Crossover
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Autore: Registe    07/05/2017    4 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 4 - Axel





Axel





Axel si lasciò sfuggire un sospiro di stizza. Quella che era partita come una buona idea si era chiaramente rivoltata contro di lui nel momento esatto in cui si era richiuso il portale del teletrasporto alle spalle.
Sora, così si chiamava il ragazzino che aveva ritrovato nel bosco, lo stava osservando dal basso, raggomitolato nello stretto spazio che passava tra il letto ed il cassettone; Axel provò ad avvicinarglisi di un passo, ma quello in tutta risposta cacciò un urlo, stringendosi le ginocchia al petto e tenendo sollevato, quasi per proteggersi, un piccolo rosario di legno.
“Senti, piccoletto, siamo partiti col piede sbagliato. Che ne diresti di smettere di urlare e …”
Axel evitò per un pelo una candela –la sua candela preferita- tirata con tutta la forza possibile nella sua direzione. La mano della piccola peste scattò ancora tastando il cassettone per trovare qualche oggetto da scagliargli contro, ma Axel notò con malcelata gioia che non vi era nulla di grande, appuntito o contundente alla portata di mano di quel ragazzo.
“STAMMI LONTANO, PROGENIE DELLO SPIROMORFO!”
“Ok, adesso non ti sembra di stare esagerando?”
“LO SO CHE VUOI INDURMI A VENDERE L’ANIMA AL TUO SIGNORE!”
Per tutta risposta il piccoletto si strinse contro la parete quasi volesse sprofondarci dentro, estese contro di lui il rosario a grani e con la mano libera tirò tutte d’un colpo le coperte del letto di Axel, facendo volare via le lenzuola e trasformando il suo letto in una forma vuota e fredda mentre lui si avvolse nello scudo improvvisato, facendo sparire anche la massa informe di capelli biondi sotto le pieghe delle coperte.
Axel si appuntò mentalmente di non fare mai più buone azioni non richieste. L’idea di potare il ragazzo al Castello per rifocillarlo e farlo riprendere da quella brutta avventura gli era sembrata la cosa più logica da fare sul momento; non era sua intenzione mandarlo in giro a ficcare il naso nel quartier generale dell’Organizzazione, ovviamente, ma fargli passare un paio d’ore tranquille in una stanza calda senza briganti che cercassero di rapirlo o ucciderlo era un piano che non avrebbe dovuto manifestare falle. Invece non solo vi erano falle ovunque, ma si sarebbero allargate ulteriormente se gli strilli ed i pianti del moccioso fossero arrivati alle orecchie dell’inquilino della stanza adiacente alla sua.
Parte del suo cervello avrebbe voluto dar fuoco a quello stupido rosario e lasciare il piccolo ingrato con un palmo di cenere in mano. Lo fermò solo la prospettiva di ritrovarsi tutta l’Organizzazione X in camera a fargli la predica. “Solo perché ho i capelli rossi non vuol dire che …”
“So benissimo cosa vuoi farmi” mormorò l’altro. “Vuoi allontanarmi dal Tempio delle Dodici Case dove stavo andando!”
“Oh, adesso che me lo dici … sì, ne sono proprio contento! Ti sto impedendo di fare un’idiozia grande come questo Castello! Sei troppo giovane per buttare la tua vita facendo il sacerdote e chiuderti in un tempio a fare prediche, dai retta a me!”
“TU HAI SOLO PAURA DELLA SACRA PAROLA DEI SACERDOTI! LORO POSSONO DISTRUGGERE TUTTI QUELLI CHE HANNO VENDUTO L’ANIMA AL MALE!”
“Ancora con questa storia del vendere l’anima …”
Axel aprì la sua dispensa personale, cercando qualcosa da mettere sotto i denti prima di impazzire. La gente del suo mondo era ancora più stupida di quanto ricordasse. “Fidati, se trovassi qualcuno a cui vendere la mia anima gliela avrei già lasciata. Che io ricordi di solito demoni come Lussuria offrono denaro, potere e donne bellissime anche per anime di scarsa qualità, non mi dispiacerebbe affatto …”
Qualcosa di piccolo ma fastidioso impattò proprio contro il suo naso. Axel si massaggiò la faccia, bestemmiando tra le dita contro gli impudenti grani di legno del rosario che per poco non gli avevano colpito l’occhio destro. L’oggetto cadde a terra con un secco clack, e si voltò in tempo per osservare la minuscola mano ritirarsi sotto le coperte dopo aver scagliato l’oggetto consacrato. Lo fissò per un paio di secondi, poi lo scansò con il piede e continuò ad armeggiare con il cibo; probabilmente il ragazzino credeva che il rosario lo avrebbe fatto ardere come un tizzone degli Inferi o avrebbe creato un varco di luce da cui ne sarebbero usciti cherubini adoranti, ma rise tra sé immaginando la delusione di quel Sora nell’accorgersi che anche quel rosario benedetto non era nient’altro che un paio di perline di legno senza alcun potere speciale. Che gli serva da lezione.
Trovò qualche fetta di pane che si era premunito di prelevare quella stessa mattina nella dispensa comune –sottrarre le cose quando Demyx era di vedetta era così semplice che aveva perso qualsivoglia forma di divertimento- e da dietro la sua scorta personale di salumi estrasse il barattolo delle grandi occasioni, quello che apriva tutte le volte che aveva bisogno di qualcosa di piacevole per far funzionare il cervello. Prese l’intero involto e si mise a sedere proprio sul letto, osservando con calma l’ammasso prima furioso, poi piagnucolante ed infine silenzioso che era composto dal ragazzo, dai suoi pregiudizi e dalle coperte. Aprì il barattolo, poi con un coltello estrasse la crema color marrone e la spalmò sul pane; si prese tutto il tempo del mondo, lanciando ogni tanto qualche occhiata noncurante al piccolo testardo, sapendo che quegli occhioni azzurri lo stavano scrutando da dietro le pieghe.
Spalmò con lentezza anche sulla quarta fetta, limitandosi ad aspettare.
Axel sapeva riconoscere la Fame quando la vedeva.
“Questo cibo non è di qui. L’ho prelevato in un altro posto. Un gran bel posto, se vogliamo dirla tutta” disse, soppesando il barattolo e notando con un certo rammarico che non sarebbe durato molto a lungo. Una scusa come un’altra per aprire il teletrasporto e far visita a quel mondo dove la gente non metteva al rogo le persone solo perché avevano i capelli rossi e dove vi erano così tanti tipi di cibi che ogni volta lo lasciava a bocca aperta. “Sì, lo so, il colore non attira, però dovresti assaggiarla. È una specie di crema, ma ci sono le nocciole ed una paio di cose che non conosco. Altro che quelle confetture vecchie di gio …”
“Guarda che lo so che mi stai tentando. Anche la Santa Sacerdotessa Karin venne tentata col cibo dalla progenie dello Spiromorfo”.
“Sarò un po’ arrugginito, ma sono io che ricordo male oppure era proprio quella che morì di fame e sete nel deserto?”
“Lei non si fece tentare e ascese direttamente al Nirvana!”
“Lei non si fece tentare e schiattò come una stupida di una delle morti più brutte che ci siano” ribatté. La tentazione di prendere per il collo il piccolo ingrato sputasentenze, aprire un portale e lanciarlo dritto dritto nella latrina del Gran Sacerdote Dohko gli saltò in gola, però si fermò vedendo l’espressione di terrore misto a confusione che faceva capolino dal fagotto e anche da quella distanza riuscì a sentire che la pancia del ragazzo non era affatto d’accordo con tutti i giustissimi e santi discorsi del padrone. Ripose il barattolo nella dispensa, si sedette di nuovo sul letto sfregandosi le mani ed addentò la prima agognata fetta felice di sentire nelle orecchie sono il croccare del pane ed il suono della sua stessa bocca in azione. Attaccò la seconda senza nemmeno pensare alle briciole, sorridendo tra sé nell’accorgersi che il santarellino si era avvicinato in maniera impercettibile verso di lui e verso l’ultima fetta che aveva lasciato casualmente più vicina a lui.
 
