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Autore: Castiga Akirashi    08/05/2017    0 recensioni
- ATTENZIONE: questa storia è il seguito di Black Hole. Se non avete l'avete letta, la comprensione potrebbe risultare difficile. -
Due anime gemelle sono due metà che si compongono.
Una non può vivere senza l'altra.
Raphael ha perso la sua e, ora, la sua unica gioia è Lily.
Ma capirà presto che non è mai troppo tardi per essere felici...
Questa storia è un po' diversa dalle altre sui Pokémon... diciamo che ci sono lotte, ci sono Pokémon ma c'è anche altro. Ho cercato di inserire il più possibile inerente all'argomento.
Buona lettura!
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lance, N, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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Tornato a casa, Raphael si rimise a lavorare. Per il processo aveva ancora tempo e poteva mettere a posto tutti i suoi elementi. N lo raggiunse e chiese: «Secondo te siamo ancora in tempo per iscrivere Giovanni a scuola?»
«Perché?»
«I rudimenti ormai ce li ha.» spiegò l’uomo: «Se riesci a inserirlo in seconda, durante l’anno può fare corsi di recupero e migliorare più velocemente con maestri qualificati. Ed è stufo di non poter vedere Martha. Me lo ripete in continuazione.»
L’avvocato scosse la testa sorridendo, capendo un po’ lo stato d’animo del bambino, e rispose, semplicemente: «Vedo cosa posso fare.»
Tempo una settimana, e, grazie anche all’aiuto della loro amica e insegnante, Giovanni varcò per la prima volta le porte della scuola. E per sua scontentezza, senza mazza. Fino a ricreazione gli parve tutto una noia mortale, soprattutto perché non aveva ancora visto Martha, ma all’intervallo finalmente la vide andare in giardino con alcune amiche. Con un sorrisone stampato in faccia, le rincorse, chiamandola gran voce. Lei si voltò e ovviamente lo riconobbe, ma le sue amiche mormorarono cattiverie appena lo videro.
«E questo chi è?» chiese una.
«È quell’asino che dovrebbe andare in quarta e invece va ancora in seconda. Cosa viene a fare qui?» rispose un’altra.
«Non lo so… Non dirmi che lo conosci, Martha.»
Lei si fece imbarazzata, sentendo i commenti delle amiche, e guardò un momento Giovanni; poi però prese un cipiglio arrogante, quasi altezzoso, schiarì la voce, e rispose: «Certo che no. Frequento ben altre compagnie. Saprà chi sono perché mi conoscono tutti qui.»
Le coetanee cinguettarono adoranti, approvando le sue parole, e lui fece per chiederle cosa le avesse mai fatto per un trattamento del genere, ma lei, con un fare altezzoso molto tipico di sua madre da giovane, tornò nell’edificio, concludendo con: «Non mi importa niente di lui. Basta guardarlo… è solo un vagabondo senza nessuno.»
Il povero bambino restò dov’era, immobile e ferito. Non poteva credere che la dolce Mary avesse detto quelle cose così crudeli. Tornato a casa, non spiccicò parola con nessuno, affranto; così Lily gli si avvicinò quando lo vide solo e chiese: «Gio che ti prende?»
«Niente.» borbottò, restando accucciato sotto l’albero a fissare il tronco.
Lei sedette vicino a lui e aggiunse: «Non ti credo. Hai una faccia da funerale.»
«Che ti importa?»
«Sei mio fratello, Mostriciattolo con la mazza. Questo dovrebbe bastarti come risposta.»
Lui sospirò, poi mormorò: «Martha…»
«Martha che?» chiese lei ancora, perplessa: «Pensavo ti stesse simpatica.»
«A me si ma… a quanto pare non è reciproco.» rispose lui, con le lacrime agli occhi: «Oggi ha detto davanti a tutti che non le importa niente di me e che sono solo un vagabondo senza nessuno.»
Lily ponderò il racconto, poi chiese: «Era con delle amiche?»
Lui annuì e lei proseguì: «Allora capisco meglio. Vedi… doveva pur prendere qualcosa da Daisy. Martha è socievole e amichevole con tutti, come il mio papà, ma ha un bruttissimo difetto: odia sfigurare davanti alle amiche. Per lei è fondamentale essere al centro del gruppo, del quale poi è leader perché ha un caratterino… però, dicendo alle amiche che conosce un bambino sbucato dal nulla e legato ai Grayhowl, cosa che purtroppo ora non è molto una buona cosa, le avrebbe fatto fare la figura della sfigata.»
«Ma perché? Voglio dire… cos’ho che non va?»
Lily gli accarezzò la testa, un gesto dolce che aveva imparato dalla madre, e rispose: «Sei un comune mortale. Non dell’alta società come lei e le sue amiche da quattro soldi. Fidati che se lei dovesse cominciare a dar loro di meno, se ne andrebbero seduta stante. Ma l’età di Martha non è una delle più belle. Lei ha bisogno di quella compagnia e farebbe di tutto pur di tenersela. Nega perfino di essere mia sorella delle volte e mi addita come sorellastra con un disprezzo che da lei non mi sarei mai aspettata.»
Giovanni non riusciva a comprendere quello strano comportamento, così chiese: «E io che cosa devo fare?»
«Porta pazienza.» alzò le spalle la sorella: «Per ora non possiamo fare altro. Dobbiamo aspettare che maturi quel tanto per capire che si sta comportando da cretina. Ma tu non te la prendere… quando è con le amiche, non è mai sincera. Dice quello che sa che loro vogliono sentir dire da lei.»
Il bambino si asciugò le lacrime, sorrise e mormorò: «Grazie, Lilith…»
Lei gli scompigliò i capelli e rispose: «Tra fratelli ci si aiuta.»
