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Autore: usotsuki_pierrot    11/05/2017    1 recensioni
Era in quelle serate così pacifiche e calme che l'infinito soffitto decorato da quei minuscoli fari avrebbe potuto tranquillamente essere paragonato all'enorme tela su cui brilla nella sua completezza una splendida opera d'arte appena conclusa.
Peccato che, come molte volte accade, pochi siano coloro che si fermano a guardare attentamente un capolavoro di tale calibro, a meno che non si tratti di animi particolarmente avventurosi, curiosi, amanti della vita notturna e dei misteri che porta con sé; oppure semplicemente soli. Era proprio quello, il caso di Gaara.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Kiba Inuzuka, Nuovo Personaggio, Sabaku no Gaara
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto prima serie
- Questa storia fa parte della serie 'Sabaku no Yami'
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PREMESSA
Salve a tutti, di nuovo~
Bene, questa fic in teoria non era in programma, visto che comunque stavo già scrivendo una fic con Yami e Kiba e sto preparando una long, la mia prima long, o almeno su questo profilo, su Naruto, e dopo davvero parecchio tempo.
MA avevo questa piccola idea che mi frullava nel cervello, e non riuscivo a pensare a nient'altro, perciò ho preferito finire questa storia prima di continuare il resto (o non mi avrebbe mai abbandonata).
Dunque, protagonisti di questa fic sono Gaara e Yami, e il tutto è incentrato su un episodio tranquillo situato prima degli esami da Chuunin della prima serie. Non vi anticipo nient'altro! Buona lettura!!
PS: il ragazzo dai capelli corvini citato nella storia potrebbe essere facile da indovinare, tuttavia ho deciso di lasciarvi il beneficio del dubbio, in quanto presto scriverò anche di lui!


Era scesa la notte da ore ormai, su Konoha. Una notte serena, rischiarata dalla pallida luce della luna e dal lieve bagliore delle stelle che le facevano compagnia punterellando il cielo scuro. Era in quelle serate così pacifiche e calme che l'infinito soffitto decorato da quei minuscoli fari avrebbe potuto tranquillamente essere paragonato all'enorme tela su cui brilla nella sua completezza una splendida opera d'arte appena conclusa.
Peccato che, come molte volte accade, pochi siano coloro che si fermano a guardare attentamente un capolavoro di tale calibro, a meno che non si tratti di animi particolarmente avventurosi, curiosi, amanti della vita notturna e dei misteri che porta con sé; oppure semplicemente soli. Era proprio quello, il caso di Gaara.
Gli occhi chiari del ragazzo creavano un piacevole contrasto con l'oscurità della sera, completamente aperti com'erano e fissi sull'infinità del cielo sopra la sua testa. Seduto su uno dei tetti che componevano il Villaggio, con una gamba piegata e il polso poggiato malamente sul ginocchio, il ragazzo osservava la vastità che sembrava l'unica via di fuga dalla prigione in cui si sentiva rinchiuso ogni giorno che passava. Il palmo destro, libero, era aperto e premuto contro il materiale freddo su cui era seduto, donandogli un pratico appoggio che gli consentiva di analizzare le miliardi di puntine luminose e lontane.
All'improvviso, tutto si fece completamente nero. Una sorta di barriera si era posta tra il manto stellato e i suoi occhi, i quali si chiusero istintivamente creando una piccola smorfia su quel viso solitamente impassibile. Il naso si arricciò di poco, ma non appena il ninja realizzò che ciò che aveva occultato la vita del paesaggio circostante erano semplici mani, i muscoli si rilassarono progressivamente.
Il polso abbandonò la scomoda posizione in cui si trovava sul ginocchio, le dita giunsero alla causa dell'oscurità più completa in cui era caduto, posandosi sul dorso di una delle mani estranee.
I polpastrelli pallidi presero ad accarezzare senza timore quella pelle a lui tutt'ad un tratto così familiare, muovendosi lentamente ma in modo deciso, tranquillo.
Dopo aver oltrepassato le nocche, e con una pressione maggiore ma sempre contenuta, raggiunsero le dita sottili che ancora premevano ben chiuse sui suoi occhi serrati. Seguirono con premura tutta la lunghezza delle falangi, tornando solo successivamente prima sul dorso e poi sul polso sottile.
