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Autore: Fanny Jumping Sparrow    11/05/2017    6 recensioni
Forse stava diventando troppo vecchio per quella vita scapestrata, osava importunarlo di tanto in tanto una vocina dispettosa, ma lui puntualmente non le dava alcun conto.
Non voleva e non poteva arrendersi allo scorrere inesorabile delle maree.

One shot introspettiva ambientata tra il 4 e il 5 film della saga.
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jack Sparrow, Joshamee Gibbs
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Stuck

Paralizzato.
Il corpo trafitto da mille spilli, la bocca spalancata ma incapace di produrre qualsiasi suono, mentre un intenso ronzio gli riempiva le orecchie, simile al mescolarsi di onde in tempesta e voci lontane.
Gli occhi si aprirono, scontrandosi con un buio pesto, sopra e intorno a sé, suscitandogli un forte senso di disagio.
Respirava a stento, sopraffatto dall’orribile percezione di aver inghiottito delle schegge affilate che gli si erano piantate in gola. Il cuore pulsava veloce, il sudore gli solleticava le tempie, riversandosi fino alla nuca, e non riusciva a muoversi.
Era sveglio, almeno così credeva, riconoscendo l’odore familiare di cera rappresa, polvere da sparo e alcol che viziava l’aria della sua cabina, eppure non aveva il controllo di nessuno dei suoi arti, come se un peso invisibile gli schiacciasse il petto.
Doveva urlare. Era l’unico modo per spezzare quella sorta di beffardo incantesimo in cui erano imprigionati i suoi muscoli. Così concentrò tutte le sue forze sui propri polmoni, cercando di inspirare quanto più possibile, anche se era più faticoso del normale, sentendosi strozzare.
Per i primi interminabili secondi fu capace di emettere solo un rantolo flebile e rauco, poi iniziò a percepire il fiato annaspare a poco a poco attraverso la trachea, quasi raschiandone le pareti arse e asciutte nel tentativo di vincere l’attrito di quel qualcosa di intangibile, finché con uno strillo acuto e poco virile balzò sui reni, riacquistando lentamente la padronanza dei nervi scossi e intorpiditi.
Seduto in mezzo alla sua branda disfatta da un sonno travagliato, le lenzuola attorcigliate alle caviglie e le palpebre appiccicaticce, Jack Sparrow attese qualche istante che quel fastidioso formicolio che gli pizzicava la carne passasse e la testa smettesse di girare vorticosamente, prima di cercare tastoni la fiaschetta che teneva sempre a portata di mano sotto il guanciale e tracannarne con foga il liquido ambrato, unico suo dolce conforto in assenza di altre piacevoli compagnie.
Oramai gli capitava sempre più spesso di dover affrontare quello sgradevole incubo lucido prima di svegliarsi del tutto e poter cominciare le sue giornate, scandite come sempre da sale, vento, solitudine e sotterfugi.
Forse stava diventando troppo vecchio per quella vita scapestrata, osava importunarlo di tanto in tanto una vocina dispettosa, ma lui puntualmente non le dava alcun conto.
Non voleva e non poteva arrendersi allo scorrere inesorabile delle maree. Aveva ancora tanto da provare, tanto da vedere, tanto da dare al mondo, sebbene lo avesse girato in lungo e in largo per molti più anni di chiunque avesse mai conosciuto.
Schioccò la lingua con un mugolio di approvazione, la pancia piacevolmente scaldata dal sapore zuccheroso del rum e, buttando via la bottiglietta oramai vuota, si diede una grattatina alla bandana logora e ad un’ascella umidiccia, gettando un’occhiata assonnata allo scarso chiarore dell’ambiente che lo ospitava.
Le candele dovevano essersi consumate del tutto durante le ore notturne, aveva dimenticato di sostituirle con altre più nuove la sera prima, ma adesso qualche spiraglio di luce stava infiltrandosi furtivamente a dissipare l’oscurità dominante.
Così poggiò i piedi scalzi sul pavimento e avanzò con gambe malferme sulle assi scricchiolanti, disseminate di scartoffie e cianfrusaglie che aveva accumulato di porto in porto nelle ultime settimane, raggiungendo la vetrata prospiciente per dare un’occhiata al panorama esterno.
