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Autore: suni    09/06/2009    11 recensioni
Il cielo, le nuvole, l’arcobaleno, e più sotto le cime degli alberi della foresta, i tetti, la via centrale del rione degli Uchiha e il muretto del cortile interno di casa sua, da cui debordava la sommità del roseto rampicante che sua madre tanto curava. Konoha.
Poteva davvero riuscire a farne a meno?

(Buon compleanno.)
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Itachi, Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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A couple of things in the sunrise

 

 

Aveva appena smesso di piovigginare e il cielo grigio di Konoha si squarciava in un blu che già sfumava in azzurro, schiarito dall’alba appena nata. Le nuvole si aprivano lente disfandosi in batuffoli chiari e nell’aria si levavano i primi timidi cinguettii mattutini.

Aprendo la porta di casa il ragazzino – perché, a  dispetto di tutto, era soltanto un ragazzino – si trattenne per qualche secondo ad osservare lo spettacolo celeste, accompagnato da quella gentile melodia. Voltando lo sguardo intorno, verso nord-est, scorse il sentiero variopinto tracciato dalle dita dell’arcobaleno spiccare nella luce del sole crescente. Un sorriso impercettibile si aprì sul suo viso, ancora un po’ gonfio del sonno recente, mentre per qualche istante, perso il suo solito fare grave, rimaneva a rimirare il panorama con le labbra semiaperte. Il cielo, le nuvole, l’arcobaleno, e più sotto le cime degli alberi della foresta, i tetti, la via centrale del rione degli Uchiha e il muretto del cortile interno di casa sua, da cui debordava la sommità del roseto rampicante che sua madre tanto curava. Konoha.

Poteva davvero riuscire a farne a meno?

Un riso leggiadro e in punta di fiato lo riscosse leggermente, portandolo a voltarsi indietro di scatto. Ferma sulla soglia nel suo grembiule candido, Mikoto lo guardava divertita.

“Che stai facendo, mort’impiedi?” lo schernì con dolcezza, coprendo la bocca con una manina chiara. L’altra reggeva un secchio colmo d’acqua sporca che Mikoto fece dondolare leggermente mentre, mossasi avanti, lo oltrepassava andando a raggiungere il condotto dell’acqua piovana sul bordo della strada. “Muoviti o farai tardi, Itachi,” aggiunse, rovesciando il contenuto del secchio nello scolo prima di scuotere lievemente la testa. “Il mio guerriero sognatore...” sospirò infine, tra l’orgoglio e la beffa.

Itachi, impassibile, distese appena lievemente la fronte, scettico.

“Graziosa definizione,” commentò educatamente. Mikoto ridacchiò piano, mentre il ragazzo si metteva finalmente in marcia – ma il viso la tradiva mostrando i primi segni di rughe precoci e i suoi occhi non brillavano come quando, bambino, le saltava in braccio.  

“Buona giornata, mamma,” salutò noncurante.

“A te, mi... Itachi?” lo richiamò lei all’ultimo, posando il secchio. Il figlio si voltò indietro con sguardo vagamente interrogativo, aspettando silenzioso, e la vide torcere lievemente le dita delle mani. “A che ora finisci con gli ANBU?”

Lui aggrottò pensoso la fronte, senza rispondere per qualche istante.

“Non so. Perché?” rispose vago, anche se conosceva benissimo la soluzione del quesito. Era sempre la stessa, ogni volta che sua madre gli  rivolgeva quell’interrogativo era perché c’era suo fratello da andare a recuperare da qualche parte.

Mikoto scrollò lievemente le spalle.

“Ecco, potresti..?”

“A che ora?” la interruppe pazientemente Itachi, atono.

“Alle cinque. Ma se non fai in tempo non fa nulla.” Lei sorrise di nuovo. “Sa camminare, in fon...” aggiunse, arricciando il naso.

“No,” l’arrestò il figlio, fermo. “Vedrò di fare in tempo. Quanto al camminare, non ci giurerei,” commentò assorto.

