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Autore: Machaira    09/05/2017    2 recensioni
Dal secondo capitolo.
Rick si allungò, prese il fascicolo e cominciò a leggerlo. A Daryl bastò un'occhiata per riconoscere la foto di quel ragazzo con i capelli corti biondo cenere, le spalle larghe e la canottiera bianca.
“Che cazzo ci fai con quello?” chiese irruento.
“È il tuo fascicolo.” rispose imperturbabile l'uomo dall'altra parte della scrivania, senza alzare gli occhi.
[…] “Che cosa volete?” chiese secco.
“Lavora per noi.” rispose risoluto Rick.
(sempre) dal secondo capitolo.
Eugene si alzò in piedi, si portò le mani rigide lungo i fianchi e lo guardò. “A settembre comincia il periodo di praticantato degli stagisti e ne è stato assegnato uno anche al nostro distretto. Stavo aspettando che qualcuno, uno qualunque di voi, facesse un passo falso per scegliere a chi scaricare quella zavorra. Hai vinto.”
Rick rimase allibito e per un momento non riuscì a dire nulla. […] Con le spalle al muro si arrese all'idea che la sua sorte fosse già decisa. “Si sa chi è?”
“La figlia minore del Generale Greene, Beth.”
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon, Michonne, Rick Grimes, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 11
 
Rick aveva convinto Daryl a fare il palo davanti alle scale d'ingresso; non sapeva quale ascendente avesse su di lui quell'uomo per convincerlo a fare ogni cosa. Ma a quanto pare, se si trovava appoggiato al bancone, ce l'aveva eccome. Erano quasi le nove e tutti erano già in centrale da più di un'ora; il vice capitano gliel'aveva detto il giorno prima “Mi raccomando, domani qui alle otto.”
 
Per lui non c'era nessun problema, era abituato ad alzarsi piuttosto presto; l'unica cosa che gli puzzava era che nonostante gli avesse chiesto un paio di volte come mai, Rick non gli aveva risposto. Gli aveva solo detto di stare tranquillo e che quando fosse arrivata Beth avrebbe dovuto fargli uno squillo e portarla su in ascensore.
 
In ogni caso aveva fatto come gli era stato chiesto ed era andato giù ad aspettarla. Da quei giorni di fuoco in cui c'erano state le tre sparatorie erano già passate due settimane e non era successo niente di nuovo. Si domandava perché lo avessero praticamente cacciato dal primo piano; magari dovevano fare una riunione o qualcosa del genere, e non volevano intrusi. Chi capisce gli sbirri è bravo.
 
Finalmente la porta d'ingresso si aprì ed entrò Beth. In quel periodo il freddo si era fatto ancora più pungente e infatti la ragazza era ben imbacuccata per combattere il gelo.
 
“Buongiorno.” lo salutò lei con un gran sorriso.
 
Lui la guardò un po' a disagio e poi rispose “Ciao.”
 
“Come mai sei qui? È successo qualcosa?” chiese con sguardo interrogativo.
 
Certo che era attenta. “No, andiamo.” la liquidò. Mentre aspettavano l'ascensore, cercò il numero di Rick e fece partire la chiamata; dopo un paio di squilli cadde la linea e non si preoccupò di richiamare. Finalmente arrivò e salirono, diretti al piano di sopra.
 
Appena le porte scorrevoli si aprirono con il caratteristico 'ding' di fronte a Beth, ci fu un'esplosione di voci e grida festose.
 
“AUGURI!”
 
Tutti erano radunati nel piccolo atrio e le sorridevano. Le pareti erano state addobbate con palloncini e festoni colorati e al centro della stanza campeggiava uno striscione con scritto “Buon Compleanno Beth!”
 
Uscì dall'ascensore seguita da Daryl; mentre le porte si chiudevano dietro di loro, guardò i suoi colleghi con un misto tra stupore e felicità. Non se l'aspettava! Dovevano essere stati attenti a mantenere il segreto, perché lei non si era proprio resa conto che stessero tramando qualcosa alle sue spalle! E chissà da quanto tempo andava avanti!
 
Tutti la circondarono, abbracciandola e baciandola sulle guance, facendole tanti auguri.
 
“Non dovevate, quando avete organizzato?” chiese a Rick quando si avvicinò per farle gli auguri.
 