Calypso doveva essere di umore particolarmente giulivo, osservò tra sé e sé.
Un cielo senza nuvole stava rischiarandosi alle prime luci dell’alba e il mare placido e piatto ne rifletteva i tenui colori, luccicando come uno specchio. Non una vela si stagliava all’orizzonte, lo scafo rollava appena cullato dalla placida risacca, le forti correnti del golfo insolitamente tacevano, i gabbiani dormivano ancora, e così il resto della nave, a giudicare dal pesante silenzio che ristagnava tra le lerce paratie.
Quella visione di pura quiete gli instillò una viscida sensazione di malessere nelle budella, la stessa che lo teneva vigile e insonne per gran parte del giorno e della notte, sottraendogli indispensabili ore di riposo, col bel risultato che finiva per appisolarsi nei momenti meno opportuni e per attirarsi le malevole critiche sottovoce di quei cani ingrati dei suoi sottoposti, sempre dannatamente inclini a rimarcare le sue piccole pecche.
La verità era che quella imperturbabile situazione di stallo lo stava lentamente uccidendo. Uccideva la sua mente brillante, figurarsi il suo corpo che, per quanto ancora più che vigoroso, era di certo meno agile e scattante di un tempo, e stava rammollendosi nel crogiolarsi in quel tedioso ozio.
Aveva bisogno di incappare in qualcosa di imprevedibile, di spaventoso, di eccitante, qualcosa capace di accendere i suoi sensi, di attorcigliargli lo stomaco, di far fremere la sua spina dorsale.
Un diversivo, un inconveniente, un guaio, una catastrofe …
No, beh ecco, forse non bramava proprio trovarsi coinvolto in qualcosa di così estremo e potenzialmente fatale per la sua pellaccia, ma quantomeno sognava di incorrere in una sfida diversa, in una scoperta oltre i limiti della mappa che mettesse alla prova le sue tante innate qualità e lo strappasse a quell’infida bonaccia che perdurava da un po’ troppe lune, snervandolo.
Non poteva farci niente. Era sempre stato così. Troppa pace lo rendeva inquieto.
Un bagliore improvviso gli colpì le pupille, rimbalzando dalla parete alle sue spalle e infrangendosi sulla finestra che aveva davanti.
Si voltò di scatto, facendo tintinnare i variopinti monili intrecciati tra i lunghi capelli stinti dal sole.
Era stata lei a richiamarlo. E chi altri sennò?
«Credi che mi sia dimenticato di te?! Giammai! Ti tirerò fuori da lì. L’ho promesso e lo farò!», strepitò con tenace convinzione, agitando bizzosamente un pugno per dare maggiore credito al suo giuramento.
Il riflesso luminoso occhieggiò una seconda volta con minor intensità, portando un’ombra scura ad incupire il volto del famigerato Capitano e spingendolo ad avvicinarsi con fare meno spavaldo alla sua fonte.
Scostò i cuscini e raccolse cautamente tra le mani il fragile oggetto di vetro che custodiva il tesoro più prezioso che avesse mai conquistato, uno splendente trofeo da cui si ostinava a non volersi separare, nonostante tutto.
«Non ti fidi più di me neppure tu, nevvero?», la interrogò atteggiando le labbra in un ghigno stentato e profondamente amareggiato.
La Perla Nera in miniatura beccheggiò tra i lievi flutti intrappolati insieme a lei in quel perpetuo e statico galleggiare, altera e insofferente.
Ogni volta che si soffermava ad osservare quella bottiglia e a considerare che il vascello racchiuso lì dentro non era un insulso modellino fabbricato da un abile artigiano per il capriccio di qualche collezionista, bensì un pezzo incommensurabile della sua anima e della sua storia, veniva travolto da un miscuglio di emozioni crudeli e contrastanti. Nessuno avrebbe più potuto averla, neanche lui.
Neanche lui, che ci aveva versato sangue, sudore e lacrime amare su quel robusto ponte, ora lungo solo appena più di un pollice. Neanche lui, che aveva condotto fughe spettacolari, intessuto imbrogli sopraffini e perpetrato innumerevoli ruberie grazie alla resistenza di quelle vele, ridotte a minuscoli brandelli di stoffa. Neanche lui, che insieme a lei aveva solcato con successo acque tenebrose e oceani in tempesta, affidandosi alla formidabile tempra della sua chiglia, ormai poco più solida di un mucchio di stuzzicadenti.

