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Autore: ImperialPair    07/05/2017    2 recensioni
Un militare non ricorda esattamente cosa l’abbia spinto ad intraprendere quella strada.
Genere: Angst, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Sono un soldato, sono un mostro
Autore: AtobeTezuka
Fandom: Originale
Tipologia + numero di parole: FlashFiction 391 parole
Personaggi: Originali
Pairing: //
Genere: Angst, Introspettivo, Guerra
Rating: Giallo
Avvertimenti: //
Introduzione: 
Note dell'autore (Se ce ne sono): //
 
La storia partecipa al contest “Dall’altra parte” indetto da Milla4 sul forum di EFP.
 
Ho visto il mio villaggio distrutto
Ho visto i miei genitori uccisi sotto i miei stessi occhi
Ho visto milioni di bambini subire il mio stesso destino.
 
Fin dalla mia adolescenza, non ho conosciuto nient’altro che questi assurdi conflitti: gli odiavo con tutti il cuore, ma al tempo stesso desideravo fermali.
Fermerò questa guerra
Fermerò questo genocidio
Salverò il mio popolo
 
Non mi ero mai chiesto, prima di arruolarmi, se fosse giusto o sbagliato ammazzare in nome della guerra, ma ormai non faccio altro che pentirmi delle mie scelte.
Sto sbagliando tutto
 
Avrei voluto che quest’assurda distruzione cessasse, che questo sterminio non procedesse oltre. Avrei dovuto lottare, combattere e sconfiggere tutti i miei nemici, almeno quello era quello che avevo pensato all’inizio, ma ormai non ne sono più convinto.
 
La mia era davvero la scelta migliore?
Sto portando la stessa distruzione che vidi da bambino
Sto uccidendo persone
Sto sterminando famiglie
Non merito di essere chiamato soldato
Sono solamente un mostro
 
Continuavo a sparare con il mio fucile: colpivo uomini, donne, ragazzi.
All’inizio chi ammazzavo mi era indifferente, ma più tempo passava e tanto più il senso di colpa non faceva che tormentarmi l’animo.
Chi è?
Avrà una famiglia?
Qualcuno starà attendendo la sua morte?
Il figlio? La moglie? I Genitori?
 
Ormai non facevo altro che chiedermelo, ogni volta che sparavo, ogni volta che vedevo le mie vittime cadere sotto i miei proiettili, uccidevo chiunque mi trovassi davanti.
Sono un mostro.
 
 
Osservavo quel giovane americano, l’ultimo ragazzo che avevo ammazzato: i suoi occhi si erano spenti così velocemente da non avere nemmeno il tempo di rimpiangere il mio gesto.
 
Chi sei?
Hai una famiglia che ti aspetta?
Giovane americano, scusami.
Non so chi tu sia,
Ma voglio che tu possa riposare in pace.
 
Non avevo nessun diritto di pormi simili domande, né di sperare simili cose, almeno non dopo averlo ucciso.
 
Sono un soldato.
Sono un mostro.
Non merito di uccidere.
Non merito di vivere.
 
Non m’interessava in quale modo, ma i miei omicidi dovevano essere interrotti, continuavano a macchiare il mio animo in un modo imperdonabile.
Per tutta la distruzione che ho causato, io, Kamal Kassis, dovevo essere fermato: volevo che tutto venisse stroncato allo stesso identico modo di quelle che avevo spento.
 
Devo morire.
Devo essere ucciso.
Devo essere sparato.
Perché?        
Sono un soldato.
Sono un mostro.
E resterò per sempre.
   
 
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