“Qui c'è di sicuro il tuo zampino!” sorrise a Maggie.
 
Pian piano la trascinarono per la stanza, aiutandola a togliere il cappotto, prendendo la sciarpa, il cappello e la borsa e posando tutto da qualche parte. Nel centro del disimpegno c'era un tavolino su cui erano appoggiati due pacchetti e una torta al cioccolato e fragole - la sua preferita - con una candelina a forma di 23. Qualcuno doveva aver messo la musica e la ballata festosa che andava fino a poco prima fu interrotta bruscamente per far partire il coro di “Tanti Auguri”. Quando arrivò dietro al tavolo, di fronte a tutti, iniziarono a cantare.
 
“Tanti auguri a te! Tanti auguri a te! Tanti auguri a Beth, tanti auguri a te!” applaudirono e proprio mentre stava prendendo fiato, Jesus la fermò urlando “Il desiderio! Esprimi il desiderio!”
 
Beth sollevò lo sguardo e lo fece scorrere per la stanza; stava cercando solo una persona e quando la trovò il suo cuore fece una capriola. Ormai doveva essere abituata ad averlo sempre intorno, ma proprio non ci riusciva. Lo guardò per una manciata di secondi, attenta a non soffermarsi troppo su di lui e poi, chiudendo gli occhi, soffiò spegnendo la candelina. Non c'era bisogno di cercare tanto lontano: il suo desiderio era di fronte a lei. Tutti le si affollarono intorno di nuovo, invitandola ad aprire i regali.
 
Prese la borsetta rossa e lesse il biglietto “Da Maggie e Michonne”. Scartò il pacchetto che vi era all'interno e trovò uno Smartbox per tre giorni e due notti alle terme per due persone. Avrebbe tanto voluto andarci con qualcuno in particolare, ma si sarebbe rassegnata a trovare un sostituto, magari avrebbe chiamato Kelly. In ogni caso le ringraziò con un gran sorriso, dando un bacio ad ognuna.
 
Poi prese un pacchetto squadrato, e anche piuttosto pesante, da parte di Abe e Jesus. Quando strappò la carta regalo rimase per un momento incredula e poi le si illuminò il volto.
 
“Come facevate a saperlo?!” chiese con gli occhi spalancati, mentre sollevava il libro che aveva in mano. “È proprio quello che mi manca!” esclamò osservando rapita la copertina: 'Il Trono di Spade - Libro Quinto'.
 
“Ho un certo occhio per queste cose.” si vantò Jesus.
 
“Già, ma siccome regalare un libro di ottocento pagine a una bella ragazza è troppo da sfigati, ti abbiamo preso anche questo.” lo interruppe Abraham dandole un sacchettino di feltro dentro cui trovò un braccialettino, con un piccolo pendente a forma di 23.
 
“Ventitré anni festeggiati al Distretto 23; speriamo ti porti fortuna.” le strizzò l'occhio mentre glielo legava al polso. Li ringraziò ed entrambi la strinsero in un abbraccio spacca ossa.
 
L'ultimo ad avvicinarsi a lei fu Rick che, con un sorriso, prese dalla tasca due biglietti. “Dato che tua sorella e i due uomini alpha qui hanno rubato i tre quarti delle idee che avevo in mente, all'ultimo mi sono buttato su questi.” disse porgendoglieli.
 
Beth li prese e lesse. “Festival d'Inverno. Ingresso per una persona a tutte le attrazioni della fiera.” sollevò gli occhi su di lui, raggiante e si alzò sulle punte, abbracciandolo “Grazie mille! Adoro il Festival!”
 
Quando tornò con i piedi per terra, una consapevolezza la investì come acqua ghiacciata. “Ma sono due...” mormorò guardandolo un po' spaesata. “Non so con chi andarci.”
 
Sul volto di Rick comparve un sorriso innocente e si girò lentamente fino ad incontrare gli occhi di Daryl. Beth lo seguì, guardando a sua volta l'uomo a un paio di passi da loro.
 
“Perché mi guardate così voi due?” chiese stranito il diretto interessato. Beth non riuscì a dire niente: era pietrificata. Non credeva possibile una cosa del genere ed era troppo incredula per permettersi di sperare. Nemmeno Rick rispose; si limitò a sollevare un sopracciglio e a guardarlo con uno sguardo pieno di sottintesi.
 