“Imprigionata, non perduta”.

Si era impuntato a ripetersi allo sfinimento quando, seppure in una condizione decisamente diversa da quella che aveva sognato, l’aveva infine recuperata. Ma la speranza di tornare a cavalcare con lei quel glorioso passato si era rivelata una spietata illusione, col disastroso naufragare dei suoi molteplici tentativi di sbottigliarla.

Avrebbe preferito di gran lunga saperla irraggiungibile sul fondo dell’oceano, lontana e nascosta a chiunque, piuttosto che doversi rassegnare a vederla in quella indegna prigione di vetro, appena ad un soffio da lui, e non poterla toccare che col pensiero.
Forse esisteva una sola persona in tutti i sette mari che avrebbe potuto aiutarlo a portare a termine quella bizzarra impresa.
Soltanto che con quella vecchia carogna infame non aveva alcuna intenzione di incrociare più la sua rotta. E in ogni caso, non si sarebbe mai abbassato a chiedere il suo appoggio.
La Perla Nera era andata persa … o meglio catturata, per colpa di quell’irritante individuo, che dopo tale sconfitta aveva pure compiuto l’ignobile scelta di cambiare partito, diventando un patetico corsaro al servizio della Corona Inglese.
Dubitava che una disgrazia del genere sarebbe successa se al timone ci fosse stato il grande Capitan Jack Sparrow. Lui avrebbe combattuto fino all’ultimo battito, si sarebbe opposto fino all’ultimo spasimo, piuttosto che consegnare il suo gagliardo veliero a quella sorte iniqua.
D’altro canto, aveva già anteposto la sua vita a quella nave in almeno un paio di occasioni.
…. Magari era proprio quella l’origine di tutte le sue tribolazioni. Non avere ancora avuto il fegato di lasciarla andare.
In un moto di stizza, Jack ripose la bottiglia nello scrigno argenteo foderato di velluto che aveva fatto costruire appositamente per lei, per proteggerla da urti accidentali e sguardi indiscreti.
Notò che la superficie trasparente era già stata intaccata da piccolissime scalfitture.
E se gli fosse inavvertitamente scivolata di mano e nell’impatto si fosse infranta? Sarebbe tornata alle sue grandiose dimensioni, oppure si sarebbe polverizzata?
Non lo sapeva, non poteva saperlo, non lo avrebbe saputo mai, perché si era sbarazzato di tutti gli altri velieri imbottigliati usandoli come merce di scambio, e malauguratamente non aveva pensato che avrebbe potuto sperimentare l’esito di quelle congetture con alcuni di essi.
Ora al solo lasciarsi sfiorare dalla tentazione di provare a vedere cosa sarebbe successo se l’avesse lasciata cadere, una morsa di terrore si impossessava delle sue dita, stringendole con più forza al fragile oggetto.
Ma alla peggio, cosa poteva mai capitare, dopotutto? O avrebbe funzionato, e allora gli si sarebbe allagata e distrutta e l’attuale cabina, oppure la Perla Nera si sarebbe frantumata in mille insignificanti pezzetti e non avrebbe più dovuto scervellarsi inutilmente a cercare la maniera di liberarla.
Restò con le braccia a mezz’aria, assorto a contemplare l’impassibile nave dalle vele nere, atrocemente indeciso sull’opportunità o meno di sconfiggere una volta per tutte quella morbosa incertezza che tormentava con insistenza le sue meningi.
«Non è che ti voglio male, nient’affatto. È che vorrei solo non vederti più soffrire», farfugliò in un melanconico sorriso a denti stretti. Raddrizzò la schiena, dandosi un contegno più grave: «Spero che non soffrirai più. Addio, mia cara», pronunciò con una voce che voleva suonare sentita e solenne, ma venne incrinata da un'intima commozione.
Serrò le palpebre, terrorizzato da quel che si stava azzardando a commettere, allentando con estrema lentezza la presa sulle estremità della bottiglia …

«Capitano!»

La porta si spalancò bruscamente, i suoi gomiti sobbalzarono, i polpastrelli persero aderenza, la bottiglia eseguì una doppia giravolta, il suo battito si fermò, le ginocchia scattarono in avanti e il suo corpo impattò rovinosamente sul pavimento, allungandovisi sopra come un tappeto srotolato per tentare di parare la caduta nel vuoto di quel singolare affetto che non voleva rassegnarsi ad abbandonare.