Lo shinobi sentì una strana e quasi piacevole sensazione espandersi all'altezza del suo petto; la percepì farsi spazio dentro di lui, mentre senza nemmeno accorgersene un lieve sorriso modellava il suo volto. Quello stesso volto che da tempo non ospitava altro se non smorfie e sguardi inespressivi o al massimo colmi di rabbia.
Sembrarono passati secoli quando finalmente la persona inginocchiata dietro di lui diede un segno di vita. Una risatina trattenuta a stento, infatti, sfuggì dalle labbra dell'ospite misterioso, che spezzò il leggero silenzio del momento con una frase semplice ma dritta al punto.
«Vedo che la sabbia ancora non mi considera una minaccia, nonostante tutto...».
Il rosso deglutì rumorosamente. Aveva capito fin quasi dal principio che quelle mani appartenevano proprio a lei, ma la sua voce sembrò paralizzarlo. E nell'istante in cui si voltò per poterla avere finalmente faccia a faccia, poco bastò ad impedirgli di proferire anche solo una parola: quei suoi lunghi e inconfondibili capelli azzurri, gli occhi verdi che brillavano nel buio della notte, il sorriso compiaciuto e sollevato, il viso indubbiamente cresciuto dall'ultima volta che si erano incontrati.
«Yami..?».
Una seconda ma più forte risata ruppe le invisibili catene che tenevano bloccati i muscoli del più piccolo, che parve così risvegliarsi da un lungo e profondo sonno; scosse lievemente la testa, chiudendo per qualche istante le palpebre.
Con un ampio sorriso, la ragazza si avvicinò prendendo posto accanto all'amico, il quale in tutta risposta arrossì di poco e gonfiò le guance distogliendo lo sguardo.
La maggiore si lasciò sfuggire una breve occhiata rivolta al rosso, mentre le labbra si curvavano all'insù. Portò successivamente le mani dietro la schiena, poggiando i palmi aperti a terra e allungando le gambe, rivolgendo gli occhi chiari al cielo stellato.
«È proprio bella, la notte, non è così?».
Gaara percepì i muscoli della ragazza rilassarsi un poco, e lasciò che le pupille attente più alla sua figura che alle parole da lei proferite si fissassero su quel volto rischiarato dalla luce della luna. Notò subito che il sorriso seppur lieve che era stampato sulle sue labbra fino a poco prima era sparito, e che gli angoli della bocca erano in quell'istante caduti verso il basso, quasi attirati dalla forza di gravità.
Non appena il Jinchuuriki alzò di più lo sguardo, sentì il corpo irrigidirsi, e non riuscì a non deglutire silenziosamente alla vista delle occhiaie evidenti presenti sul viso dell'azzurrina, rese ancora più lampanti dalla bianca luce lunare.
Lo shinobi aprì la bocca nel tentativo di parlare, di dire qualcosa, ma la voce sembrava essersi bloccata in gola.
"Come stai?", avrebbe voluto chiederle. "Com'è andata in questi anni?". Tante erano le domande che gli affollavano la mente ma nonostante tutto ancora non aveva detto nulla. Non riusciva a dire nulla. Si sentiva talmente stupido, che sebbene non avesse quasi fiatato, l'istinto lo portò a mordersi il labbro.
"Hai trovato nuovi amici?". No, si sentiva male anche solo a pensarci.
"Hai fatto progressi con le marionette?". Si domandò cosa avesse nella testa al posto del cervello, per arrivare a pensare di poterle chiedere QUELLO prima di qualsiasi altra cosa.


“Pensi ancora a tuo padre?”.


Una delle peggiori richieste che avrebbe potuto farle, tanto che non appena la sua mente la elaborò, i muscoli parvero congelarsi. Gli occhi chiari si spalancarono, le labbra si schiusero e il suo intero corpo si immobilizzò, incapace di formulare un solo motivo valido per cui quella domanda avrebbe dovuto persino comparire nell'anticamera del suo cervello.
Il Jinchuuriki abbassò lo sguardo, mentre il viso si rabbuiava.