 
Registe: “Narratore? Sai che hai ampiamente superato il limite concesso alle scene melense su Axel e Roxas? Hai appena sforato la pagina e mezza di Word”
Narratore: “E che ci posso fare io se sul copione VOI avete scritto che deve esserci un primo dialogo tra loro due?”
Registe: “Infatti lo abbiamo terminato, ora vedi di tagliare questo battibecco che altrimenti ci scambiano per fan della AkuRoku!”
Narratore: “Scusate, ma … adesso come lo interrompo?”
Registe: “Narratore, dici sempre di essere onnisciente … inventati qualcosa, no? Possibilmente con una scena bella, interessante e movimentata!”
Narratore: “Pure!”
 
 
“Spero che tu sia consapevole di aver violato la prima regola dell’Organizzazione, numero VIII”
Axel saltò sul letto. Si voltò verso la figura che aveva parlato con ancora la bocca sporca di crema e briciole, ma gli occhi confermarono quello che le orecchie avevano udito. Quando riuscì a voltarsi del tutto si ritrovò l’espressione corrucciata di Saïx, il numero VII dell’Organizzazione, a pochi palmi dal proprio naso. “Non sono ammessi intrusi nel Castello”.
 
 
Narratore: “Così va bene?”
Registe: “Molto meglio”.
 
