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Autore: Vera_D_Winters    10/05/2017    1 recensioni
Racconto originale di stampo slice of life.
Ho sempre desiderato scrivere una storia in stile Banana Yoshimoto o Susanna Tamaro, quegli spaccati di vita scritti con tanta delicatezza da sembrare favole. Non ci ero mai riuscita però, almeno fin ad ora. Perchè? Perchè mi era sempre mancato il coraggio di scrivere la verità. Oggi però, seguendo una promessa, è nato "Scrivi di te, Scrivi di Noi." Non so se definirlo racconto, è più che altro un flusso di coscienza che tra una lacrima e un sorriso, sono finalmente riuscita a concretizzare in parole.
Spero possa emozionarvi almeno un po'.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- 𝙽𝚘𝚗 𝚛𝚒𝚌𝚘𝚛𝚍𝚘 𝚍𝚘𝚟𝚎 𝚍𝚒 𝚙𝚛𝚎𝚌𝚒𝚜𝚘, 𝚖𝚊 𝚑𝚘 𝚕𝚎𝚝𝚝𝚘 𝚍𝚊 𝚚𝚞𝚊𝚕𝚌𝚑𝚎 𝚙𝚊𝚛𝚝𝚎 𝚌𝚑𝚎 𝚒 𝚛𝚒𝚌𝚘𝚛𝚍𝚒 𝚗𝚘𝚗 𝚜𝚘𝚗𝚘 𝚖𝚊𝚒 𝚌𝚘𝚖𝚙𝚕𝚎𝚝𝚊𝚖𝚎𝚗𝚝𝚎 𝚟𝚎𝚛𝚒𝚝𝚒𝚎𝚛𝚒, 𝚙𝚘𝚒𝚌𝚑𝚎̀ 𝚜𝚘𝚗𝚘 𝚟𝚒𝚣𝚒𝚊𝚝𝚒 𝚍𝚊𝚕𝚕𝚎 𝚜𝚎𝚗𝚜𝚊𝚣𝚒𝚘𝚗𝚒 𝚙𝚛𝚘𝚟𝚊𝚝𝚎 𝚒𝚗 𝚚𝚞𝚎𝚕 𝚍𝚎𝚝𝚎𝚛𝚖𝚒𝚗𝚊𝚝𝚘 𝚖𝚘𝚖𝚎𝚗𝚝𝚘, 𝚙𝚎𝚛𝚌𝚒𝚘̀ 𝚌𝚑𝚒 𝚜𝚒 𝚏𝚛𝚎𝚐𝚒𝚊 𝚍𝚒 𝚊𝚟𝚎𝚛𝚎 𝚞𝚗'𝚘𝚝𝚝𝚒𝚖𝚊 𝚖𝚎𝚖𝚘𝚛𝚒𝚊, 𝚒𝚗 𝚛𝚎𝚊𝚕𝚝𝚊̀ 𝚗𝚘𝚗 𝚛𝚒𝚌𝚘𝚛𝚍𝚊 𝚌𝚑𝚎 𝚞𝚗𝚊 𝚟𝚎𝚛𝚜𝚒𝚘𝚗𝚎 𝚘𝚟𝚊𝚝𝚝𝚊𝚝𝚊 𝚍𝚒 𝚌𝚒𝚘̀ 𝚌𝚑𝚎 𝚛𝚎𝚊𝚕𝚖𝚎𝚗𝚝𝚎 𝚎̀ 𝚊𝚌𝚌𝚊𝚍𝚞𝚝𝚘.𝙸𝚘 𝚗𝚘𝚗 𝚜𝚘 𝚜𝚎 𝚜𝚒𝚊 𝚟𝚎𝚛𝚊 𝚘 𝚖𝚎𝚗𝚘 𝚚𝚞𝚎𝚜𝚝𝚊 𝚝𝚎𝚘𝚛𝚒𝚊, 𝚖𝚊 𝚜𝚘 𝚙𝚎𝚛 𝚌𝚎𝚛𝚝𝚘 𝚌𝚑𝚎 𝚗𝚘𝚗 𝚟𝚘𝚐𝚕𝚒𝚘 𝚙𝚎𝚛𝚍𝚎𝚛𝚎 𝚗𝚞𝚕𝚕𝚊 𝚍𝚒 𝚝𝚎, 𝚗𝚎𝚖𝚖𝚎𝚗𝚘 𝚞𝚗 𝚜𝚘𝚕𝚘 𝚜𝚒𝚗𝚐𝚘𝚕𝚘 𝚏𝚛𝚊𝚖𝚖𝚎𝚗𝚝𝚘 𝚍𝚒 𝚖𝚎𝚖𝚘𝚛𝚒𝚊, 𝚙𝚎𝚛𝚌𝚑𝚎̀ 𝚘𝚛𝚖𝚊𝚒 𝚕𝚊 𝚖𝚎𝚖𝚘𝚛𝚒𝚊 𝚎̀ 𝚝𝚞𝚝𝚝𝚘 𝚌𝚒𝚘̀ 𝚌𝚑𝚎 𝚖𝚒 𝚛𝚎𝚜𝚝𝚊. -

Uno sbuffo sfuggì dalle sue labbra sottili, mentre con molta poca grazia richiudeva il libro che aveva sfogliato fino a quel momento, facendo voltare un paio di ragazzi seduti a qualche tavolo di distanza, probabilmente intenti a studiare per le ultime verifiche del quadrimestre.