Jack strabuzzò gli occhi bistrati, lasciandosi andare ad un sospiro di sollievo. La Perla era salva.
«Mannaggia! Gibbs!», imprecò esasperato, rialzandosi in piedi e occultando la bottiglia miracolosamente afferrata tra i risvolti della larga camicia ingiallita, appena prima che il suo secondo entrasse. «Si può sapere che cosa diamine porta il tuo grosso e pesante posteriore ad introdursi di soppiatto nei miei alloggi senza preavviso alcuno?!», lo rimbrottò con più veemenza e astio di quanto fosse solito fare altrimenti.
Il buon nostromo, conoscendolo e sopportandolo da anni, era più che avvezzo alle stranezze e ai repentini sbalzi di umore del suo stravagante amico. Pur essendosi lievemente risentito per quelle parole, non si turbò più di tanto per il suo accento offensivo.
«Siamo pronti a salpare, signore», si limitò molto spicciamente a comunicargli, portando le mani callose alla cintura e alzando un sopracciglio in un conciliante cenno di intesa.
Capitan Sparrow rimase immobile, le braccia strette al petto a camuffare il rigonfiamento provocato dalla bottiglia nascosta, le gambe incrociate in una posa poco spontanea, la mascella tirata in un’espressione compassata: «Molto bene», commentò laconico.
Ma il fidato Gibbs si trattenne ancora a fissarlo esitante, il labbro inferiore leggermente in fuori, in palese attesa di eventuali ordini.
«Tracciate pure una rotta a vostro piacimento», lo spiazzò Jack, girando su se stesso e voltandogli le spalle, così da potergli sottrarre alla vista i suoi maneggiamenti per sfilare la Perla dal risvolto della camicia e riporla momentaneamente nella tasca del suo logoro soprabito appeso ad un gancio della parete.
«Come?!», esclamò basito Joshamee, avanzando un passo verso di lui.
Il pirata sbuffò, roteando gli occhi al cielo, assillato dal suo indiscreto indugiare nella sua intimità. Con quel trambusto non aveva neppure potuto indossare i calzoni: «Da qualche parte dovremmo pure andare!», sbottò pragmatico e spazientito, infilandosi con nonchalance il lungo pastrano, per coprire almeno un po’ le proprie vergogne e darsi un tono più dignitoso. «Mi fido del tuo giudizio», asseverò sfuggente, andandosi a sedere allo scrittoio e curvandosi a esaminare alcune carte, lasciandogli intendere che aveva parecchio su cui meditare.
«Aye, capitano», sospirò il suo ufficiale, ben capendo che al momento non gli restava altro da fare che licenziarsi senza più contraddirlo.
Non appena la porta sbattendo contro lo stipite malmesso ebbe chiuso fuori ogni rumore e interferenza, Jack si spogliò della formalità rappresentata da quella elegante casacca scura, e ne frugò il fodero, recuperando l’adorato cimelio che vi aveva occultato.
«Perdonami», bisbigliò pentito, rivolgendole un ultimo sguardo carico di nostalgica ammirazione prima di sistemarla nella sua argentea custodia, chiuderla a chiave e spedirla con un calcio misurato sotto la branda, al riparo da brame altrui e da suoi stessi colpi di testa.
Espirò dalle narici, indulgendo nella considerazione che l’insonnia era proprio una brutta bestia.
Avrebbe dovuto bere qualche sorso di più magari, prima di andare a dormire. L'alcol era un ottimo sonnifero. Eccola la soluzione, semplice e abbordabile. Ragion per cui dovevano depredare al più presto qualche ricco mercantile.
Orientò la specchiera a favore della luce oramai chiara del mattino, e si apprestò a raccattare pantaloni, stivali, cintura e cappello, rientrando totalmente nelle sue vesti di rispettabile Capitano.
Aveva ancora tanto da fare, tanto da dare, tanto da scoprire, sul mondo e forse anche su se stesso, pensò rincuorato, avviandosi con andatura sicura al ponte di coperta, consultando l’ago instabile della sua prodigiosa bussola.


Salve a tutti, marinai e donzelle :D
Non mi facevo viva da parecchie maree tra questi lidi, ma finalmente il caro capitano è tornato a bussare alla porta della mia ispirazione e così, iniziando a fantasticare su ciò che potrebbe aver provato in questo lasso di tempo compreso tra gli eventi de "On stranger tides" e quelli dell'imminente "Dead men tell no tales" (mi rifiuto di usare gli imbarazzanti titoli italiani ^^"), ho cominciato a mettere giù qualche appunto ed è uscita fuori questa bislacca one shot dai toni piuttosto ambigui e agrodolci. Eh sì, per chi mi conosce bene o ha letto qualche altra mia ff dedicata a Capitan Sparrow, si tratta della mia ennesima incursione nello Sparrapearl XD
Dalle veloci immagini dei vari trailer e spot sembrerebbe che i due torneranno finalmente insieme. E chissà che l'uscita del nuovo capitolo non mi costringa a produrre altre ff (i Turner! Torneranno anche i Turner stavolta *.*).
Intanto ringrazio quanti si sono incuriositi ed hanno dedicato un po' del loro tempo per leggere fin qui. Commenti, critiche e opinioni sono sempre graditi :)

Adesso tolgo le ancore, al prossimo approdo!)

   
 
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