«Sì... esatto...». Una risposta semplice e fin troppo concisa, che costrinse l'azzurrina a deconcentrarsi dall'opera d'arte notturna che si stendeva sopra le loro teste per poter osservare incuriosita il ragazzo al suo fianco.
Lo vide, teso e intento a mordersi ossessivamente il labbro, con gli occhi coperti dall'ombra, e si abbandonò ad un sorriso lieve e colmo di tristezza. Non disse nulla, si limitò a lasciarlo calmare almeno in parte, e non appena lo sentì tirare un accennato sospiro, riuscì a rilassarsi un poco a sua volta.

«Le cicatrici... sul braccio...».
«Mh?». La ragazza venne quasi risvegliata dalle parole del ninja, che non avrebbe potuto non accorgersi dei segni lasciati dalle ferite ormai rimarginate sul suo braccio; le stesse che erano state causate proprio da lui, quel giorno in cui la sabbia era completamente sfuggita al suo controllo, attaccandola e avvolgendole l'arto superiore, schiacciandolo seppur non a piena forza. Ricordava molto bene le condizioni in cui la pelle era stata ridotta per colpa sua, di quanto aveva fatto soffrire i giorni successivi quella che era ancora una bambina, dell'atteggiamento premuroso e cordiale del padre che nonostante tutto l'aveva sempre perdonato.
Nella sua mente erano ancora ben impresse le immagini terribili dei lividi che avevano colorato e rovinato il braccio della kunoichi, che tuttavia non era scappata da lui, non era fuggita.
«Intendi queste?». L'istinto lo portò a muoversi rapidamente nell'istante in cui l'azzurrina si passò la mano sull'arto ferito, quasi come a volerla proteggere dal dolore, che però non sembrò arrivare.
«Non... non ti fa più male?». La marionettista scosse la testa.
«Ormai è guarita...». Allo sguardo confuso e incerto dell'amico, il sottile sorriso presente sul suo volto si espanse.
«Una persona mi ha aiutata molto, qualche anno fa».
Ci furono intensi secondi di silenzio che parvero senza fine, finché proprio la kunoichi non abbassò nuovamente la testa, con un'espressione abbattuta.
Gli occhi chiari del ninja ripresero a studiarla, a metà tra il curioso e lo sconsolato, ma ben presto, consapevoli che il discorso non sarebbe proseguito, ritornarono ad esaminare il cielo della notte, consentendo alla quiete più totale di crollare nuovamente su di loro.
Decine e decine di pensieri sconnessi tra loro affollarono la mente della quattordicenne, che serrò le palpebre nel vano tentativo di non ricominciare a tormentarsi sulla memoria del ragazzo dai capelli corvini, sull'inutile speranza di rivederlo ancora - anche solo per ringraziarlo -, e sul desiderio di sapere realmente cosa gli fosse accaduto.
Solamente dopo aver passato del tempo nel silenzio assoluto, riuscì a concentrarsi ancora sullo scenario attuale e sull'atmosfera del momento, lasciandosi scivolare di dosso tutti i ricordi.
Fece in modo che le palpebre si riaprissero lentamente, che gli occhi si riabituassero all'ambiente circostante; le pupille si fissarono senza fretta dapprima sulla figura dello shinobi accanto a lei, poi sulla sua stessa mano destra, quella più vicina al rosso.
Pacatamente e dopo alcuni minuti, sollevò il palmo da terra e allungò le dita il più possibile verso la figura del Jinchuuriki, raggiungendo il polso ancora appoggiato al ginocchio di lui.
Un leggero sussulto mosse il corpo di quest'ultimo, mentre gli occhi verde acqua si posavano con una rapidità quasi intimorita sulle dita della kunoichi; la giovane attese qualche istante, con i polpastrelli premuti delicatamente su quella pelle chiara, prima di avvolgere la mano del più piccolo nella sua.
Lo sguardo del giovane sembrò illuminarsi seppur di poco, scacciando la terribile oscurità che si era impossessata di quel volto segnato dalla sofferenza.
Per alcuni istanti, Gaara non mosse un singolo muscolo. Si decise a voltarsi quanto bastò per incrociare gli occhi verdi e luminosi dell'amica; e quel rossore che in principio sembrava rimanere una lieve punta, un leggero accenno sulle guance pallide, man mano che i secondi passavano si trasformò in una vera e propria vampata che occupò ogni centimetro di pelle presente sul suo viso.