Era andata in biblioteca in cerca di un po' d'ispirazione per le sue storie, ma non ne aveva cavato un ragno dal buco, poichè la sua mente continuava a viaggiare su binari differenti da quelli verso cui si voleva dirigere.
Così finì col rinunciare, e dopo aver riposto il tomo nello scaffale da cui lo aveva preso, raccolse l'astuccio e i suoi fogli per gli appunti, mise tutto nella borsa a tracolla dai colori della bandiera americana, e lasciò la silenziosa biblioteca, sgattaiolando verso il giardino della grande villa padronale che ospitava mostre ed altri eventi culturali promossi dal piccolo comune lombardo in cui viveva.
I giardini erano ormai completamente in fiore, ma lei non vi badò, si diresse direttamente al suo antichissimo cerchio delle fate. Ovviamente non era realmente un cerchio magico, ma un grande albero che tutti chiamavano erroneamente salice piangente, quando in realtà era un qualche tipo di faggio raro. Quando era piccola vi andava spesso a giocare con gli amichetti dell'asilo: si arrampicavano sul grande tronco e sulle radici che fuoriuscivano dal terreno, creando tanti piccoli alberi tutti uniti assieme, e fingevano di essere in chissà quale fantastico mondo.
Il grande faggio tuttavia stava ormai morendo, molti dei suoi rami erano stati tagliati dopo un forte temporale che aveva distrutto buona parte delle radici, e non fioriva più. Vi erano ancora le verdi foglie che sembravano creare una fitta cortina attorno al tronco madre, ma erano molto più rade e molto meno rigogliose.
"Un tempo sembravi nonna salice..."
Mormorò sconsolata la ragazza, stringendosi nelle spalle mentre col naso rivolto verso l'alto osservava i raggi del sole filtrare attraverso le fronde. Vi era ancora un po' della vecchia atmosfera, ma non a sufficienza da placare il suo cuore bisognoso di vecchie consolazioni.
Per un attimo le parve di rivedere se stessa più di venti anni prima, intenta a correre e schiamazzare, sorridendo senza pensiero alcuno, ma anche quel riflesso svanì nei giochi di luce che animavano l'ombra di quel piccolo santuario naturale.
Un altro sospiro, e la ragazza lasciò anche quel luogo, tornando verso la piazza del piccolo paesino, tristemente vuota, nonostante il timido sole primaverile di quel sabato pomeriggio.
Si era ripromessa di tirare dritta a casa, ma i suoi piedi la portarono lungo la discesa alberata che portava alla stazione. Sempre che si potesse chiamare stazione, c'erano giusto due binari e un bar, ma era tutto pulito e ordinato, e tutto sommato piacevole alla vista, nonostante l'inquinante vetreria che svettava oltre il muro in cemento che divideva i binari dalla fabbrica.
Lei aveva un rapporto molto particolare con i treni.