Mikoto scoppiò nel suo riso cristallino e Itachi sorrise lievemente. Gli piaceva far ridere sua madre. Era sicuro che, ovunque fosse andato, la risata melodiosa di lei l’avrebbe seguito – perseguitato – per tutto il tempo che gli fosse rimasto da vivere.

“Allora vallo a prendere all’uscita dell’accademia. Oggi deve fare questo test attitudinale, è...”

“Ecco perché,” osservò Itachi neutro, annuendo tra sé. Mikoto lo osservò interrogativa e lui scosse lievemente una mano. “Ieri sera era sovreccitato, è venuto tre volte in camera mia dicendo che non poteva dormire. È crollato sui miei piedi mentre gli raccontavo quanto diventerà forte,” proseguì Itachi composto, con remota e pungente ironia.

Mikoto ridacchiò ancora.

“E’ così...” iniziò sbuffando.

“Vanitoso?” suggerì il figlio, asciutto. Mikoto annuì deliziata, mentre il ragazzino sospirava con fatalismo. “A che serve il test?” aggiunse poi lui, gettando uno sguardo distratto alla finestra della stanza di Shisui, dall’altro lato della strada. Chissà se era sveglio.

“A vedere per che cosa è portato, in vista dell’iniz...”

“Che domanda,” affermò Itachi con certezza. “Per tutto.”

Mikoto spalancò gli occhi con eloquente ironia, piegando la testa di lato.

“Poi ci domandiamo come mai è vanitoso, mh?” commentò beffarda.

“Naturalmente non glielo direi. Ma è vero. Io lo so, sono suo fratello,” la riprese Itachi, con un istintivo tono d’importanza.

“Certo, certo,” lo liquidò sua madre, facendogli cenno di muoversi. “Sicuro che non è un problema?” terminò, seria.

“No, ovvio che no,” confermò il ragazzo, incurante. Ma potendo l’avrebbe urlato.

Non era un problema, non poteva. Così poche occasioni, gliene rimanevano, e potendo evitare il peggio avrebbe scelto di non fare altro per tutta la vita, svegliarsi all’alba, andare al quartier generale e sulla via di casa aspettare Sasuke, ogni giorno di ogni settimana di ogni anno; sarebbe stato così semplice e giusto, e invece davanti era tutto buio.

“A stasera, Itachi,” concluse Mikoto, tornando verso casa.

“A stasera, mamma,” rispose lui pacato, annuendo.

La guardò sparire oltre la soglia e chiudersela dietro con delicatezza, poi gettò un’ultima occhiata al cielo. L’arcobaleno stava sparendo, annegato nel chiarore del giorno. Mentre tornava a voltarsi verso l’esterno del quartiere i suoi occhi corsero sulle pareti di casa sua – l’intonaco chiaro, lo stemma, la testa scarruffata di Sasuke dietro il vetro della finestra, gli occhi abbottonati di sonno e il naso colante. Itachi accennò un cenno di saluto muovendo appena il capo e Sasuke si mise un dito sul naso, schiacciandolo indietro come un maialino, e gli fece una sentita boccaccia. Itachi serrò le labbra per soffocare una risata e non dargli la soddisfazione di smuoverlo dalla sua superiore compostezza. Scrollò piano la testa con rassegnazione, poi Sasuke sparì dalla sua visuale. Probabilmente, ne concluse, era precipitato giù dal davanzale.

Osservò per un paio di secondi lo spazio ora vuoto oltre il vetro – come avrebbe fatto, lontano, a colmarlo? – e si girò stringendo forte le labbra.

L’alba di Konoha maturava nel mattino, e Itachi Uchiha camminava attraverso il suo villaggio in silenzio. Forse c’erano cose che non funzionavano, lì, e nessuno lo sapeva meglio di lui. Ma ce n’erano un paio d’altre che, a sapere di stare per perderle, facevano scoppiare i polmoni.

 

 

 

 

 

 

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(Mille parole a Itachi. Buon compleanno, Aniki.)

   
 
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