Le cose andarono avanti così per un po’. Giovanni cercava di non far caso alla freddezza dell’amica, anche se delle volte faticava; finché, alcuni giorni dopo, il bambino stava pranzando nel cortile. Quel pomeriggio aveva i recuperi, così per non perdere tempo, restava a scuola a mangiare e riposava un po’ prima di riprendere a studiare. Si stese sul prato a godersi un po’ di sole e chiuse gli occhi; poi però decise di cominciare a darsi da fare, così tirò fuori i quaderni e si mise al lavoro, cercando di risolvere un problema che lo bloccava da parecchio. Rimuginò un po’, con la penna in bocca, grattandosi la testa e borbottando.
«Uffa, non riesco a risolverlo.» sbuffò, cancellando per l’ennesima volta i calcoli, frustrato: «Che nervi!»
Lanciò il quaderno poco distante, seccato, e si sdraiò nuovamente sull’erba, ma sentì una voce incerta mormorare, piuttosto titubante: «Ciao, Giovanni…»
Il bambino si tirò su, guardandosi intorno per capire da dove fosse venuta la voce, e, poco distante da lui, vide Martha, che, non riuscendo a sostenere il suo sguardo, lo volse in basso.
«Ciao a te.» rispose lui, scrutandola perplesso: «Che cosa vuoi?»
Vedendo come l’amico fosse freddo, lei si morse la lingua, chinò la testa e mormorò: «Ti chiedo scusa!»
Lui restò un momento perplesso, restio a fidarsi. Ricordava bene le parole di Lily e ciò che aveva visto. Martha cambiava faccia come le maglie: aveva un volto per ogni situazione. E questo di certo non gli andava. Così alzò le spalle e rispose: «Non c’è problema.»
Si sdraiò nuovamente, fissando l’orologio. Mezz’ora e poi sarebbe dovuto tornare in classe. Sbadigliò, coprendosi la bocca con la mano, ma sentì una presenza al suo fianco. Voltò un momento la testa e vide Martha seduta accanto a lui, con lo sguardo fisso a terra, le braccia attorno alle ginocchia, e il mento posato a esse. Si rialzò, sedendo anche lui, e la fissò perplesso. Non capiva cosa volesse da lui.
Lei titubò, poi borbottò: «Davvero, so di averti ferito ma…»
«Sta’ zitta.» ringhiò solo lui, la ferita ancora aperta: «Visto che ti faccio “sfigurare”, stammi pure lontana. Non me ne importa niente. E ora devo andare.»
Detto questo, Giovanni si alzò, raccolse da terra il suo quaderno e se ne andò con passo deciso verso l’edificio scolastico. Gli dispiaceva trattarla male ma lui non era un oggetto da prendere e mollare quando le faceva comodo. Lui aveva dei sentimenti. Martha lo fissò andare via con le lacrime agli occhi. Perché Giovanni non capiva il suo punto di vista?
Quella sera, Giovanni ne parlò con Lily e Martha si sfogò al telefono con Felix. Lui era carino, socievole e riscuoteva un discreto successo, quindi era perfetto per mettere lei in buona luce stando in sua compagnia. Inoltre, il coetaneo di Lily aveva catturato anche il suo di cuore.
«Sai, Mary…» le disse lui, dopo che lei gli ebbe raccontato tutto: «Penso di capire il punto di vista di Giovanni. Non è bello vedersi scartati su due piedi o accolti a braccia aperte in base alla persona con cui si sta parlando. Giovanni è un bravo bambino e fa tanto lo scontroso, ma è evidente che sotto sotto è molto sensibile. Ci tiene molto a te e il tuo trattamento deve averlo fatto ragionare, anche troppo.»
Sentendo silenzio dalla cornetta, Felix aggiunse, dato che ne aveva parlato poco prima con Lily: «Credo che ora lui pensi che tu fai la doppia faccia anche quando lo tratti bene.»
«Ma non è vero!» replicò lei, saltando su: «Io gli voglio bene!»
«E allora dimostraglielo. Se continuerai come hai sempre fatto, lo perderai per sempre.»
Martha non seppe come replicare e buttò giù la cornetta ma, dopo una notte di pensieri e riflessioni, andò a scuola, lo vide e disse, davanti a tutti: «Ciao, Giovanni.»
Lui si voltò a fissarla, perplesso e chiedendosi cosa avesse in mente, e rispose al saluto, mentre le amiche della bambina chiedevano sgomente: «Martha, ma che fai?»
«Fai silenzio.» ribatté lei, quasi dispotica: «Non vedo perché dovrei togliere il saluto a un amico solo perché è rimasto indietro con la scuola. Ora andiamo.»
Se ne andarono con passo marziale, ma Giovanni sorrise: forse Martha stava maturando. Nei giorni seguenti, lei non gli negò più il saluto e anzi, si offrì di aiutarlo a studiare.
Nel frattempo, arrivò anche il giorno del processo. Athena venne condotta in aula da Lance, incatenata come sempre al banco nel centro della sala. Poi entrarono le due Corti e, infine, i due avvocati. Raphael le diede alcune disposizioni sottovoce, ma suonò la campanella e lui dovette tornare al suo posto. Entrò il giudice Vodel, sedette, imitato poi da tutta l’aula, e il processo cominciò.
«Si riapre il processo contro il Demone Rosso, sospeso per mancanza di prove.» esordì l’uomo evitando come sempre lo sguardo della donna: «Si chiama a testimoniare in favore della difesa padre Lorenzo, il sacerdote di Plumbeopoli.»
L’uomo venne condotto al banco da due agenti, sedette e ebbe il permesso di parlare.