Si amava viaggiare in auto, guidare oltre i limiti di velocità con la radio a volume altissimo, libera e impavida, ma adorava altrettanto prendere il treno. In lei nasceva una strana e romantica nostalgia mentre guardava il paesaggio mutare fuori dal finestrino, mentre passava di paesino in paesino. E poi era stato proprio un treno molti anni prima a salvarle la vita. Non aveva più di sette o otto anni, e si era sporta su un piccolo ponticello non lontano da quella stessa stazione. Mentre guardava giù aveva pensato che le sarebbe piaciuto volare, o forse lasciarsi cadere, e lo avrebbe fatto se il fischio del treno non l'avesse spaventata tanto da farla saltare giù e correre via. Da allora lei e i treni erano divenuti grandi amici, anche se a distanza di anni non sapeva dire ancora se quel giorno era stata fortunata oppure no. A volte la sua vita riusciva ad essere talmente orribile che un po' rimpiangeva di non aver compiuto il grande volo quel giorno lontano, ma la maggior parte del tempo comunque, riusciva a convivere con se stessa e con i suoi casini, abbastanza da gioire del fatto di essere ancora viva.
La voce preimpostata fuoriuscì dall'altoparlante alle sue spalle, facendola sobbalzare, e poco dopo il treno arrivò. Lo osservò per qualche attimo, lasciando vagare lo sguardo verde bosco sulle persone che salivano e scendevano, poi presa da un nuovo moto d'insofferenza, simile a quello che l'aveva scossa in biblioteca, si lasciò la stazione e il treno ancora fermo alle spalle.
Percorse la solita strada fino al passaggio a livello, e benché si fosse sforzata di non voltarsi verso sinistra, l'istinto fu più abile, e la portò a girare lo sguardo verso la discesa che portava al vecchio cimitero.
Si era ripromessa di non andare mai laggiù quando era di quell'umore cupo, ma ancora una volta i suoi piedi decidettero per lei.
Oltrepassato il cancello in ferro battuto e arrugginito, i suoi passi cominciarono a farsi rumorosi sopra i sassi del sentiero che circondava le tombe.
Il percorso fu quello di sempre: la tomba ormai abbandonata del fratello mai nato di papà, che lei aveva adibito a luogo di riposo anche del proprio fratellino mai nato, nonostante sapesse che quel corpicino era stato seppellito altrove, i bisnonni che non aveva mai conosciuto o quasi, ma a cui rivolgeva sempre un saluto e un pensiero, la nonna materna, persa pochi anni prima, che persino nella foto sulla lapide sembrava seria e austera, lo zio di papà che aveva iniziato ad apprezzare troppo tardi, e infine lei, la nonna paterna. La ragione per cui ormai ogni sabato si recava laggiù. La causa maggiore del suo tormento da qualche mese a quella parte.
Nella foto era quella di sempre, sorriso amorevole, rossi capelli ricci, occhiali un po' troppo grandi e ovviamente una maglietta zebrata e colorata.
La ragazza si sedette sulla lapide, cosa per cui le sue zie si sarebbero arrabbiate come faine se l'avessero vista, e appoggiò la guancia contro il marmo freddo, in quella posa che la faceva illudere di essere ancora tra le braccia della nonna adorata. Anche il vento lieve che spirava ogni tanto addolciva quell'illusione. Era come se le stesse accarezzando i capelli. Come quando era piccola e non dormiva, e la nonna la prendeva in braccio per farle qualche coccola.
In effetti già allora avrebbe dovuto capire di essere una creatura destinata alla notte e al buio.
Non c'era verso di farla addormentare. Di giorno andava all'asilo, giocava con gli altri bambini, guardava i cartoni animati, e di notte... di notte saltava sul letto dei suoi genitori, vuoto dalla parte di papà che era sempre via con il camion, facendo saltare i nervi di mamma. E chi veniva a salvarla sempre?
Ovviamente sua nonna.
In qualsiasi ricordo si addentrasse, da qualsiasi parte del suo passato si voltasse, quella donna amorevole e gentile era sempre presente. Una costante che era venuta a mancare troppo in fretta, troppo presto.
"Ho ancora tanto bisogno di te..."
Mormorò la ragazza con voce spezzata, mentre ricacciava indietro le lacrime, perchè aveva giurato di non piangere mai su quella tomba. Voleva farsi vedere felice, o perlomeno tranquilla. Aveva promesso anche quello stringendo la mano della nonna, quel giorno in cui l'aveva accompagnata in ospedale per quell'ultima operazione che era stata purtroppo fatale.
- Sii felice. Sii libera. Sii forte. E scrivi di te. E scrivi di noi.-
Le ultime parole della nonna l'avevano lasciata perplessa. Perchè le aveva chiesto di scrivere di loro quando sapeva che la ragazza odiava parlare di sè? Forse perchè aveva intuito che quello sarebbe stato l'unico modo per liberarla dal dolore una volta che fosse venuta a mancare? Aveva visto davvero così in la?