 
Nonostante non fosse il membro più alto dell’Organizzazione, né quello più massiccio, Saïx riusciva ad incutere molto più terrore di gente come Lexaeus. Axel sentì il cuore martellargli non appena i capelli blu del nuovo arrivato si mossero nell’aria fin dentro il suo campo visivo, dei passi in avanti che di umano non avevano proprio nulla. Gli occhi gialli dalle pupille sottili erano rivolti verso Sora ed il suo ammasso di coperte, e di contro il ragazzo aveva ripreso a gridare e scalciare non appena i suoi occhi si erano chiaramente posati sulle orecchie del nuovo arrivato.
“N. VII, posso spiegare … il ragazzo aveva bisogno soltanto di …”
“La segretezza è ciò che permette a questo Castello di sopravvivere” rispose l’altro, per nulla interessato a qualsivoglia scusa che Axel stesse cercando di imbastire. Non che quella creatura feroce avesse mai dimostrato interesse per altre cose che non fossero il cielo, le stelle e gli ordini del Superiore. "Quanto impiegherà questo moccioso a raccontare della nostra esistenza una volta lasciato libero?”
“Sono convinto che …”
“Hai idea di cosa potrebbe succedere se ne venissero a conoscenza … i demoni?”
A quel punto Axel avrebbe dovuto trovare il coraggio di rispondergli per le rime, non per ultimo adducendo come argomento il fatto che nel Castello vi fosse qualcuno senza dubbio più vicino ai demoni che agli uomini, ma un solo ringhio basso del suo diretto superiore lo convinse a ricacciarsi in gola qualunque flebile risposta stesse per creare. Sentì le proprie dita chiudersi nervosamente sulla superficie del materasso ed i suoi occhi andarono da Saïx a Sora, poi da Sora a Saïx nel tentativo di comprendere quale fosse la cosa migliore da fare in quel momento. Axel vide il nuovo arrivato sollevare il labbro superiore e scoprire i denti appuntiti, ma probabilmente anche il ragazzo si era accorto della situazione.
Per quanto si sforzasse di assomigliare ad un essere umano, Saïx apparteneva al ramo licantropo della famiglia demoniaca. “Non sono ammessi intrusi vivi
Il giovane mandò un secondo grido, poi si buttò sotto il letto. Saïx fece un affondo nella loro direzione, e Axel vide la mano del n. VII abbassarsi pericolosamente quasi a far volare via il letto con lui sopra. Il primo istinto fu quello di teleportarsi immediatamente ad almeno cinque o sei piani di distanza, ma il pensiero del piccoletto in preda al panico gli fece fare una cosa che superò di colpo tutte le idiozie che fosse mai riuscito a compiere in una vita intera: aprì il palmo della mano e lasciò che il fuoco esplodesse.
Liberò un incantesimo privo di forma, un richiamo di magia elementare che avvolse la figura del suo diretto superiore tra le fiamme e creò una barriera tra la sua mano tesa ed il loro letto.
Durò poco.
Le strilla di Sora arrivarono probabilmente fin nel Nirvana quando il suo avversario si scrollò le fiamme di dosso senza nemmeno ricorrere ad alcuna magia: il tempo trascorso in compagnia di Saïx aveva insegnato ad Axel quanto il ramo licantropo della famiglia demoniaca sapesse essere coriaceo davanti ad incantesimi elementari, ma evidentemente non lo era stato abbastanza da ricordargli quanto la creatura dagli occhi gialli, i capelli blu e la cicatrice sulla fronte potesse infuriarsi quando qualcuno si opponeva ad una sua decisione. Axel sentì il polso sinistro venire violentemente afferrato e torto; di scatto si buttò dalla stessa parte per impedire al suo avversario di strappargli la mano con un solo colpo, ma nonostante il dolore lancinante mantenne intatta la barriera pur di creare un semplice scudo intorno al ragazzo. Comandò alle fiamme di guizzare contro il n. VII per distrarlo e costringerlo almeno ad abbandonare la presa, ma esse lo avvolsero lungo la tunica e persino contro i capelli senza apparentemente fare danno o dargli una sensazione diversa da un piccolo fastidio.
Detestava quel mostro.
“Il tuo tentativo di opporti è insensato, numero VIII. In quanto tuo diretto superiore …”
La stretta sul polso diventò più dolorosa e Axel sentì come se tutte le ossa della mano fossero sul punto di esplodere e, se ne rese conto quando la fitta si propagò fino al gomito, l’altro non avrebbe esitato a portargli via tutto il braccio. Per il dolore le lacrime gli riempirono gli occhi e la fiammata che stava progettando di lanciare sul muso del licantropo si spense; perse il controllo della barriera e, prima che potesse anche solo cercare di recuperarla, si sentì sollevare per quell’arto e l’attimo dopo si ritrovò dall’altra parte della stanza. Atterrò contro una sedia e lo schienale gli si conficcò tra le reni, levandogli il fiato.
Affrontare il n. VII era una follia. Durante alcuni allenamenti il n. V, Lexaeus, aveva accettato di confrontarsi con Saïx, e nemmeno la forza sovrumana del gigantesco mercenario riusciva ad avere la meglio su quella bestia. Axel cercò di rialzarsi, ma il dolore al di sotto delle costole lo bloccò a metà strada, in ginocchio.
Bestemmiò quando sentì il braccio sinistro cedergli, chiedendosi cosa avesse bevuto di così forte da averlo spinto ad opporsi a quel licantropo solo per aiutare un mocciosetto religioso ed ingrato. Con la mano destra creò una flebile lingua di fiamma che avvicinò subito al polso sinistro per lenire il dolore tramite la vicinanza del proprio elemento, ma si fermò a metà osservando la scena.