Le labbra formarono un evidente broncio più imbarazzato che arrabbiato, e non appena il ragazzo riuscì a percepire fisicamente il calore che si stava impossessando delle sue gote, distolse velocemente lo sguardo, sotto gli occhi divertiti e inteneriti di Yami.
Quest'ultima, confusa, non fu in grado di capire appieno quello strano comportamento, e tanto meno di captare il colorito acceso che stava pian piano prendendo forma anche sul suo volto. Si limitò semplicemente a dare libertà ad una piccola e innocua risatina, portandosi la mano sinistra sulle labbra e chiudendo gli occhi chiari, costringendo il Jinchuuriki a tramutare la sua espressione ancora imbronciata in un sottile sorriso quasi sollevato.
Le dita sottili si strinsero con gentilezza intorno a quelle dell'azzurrina, che spezzò qualche istante dopo quel contatto così azzardato per portare entrambe le mani sul ginocchio piegato del ninja.
«Gaara, allunga le gambe!». Il rosso inclinò la testa, estremamente confuso di fronte a quella richiesta così inaspettata, ma obbedì senza dire nulla.
Yami annuì contenta, si sistemò come meglio poté, sedendosi con la schiena rivolta verso di lui, e infine si abbassò finché il capo non fu comodamente poggiato sugli arti inferiori del ragazzo. Il giovane parve implodere a quel gesto che l'aveva avvicinata forse fin troppo, ma non riuscì a far altro se non deglutire rumorosamente, distogliendo in fretta gli occhi chiari e posando i palmi delle mani aperti dietro di sé.
La quiete dei minuti che seguirono fu rotta ancora una volta dall'azzurrina, con un sospiro profondo da cui si lasciò trasportare abbassando le palpebre e riaprendole dopo un poco; rivolse lo sguardo al cielo sereno, senza proferire nemmeno una parola, portandosi le mani sul ventre e unendole, intrecciando le esili dita.
Le iridi colorate presero ad osservare attentamente ogni porzione del manto scuro che si stagliava sopra i tetti di Konoha, analizzando ogni più piccolo particolare, ogni stella, soffermandosi poi infine con maggiore attenzione sulla luna, sotto lo sguardo timido e distratto del rosso.
«Lo sai, Gaara...». Gli occhi verdi della kunoichi si posarono nuovamente sul volto che aveva perso ormai gran parte del rossore invadente e sull'espressione dell'amico.
«Mi mancava, stare in silenzio con te...».
La mano dell'azzurrina si discostò dall'altra, ferma sulla pancia, e si avvicinò alla figura del ninja, che rimase immobile, in attesa del contatto. Le dita giunsero in poco tempo sulla sua guancia, ancora calda in parte, e il palmo si posò dolcemente sulla pelle chiara; quelle stesse dita si infilarono tra i piccoli ciuffi di capelli, tranne il pollice che prese invece ad accarezzare lo zigomo, facendo attenzione a non ostacolare anche solo per sbaglio l'occhio del più piccolo.
Le labbra della marionettista si curvarono genuinamente all'insù, seppur lievemente, mentre le palpebre si abbassavano di poco e le pupille osservavano quel movimento regolare e delicato.
Sembrarono essere passati anni e al contempo pochi secondi nel momento in cui uno sbadiglio prese piede sul volto assonnato della ragazza, ponendo fine a quell'espressione assorta e compiaciuta.
La mano si allontanò lentamente dalla guancia dello shinobi, che non riuscì a contenere un certo disappunto attraverso un nuovo ma più lieve broncio.
Yami si rimise seduta, stiracchiandosi e allungando le braccia avanti a sé, per poi stropicciarsi distrattamente un occhio; con un piccolo verso scaturito dal sonno e dalla stanchezza, la giovane si stese a terra, accanto al rosso, che non aveva scostato la testa dalla sua posizione originaria e che in quell'istante si limitava ad osservare la figura dell'amica di nascosto.
