Libri > Trilogia di Bartimeus
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Autore: Fauna96    05/05/2017    1 recensioni
¡ModernAU! appartenente alla serie Altri Luoghi. Raccolta di one-shots in cui si fa del proprio meglio con l'aiuto di qualche scrittore che di sentimenti (forse) se ne intende.
1_Jane Austen: in cui certe verità sono note e altre no
2_Sir Arthur Conan Doyle: in cui una mente razionale viene scossa
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bartimeus, Kitty Jones, Nathaniel, Queezle
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Altri Luoghi'
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Sir Arthur Conan Doyle
 

Sapevo di non essere bravo a capire i sentimenti e le emozioni altrui, ma soprattutto miei; da bambino ero stato definito in molti modi, il più semplice dei quali era “difficile”. Immagino fosse vero: non ho molti ricordi dei primi anni della mia vita e, soprattutto, della mia vita con i miei genitori. Uno psicologo una volta mi disse che il nostro cervello cancella i ricordi ritenuti troppo dolorosi: non che i miei genitori mi abbiano mai maltrattato, ma credo che, effettivamente, ricordarli con precisione mi farebbe più male che bene.
Per farla molto breve, avevo imparato presto a reprimere le emozioni, le lacrime come le risate, tranne in presenza di poche persone fidate: zia Martha e la signora Lutyens, la mia insegnante di disegno di quand’ero bambino. Per abitudine, uno inizia a scacciare immediatamente le reazioni spontanee, fin quasi a non provarne più.
Ormai ero diventato ciò che tutti si aspettavano diventassi: studente modello serio e responsabile, ma non un secchione (in realtà lo ero, lo ero sempre stato) con persino una bella ragazza. Jane era un anno avanti a me e rappresentava tutto ciò che avevo sempre desiderato avere, un ideale più che una persona in carne e ossa. A quattordici anni la vedevo in giro per i corridoi della scuola, sempre in compagnia di ragazzi più grandi, dolorosamente irraggiungibile per me, che all’epoca stavo crescendo in altezza ma anche in goffaggine, e non riuscivo a fare un passo senza inciampare, figurarsi rivolgerle la parola. Piuttosto patetico, ma quale quattordicenne non lo è?
Ma i veri problemi, contro ogni mia previsione e speranza, erano cominciati dopo, quando Jane Farrar era entrata nella mia vita e si era rivelata non un’idea bensì una persona molto reale. Passati i primi tempi, mi ero sentito sempre più a disagio nel suo ambiente, circondato da persone che nel profondo mi erano indifferenti o addirittura disprezzavo. Per molto tempo, l’unico vero amico che sentivo di avere era Tolomeo, del quale sapevo poco o niente, e viceversa. A quanto pareva, crescere non mi rendeva meno patetico.
Gli amici di Tolomeo erano completamente diversi da ogni altra mia conoscenza e questa cosa mi destabilizzava: ci conoscevamo da pochissimo, perché mai quell’irritante barista mi mandava messaggi a ore improbabili con contenuti ancora più improbabili? E, più importante, come diavolo aveva ottenuto il mio numero?
Quanto a Kitty Jones... non sapevo davvero cosa pensare. Ammetto di aver avuto per molto tempo una concezione estremamente ristretta (misogina, avrebbe abbaiato lei) della donna, anche perché potevo dire di conoscere bene solo mia zia e lei... be’, era il prototipo della zia premurosa, sempre a cuocere biscotti e ad occuparsi di me e dello zio e della casa. Poi c’era la signora Lutyens, che probabilmente associavo a una dea, quasi, perché oltre a essere bella e gentile, era la persona più intelligente che conoscessi, con un’inspiegabile fiducia in me. Fino a Jane, non avevo incontrato altri tipi di donne; se fossimo stati in un romanzo, lei sarebbe stata la femme fatal, immagino.
Ecco, Kitty non rientrava in nessuna di queste categorie e la cosa, inconsciamente, mi gettava nel panico. Era determinata quanto Jane, ma le mancava la sua malizia: Kitty era sincera e diretta, testarda e appassionata e mi dava l’impressione di potere e volere morire per un’idea. Non penso di aver mai avuto una tale forza di volontà e probabilmente l’ammiravo per questo. Lei no, ovviamente: c’era ben poco in me da ammirare.