Il n. VII si era abbassato ed aveva afferrato il ragazzo per una caviglia. Sora stava cercando di difendersi lanciando dei minuscoli calci che non avrebbero atterrato nemmeno una ragazza e con le mani si stava stringendo ad una gamba del letto. Saïx lo strattonò con un solo colpo secco, ignorando le preghiere che erano diventate prima delle urla e poi delle suppliche, e quando il ragazzo perse la presa lo sollevò per il piede. Con uno sforzo incosciente Axel si tirò in piedi, l’unica certezza che gli balenò davanti agli occhi era che il licantropo conosceva un solo modo per rimuovere ciò che reputava una minaccia.
“Numero VII, lascia andare quel ragazzo”.
Axel si voltò immediatamente al sentire quella voce emergere proprio alle sue spalle.
La figura piccola e minuta uscì dal portale di teletrasporto con un’espressione corrucciata che difficilmente Axel aveva visto su quei lineamenti da bambino. Il nuovo arrivato si chiuse l’incantesimo alle spalle con fare irritato, poi si fece avanti fino a portarsi a meno di un paio di braccia da Saïx. “Lascialo andare”.
“Axel ha introdotto questa persona nel Castello senza autorizzazione, n. VI” ringhiò la bestia. Ad Axel sembrò di udire un sibilo più basso quando il licantropo pronunciò il rango del nuovo arrivato; e, se conosceva bene quell’animale selvaggio, non si trattava di una mera impressione. “Una volta uscito di qui rivelerà l’esistenza del Castello in giro. Non possiamo permetterci una minaccia simile”.
“Sono perfettamente a conoscenza delle regole elementari della sicurezza, Saïx. Nonostante ciò ti chiedo di mettere a terra il ragazzo e di uscire di qui”.
“N. VI, mi permetto di …”
“Non spetta a te l’ultima parola qui dentro” rispose il giovane. Axel cercò di rimettersi in piedi e sembrare meno malconcio del possibile davanti ai suoi due superiori, e l’unico appiglio lo fornì la mensola della dispensa; si sforzò di non interromperli, specie perché la mano di Saïx che stringeva ancora in aria la caviglia di Sora sembrò allentarsi impercettibilmente.
Dei tanti membri dell’Organizzazione che sarebbero potuti venire ad aiutarlo, il n. VI era senza dubbio l’ultimo –o il penultimo- a cui avrebbe mai pensato: eppure il giovane dai capelli argentati non solo era arrivato in tempo, ma sembrava aver convinto la bestia a lasciare la presa. Il n. VIII era sicuro di non aver mai sentito il suo giovane superiore pronunciare così tante parole insieme nello stesso arco di tempo, ma per quello che lo riguardava sarebbe stato disposto a pulirgli le scarpe per un anno con la lingua se fosse riuscito a fermare Saïx. “Ritengo che dovremmo esporre la questione al Superiore. Sarà lui a decidere se il ragazzo rappresenti una minaccia o meno. Immagino che anche tu sia dello stesso avviso, dico bene?”
“Il giudizio del n. I è senza dubbio il più affidabile” rispose il licantropo. Lentamente, facendo passare i suoi occhi gialli dal suo diretto superiore a lui stesso, abbassò le braccia e fece cadere Sora sul pavimento. “Obbedisco all’ordine solo per il rispetto al tuo rango, n. VI, ma informerò personalmente il Superiore di questa grave violazione. La tua disciplina rimane comunque fonte di preoccupazione, Axel. È evidente che debba ancora istruirti su un punto o due …”
Con quell’ultima minaccia lasciata a metà, Saïx aprì un portale e vi svanì dentro.
Axel si mosse quanto più velocemente possibile verso il punto dove Sora era stato lasciato; il ragazzo aveva gli occhi spalancati e stentava a muoversi, anche la frase più elementare sembrava gli fosse stata strappata via. Le sue iridi erano fisse nell’area in cui il licantropo era sparito e le dita si mossero a malapena quando Axel raccolse il rosario e cercò di spingerglielo nel palmo. Non oppose alcuna resistenza nemmeno quando il n. VIII lo afferrò sotto le spalle e lo mise seduto sul materasso appoggiandogli coperte, lenzuola e quanto possibile a portata di mano sulle ginocchia; tremava come una foglia, e Axel non se la sentì di fare alcuna battuta sugli dèi, sul vendere l’anima e su tutte quelle idiozie con cui il nanerottolo si era riempito la bocca fino ad una manciata di minuti prima. Ammise tra sé che un incontro frontale con un licantropo furibondo non fosse il modo migliore di coronare una giornata iniziata con un inseguimento di tagliagole e che prometteva di diventare ancora più burrascosa non appena il Superiore fosse tornato dal suo viaggio.
“Saïx non ha tutti i torti. Il ragazzo non dovrebbe stare qui”.
Axel era così abituato a non vedere né sentire il n. VI che non si era nemmeno accorto che il suo superiore fosse ancora nella stanza. Il suo unico occhio visibile, di un azzurro più chiaro rispetto a quelli di Sora, aveva la stessa espressività di quella di un gatto stecchito. A volte dava persino l’impressione che fosse più un pupazzo semovente creato dal n. IV che non una normale persona di quattordici anni.
“La tua stima nei miei confronti è davvero toccante, n. VIII. Dovrei ricordarmene la prossima volta che ti ritroverò da solo con la furia di Saïx”.
 