«Dodici anni fa.» narrò con voce tranquilla: «Stavo tornando nella mia casa. Voltato l’angolo, vidi però il Demone Rosso. Pensai volesse compiere qualche strage in città, così cercai di avvicinarmi pensando ad un modo per mandarla via. Ma lei sembrava sofferente. Si teneva aggrappata al muro, barcollava… Pensando ad un bluff, mi avvicinai e lei estrasse il pugnale. Lentamente. Poi le cadde di mano. A quel punto, capii che non stava fingendo. Svenne e io la portai nella mia parrocchia. L’avevano drogata con una sostanza che non avevo mai visto, ma con le dovute cure, in tre giorni guarì. Poco tempo dopo, scoppiò una violenta epidemia. Ma io avevo l’antidoto, datomi proprio dal Demone Rosso, e molte vite vennero salvate.»
«Grazie padre.» disse Vodel, per poi rivolgersi agli avvocati: «Qualche domanda?»
«Io vorrei interrogare il testimone.» disse Grendel.
«Prego avvocato.» acconsentì il giudice.
L’uomo si alzò e andò davanti a padre Lorenzo, con un pericoloso scintillio negli occhi di ghiaccio. Passeggiando avanti e indietro, con calma misurata, esordì: «Così lei ammette di aver salvato la vita del Demone Rosso. Dico bene?»
«Sì.»
Grendel lo fissò, notando che aveva risposto all’istante e chiese: «Quindi, è consapevole che ha tenuto in vita una bestia sanguinaria che, dopo quel giorno, ha mietuto altre vittime?»
«Sì, avvocato, però…» cercò di ribattere il sacerdote, ma l’avvocato non lo lasciò finire: «Lei ha salvato un mostro uscito dall’inferno e dice di essere un uomo di Dio?!»
«Obiezione!» saltò su Raphael, interrompendo il rivale: «Non stiamo mettendo in discussione la vocazione del testimone!»
«Accolta.» rispose Vodel, seccato di non poter rigettare come prima perché le Corti avrebbero avuto da ridire sui palesi favoritismi verso l’accusa.
«Ritiro.» sbottò Grendel, per poi ricomporsi e dire: «Comunque sia, lei ha tenuto in vita una bestia che non meritava di vivere ancora allora.»
«Ma il mio atto di carità ha permesso la salvezza dal veleno degli infetti.» protestò il sacerdote, in un tentativo di difendersi da quelle accuse infamanti e di sottolineare l’atto di carità.
«Le vite salvate dal suo antidoto, sono state uccise da una lama tempo dopo.» ribatté l’avvocato, sedendosi: «Non ho altre domande.»
«La parola alla difesa.» disse Vodel.
Raphael si alzò, pensando: “Grendel l’ha stravolto. Ci è andato giù molto pesante. Devo stare attento.”
Andò al centro della sala, perso a pensare a qualcosa di decente da dire, mentre Athena lo fissava preoccupata. Sembrava in difficoltà e non era un buon segno.
«Mi dica, padre, perché l’ha salvata? Come ha detto l’avvocato Grendel, avrebbe potuto fare finta di niente.»
«Nessuno merita di morire.» rispose il padre: «E a nessuno devono essere negate cure e carità.»
L’avvocato annuì e riprese: «E il suo atto benevolo ha portato alla creazione di un antidoto, giusto?»
«Sì, che ha salvato molte vite.»
«E sarebbe riuscito a crearlo senza l’aiuto dell’imputata?»
Il sacerdote scosse la testa e rispose: «Assolutamente no. Sarebbe stata una tremenda epidemia.»
Lui annuì nuovamente, poi disse: «Signori delle Corti, devo concordare con l’accusa nel dire che dopo questo episodio, molta gente è morta comunque per mano dell’imputata ma… senza l’antidoto, le vittime sarebbero state ancora di più. È innegabile.»
«Obiezione.» intervenne Grendel: «Vittime o non vittime, un’epidemia avrebbe ucciso molta meno gente del Demone Rosso e se non ci fosse stato l’antidoto, lei sarebbe morta per la stessa malattia. È stata tenuta in vita ed è stato un grave errore di calcolo. Il sangue infetto si sarebbe potuto prelevare dalle prime vittime del virus e il siero si sarebbe potuto distillare comunque. Anche senza antidoto, l’epidemia si sarebbe potuta fermare e un mostro assetato di sangue non girerebbe ancora per le strade.»
Grendel risedette, scoccò uno sguardo a Raphael, pensando: “Prova a obbiettare, campione.”
Ma Raphael non seppe che controbattere. Sedette seccato dopo quella partita persa, ma determinato a tirare su la sua parte. Vodel chiese: «Avvocati, volete interrogare l’imputata in merito alla questione?»
Entrambi scossero la testa, ma poi Raphael borbottò: «Chiamo a testimoniare Kathrin Johnson, in favore della difesa.»
Vodel acconsentì con un sorriso gongolante. Il suo avvocato stava facendo un ottimo lavoro. Qualunque testimone Grayhowl avesse portato, Grendel l’avrebbe smontato senza problemi. Titubante, la donna entrò in aula. Era impaurita, ma un’occhiata fiduciosa di Jason le diede coraggio e la fece proseguire. Mentre andava verso il banco, volse lo sguardo verso Athena. Di lei, ricordava solo quegli occhi rossi, e, finalmente, ora poteva metterli in un viso, associarli a una persona. Athena ricambiò lo sguardo. Non sapeva cosa pensare. Se essere felice, triste… si limitava solo ad osservare, ma quando Kathrin sorrise, lei ricambiò con un sorrisetto storto, un po’ indeciso. La donna sedette al banco, fece un respiro profondo, e depose con le stesse parole che aveva detto a Raphael.
«Chiedo di interrogare la testimone.» esclamò Grendel, con già in mente una tattica per mandare il piano dell’avversario all’aria.
Il giudice annuì e disse: «Accordato.»
Convinto di prendersi anche quel punto, l’avvocato si alzò e, andato davanti alla donna, chiese: «Lei quindi sostiene di essere stata rapita da Giovanni e salvata dal Demone Rosso. Dico bene?»
«Sì, avvocato.»