“No. Scordatevelo.” negò deciso, scuotendo la testa.
 
“Sei stato l'unico a non farle un regalo, devi rimediare in qualche modo.” rispose furbescamente l'altro.
 
“Se magari qualcuno me lo avesse detto, avrei potuto!” ribatté nervoso, e Rick recepì il messaggio forte e chiaro: quel qualcuno era proprio lui.
 
“Con i "se" e con i "ma" non si va da nessuna parte, ormai è andata così. Tanto vale che accetti.” lo mise alla strette. Tutti guardavano la scena, alternando lo sguardo da un all'altro; la musica era solo un sottofondo lontano. Daryl si sentì a disagio lì in mezzo, sotto gli occhi di tutti. Doveva rispondere in fretta.
 
“D'accordo.” borbottò infine.
 
Un lampo di trionfo passò negli occhi di Rick, mentre Beth si sentì quasi morire. Sarebbe uscita con Daryl! Era la cosa più vicina a un appuntamento che avesse mai potuto sperare! Per fortuna a spezzare quel momento ci pensò Maggie che chiese chi volesse la torta, facendole distogliere lo sguardo dall'uomo. Si voltò e posando i biglietti sul tavolino, aiutò sua sorella a distribuire i piattini.
 
Mentre mangiavano e ridevano di qualche aneddoto su Beth che Maggie stava spifferando, Daryl si avvicinò di soppiatto a Rick.
 
“Sei uno stronzo, lo sai?” sussurrò arrabbiato.
 
“Lo so.” rispose soddisfatto. Riconobbe chi aveva alle spalle senza nemmeno bisogno di girarsi.
 
“Perché mi hai messo in mezzo a questa cosa?!” gli chiese con più enfasi, ma sempre cercando di mantenere un tono basso, così che gli altri non sentissero.
 
“Perché tu mi hai sfregiato il culo e la parete della camera da letto, ti sembra abbastanza?” chiese girando la testa verso di lui, con lo stesso sorriso angelico che gli aveva rivolto poco prima. L'altro nemmeno rispose e sbuffando si allontanò.
 
Non avevano parlato del tatuaggio da quando Rick si era ricordato di averlo e, pensandoci bene, si era stupito che non  avesse minimamente accennato al murales; insomma era impossibile che non lo avesse visto. Si aspettava una ritorsione prima o poi, ma non credeva che fosse tipo da colpi bassi!
 
§§§
 
Il turno era già finito da una buona mezz'ora, ma si era trattenuta per ordinare l'archivio. Non vedeva l'ora di tornare a casa, preparare una cena leggera e, dopo un bel bagno caldo, finire di leggere quel libro che aveva iniziato davvero troppo tempo prima. Quando uscì dalla centrale, il Sole era già calato da parecchio e tutto era colorato dalla sfumatura bluastra del cielo al crepuscolo. Si strinse nel cappotto aggiustandosi la sciarpa e si avviò verso l'auto, quando una voce la fermò.
 
“Michonne!” aveva appena messo piede sull'ultimo gradino, ma la voce di Jesus la costrinse a voltarsi. Si fermò perché la raggiungesse e quando fu di fronte a lei, le disse: “Visto che stai andando a casa, potresti portarlo a Rick? L'ha dimenticato sulla scrivania.” le porse un fascicolo azzurrino, che lei afferrò automaticamente.
 
“È così urgente? Non puoi darglielo domani?” domandò piuttosto reticente.
 
“Urgentissimo! Grazie mille!” le disse Jesus salendo veloce le scale e salutandola con un sorriso. Aveva provato a fermarlo ma lui, sordo alle sue proteste, era rientrato fingendo di non averla nemmeno sentita. Con un sospiro mal celato si diresse verso l'auto, ormai arresa all'idea.
 
In meno di una ventina di minuti si ritrovò davanti alla porta di casa Grimes. In un primo momento era indecisa sul da farsi; accarezzò anche l'idea di lasciarglielo davanti casa o di dire a Jesus che non aveva trovato nessuno. Dopo un po' si rese conto che non aveva senso fare tante storie, e facendosi coraggio suonò il campanello.
 
