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Autore: Daleko    08/05/2017    2 recensioni
Alla fine mi sono trasferito in Francia, a Montpellier. I sensi di colpa mi attanagliano ogni volta che quei ricordi mi sovvengono alla mente e forse mi riterrete un pazzo per essere venuto qui; probabilmente la pazzia mi muove sin da quando ho cominciato a scrivere questi diari, più di due anni fa, ma non riesco a liberarmi dei miei demoni attribuendoli a qualche tipo d’insanità mentale; no, quelle sono faccende da arcaico simbolismo russo e di certo non tangono me, stupido venticinquenne di provincia troppo impegnato a crogiolarsi in realtà passate per agire nel presente. Se voglio confessare tutta la verità, mio malgrado, devo ammettere d’agire in modo insensato più che disattento: e così, nella mia giovanile noncuranza verso il rischio e la stoltezza che mi muovono, m’è d’uso ormai farmi chiamare John.
Attenzione, Questo racconto è il seguito di "Queste non sono le mie memorie". Non dovrebbe comunque essere difficile comprendere la storia in quanto ci sono dettagliate ricapitolazioni riguardo i precedenti avvenimenti, tuttavia questo racconto risulta essere, ovviamente, molto più gradevole se letto in seguito al primo.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Diari'
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Mi ha lasciato due settimane dopo.
È tornata da me per una singola lezione, dopo quel tragico quanto meraviglioso pomeriggio. È stata silenziosa per entrambe le ore, annuendo quanto necessario e limitandosi a leggere i passi da me scelti. Era pallida, più pallida del solito, e una ruga sottile le si era dipinta sulla fronte: sentivo il bisogno di baciarla via.
"Marie, alla prossima settimana" le ho detto per congedarla. "Oh, alla prossima non ci sarò" mi ha risposto, e così ho detto: "Fra due settimane, allora". Non so se avessi già paura, ma forse potevo avvertire nell'aria il nostro addio imminente. "A fra due settimane, allora" ha concluso lei, chiudendo la porta alle sue spalle. Sono corso alla finestra e l'ho osservata allontanarsi, poi gli occhi hanno cominciato a perdere acqua. Ho pianto, e tremante ho radunato i miei diari. Era pericoloso tenerli per casa e così li ho infilati nel camino, accendendo un caldo oblio fuori stagione: le nostre memorie sono morte.

Tre giorni fa ho trovato una lettera manoscritta nella posta. Non posso allegarla perché l'ho subito ridotta in cenere, ma la ricordo come una preghiera materna. Diceva:
"John, è stato un errore. John è morto e anche Marie. Sono rimasti in vita Federico e una bambina qualsiasi. Mi hai rubato qualcosa e sono stata io a permettertelo. Non voglio vederti mai più".
Oh, quante lacrime ho versato! Ho anche pensato di togliermi la vita, per un istante o due, ma ogni volta che la lugubre immagine della Fine prendeva forma tra i miei pensieri la sua risata, le sue labbra, i suoi occhi luminosi si affacciavano nella mia mente per dirmi: "Dov'è che vai senza me?".
Marie, Marie, amore mio. Non sono io ad aver rubato la tua anima, ma tu ad aver incatenato la mia. Io sragiono, son diventato pazzo. Pazzo!, e scrivo queste pagine di getto come tale. Ormai temo la galera solo perché le sbarre m'impedirebbero la tua vista.
Mia dolce Marie, ho provato a fuggire per rinsavire e tu hai stretto ancor più le mie catene. Non puoi rimettere uno schiavo d'amore in libertà, perché ucciderebbe chiunque pur di ritornare al proprio posto e quel posto, quello intorno a te e affianco a te, è mio e mio soltanto.
Marie, Marie, io non posso più vivere senza te!!!

 
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