«Chi mi dice che sia tutto vero?» chiese a bruciapelo.
Raphael non voleva perdere anche quella, così intervenne ed esclamò: «Obiezione! La testimone ha giurato sulla Costituzione, redatta dal Campione dei Campioni!»
«Respinta. Non è una conferma, avvocato Grayhowl.» rispose secco Vodel.
Kathrin non sapeva cosa rispondere per confermare ciò che stava dicendo e Grendel già pregustava la vittoria, ma Raphael si alzò e disse: «Chiedo alle Corti di aggiungere al verbale del processo le prove D e E.»
«Quali prove?» chiese Vodel, mentre Sandra e Karen, le due portavoce, annuivano.
«I referti medici delle analisi fatte dalla testimone i giorni successivi al rapimento e i test del DNA ricavati dallo sperma trovato sul suo corpo. Il riscontro c’è con le impronte digitali. Ed era Giovanni.»
Raphael mise le carte sul banco del giudice e, tornato al suo, disse: «È tutto vero signor giudice. La testimone non sarebbe potuta fuggire dalla base senza un aiuto dall’interno. E chi, se non una creatura del genere femminile, poteva essere disturbata da uno stupro su una sconosciuta?»
«La testimone può andare. Nel banco la bestia. Voglio anche la sua versione dei fatti.» disse Vodel, seccato dalla piega che stava prendendo il processo.
Athena, piuttosto irritata, venne condotta al posto di Kathrin da un sogghignante Johnson.
«Non ridere, agente.» sbottò lei, mentre faceva il breve tragitto tra i due banchi.
«Hai una faccia da oscar, pazza. Se non sapessi quanto sei innocua, potrei pensare che trami per scannare il giudice.» ridacchiò lui.
«Chissà che non lo faccia davvero.» soffiò solo lei, mentre lui la incatenava nuovamente.
Jason sospirò e sussurrò: «Stai calma… Fammi questo favore… le ci è voluto molto coraggio per venire qui a deporre.»
«Farò del mio meglio.» rispose solo lei, guardandolo tornare al suo posto, raggiungere l’amata e abbracciarla sussurrandole qualcosa. Lei annuì e continuò a fissare Athena, colma di gratitudine. Athena distolse lo sguardo e Grendel le andò davanti, fissandola deciso. Lei rispose con uno sguardo di sfida, come per dire: “Dai, Mister Legge, stupiscimi.”
«Premettendo che so che tutto quello che dirai sarà falso e pura follia… perché l’hai aiutata?!» chiese secco.
«Perché mi andava di farlo.» ribatté lei.
«Ovviamente… ti andava di liberarla così avresti potuto ucciderla poi? Oppure certo… ti seccava che qualcun’altra fosse più importante di te per Giovanni.»
Athena si alzò in piedi, seccata da quell’insinuazione, soprattutto perché il giorno più felice della sua vita era stato quando aveva ucciso quell’uomo, e ringhiò: «Ritira tutto damerino.»
«Oppure?» chiese lui, con un sogghigno.
Lance intervenne, la prese per le catene e la costrinse a sedersi, mettendole le braccia dietro la schiena e immobilizzandola del tutto, ma borbottando: «Stai calma, maledizione. Quello ti provoca apposta.»
«Che vada al diavolo.» ringhiò lei, con una voglia immane di strangolarlo.
Grendel cercò ancora di irritarla ma niente. Si era imposta di ignorarlo e di pensare a Raphael quando le veniva voglia di scannarlo, e questo bastò, almeno finché era immobilizzata così.
«Non ho altre domande.» ringhiò quindi seccato l’avvocato, tornando a sedersi.
Raphael prese il suo posto, gongolante, e le fece un breve occhiolino prima di partire con il suo contro interrogatorio, diretto ad umanizzarla; concluse, con un'arringa finale: «Signori della corte, ciò che esce da queste due testimonianze non sono tanto i morti successivi, non sono le vite perse. Ma quelle guadagnate. Perché il Demone Rosso avrebbe dovuto agire così? Concordo con l'accusa, il sangue infetto si sarebbe potuto recuperare altrove, ma perché l'imputata avrebbe di sua spontanea volontà, donato sangue e siero? Perché avrebbe dovuto aiutare una sconosciuta, non essendo lei in diretto pericolo e anzi, rischiando di finire nei guai? Solo a me sembra che questo sia un comportamento molto più autonomo e ragionato rispetto a quello solito? Non è che, forse, qualcuno abbia tirato i fili per tre anni, nascondendosi dietro al Demone? Datele questa possibilità. Datele il modo di dimostrare che davvero era Giovanni a volere tutte quelle morti e non lei. Datele una possibilità con la libertà vigilata!»
Il giudice e le Corti si ritirarono. Quando uscirono, Vodel dovette battere il suo martello e dire: «L’imputata avrà la libertà vigilata sei giorni alla settimana fino alla prossima udienza. Ciò significa che dovrà essere in carcere dalle diciotto alle otto di ogni giorno e l’intera giornata di domenica.
Un solo ritardo e la pena verrà aumentata ad un altro ergastolo, senza possibilità di riduzione.
La seduta è tolta.»
Erano le sette di sera, quindi Athena venne condotta in carcere, ma i due innamorati si promisero di vedersi il giorno dopo, alle otto in punto.
Quella mattina, Athena uscì dal carcere con ancora le manette. Il secondino le mise alla caviglia il bracciale elettronico, un marchingegno che trasmetteva un segnale radio ventiquattro ore su ventiquattro e che tracciava ogni suo minimo spostamento, poi le slacciò le manette, sbottando: «Ci si rivede stasera, Bestia.»
«Contaci, Pinguino.» rispose lei, gongolando.
Non le sembrava vero di essere fuori di prigione. Solo per il giorno, ok, ma era comunque fantastico. Raphael arrivò a prenderla un secondo dopo, in groppa a Pidg.