Rimase in attesa un paio di minuti. Dalla casa sembrava non provenire nulla, eppure doveva esserci qualcuno: le luci erano accese. Ritentò e dopo qualche secondo finalmente la porta si aprì. All'inizio di fronte a lei non vide nessuno, ma abbassando un poco lo sguardo si trovò davanti una bella bambina bionda che le sorrideva.
 
“Ciao! Tu chi sei?” le chiese guardandola con gli occhioni chiari e limpidi.
 
Rimase un attimo bloccata dallo stupore, ma subito dopo si riprese e sorridendole a sua volta le disse: “Ciao, sono un'amica del papà, dovevo portargli questo.” indicò il fascicolo “È in casa?”
 
“Sì, come ti chiami?” domandò attenta la piccola.
 
“Michonne.”
 
“Aspetta, vado a chiamarlo. Entra.” la invitò aprendo un po' di più la porta per lasciarla passare. Non ebbe il tempo di ringraziarla che la bambina chiuse la porta e sgambettò via, urlando a squarciagola “Papino! C'è Michonne!” Ritornò così com'era sparita e prendendola per mano la fece avanzare nell'ingresso. Dopo pochi istanti apparve Rick dalla porta a sinistra e la guardò vagamente stranito.
 
“Ciao; stavo preparando la cena.” la salutò mo di scusa. “È un problema se...?” domandò indicandole la cucina.
 
“Oh no, certo.” annuì seguendolo. Sperava solo che il tutto si risolvesse velocemente. Non aveva assolutamente nulla contro Rick, ma ammetteva di sentirsi vagamente a disagio. Voleva solo lasciare il fascicolo e andarsene a casa.
 
Mentre Rick mescolava qualcosa in una pentola, la piccola la fece accomodare e le chiese se volesse qualcosa da bere.
 
“No, grazie.” le sorrise Michonne, sperando che così avrebbe avuto una scusa in meno per rimanere lì.
 
“Ma abbiamo anche il succo d'arancia...” Judith la guardò con gli occhi dolci e il solito broncio che usava per ottenere quello che voleva. E anche lei, di fronte alla gentilezza della bambina, non poté far altro che accontentarla. Mentre Judith era impegnata a prendere i bicchieri e il succo, Rick si sedette.
 
“Eccomi, dovevi dirmi qualcosa?” domandò cauto. La situazione era surreale per lui tanto quanto lo era per lei.
 
“Sì. Jesus mi ha chiesto di portarti questo; lo hai lasciato in ufficio. Ha detto che era importante.” rispose porgendogli il fascicolo; Rick lo prese dalle sue mani e lo sfogliò rapidamente.
 
“Ha ragione... grazie mille.” le sorrise guardandola negli occhi. A Michonne mancò un battito; aveva visto un mare di gente sorridere, ma lui... aveva un modo di distendere le labbra che la incantava. I suoi sorrisi non erano mai falsi; erano spontanei e raggiungevano sempre gli occhi.
 
“Un secondo!” si alzò di scatto sentendo bollire qualcosa in pentola e si diresse verso i fornelli per abbassare la fiamma. Intanto Judith aveva finalmente riempito i due bicchieri di succo e, uno alla volta, li aveva posati sul tavolo, sedendosi poi al posto che fino a poco prima aveva occupato Rick.
 
“Papà è bravissimo a cucinare, sai Michonne?” disse con il sorriso, così simile a quello del padre, stampato in volto.
 
“Ah sì? Cosa ti prepara stasera?” domandò stando al gioco. Infondo quella bambina era bellissima, non riusciva a non lasciarsi coinvolgere.
 
“Le lasagne!” esclamò contenta “Ti piacciono?”
 
“Sono il mio piatto preferito.” le sussurrò con fare complice, quasi fosse un segreto.
 
“Anche il mio!” il suo viso si illuminò e si voltò di scatto verso l'uomo dall'altra parte della stanza. “Papà! A Michonne piacciono tanto le lasagne! Può fermarsi a mangiare qui?”
 
Il silenzio cadde sulla cucina ed entrambi gli adulti si voltarono verso la piccola, che aspettava impaziente una risposta. Rick tentò di dissimulare, sperando che la situazione non diventasse ancora più imbarazzante. “Tesoro, ha appena finito di lavorare. Sarà stanca...”
 
