesi, senza mezzi termini.
Se era rimasto sorpreso dalla mia domanda non riuscii a capirlo, il suo sguardo rimase impassibile come sempre.
«Non ne ho avuto il tempo.» ammise, imbronciato.
«Di a Mikoto che lei, è nella 202.»
Lui mi rivolse una delle sue peggiori occhiate indagatrici, ma poi distolse lo sguardo.
«Non ti chiederò come hai fatto a scoprirlo e non dirò a nessuno che sei stato tu a dirmelo, per intenderci, neppure a Mikoto. Noi oggi, non ci siamo nemmeno incontrati. Comunque,» fece poi, tornando a fissarmi negli occhi. «penso che le ragazze torneranno nel pomeriggio, quando quell'oca di Yamanaka, se ne sarà andata a casa.»
Sospirai sollevato.
In pratica, mi avrebbe concesso tutto il tempo per andare da lei senza che nessuno mi vedesse.
«Grazie, Uchiha
«Smettila e vai dove devi andare, tonto
Sorridendo apertamente, lo salutai ed uscii in fretta dallo sgabuzzino.
Fugaku, non sarebbe mai cambiato, ormai, il suo carattere scorbutico era diventato davvero una costante nella mia vita ed, ero anche convinto che, il giorno in cui mi avrebbe dimostrato un po' d'affetto, sarebbe stato un nefasto presagio per tutti noi; però, per esperienza personale, sapevo che dietro quella spessa corazza di freddezza, batteva un cuore più caldo del mio.
Era soltanto molto reticente a mostrarlo, tutto qua.
Attraversai alla svelta l'intero ospedale fino a quando non arrivai nel corridoio in cui erano indicate le stanze che contavano dal 200 al 220.
Percorrendo il corridoio, guardai i numeri accanto alla porta con il fiato sospeso.
...210 ...209 ...208 ...207 ...206 ...205 …204 ...203 ...202, eccola!
Trepidante, e con il cuore in gola, posai la mano sulla maniglia della porta.
Lei era solo a pochi passi da me: era proprio dietro quella porta.
Ironicamente, pensai che un'altra porta ci stava dividendo ma, questa volta, non fu per molto.
Con uno scatto, l'aprii e per poco, non mi prese un colpo.
Chi diavolo era quello?!