«Fratellone!!» esclamò lei, correndo loro incontro.
*«Sorellina!»* rispose lui, altrettanto felice, atterrandole letteralmente addosso e becchettandola piano.
«Levati dalla mia ragazza, cognato!» esclamò Raphael, tentando di spostarlo di peso, ma lui gli sbatté un’alata in faccia rispondendo: *«Ma taci umano!»*
«Non andate ancora d’accordo voi due?» ridacchiò lei, rialzandosi e guardandoli entrambi con dolcezza.
Aveva di fronte le uniche due creature che amava con tutto il cuore, pareggiati ovviamente dai due figli.
«E dopo con chi litigherei?» rispose Raphael, sogghignando.
*«A me irriti e basta umano, sappilo.»* rispose il Pidgeot.
Athena li abbracciò entrambi, facendoli smettere di litigare; Pidg poi si preparò al decollo, ma quando Raphael salì dietro alla compagna e le mise le mani intorno alla vita, ringhiò: *«Attento a dove metti le mani umano.»*
«Basta Pidg, dai.» rispose la donna, chiudendo gli occhi e posandosi al petto del suo amato mentre lui la stringeva e faceva la linguaccia al rapace.
Pidg non commentò oltre, alzando gli occhi al cielo, continuando a volare veloce, e in breve, arrivarono alla casa.
«Mia cara.» sorrise N, vedendola entrare in casa, finalmente in piedi e cosciente ma soprattutto ancora viva e vegeta: «È bello rivederti in forma.»
«Ciao, matematico!» rispose lei, sorridendo a sua volta: «Non te lo aspettavi, eh?»
Lui scosse la testa, sorridendo, ma ovviamente felice di aver sbagliato ipotesi.
«Dove sono i miei bambini?» chiese lei, impaziente di vederli.
L’amico sorrise, vedendola così felice, e rispose: «Entrambi a scuola. Ora che ci va anche Giovanni, la mattina è sempre libera.»
«Ma io volevo vederli!» piagnucolò la donna, mostrando quel suo lato infantile sconosciuto ai molti.
«Dopo li vedrai.» le rispose Raphael, quasi per rimproverarla di quei capricci: «Perché non ti dedichi un po’ al tuo ragazzo prima?»
Lei sorrise maliziosa e rispose: «Oh, sentitelo. Ma come siamo gelosi.»
N sorrise e trascinò via Pidg che, furibondo, tentava di liberarsi per tenere d’occhio l’umano. Riuscì solo a vederli avvicinarsi l’uno all’altra e scambiarsi un bacio sulle labbra. Ovviamente, la sua prima reazione fu quella di liberarsi e attaccare, ma gli altri Pokémon intervennero per fermarlo e farlo ragionare, lasciando i due amati in intimità ma soprattutto soli. All'improvviso però bussarono alla porta. Athena andò ad aprire, perplessa; rivide N che, sorridente, esclamò: «Ho girato parecchio in questi giorni. Sapevo che Raphael stava macchinando qualcosa e diciamo che ho sparso un po' la voce.»
Si scostò e una figura bionda e fosforescente le saltò in braccio, facendola cadere in terra come un sacco di patate. Soffocata nello stritolante abbraccio, riuscì solo a mugugnare: «Belle! Lasciami!»
«Ma neanche per sogno, Castì!» esclamò l'amica, con nessuna intenzione di farla respirare. Intervenne Emboar che la scostò di peso, dicendo, sconsolato: *«Perdonala, Castiga. Ma sai com'è fatta.» *
«Fin troppo bene, amico mio!» rise lei, alzandosi da terra: «Cosa ci fate tutti qui?» chiese, con un sorriso, vedendo dietro a Belle Cheren, la professoressa Aralia e Nardo.
«Volevamo salutarti, ovviamente!» esclamò allegra Aurea: «E festeggiare questo grande traguardo computo da Raphael!»
Athena sorrise e si perse in chiacchere con i vecchi amici, non potendo credere di essere davvero lì. Aurea la prese in parte e mormorò: «Senti, Athena. Aspettavo che fossi fuori per dirtelo. Un mio collega viene da una regione molto lontana dove hanno sviluppato un'alta tecnologia nella rigenerazione dei fossili.»
«Quindi?» chiese lei, senza capire.
Pidg, che stava ascoltando interessato, capì; intervenendo, mormorò: *«Credo intenda che possono fare un tentativo per farli rivivere, sorellina.» *
Athena ci mise un attimo a capire. Ma poi, con gli occhi lucidi, guardò prima Pidg, poi la prof e mormorò: «Dice che è possibile?»
«Se mi permetti di prelevare le ossa, saprò dirti. È un tentativo, non garantisco ma...»
«Fatelo.» sbottò lei, annuendo convinta.
La prof la guardò ma lei annuì di nuovo e ripeté: «Fatelo. Provateci.»
Aurea sorrise e concluse solo: «Ti farò sapere.»
La donna annuì e cercò di distrarsi per far passare la tristezza e poter accogliere i figli al meglio. Alle una, i due ragazzi tornarono da scuola, portati come sempre dallo zio Pidg. Salutando con due: «Ciao papà.», un  «Ciao, N.» e un «Salve signor Grayhowl.» i due entrarono in casa, posando le cartelle. Non notarono la madre che sorrise e disse: «’giorno, ragazzi.»
I due avevano preso le scale per salire in camera si bloccarono e si voltarono. Finalmente la videro, in casa, da loro, e urlando in coro: «Mamma!» le saltarono in braccio. O meglio, Giovanni tra le braccia e Lily la strinse alla vita.
«Eccoli qua i miei bambini!» esclamò lei, stringendoli entrambi.