Non fece in tempo a finire la frase che subito sua figlia attaccò di nuovo. “Sei stanca?” chiese alla donna “Dai, rimani con noi!” la guardò entusiasta.
 
“Non so... papà avrà preparato solo per voi.” tentò, sperando di tirarsi fuori da quell'impiccio. Non voleva dirle di no, ma d'altra parte l'atmosfera si era fatta piuttosto densa e non voleva imporsi in casa di qualcun'altro.
 
“No! Papà fa sempre taaanto da mangiare!” scosse la testa, aprendo le braccia verso l'esterno. “Tanto così! Dai fermati, fermati! Per favooore!” la guardò ancora con gli occhi dolci e a quel punto Michonne capitolò.
 
“Se il papà vuole...” annuì incerta.
 
“Papino!” corse dall'uomo a pochi passi da loro, avvolgendogli le gambe in un abbraccio. “Può restare, vero?” chiese guardandolo. A quel punto ormai era cosa fatta; se avesse detto di no avrebbe offeso Michonne e rattristato la piccola.
 
“Certo.” le sorrise.
 
“Sì!!! Vado a chiamare Carl!” esclamò uscendo dalla cucina, diretta verso la rampa di scale che portava al piano di sopra. Arrivata davanti alla porta bussò e disse: “Indovina chi sono!”
 
Dopo qualche istante l'uscio si aprì rivelando un ragazzino che, sorridente, prese la bimba in braccio facendo un giro su sé stesso. “Ciao.” le sorrise dandole un bacio sulla guancia. “C'è pronto?”
 
“No, ma c'è un ospite!” sorrise, muovendo le gambette sospese in aria, non riuscendo a contenere l'euforia.
 
“Un ospite?” chiese stranito lui. “Sei sicura? Non stai dicendo una bugia, vero?” Era da molto tempo che non avevano ospiti, eccetto qualche parente una volta ogni tanto, ma era sicuro che quella sera non stavano aspettando nessuno.
 
“No! È un'amica di papà! Ha anche lei la divisa e devi vedere com'è bella!” rispose impaziente. “Dai scendiamo, scendiamo!”
 
§§§
 
Nonostante le premesse, la cena era andata bene. Judith aveva tenuto viva la serata non mollando Michonne nemmeno per un attimo. Lei si era sentita strana per tutto il tempo. Non in senso negativo, non sapeva spiegare. Sentiva una morsa nel petto, come se qualcuno stesse stringendo a poco a poco. Era da moltissimo tempo che non provava più un'emozione tale. Ed era altrettanto tempo che non cenava in compagnia.
 
Dopo un primo momento di tensione l'atmosfera si era sciolta. Avevano riso, avevano raccontato aneddoti divertenti - per lo più riguardo alle disavventure in casa Grimes - e senza che se ne rendessero conto il tempo era volato. Alla fine Carl aveva preso in braccio Judith che si ostinava a voler rimanere alzata, nonostante stesse crollando dal sonno, e l'aveva portata a letto. Mentre salivano le scale, Michonne la sentì mormorare qualcosa del tipo “Mi piace, è tanto bella..!”
 
Mentre il padrone di casa metteva i piatti in ammollo nel lavello, lei era rimasta seduta a pensare. Rick non era come gli altri. Non che prima lo pensasse, ma ora ne era più che sicura. Aveva conosciuto Carl e Judith, aveva visto il modo in cui li aveva cresciuti, il modo in cui loro parlavano di lui e il modo in cui lui li guardava. Sembrava che quando il suo sguardo si posava su di loro, lui fosse trascinato in un altro universo. Li guardava come se loro fossero il Sole e lui la Terra.
 
Ad un certo punto si erano accomodati in salotto; erano già le dieci passate e sapeva che presto avrebbe dovuto andare, ma sentiva che gli doveva una spiegazione. Non aveva cambiato idea, avrebbe mantenuto le distanze. Ma dopo aver visto la piccola Judith così dolce e allegra e Carl così solare e premuroso nonostante tutto quello che gli era successo, sentiva che l'uomo accanto a lei meritava una giustificazione.
 