 
- Tsunade -





Era il crepuscolo.
Il sole morente, era ormai del tutto sparito dietro le alte e rigogliose cime degli alberi che nascondevano e proteggevano il nostro villaggio ed io, mi ritrovavo di nuovo qui, seduta sulla testa di pietra che raffigurava il volto di mio nonno, mentre assistevo da sola a quello spettacolo affascinante e al tempo stesso, totalmente deprimente.
Un altro giorno era quasi finito, pensai amaramente, sapendo che ben presto, quell'incubo, sarebbe tornato a tormentare – come ogni notte, del resto – i miei sogni.
Strinsi le gambe al petto e appoggiai il mento sulle ginocchia, chiudendomi a riccio come se con quel semplice gesto, potessi davvero proteggermi dai miei tormenti peggiori.
Era proprio in questi momenti che non riuscivo a nascondere quella tremenda solitudine che mi attanagliava il petto in una morsa d'acciaio.
Da quando avevo perso Nawaki, la mia vita era del tutto cambiata, sprofondando nelle tenebre del dolore.
Da quel maledetto giorno, non avevo più nessuna ragione per cui lottare.
Non c'era più nessuno che dovevo proteggere.
Non avevo più uno scopo per vivere.
Con quelle maledette carte bombe, oltre al mio fratellino, era pure saltato in aria il mio cuore ed adesso, ero semplicemente un guscio vuoto che camminava e si muoveva senza nessun motivo.
Portai la bottiglia alle labbra e, con avidità, ne trangugiai un grande sorso.
Storsi le labbra al sapore forte dell'alcol e chiusi istintivamente gli occhi quando avvertii la gola bruciare al passaggio del liquore. E per un misero istante, mi sentii davvero bene.
Mi sentii strepitosamente bene.
Per quanto potesse essere stupido da parte mia crederlo, bere, mi aiutava.
Mi aiutava a dimenticare per qualche secondo quanto la mia vita, fosse stata un enorme e completo fallimento.
Sì, perché io, Tsunade Senju, ero un completo fallimento.
Avevo fallito sia come guerriero, che come figlia e, soprattutto, come sorella maggiore.
Non ero riuscita a proteggere il mio adorato fratellino; non ero lì per impedirgli di saltare in aria, non c'ero per fermarlo dal correre incontro alla morte. Ed ora, mi ritrovavo a bere dello scadente sake per poter provare ad attenuare quel vuoto opprimente che mi straziava e lacerava continuamente il petto in mille e più parti. Sorrisi malinconicamente, al ricordo del viso sorridente di Nawaki.
Mi mancava davvero tanto.
Il mio caro fratellino.
«Che ci fai qui?» un sussurro roco, venuto dal nulla, mi fece trasalire e per poco, dallo spavento, non lasciai persino cadere a terra la bottiglia che tenevo in mano.
Ma riconoscendo la sua voce, mi tranquillizzai subito.
Con lui non c'era nessun bisogno di avere paura perché sapevo molto bene, che mi avrebbe sempre protetto, anche da me stessa, se solo l'avessi voluto.
Peccato però, che il mio orgoglio, mi impediva di urlargli quanto disperato era il mio bisogno di sentirlo accanto a me. «Potrei chiederti la stessa cosa.»
«Ti cercavo.» mormorò serio, cercando di regolarizzare il suo respiro.
Probabilmente, aveva corso fin qui.
«Adesso mi hai trovata, cosa vuoi?»
«Te.» rispose, schietto come soltanto lui riusciva ad essere. «Ho bisogno di stare con te.»
Allibita dalle sue parole, mi voltai completamente verso di lui, indecisa se rimproverarlo per le sue battute fuori luogo oppure no, ma appena i nostri occhi si incontrarono, mi bloccai all'istante. O per meglio dire, il suo sguardo mi bloccò.
Nei suoi occhi c'era una disperazione e un vuoto che vi avevo letto solo poche volte prima di allora e la ragione, mi ritrovai a pensare tristemente, purtroppo, era sempre la stessa.
Involontariamente, con le braccia, mi strinsi di più le ginocchia al petto in cerca di riparo dal freddo autunnale e forse, ad essere sinceri, anche di un po' di conforto.
Ogni volta che mi si mostrava in quello stato, non potevo fare a meno di avere paura. Perché se, a causa del dolore, persino il suo incrollabile e luminoso sorriso poteva tramontare, avevo paura che, per me, non ci sarebbe più stata nessuna speranza di poter tornare a vivere di nuovo.
Lo vidi ricambiare il mio sguardo e fare qualche passo verso di me. Ed istintivamente, mi feci leggermente da parte per fargli posto.
Quando lui di sedette accanto a me, non gli chiesi cosa gli fosse successo.
Non ci pensai neppure a farlo.
Se lui era venuto a cercarmi era proprio perché non voleva parlare e, soprattutto, non voleva pensare o ricordare i fatti dolorosi che lo tormentavano ormai da tempo.
Conscia di questo, mi limitai soltanto ad allungare il braccio e a passargli la bottiglia.
Lui la prese e con un piccolo movimento della mano, l'alzò a mo' di brindisi per poi berne un lungo sorso e passarmela di nuovo per poterne bere a mia volta.
Non ricordo con esattezza per quanto tempo restammo così, seduti l'uno accanto all'altra, a bere in silenzio, ma il sole ben presto sparì del tutto e noi, venimmo avvolti completamente dal buio della notte.
Eppure, adesso, non eravamo più da soli e questo, per il momento, ci bastava.
Ci bastava davvero.















NdA:
Ta Tan!
Sono tornata prima del previsto con un nuovo capitolo e sono pure pronta per tutti i pomodori e la frutta marcia che avete messo da parte per me in questi due mesi d'attesa! 
^^"
No, dai, scherzavo. Risparmiatemi almeno la frutta marcia, per favore! Quella puzza un pochino! xP
Comunque tornando seri, che ne pensate di questo capitolo?
Premetto che ci sono state molte parti che mi sono piaciute scrivere ed altre, che mi hanno fatto sclerare... ho passato anche alcune notti insonni per renderlo al meglio e spero che, dopo tutti i miei sforzi, ci sia riuscita; ma non sta a me dire questo, bensì, aspetta a voi il compito di giudicare se questo capitolo è valso la pena leggerlo oppure no.
Spero di cuore di non aver deluso le vostre aspettative e che continuiate a leggere questa storia.
Aspetto anche con ansia di conoscere il vostro parere e, ci terrei a ringraziare di cuore tutte le persone magnifiche che stanno leggendo e, soprattutto, seguendo questa storia!
Grazie anche a 
coniglietto 94 per aver inserito questa fanfiction nelle preferite!
Che altro dire?
Spero di risentirvi nel prossimo aggiornamento.
A presto,
Con affetto, Rosye.

Ulteriori Note:
*Personaggio di mia invenzione, comunque presto capirete chi è questa “Nanami-san”.
*Ho fatto qualche calcolo con la calcolatrice e se non sbaglio (e la mia matematica continua a fare schifo come in passato ^^'') i gemelli Hyūga – anno più, anno meno – dovevano essere coetanei di Minato e lo stesso Fugaku e Mikoto. Quindi, ho pensato con la mia testolina, perché no?
Ah dimenticavo, se qualcuno se lo chiedesse, nella mia storia Minato e Fugaku non fanno parte dello stesso team... e neppure Fugaku e Mikoto sono nella stessa squadra.
Quando Jiraiya parla della "coppia Uchiha" si riferisce a Fugaku ed a un altro membro di quel clan che presto farò comparire nella storia: in pratica, ve lo prometto, aspettatevi delle belle! ;)
   
 
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