Martha sbirciò dalla porta, indecisa se mostrarsi o starsene nascosta. La sua mamma era a lavorare e quindi lei era dal padre, che la teneva quando Daisy non poteva. Ma si vergognava… Era felice però di vedere Lily e Giovanni così contenti, tra le braccia di quella strana donna che aveva visto solo in lontananza, incatenata come una bestia. I due bambini partirono a razzo a raccontarle la loro mattinata, interrompendosi a vicenda, così lei mise pace dicendo: «Giocatevela a carte e parlate tutti e due! Abbiamo tutto il pomeriggio!»
I due se la giocarono a sasso, carta, forbice; vinse uno ma l’altro gli diede del barone, così rifecero e ci fu la litigata contraria. Athena alzò gli occhi al cielo e li lasciò litigare, così si sarebbero sfogati. N era ai fornelli, Raphael in camera a cambiarsi, così la donna fece due passi in giardino. Non aspettandosi di trovare qualcun altro, urtò per sbaglio Martha, nascosta ancora dietro alla porta, facendola cadere a gambe all’aria.
«Oh, accidenti, scusa.» borbottò, tendendole la mano.
La bambina la fissò un po’ impaurita e intimidita, attimo nel quale anche la donna la riconobbe e ebbe risposta a tutte le sue domande, ma poi prese titubante la mano. Athena le sorrise, la aiutò ad alzarsi, e poi riprese a camminare, diretta a un albero piuttosto alto, l’unico staccato dal bosco. Martha però la rincorse, le si piazzò davanti tutta rossa in faccia, e tendendo la mano a occhi chiusi, esclamò: «Io mi chiamo Martha!»
La donna sorrise, non potendo avercela con una bambina innocente e per nulla minacciosa, benché somigliasse troppo a Daisy, così gliela strinse, e rispose: «Io, Athena. Piacere mio.»
Mary la fissò aprendo un occhio, e le sembrò che fosse gentile. Non cattiva come l’aveva dipinta la sua mamma. Così mormorò: «V-vuoi farmi del male?»
«Certo che no.» rispose lei, non convinta di quello strano discorso, ma prima che potesse aggiungere altro, Lily e Giovanni arrivarono di corsa, tirando fuori il lato migliore sia di Martha che della madre stessa. Alla fine di quella serata, la secondogenita di Raphael seppe che non doveva temere quella signora un po’ strana ma simpatica.
«Ma mamma perché devi andare via la sera?» chiese Giovanni, triste nel vederla alzarsi alle cinque per tornare nel continente.
«Perché così è, piccolo mio.» rispose lei, prendendolo in braccio e dandogli un bacio sulla fronte: «Dai ci vediamo domani, non sei contento?»
«Sì ma…»
«Fatti bastare questo, Gio.» sorrise lei, rimettendolo a terra e ripartendo alla volta del carcere.
Quella stessa sera invece, Grendel andò al bar furibondo. Quel maledetto di Grayhowl era riuscito a ottenere la condizionale. Una vittoria su tutti i fronti. L’avvocato si appoggiò al bancone, nero di rabbia, e ordinò la cosa più superalcolica che avevano. Un bicchiere gli venne appoggiato davanti e riempito, ma una voce chiese: «Qualcosa non va, Michael?»
«Tutto.» rispose lui, scolando il bicchiere come se fosse acqua.
Fece per ordinarne un altro, ma la voce di prima lo anticipò e disse: «Questo non lo farà passare.»
«Cosa suggerisci?»
«Parlamene.» rispose: «Ha funzionato con me. Magari anche per te farà lo stesso.»
Grendel alzò lo sguardo e il sorriso di Daisy lo convinse. Spostando il bicchiere dal davanti, cominciò a narrarle come odiasse nel più profondo Raphael Grayhowl. Non perché fosse una brutta persona, ma solo perché era molto più bravo di lui. E questo lo rodeva di invidia.
«Ha ottenuto la condizionale, dannazione! Un colpo da maestro, devo ammetterlo, ma comunque seccante.» sbottò alla fine, battendo il pugno sul bancone: «Avevo la vittoria lì. A un palmo di mano. Ed è andato tutto a puttane!»
Daisy mise la mano sopra la sua e disse: «Perché non rifletti un po’ invece di accanirti così?»
Lui la guardò e chiese: «Che vuoi dire?»
«Capisco perché Raphael ce la stia mettendo tutta. Tu no?»
Dopo una piccola pausa, Michael mormorò: «Per amore…»
Lei lo guardò negli occhi azzurri e ribadì: «Esatto. Dovresti comprenderlo…»
Lui le strinse la mano e rispose: «Prima non lo comprendevo, ora credo di sì. Quello che non capisco è come faccia a essere amore davvero.»
«Anche se uccideva, questo non vuol dire che non possa amare.» alzò le spalle la donna, anche se lei per prima non riusciva a comprendere: «Fidati di me, con la persona giusta, chiunque può cedere all’amore. Ti trafigge quando meno te lo aspetti e non ti molla più.»
«Ho capito, Das, ma non lo concepisco. Insomma… com’è possibile?»
Lei sorrise maliziosa e sussurrò: «Devo spiegartelo in privato?»
Lui ricambiò il sorrisetto e rispose: «Potresti provarci…»
Daisy gli diede un buffetto sul naso, poi prese un vassoio e disse: «Devo lavorare, ubriacone. Non vuoi che ricominci, vero?»
«Ne abbiamo già discusso se non sbaglio.» rispose lui.
«Amo provocarti.» aggiunse lei, ridendo.
«E io amo te.» ribatté lui, mandandole un bacio aereo, soffiandolo dalla mano.
Daisy rise e si allontanò verso i tavoli, mentre Michael ripensava a quel giorno.