Non ne aveva mai date a nessun altro; quelle poche volte che usciva con qualcuno si assicurava che fossero solo avventure di una notte e niente di più.
 
Mentre Rick era salito in camera per controllare che entrambi i suoi figli fossero a letto, lei aveva osservato il salotto. Accanto al mobile della tv c'erano due disegni, uno di Judith e uno di Carl alla sua età. Entrambi erano stati incorniciati e appesi l'uno sotto l'altro.
 
Su una mensola accanto alla finestra c'erano tante cornici che immortalavano i bambini in varie occasioni: Carl sulla bici, il primo giorno di scuola, una piccola Judith a gattoni che guardava l'obiettivo con tanto d'occhi, Carl che la spingeva sull'altalena, la prima pappa; tutte fotografie di questo genere. Momenti di vita quotidiana così semplici e così speciali allo stesso tempo. E lei lo sapeva bene.
 
Quando Rick tornò in salotto, la trovo con gli occhi lucidi, ancora incantata davanti al ripiano delle cornici.
 
“Ehi... che succede?” le domandò vagamente allarmato.
 
“Devo dirti una cosa.” si girò verso di lui, guardandolo intensamente “Ma ti prego, non interrompermi. Lasciami parlare.”
 
Rick si limitò ad annuire; la fece accomodare sul divano e si sedette accanto a lei, voltandosi quel tanto che bastava per poterla guardare in viso. Michonne da parte sua chiuse gli occhi per un momento e dopo un respiro profondo cominciò a raccontare.
 
“Tempo fa mi innamorai. Abitavamo in un paesino di provincia piuttosto degradato. La vita era dura: c'era sempre una volante della polizia in giro per la strada principale che cercava una persona piuttosto che l'altra. Era un posto terribile, uno di quelli in cui sei costretto a crescere in fretta, uno dove la vita non risparmia nulla. Lui era un mio compagno di classe, uscivamo nella stessa compagnia, ci conoscevamo sin da bambini. Non so, all'epoca credevo fosse destino; eravamo sempre stati così uniti che pensavo sarebbe dovuto capitare prima o poi.” scosse la testa, ridendo di sé e della sua stoltezza.
 
“Era alto, molto bello; gli occhi scuri avevano uno sguardo canzonatorio, ma a ben guardarli erano velati di malinconia. Aveva i capelli neri e corti, e mi prendeva in giro per i dreadlocks. Ero l'unica a portarli in paese e mi diceva che gli altri ragazzi mi mettevano gli occhi addosso; era geloso. Ricordo che quando eravamo soli mi chiedeva sempre cosa volessi, come se avesse potuto realizzare tutti i miei desideri. Ogni volta rispondevo "Voglio di più". Odiavamo entrambi quel posto ed era vero: quello che c'era lì non ci bastava. Lui sorrideva, mi dava un bacio e mi teneva stretta a sé, cullandomi.” Inconsciamente si strinse nelle braccia da sola, come se cercasse di nuovo quel calore che non avvertiva da troppo tempo.
 
“Stavamo insieme da un anno quando successe. Io ne avevo diciassette.” riprese.  Lo ricordava come fosse ieri. Era un giorno di sole, faceva così caldo; l'umidità gli impregnava i vestiti e se chiudeva gli occhi ricordava ancora quella tremenda sensazione di appiccicaticcio sulla pelle. Erano andati al molo, sperando di stare meglio.
 
“Facemmo l'amore e come sempre, dopo avermi dato un bacio, mi chiese "Che cosa vuoi?" io rimasi un momento in silenzio.” Ricordava che aveva cercato di imprimere nella memoria il tocco delle sue mani sulla sua pelle nuda. Per quello che ne sapeva, avrebbe potuto essere l'ultima volta.
 
“Dopo un po' mi feci forza e risposi. "Sposami." gli dissi. Quando alzai gli occhi su di lui, mi domandò "Perché? Perché vuoi sposarti con me?". Ricordo ancora lo stupore sul suo volto, l'incredulità.” Ricordava anche cosa gli aveva detto poco dopo, con sguardo serio. "Ti amo."
 