Difficile dirlo, ma non impossibile. Affatto.
"Ti manca tanto non è vero?"
La voce arrivò in una morbida carezza alle orecchie della ragazza, che si spostò pacatamente dal marmo, sciogliendo la posizione rannicchiata che aveva assunto, e si voltò verso il punto da cui era giunta la voce: un'anziana signora stava sistemando dei fiori nella tomba accanto, e sorrideva dolcemente, sebbene tra le rughe  si notasse una mestizia di fondo, che quasi faceva male a guardarsi. Non era la prima volta che si incontravano e la ragazza rispose con cortesia, salutando la donna, notando che i capelli apparivano forse ancora più ingrigiti dell'ultima volta in cui l'aveva vista. 
"Ogni giorno come il primo, e forse anche di più."
Disse poi per rispondere alla domanda che le era stata posta poco prima.
L'anziana donna annuì con fare comprensivo, e tirò fuori uno dei fiori dalla tomba del marito, per posarlo nel vaso della nonna, facendo nascere un moto di lacrime e commozione nel petto della giovane, che fece davvero fatica a trattenersi ancora una volta.
"Grazie mille."
La signora scosse il capo come a dire che non era nulla, e con quel gesto regalò l'ennesima fitta al cuore della giovane.
Sembrava la nonna, con quel modo di minimizzare ogni cosa, perchè non voleva mai essere ringraziata per ciò che faceva. Ma forse tutte le nonne del mondo erano proprio fatte così, o almeno quella era una delle convinzioni che la ragazza si stava auto imponendo per superare il dolore. Rivedere negli altri qualcosa di colei che tanto aveva amato, fingendo così di avere ancora una piccola parte di lei in quel mondo tanto vasto e caotico. 
La cercava nei sorrisi degli altri, negli abbracci che di rado si permetteva di ricevere, seduta al tavolino del bar in cui la portava sempre a prendere il suo marocchino in tazza grande, nelle fotografie in cui si metteva sempre in posa.
La cercava ovunque, e quando era fortunata riusciva anche a trovarla.
E un po' soffriva perchè ancora non l'aveva vista in sogno, come se le si stesse negando. Che fosse arrabbiata per qualcosa? Ogni tanto se lo chiedeva, ma non trovava risposta alcuna, perchè per quanto trovasse riflessi di lei, non vi era più possibilità di udire la sua voce. E quella forse era la cosa peggiore.
Ancora una volta il filo dei suoi pensieri venne spezzato dalla signora anziana che ora la stava salutando.
Ricambiò quei cordiali convenevoli e tornò ad appoggiarsi alla lapide, socchiudendo gli occhi.
"Scriverò di noi... ma solo perchè ho paura che col tempo non riuscirò più a trovarti da nessun'altra parte. E se ciò dovesse accadere allora sarei persa del tutto. Perciò scriverò di te, dell'amore che mi hai insegnato, del dolore, della gioia, della malattia che ti ha portata via da me. Scriverò ogni cosa, perchè non voglio dimenticare nemmeno un giorno di sole, nè una notte di tempesta. Quando avrò finito però, mi aspetto di vederti almeno in uno dei miei sogni. Me lo devi nonna... manterrò tutte le mie promesse... ma tu torna da me almeno una volta se puoi."
Sulle ultime parole la voce si ruppe di nuovo, e la ragazza fu costretta ad alzarsi in fretta e furia, prima di spezzarsi davanti alla tomba, e rompere la sua promessa.
Percorse a ritroso la strada fatta prima, e quasi corse verso casa, come se potesse scappare dal dolore che l'aveva avvolta, facendo piovere lacrime amare sul suo viso. Ma non poteva scappare, quello lo aveva dentro, come un piccolo mostro che si nutriva di tutte le cose belle, gettandola nello sconforto più cupo.
E se l'unico porto sicuro in cui si era sempre rifugiata quando il mondo le crollava addosso non c'era più, da chi sarebbe andata ora?
Non le restava altro che un cuscino da stringere al petto, e una voce registrata sull'audio del cellulare, che ripeteva sempre le stesse tre parole.
E poi c'erano quei ricordi che avrebbe trasformato in storie scritte.
Non importava quante lacrime avrebbe versato nel farlo, quanto a fondo avrebbe dovuto scavare, quali paure avrebbe dovuto affrontare.
Avrebbe scritto di loro.
E il ricordo di lei non sarebbe mai svanito.

   
 
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