-§-

INTERMEZZO: CUPIDO NON SBAGLIA MAI

Daisy stava letteralmente congelando. In pieno inverno il suo lavoro non era per nulla consigliabile. Soprattutto nei giorni più rigidi e nella zona vicino al Monteluna, dove batteva meno il sole. Fortunatamente lei non era lì, ma anche sopra Zafferanopoli la neve non scherzava. I piccoli cristalli di ghiaccio le sferzavano il viso, le gambe e le braccia con violenza, mentre lei, vestita molto poco, attendeva che arrivasse qualcuno. Dopo il suo fallimento con Raphael, i suoi genitori l’avevano diseredata e tagliato i fondi. Non avendo mai lavorato, aveva ripiegato sul mestiere più antico del mondo, anche perché così facendo sperava di trovare un surrogato della sua preda ideale, che aveva avuto e perso in un breve lasso di tempo. In quelle condizioni però, poteva saltare la serata. Non ne valeva la pena e poi, se si fosse ammalata, avrebbe dovuto saltare molti più giorni. Cominciò ad arrancare verso casa. Guardare Martha dormire l'avrebbe rallegrata. La sua bambina era l’unica cura per tirarle su un po’ il morale. Una macchina però accostò in parte a lei. Daisy non si fermò nemmeno. Le era passata la voglia di fare qualunque cosa se non rimediare un fornelletto, una cioccolata calda e le morbide coperte del suo letto. La macchina proseguì al passo, restandole a fianco, e il finestrino si abbassò.
«Ehi. Tutto bene?» chiese la voce di un uomo, stranamente accorata.
Lei, convinta che la stesse prendendo in giro, continuò per la sua strada, sbottando: «Non attacca, bello. Niente servizi.»
Lui non si arrese e rispose: «Non siamo mica tutti così.» ridacchiò, con un tono di voce scherzoso e affabile: «Non voglio nulla. Solo sapere se vuole scaldarsi un po’. La temperatura è polare in questi giorni.»
«Ma va' al diavolo.» rispose molto educatamente lei, riprendendo il passo.
L’uomo parve arrendersi perché la superò e tirò dritto, e lei continuò per la sua strada. Il tempo però peggiorò. Il turbinio di neve la stordiva, la gelava fin dentro le ossa. Daisy quasi rimpianse di non aver accettato l’offerta di quell’uomo. Avrebbe potuto scaldarsi un po’, accontentarlo e andarsene, con anche un po' di soldi in tasca. Ma ormai era sfumata l’occasione. Vide un supermercato, ma era senza soldi. E comunque si ricordava bene del proprietario. Era uno molto ligio che non sopportava il suo lavoro e chi ne faceva parte. Una volta aveva rimediato una scopa sulla testa da quel folle. Rabbrividendo per la neve, proseguì, ma rivide la macchina che prima l’aveva affiancata. Non poteva sbagliarsi: un auto sportiva di quel livello non si vedeva tutti i giorni. Vide anche il conducente, ma era nascosto dal cappuccio. Stava portando una borsa verso la sua autovettura. Daisy pensò di scusarsi e partire all’attacco, ma qualcosa la frenava. Così lasciò perdere e gli passò dietro. Lui la vide, ma non fece nulla. Tutto ciò che gli veniva in mente sembrava un mero tentativo di abbordaggio e non gli andava che dovesse per forza sembrare così. Sospirò, ma decise di riprovarci. Non ci avrebbe perso nulla e comunque avrebbe potuto farle capire più tardi che non voleva ciò che lei pensava. La chiamò e rinnovò l’invito. Questa volta lei accettò.
“Probabilmente il freddo ha vinto sulla cocciutaggine.” commentò l’uomo con il pensiero mentre le apriva galantemente lo sportello.
Daisy si accomodò nell’abitacolo e si sentì subito meglio. Il riscaldamento era acceso e il tepore la riscaldò un momento. Ma non abbassò la guardia. Con quelle come lei, nessuno è così gentile. Mai.
L’uomo avviò la macchina che ruggì e ripartì con calma, senza scossoni. Dopo un breve tratto di strada, lui chiese: «Dove ti porto?»
Lei inizialmente pensò di rispondere a casa sua, ma poi ci ripensò. Non era prudente dire in giro dove abitasse e poi c’era Martha. Nessuno le aveva creduto quando aveva detto che non era d’accordo con Ragefire e quindi ora era molto più prudente con gli uomini con cui usciva. Dopo di lui, ancora nessuno aveva saputo dove abitasse e men che meno aveva saputo della sua bambina. 
Lui attese una risposta che non venne, così aggiunse: «Non è un problema la distanza.»
Lei borbottò qualcosa di incomprensibile, da cui lui tradusse parole sporadiche che gli fecero capire che non lo sapeva nemmeno lei. Lui non voleva azzardare troppo e sembrare il solito pervertito, quindi non gli parve opportuno proporre di andare a casa sua. Così prese una via a caso, impostandosi nella mente un percorso da eventualmente ripetere, e le chiese se stesse un po’ meglio. Lei annuì di risposta, sempre molto sospettosa. Quel tipo era davvero strano. Non l’aveva mai fissata come facevano tutti gli altri. O meglio, l’aveva guardata solo in faccia e dritta negli occhi, una cosa più unica che rara. Dopo la terza volta che vedeva la stessa casa fuori dal finestrino, chiese: «Dove stiamo andando?»
«Da nessuna parte.» rispose lui, ridacchiando: «Non mi hai risposto e io continuo a girare.»
Lei lo fissò di sottecchi e sbottò: «Si può sapere cosa vuoi?»
«Niente di quello che stai pensando.» sorrise lui, guardandola solo per un momento.
Lei rimase colpita da quello sguardo. Come aveva visto prima, non era il solito sguardo maniacale. Quei due occhi del ghiaccio andavano oltre ciò che era l’esteriore e vedevano il suo animo triste e solo, che aveva solo bisogno di affetto, accecato però dal desiderio di un amore impossibile che forse nemmeno amore era.