“ "Sono incinta." Per un momento pensai davvero di averlo perso; poi mi sorrise, mi baciò e mi disse di amarmi. Eravamo contenti; nonostante tutto - nonostante non avessimo niente e i nostri genitori si opponessero - eravamo contenti.” il suo viso si incupì, gli occhi si riempirono di tristezza e gli angoli delle labbra si incurvarono all'ingiù.
 
“Ce ne andammo. Ci lasciammo tutto alle spalle, pronti a ricostruire una nuova vita per noi e per il nostro bambino. Credevo davvero che finalmente avremmo dato una svolta a tutto. Vivevamo in un piccolo monolocale in cui stavamo a malapena, ma avevamo tutto quello che ci serviva. Per i primi tempi lavorammo entrambi, ma quando si avvicinò il momento del parto dovetti rimanere a casa. Lui faceva addirittura doppi turni, ci vedevamo sempre meno. Andò avanti così finché il bambino non ebbe cinque mesi, poi la fabbrica per cui lavorava chiuse e a quel punto fui costretta a riprendere a lavorare. Facevo le pulizie in una villa piuttosto grande, mentre di sabato e di domenica lavoravo come cameriera in un ristorante.” fece una pausa, chiuse gli occhi che fino a quel momento avevano fissato il vuoto di fronte a lei e dopo l'ennesimo sospiro, riprese.
 
“Non scorderò mai quella sera. Era domenica notte, le strade erano deserte e io stavo tornando a casa dal lavoro. Nonostante fossero le tre non presi un taxi, non potevo permettermelo. Di solito mi aspettava sveglio, ma quando suonai il citofono non mi rispose. Immediatamente capii che qualcosa non andava; avevo una sensazione nel petto che accresceva ogni secondo, diventando sempre più grande. Sentii un peso sul cuore che mai più ho provato in vita mia. Cercai di tranquillizzarmi mentre con le mani tremanti cercavo le chiavi nella borsa. C'era buio e non le vedevo. Tutto quello che volevo era entrare in casa e assicurarmi che tutto fosse a posto. Alla fine le trovai; aprii la porta impaziente e senza nemmeno chiudere mi precipitai dentro.”
 
Corrucciò gli occhi, sentendo un nodo alla gola e gli occhi riempirsi di lacrime.
 
“Lui era lì... seduto, c-con il viso posato sul tavolo. Sembrava dormisse, m-ma quando mi avvicinai... era freddo. Accanto a lui c'era ancora una bustina di cocaina mezza piena. Ricordo che rimasi pietrificata; ma non era quello ad avermi preoccupata. C'era qualcos'altro di strano. Andai verso la culla e... e...” lacrime calde e salate cominciarono a scorrerle sulle guance. Si voltò verso l'uomo seduto accanto a sé e lo guardò con gli occhi spalancati. “Non c'era più. Il mio bambino... il mio bambino non c'era più. Il mio piccolo tesoro era lì, con il viso sporco di vomito e le braccine abbandonate come fosse una marionetta a cui sono stati tagliati i fili. Lo presi in braccio, crollai a terra e cominciai ad urlare; scoppiai in un pianto disperato. Non potevo rassegnarmi all'idea che da quel momento non l'avrei mai più sentito chiamarmi mamma, che non avrei più visto i suoi occhi vispi osservare tutto con curiosità. Aveva degli occhi bellissimi...” la voce si affievolì, e riportò lo sguardo di fronte a sé persa nei ricordi.
 
“Da quel punto non ricordo più niente. Mi hanno raccontato che i vicini si sono svegliati a causa delle mie urla e sono accorsi. Hanno provato a chiamare l'ambulanza ma ormai era troppo tardi. Lo odio. Per colpa della sua stupida dipendenza ho perso il mio piccolo...” mormorò con la rabbia negli occhi “Non l'ho più visto, ho chiamato i suoi genitori e due giorni dopo sono venuti a prenderselo. Non so nemmeno dov'è stato seppellito. Al mio bambino invece ho pensato io. È ai piedi di una fontana sai?” chiese voltandosi, intrecciando gli occhi dell'uomo nei suoi. “Amava le fontane; faceva sempre i capricci finché non gli facevo immergere i piedini.” un sorriso triste si aprì sul suo volto segnato dalle lacrime.
 