Narratore: “Beccato!”
 
Già, tendeva a dimenticare il piccolo quanto stressante problema dell’avere a che fare con quel moccioso. Il n. IV aveva sempre detto che il potere del ragazzo derivasse dal suo olfatto, ma il risultato era che il n. VI sembrava trapassare i suoi pensieri con la stessa facilità con cui un coltello acuminato penetrava nella carne. Nonostante il giovane lo avesse appena tirato fuori da quella spinosa situazione Axel non riusciva a rimuoversi dalla pelle la spiacevole sensazione che accompagnava il n. VI ogni volta che rimaneva troppo a lungo nello stesso posto. “Non preoccuparti, levo il disturbo. Ma faresti bene a portare il nostro nuovo ospite nella sala delle riunioni. Credo che il Superiore non veda l’ora di fare quattro chiacchiere con lui”.
Andò via silenzioso come era entrato, e per la prima volta dopo quella che era sembrata un’eternità Axel si sentì libero di tirare un sospiro di sollievo, quasi grato di essere di nuovo da solo con quel piccolo religioso non più tanto petulante. “Chi è quello?” chiese di colpo Sora, indicando flebilmente gli ultimi stralci d’oscurità che avevano accompagnato il teletrasporto del n. VI. “Ci ha salvati da quel mostro! È un angelo, vero?”
No, decisamente avrebbe dovuto sorbirsi quelle stupidaggini ancora per un bel po’. L’unica consolazione era che il nanerottolo adesso si lasciava avvicinare e non protestò quando Axel rinvenne una delle poche fette di pane sopravvissute alla furia del licantropo e gliela avvicinò alle mani.
“Quello lì si chiama Zexion, e ti assicuro che non è un angelo” sorrise tra sé quando vide Sora affondare i denti nel cibo senza fare complimenti. “E, fidati, quando ci si mette può essere un vero dito nel culo”.
  
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