Senza rendersene conto, Daisy cominciò a parlare. Lui rispondeva senza problemi e anzi, sembrava felice del dialogo. Si capitò sul discorso del lavoro della donna. Lei gli narrò che lo faceva in primis per problemi finanziari, ma anche perché cercava il surrogato dell’uomo che desiderava e che la rifiutava. Purtroppo però aveva miseramente fallito.
«E ci credo.» commentò solo lui, alla fine della storia: «Anche se a parer mio, ti stai rovinando la vita per un semplice desiderio. L’amore è tutt’altro e credimi, da molte più soddisfazioni.»
Daisy, ormai presa dalla conversazione, chiese: «Che cosa intendi?»
Lui alzò le spalle e rispose: «Intendo dire che ti sei intestardita con lui perché ti ha ferita nell’orgoglio il suo rifiuto. Ma non ne sei innamorata…»
«E tu che ne sai?» lo rimbeccò lei.
Lui sorrise storto e rispose: «Non ho mai creduto nell’amore. Pensavo fosse una cosa inutile che rende idioti. Ma poi ho conosciuto due persone che…credo sia amore solo da una parte, ma comunque mi hanno fatto cambiare idea. Il loro amore dona loro una forza fuori dal comune, capace di sostenerli anche nelle situazioni più disastrose e negative. E ammetto di esserne un po’ invidioso…»
Daisy ripensò alle sue parole valutando cosa provasse lei. In effetti, il suo desiderio di avere Raphael era puramente carnale. Nulla in più. Solo un’onta nel suo orgoglio.
«Dai retta a me.» aggiunse lui, per rompere il silenzio meditativo: «A far quello che fai, non lo troverai mai il vero amore. Se quello che ti manca è un po’ di affetto, lascia perdere, cerca un lavoro normale e… aspetta. Quando arriverà la persona giusta, lo saprai.»
L’uomo la scaricò dove l’aveva trovata alcune ore dopo. Ormai non nevicava più. Avevano parlato tutto il tempo e Daisy era stata proprio bene. Un po’ le dispiaceva doverlo salutare, ma il tempo ormai era passato. Guardando la macchina andare via, alzò titubante la mano in segno di saluto e vide lui fare lo stesso, mentre la guardava dallo specchietto retrovisore. Seguì i consigli che lui le aveva dato: cercò lavoro e lo trovò presso un bar che chiedeva turni assurdi. Lei non aveva problemi di orario, Martha era una brava bambina che si adattava a tutto e al limite avrebbe chiesto a Raphael di tenerla; tutto sommato era una donna carina e se la cavava piuttosto bene con la gente. Così la assunsero prima di prova e poi fissa. Tempo dopo, sul far della sera, l’uomo che l’aveva, per come dire, salvata entrò e sedette a un tavolino, sbottando qualcosa al cellulare. Mentre passava tra gli altri tavoli, venne salutato con dei rispettosi ma timorosi: «Buongiorno, avvocato.»
Alcuni chinavano perfino la testa al suo passaggio. Sembrava incutere un alone di terrore ovunque passasse. Daisy si perse a fissarlo, pensando: “E così è un avvocato. Non l’avrei mai detto. Non so nemmeno il suo nome…”
Ci mise un po’ a prendere il coraggio necessario, soprattutto perché lui parlava al telefono con uno sguardo furioso, ma alla fine si avvicinò un po’ titubante e chiese se voleva ordinare. Lui la fissò irritato, ma il suo sguardo cambiò quando la riconobbe. Divenne istantaneamente amichevole e con un sorriso ordinò, per poi liquidare in quattro parole seccate il suo interlocutore al telefono. Daisy voleva attaccare bottone, ma non sapeva come, così se ne resto zitta zitta quando gli portò l’ordine. Lui però ruppe il ghiaccio e le chiese con un sorriso come stesse. Lei rispose più che volentieri e i due parlarono un po’, questa volta presentandosi.
Michael Grendel non conosceva la ex di Raphael per un motivo ben preciso: i due non erano mai stati amici, ma solo rivali, e quindi parlare della propria vita personale non era tra le opzioni più gradite. Daisy invece non conosceva le amicizie/rivalità di Raphael per il semplice motivo che, quando stavano insieme, non si erano mai parlati. Delle volte erano andati a letto insieme ma era tutto fermo a quello.
«E così sei avvocato...» buttò lì lei, soppesando la parola.
«Già.» rispose solo lui: «È un lavoro come un altro.»
I giorni seguenti, lui tornò più spesso in quel bar. Voleva starle accanto e con lei si sentiva bene. Per Daisy era uguale. Fecero amicizia, parlando di tutto. Dalle cose serie a quelle più stupide. Insieme si sentivano in sintonia e si allontanava la solitudine che spesso attanagliava loro il cuore: lui per il suo atteggiamento arrogante e superbo, lei per la sua bellezza e i costumi molto libertini. Ora che si erano trovati, tutto il male del loro animo svaniva.
Una sera, lui restò fino alla chiusura. Attese la donna fuori dalla porta, e quando lei uscì, lo vide perplessa e chiese: «Che ci fai ancora qui?»
Lui le sorrise e si avvicinò a lei. La prese dolcemente per i fianchi e sussurrò: «Voglio rovinarmi la vita.»
Avvicinate le labbra alle sue, la baciò piano, cercando di trasmetterle ciò che serbava nel cuore. Lei sentì quel bacio strano, caldo e diverso; dapprima rimase un momento scioccata, poi si lasciò andare, cercando di ricambiarlo come meglio poteva, riuscendoci parzialmente. Si separarono. Lui le sorrise, montò in macchina e sparì nella notte. Lei rimase ferma un momento, accarezzandosi le labbra, con una felicità dentro al cuore che non aveva mai provato.
Michael il giorno dopo ovviamente tornò, e la scena si ripeté altre volte, fino a sfociare nel reciproco «Ti amo.»

  
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