“Mi trasferii; decisi che nessuno avrebbe dovuto soffrire come me fintanto che avrei potuto evitarlo. Mi iscrissi in Accademia e scelti appositamente la divisione della narcotici per la specializzazione. L'unico modo per trovare un po' di pace dentro di me è prendere tutti quelli come lui, prima che facciano del male anche ad altri.” Fece una breve pausa e poi aggiunse: “In quel momento decisi anche che nessuno avrebbe più avuto il potere di farmi del male; non gliene avrei lasciata possibilità.”
 
Non raccontava mai quella storia, solo la sua migliore amica sapeva tutto sul suo passato; oltre che per non rivangare brutti ricordi, non ne parlava mai anche per non vedere quello sguardo di pietà che le avevano lanciato tutti quelli che erano presenti il giorno del funerale. Si voltò di nuovo verso Rick e lo guardò fisso; nei suoi occhi c'era solo tanto dolore.
 
“Era un bambino così bello...” disse riprendendo a piangere. “Per questo non mi lego a nessuno... Ma dopo quello che ho visto stasera, volevo che tu capissi... Mi dispiace...” si coprì il viso con le mani, ma lui la interruppe.
 
“Shh... Tranquilla, va tutto bene. Vieni qui.” si avvicinò e mettendole un braccio attorno alle spalle la attirò a sé. Non si era accorta di tremare finché lui non l'aveva abbracciata. Nascose il volto nella sua camicia e scoppiò in un pianto incontrollato. Rick non disse nulla, si limitò a tenerla stretta e a mormorare “Shh” di tanto in tanto, nella speranza di farla calmare.
 
Era rimasto in silenzio per tutto il tempo, come lei aveva chiesto. Gli sembrava quasi surreale che una donna come Michonne avesse dovuto soffrire così tanto. Man mano che si addentrava nel racconto sentiva un peso opprimergli il petto; si sentiva impotente. Non sopportava di sentirsi così, l'aveva sempre odiato, soprattutto quando riguardava qualcuno che gli stava a cuore. Nessuno merita il male che gli viene inflitto, ed era sicuro di poter affermare che quella a meritarlo meno di tutti fosse proprio lei. Era ancora frastornato; gli faceva strano averla tra le sue braccia e sentirla così fragile ed esposta.
 
Poco dopo Michonne si addormentò, stremata dal pianto. Ma lui non ci riuscì, non subito almeno. Rimase sveglio, con lo sguardo incantato sul soffitto. La sua mente era un fiume in piena e allo stesso tempo non riusciva a pensare a niente in particolare. Appena focalizzava qualcosa, questo era spazzato via da altro.
 
Chiuse gli occhi ancora velati di lacrime, sperando di liberare la mente.
 
Prima ancora di rendersi conto di tenere a lei, l'aveva ammirata e stimata. Era il genere di donna che sperava sarebbe diventata Judith da grande. Era il genere di donna che sperava avrebbe sposato Carl. Solo in quel momento, seduto sul suo divano immerso nella penombra, si rese conto che l'unica cosa che voleva era proteggerla. Proteggerla e farla felice come meritava.
 
Ora sapeva che cosa avrebbe fatto; non l'avrebbe riempita di paroline dolci e vuote. Le avrebbe dimostrato con i fatti quanto ci teneva e quanto lei meritasse di darsi un'altra possibilità; ma avrebbe lasciato tutto nelle sue mani. Se avesse deciso di stare con lui sarebbe stato perfetto, altrimenti non si sarebbe pentito per non averci provato. Non l'avrebbe mai costretta, la scelta sarebbe stata solo sua.




Angolo autrice:
Se siete arrivati fino a questo punto spero non mi odierete troppo. Se vi consola, ho sofferto a scrivere questo capitolo e anche a rileggerlo ahahahahaha Ma posso dire che il prossimo avrà tutt'altri toni - direi praticamente l'opposto rispetto a questo - e forse avete anche capito a cosa mi riferisco ;) Quest'ultimo periodo si sta rivelando più incasinato di quanto pensassi e mi dispiace non poter stare di più o di non riuscire a rispondere alle recensioni ma sappiate che le leggo tutte (e mi fanno tanto piacere!); un giorno mi rifarò viva, promesso. Ringrazio come sempre chi ha messo la storia tra preferite/seguite/ricordate e chi recensisce :) Buona settimana!
·Machaira·
   
 
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