«A dire la verità...». Un ulteriore sbadiglio impedì all'azzurrina di finire per tempo la frase, interrotta a metà. A quel punto, incuriosito, Gaara si decise a rivolgere completamente lo sguardo verso di lei, attendendo la fine di quell'affermazione che rischiava di non venir proferita. Gli occhi verdi della kunoichi infatti si erano chiusi, e la voce si stava affievolendo sempre più, ma fortunatamente la ragazza riuscì a terminare prima di essere prepotentemente catturata dalle braccia di Morfeo.
«... mi mancavi tu».



«Yami!! YAMI!!».
Gli occhi verdi si riaprirono nel momento in cui la marionettista si sentì chiamata a gran voce poco lontano da lei. Sbatté un paio di volte le palpebre, per riabituarsi alla luce accecante del sole mattutino che la colpiva interamente, stesa com'era sul medesimo tetto su cui si era addormentata quella notte.
«Oh..! Kiba-kun, è qui..!».
«Hinata..?». Non appena l'azzurrina riuscì a realizzare dove si trovasse e cosa stesse accadendo, portò la mano a strofinare un occhio, sbadigliando.
La prima figura che vide fu quella della ragazza dai corti capelli scuri, che si era appena inginocchiata accanto a lei.
«Yami-san, ti abbiamo cercata dappertutto..!».
La kunoichi la guardò con un'espressione decisamente confusa, che per poco non creò il panico nella mente dell'amica.
«Ecco dov'eri finita!!». La marionettista portò indietro gli occhi, per poi alzare il busto e appoggiarsi ad un gomito.
Sentì subito l'abbaiare preoccupato di Akamaru; e infatti non fece in tempo ad alzare lo sguardo, che il piccolo animale dal pelo bianco le corse subito vicino, lasciando qualche passo indetro il padrone e fermandosi a pochi millimetri dal volto della ragazza, tanto da leccarle la guancia scodinzolando felice.
La giovane scoppiò a ridere di fronte a quella specie di "attacco" da parte del cagnolino, che prese nuovamente ad abbaiare e a strofinare il muso contro il suo viso. Tenendosi ancora appoggiata ben salda al gomito, con la mano chiusa a pugno, la ragazza portò le dita libere ad accarezzare il pelo morbido e soffice, la testa, che seguì subito i suoi movimenti, e le orecchie.
Fu in quel momento che la marionettista notò una strana sensazione nel palmo della mano chiusa. Abbassò gli occhi, aprendola per bene, e realizzò che ciò che le procurava quel quasi prurito era un piccolo mucchio di sabbia che era stato lasciato con una precisione millimetrica nel suo pugno, di modo che il vento non la portasse con sé durante la notte e le dita la tenessero stretta in una dolce morsa.
L'immagine di Gaara e del tempo ridotto ma prezioso che avevano passato insieme quella stessa notte stellata la fece sorridere istintivamente, mentre riponeva il "dono" fattale dal rosso in una minuscola sacca munita di elastico che portava con sé per raccogliere eventuali nuove armi di piccole dimensioni, esplosivi, o quant'altro.
«Cosa facevi qui sopra?!». Il castano rimase qualche istante ad osservare i movimenti della kunoichi, dopodiché arrivò avanti a lei, raggiungendo Akamaru. Si abbassò e le tirò uno lieve schiaffo sulla testa: uno scappellotto che aveva lo scopo di farle capire quanto fosse preoccupato, più che di farle del male. Ma l'interpellata non riuscì a trattenere un sottile verso di dolore sussurrato, chiudendo un occhio e portandosi la mano dietro il capo, sulla parte colpita.
«Kiba, che ti prende?!».
«A me?! Sei tu che continui a dormire sui tetti, manco fossi un cane randagio!».
Il silenzio calò improvvisamente, gli occhi verdi incontrarono quelli neri del ninja, la cui espressione era decorata e marcata da un evidente broncio.
Hinata, intanto, aveva alzato le mani avanti a sé, cercando di trovare le parole adatte che tuttavia sarebbero di certo in ogni caso rimaste inascoltate, data la voce fin troppo flebile.
«Cosa sarei io?», chiese la quattordicenne, pur avendo capito benissimo le parole pochi istanti prima pronunciate dal più piccolo.