La notte (be’, mattino) di Capodanno ci eravamo lasciati... bene, credo, per due sconosciuti che si erano trovati a brindare insieme; dal canto mio, ero convinto che non ci saremmo più rivisti e forse sarebbe stato meglio così, considerata la litigata epocale che mi aspettava con Jane. Invece, piuttosto inaspettatamente e per ragioni a me sconosciute, mi ero guadagnato la simpatia (o la pietà?) dei componenti di quella bizzarra banda, che presi così a conoscere meglio. In questa prima fase, Kitty Jones mi risultò brusca e terribile; ammetto che buona parte della colpa fu mia, perché da qualche battuta di Bartimeus avevo intuito che Kitty avesse un passato burrascoso da teppista, ma lei fece ben poco per farmi cambiare opinione: ogni cosa che dicevo mi procurava un rimbrotto, una critica non troppo velata a me, alla mia vita e ai miei “privilegi”. Ne ero offeso, anche perché Tolomeo, che era nelle mie stesse condizioni di vita, non riceveva alcun rimprovero. Ma, siccome sono sempre stato un vigliacco (e Kitty era piuttosto spaventosa), mi limitavo a stare alla larga da lei, per quanto possibile.
Non so bene come e perché, ma caso volle che una sera mi trovassi faccia a faccia con lei sulla metro; ero piuttosto stanco per cui, quando lei fece un commento sarcastico sul fatto che fossi tra i comuni mortali, la rimbeccai piuttosto acidamente. Non ricordo cosa dissi, ma ricordo che mi sentii in colpa un minuto dopo; tuttavia, incrociando il suo sguardo, vi lessi un certo stupore che in qualche modo mi inorgoglì.
Restammo a lungo in silenzio, pressati l’uno all’altra dalla folla, finché Kitty sbuffò sonoramente. – Immagino di doverti delle scuse – tenni la bocca chiusa. – L’altro giorno persino Tolomeo mi ha sgridato... oh, la mia fermata –
Colto alla sprovvista, non riuscii a fare altro che farmi largo a gomitate e seguirla, ignorando il fatto che la mia fermata fosse ben lontana. Chiamatemi meschino, ma... Kitty Jones si stava davvero scusando con me. Assurdo.
Si voltò sorpresa e le sorrisi conciliante, sperando di apparire disinvolto.
- Mi segui? –
- No, certo. Devo scendere anch’io qui –
Alzò le sopracciglia, ma fortunatamente si tenne per sé i propri commenti.
- Dicevo – sospirò – che so di essere stata stronza. Ma le persone come te... –
- Cosa vuoi dire con ‘persone come me’? – intervenni – Tu non mi conosci! Mi stai solo giudicando in base a... alla mia scuola e alla mia famiglia... –
- E’ quello che hai fatto tu! – mi ruggì contro – Non so cosa tu creda di sapere su di me, ma evidentemente mi ritieni una delinquente perché non vado a scuola! Perché penso che le persone privilegiate dovrebbero smetterlo di sbatterlo in faccia agli altri! –
- Non sono affatto privilegiato! – gridai – Ma tu non lo sai, perché non ti sei mai disturbata a chiedere, a conoscermi! –
Ci fissammo nel bel mezzo del sottopassaggio finché non cedetti e spostai lo sguardo sul muro ricoperto di graffiti; era estremamente raro per me arrabbiarmi così e ancor più esprimerlo. Mi sentivo in imbarazzo; feci per voltarle le spalle e sperare che il terreno mi inghiottisse, ma lei mi acchiappò prima che potessi filarmela e mi tirò gentilmente verso l’uscita.
- Hai ragione – disse, una volta all’aria aperta. – Io non conosco te e tu non conosci me: prendiamo un caffè insieme e raccontiamoci le nostre vite –
- Cosa? – boccheggiai. Dopo la mia (e sua) sfuriata, un’offerta di pace era l’ultima cosa che mi aspettavo.
Kitty Jones mi sbalordì immensamente quel giorno, e forse anche io la stupii, o comunque riuscii a farle cambiare idea su di me, visto che iniziammo a prendere un caffè insieme molto spesso. Kitty non voleva il Nathaniel impassibile e bravo a scuola, né l’animaletto sociale che mi pareva talvolta di essere con Jane: voleva una persona con cui discutere, anche litigare, bastava fosse viva.
- Mi sembravi un robot – ammise una volta. – Tutto rigido e ingessato e perfettino. Con le opinioni prestampate e senza emozioni – mi fece un sorriso sbilenco – Scusa -.
Ricambiai, mescolando il tè. – Lo so. Non mi piace molto che gli altri capiscano quel che provo –
Kitty aggrottò le sopracciglia. – Tu credi? – diede un gran morso alla pasta e il cioccolato le sgorgò sul mento.
- Cosa intendi? –