Un lieve ghigno si dipinse sul volto di quest'ultimo, che arricciò il naso mettendo in mostra i canini tipici del suo clan.
«Un-cane-randagio», rispose, scandendo ogni singola parola in segno di scherno.
Il viso della maggiore si fece più buio e minaccioso; con un rapido gesto riuscì ad alzarsi in piedi e iniziò a sgranchirsi ogni arto sussurrando dei continui "adesso te la faccio pagare", che si mischiavano con i guaiti insistenti di Akamaru e con il tono decisamente preoccupato della quarta presente.
Quest'ultima si mise in piedi poco dopo, e posò una mano sul braccio dell'amica, guardandola implorante di fermarsi.
«Voi due, fermatevi immediatamente!!».
Un urlo improvviso immobilizzò sul posto sia lo shinobi, sia le due kunoichi, la più piccola delle quali tuttavia tirò un lungo e atteso sospiro di sollievo nel momento in cui sullo stesso tetto giunsero Lizzy e Kou.
La prima, non appena fu completamente con i piedi per terra, gonfiò le guance portandosi le mani sui fianchi e rivolgendo uno sguardo apprensivo e carico di rimprovero all'azzurrina. La marionettista parve calmarsi all'istante, quasi impallidendo, e fissò gli occhi al terreno allontanandosi di qualche passo dal ninja, imbronciata.
«Heh! Cos'è, hai paura delle sgridate della mammina?».
«Kiba, dovresti smetterla anche tu...». Persino Shino fece la sua apparizione, in un angolo, con la schiena appoggiata al comignolo e le braccia incrociate.
«Cosa?! Ma io non ho fatto-».
«Niente ma!», intervenne Kou, con un potente e sconsolato sospiro. «Come fate a combinare sempre danni, voi due, quando siete insieme?».
I due mantennero il broncio e gli occhi fissi altrove, ma non appena il rosso proferì quelle parole, si mossero quasi in sincronia; si voltarono, guardandosi di soppiatto per qualche istante, con le guance ancora gonfie, per poi scoppiare in una fragorosa risata che sorprese tutti i presenti (tranne Shino). Elizabeth fu la prima a scrollarsi di dosso lo stupore che non mancava mai in loro presenza, avvicinandosi alla coetanea e afferrandola per un orecchio, non badando minimamente ai suoi gemiti di dolore.
«Andiamo, dobbiamo allenarci!».
«Lizzy-chan, così mi fai male!! Kou, dille qualcosa!!».
«Mi dispiace Yami, te la sei andata a cercare!».
«Così non vale! Uff!!».


«Quella sabbia era opera tua, non è così?». Kankuro ruppe il silenzio glaciale in cui lui, Gaara e Temari erano caduti mentre osservavano la scena nascosti su uno dei tetti poco lontani. Il marionettista si mise le mani in tasca, lanciando un'occhiata al fratello minore, che come al solito si limitava a tenere le braccia incrociate senza dire nemmeno una parola, facendo così irritare - e non poco -, il castano.
Per tutta risposta, il maggiore digrignò i denti in un "tsk" scocciato, sotto lo sguardo preoccupato e nervoso della bionda.
«Gaara, Kankuro, dobbiamo andare...».
«Temari ha ragione, non possiamo aspettare». Il più alto si mosse, rivolgendo un altro sguardo carico di quel misto di paura e rabbia al Jinchuuriki, che rimase ancora immobile a fissare la scena e soprattutto l'azzurrina.
«Gaara...».
«Ho capito», ringhiò lui, interrompendo la sorella che sospirò lievemente incamminandosi insieme al marionettista nella direzione opposta, dopo un breve sguardo d'intesa.
Il tempo dei giochi era finito. Avevano una missione da compiere, un lavoro da sbrigare, e non si sarebbe potuto concedere altri momenti come quello della notte appena passata.
Ne era consapevole, pensava di essersi preparato abbastanza, eppure, nonostante tutto, bastava uno sguardo, una parola, un gesto di quella ragazza dai lunghi capelli azzurri, per non farlo sentire per niente pronto. Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di rimanere una vita intera su quel tetto, sotto il cielo sereno e stellato, da solo, con lei.

   
 
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