Dopo aver deglutito ed essersi pulita alla bell’e meglio, rispose: - Non credo, sai. Tu ti blocchi, forse, ma in realtà penso proprio che tu abbia un gran bisogno di parlare. Semplicemente, non ti fidi delle persone. Ti capisco -.
Non considerai mai quei pomeriggi appuntamenti, perché... be’, non lo erano. Credo. Insomma, io non avevo mai avuto molti amici, men che meno amiche, quindi all’inizio mi ero trovato abbastanza in imbarazzo; poi, lentamente, Kitty entrò nel mio quotidiano. Non mi stupiva più trovare suoi messaggi tra una lezione e l’altra (nemmeno di quelli di Bartimeus, ma quelli li ignoravo quasi sempre) e avevo quasi preso a considerare i pomeriggi insieme una tradizione.
In tutto questo, però, non mi dimenticavo di Jane e del resto della mia vita, ovviamente; solo... era scesa un po’ più in basso nelle mie priorità.
Detta così sembro una persona veramente meschina, e anche robotica, visto che organizzo e programmo tutto e tutti nella mia vita; ma fare così mi dava un senso di sicurezza, dato che nella mia vita c’era stato ben poco che potessi controllare: a cinque anni, i miei genitori se n’erano andati lasciandomi per mesi in un istituto finché gli Undewood non mi avevano preso con loro. Non erano miei zii in realtà, solo parenti, probabilmente anche piuttosto lontani; tutto sommato, ero stato anche abbastanza fortunato, ma ovviamente avevo capito poco e deciso nulla della dinamica del mio affidamento. Non dico che un bambino così piccolo avrebbe potuto o dovuto fare qualcosa: era una sensazione che era venuta molto più tardi, crescendo.
Quindi sì, ero piuttosto maniaco del controllo e forse era anche per questo che Kitty m aveva tanto destabilizzato: per lei, nella mia vita, non era stato previsto alcuno spazio, se l’era preso lei con la forza. E io... gliel’avevo permesso, senza rendermi conto di quanto mi stessi affezionando. A sentir Jane, troppo.
Bartimeus la faceva semplice, come la maggior parte delle cose; lo invidiavo per la sua leggerezza. In tutta sincerità, non sapevo se amavo Jane; ma stavamo bene insieme (di solito) ed eravamo una bella coppia a detta di tutti ed era giusto stare con lei... Ma allo stesso tempo, come poteva essermi venuto in mente di eliminare Kitty dalla mia vita?
Quella sera, passai un quarto d’ora a fissare lo schermo del cellulare e chiedermi cosa scrivere, e a chi, dopodiché provai vergogna per aver pensato di sbrigarmela per messaggio. Probabilmente in casa si doveva risentire del mio pessimo umore, perché zia Martha aveva preparato per dolce la torta alle mele, la mia preferita, e zio Arthur si degnò addirittura di chiedermi “come andassero le cose”.
Kitty non si faceva sentire da quel giorno disgraziato, giustamente, ma anche Jane pareva farsi pregare, il che mi faceva infuriare ancor di più, dato che mi ero messo in quel pasticcio sotto sua istigazione. Se fossi stato più onesto, però, avrei dato la colpa a non altri che a me stesso.
Verso le due di notte ricevetti un messaggio da Bartimeus: Sei ancora sveglio a rimuginare?
Già, risposi senza nemmeno fingere di essere appisolato.
Male! Smettila di pensare una buona volta! Tanto, loro sono sempre venti passi avanti a noi. Kitty specialmente, Natty-boy.

 


Ma, per un professionista del ragionamento, ammettere questi elementi estranei nel delicato macchinario di precisione del proprio temperamento equivaleva a introdurre in esso un fattore di distrazione che avrebbe potuto pregiudicare tutti i risultati mentali.
 
Sir Arthur Conan Doyle, Le avventure di Sherlock Holmes: Uno scandalo in Boemia
 
 
 


Ho notato che tendo a scrivere solo Bartimeus in prima persona e mi sono detta no, ora lo faccio anche per gli altri. E Nathaniel... be’, è stato pure più facile di quanto pensassi. Spero si siano capiti i suoi dubbi, il perché fa quello che fa; alla fine, mi sono limitata ad “ammorbidire” un po’ la sua storia. Scegliere la frase per lui era stato molto complesso... meno male che quando ho progettato tutto questo avevo appena finito la quarta stagione di Sherlock, per cui, perché non usare proprio lui e quel racconto in particolare? Spero vi stia piacendo questo particolare modo di procedere.
Grazie a tutti voi lettori e ad Alsha in particolare ♥ A presto!
  
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