Serie TV > Merlin
Ricorda la storia  |       
Autore: Melodia_    11/05/2017    5 recensioni
Arthur sbattè le palpebre, investito dal torrente di parole. “Gwaine?”
Merlin annuì energicamente, nonostante si tenesse in precario equilibrio accanto ad Arthur.
“E’ un mio amico, sa? In realtà, ci siamo conosciuti ieri, abbiamo vinto a carte i biglietti di terza classe. Dio, non penso esistano dei giovani più esuberanti di lui, mi creda! Però è uno a posto, tutto sommato.”
Arthur lo guardò con tanto d’occhi. “Io non sono sicuro che lei sia a posto, in realtà.”
Merlin sorrise. “Beh, non sono io che avevo ispirazione suicide fino ad un istante fa.”
Arthur corrugò la fronte. “Sono intenzionato quanto prima a gettarmi.” Proclamò altezzoso. “Se lei non chiacchierasse continuamente di questo Gwaine, ora i miei problemi sarebbero finiti!”
Merlin roteò gli occhi. “In prima classe sono tutti melodrammatici come lei? Non mi ha sentito, prima? Salta lei, salto io."
Titanic! AU// quando il livello di sadismo raggiunge vette altissime// Merthur
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gwen, Merlino, Principe Artù, Uther | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Dedicata con tutto il cuore alla Sà, che non mi ha dato una botta in testa quando ha saputo COSA avevo in mente, che ha ascoltato gli infiniti audio che infinito angst addussero agli Achei, che mi ha sostenuta in questo parto fino all'ultimo, che è una ragazza speciale a cui voglio tanto tanto bene <3
 





Se c’era qualcuno che Sarah adorava profondamente, quello era lo zio Arthur.
Più di una persona era rimasta sorpresa dall’affetto, sconfinante nella venerazione, che la ragazzina dimostrava per l’anziano parente.
Zio Arthur, infatti, non era davvero quello che gli altri definiscono una persona affabile: testardo, orgoglioso, sarcastico.
Caratteristiche che con l’età avevano finito per diventare ancora più marcate, avrebbe aggiunto Morgana, la nonna di Sarah e sorella maggiore di Arthur, se fosse stata ancora in vita. Ormai erano passati un paio d’anni e, più di qualsiasi cosa, la ragazza sentiva la mancanza dei loro continui battibecchi e dell’occhiolino complice che le rivolgeva la nonna nel frattempo.
“Tuo zio può anche fare tanto il sostenuto, ma credimi, ha avuto anche lui il cuore tenero.”
A quelle parole, il viso segnato dalle rughe di Arthur inevitabilmente si contraeva in una smorfia di disappunto, ma l’uomo aveva sempre taciuto, chiudendosi nei suoi pensieri.
Sarah si era sempre domandata il perché di quei silenzi improvvisi, che oscuravano il volto dello zio come un velo, ma né i suoi genitori né altri avevano saputo darle risposta. Non che Sarah non ci avesse provato direttamente col sottoscritto.
Checché ne potessero dire i loro conoscenti, Arthur adorava la pronipote.
Ma, fino a quel giorno, non aveva mai ottenuto niente.
“Perché fai domande stupide?” aveva borbottato lo zio, roteando gli occhi azzurro chiaro.
Un classico insomma.
Eppure, quel giorno le cose sarebbero cambiate.

Lo zio Arthur era seduto comodamente sul divano chiaro, nel fresco salotto della sua casa a Chicago.
L’estate era nel suo pieno, il sole illuminava il giardinetto ben tenuto, il cielo azzurro senza una nuvola sembrava portatore di belle speranze.
Sarah entrò sorridente nella stanza, reggendo un vassoio con due bicchieri colmi di the freddo.
“Ecco qua, zio, senza troppo ghiaccio, come piace a te.”
“Mhmh.” Annuì l’uomo, guardando critico il bicchiere.
Sarah scosse impercettibilmente la testa.
Un grazie da parte sua sarebbe stato un evento da segnare sul calendario.
“Allora, oggi non hai chiacchiere da propinare a questo vecchio?” fece Arthur, dopo aver preso un generoso sorso della bibita.
“Dai zio, non sei così vecchio!” lo prese in giro la ragazza. “Finchè mi rispondi per le rime, resti ancora un giovanotto.”
Arthur sbuffò, ma Sarah era consapevole che stesse trattenendo un sorriso.
“In ogni caso, ti avevo portato la videocassetta dell’ultimo film di DiCaprio, così la guardiamo insieme e mi dici che ne pensi.” Aggiunse, estraendola dallo zaino.
“Titanic, non è così?” domandò lo zio, con una voce strana, che non gli aveva mai sentito.
Sarah inarcò le sopracciglia scure. “Sì.. non dirmi che lo hai già visto, eh!” fece scherzosa, sapendo che era quasi impossibile.
Per avere 102 anni era un uomo ancora in buona salute, ma comunque Arthur non amava molto uscire di casa, figurarsi andare al cinema!
“Molto di più.” Rispose, lo sguardo duro e impenetrabile. “Io ero su quella nave.”
Mancò poco che Sarah non avesse un infarto.
Sbattè le palpebre ripetutamente, sicura di aver capito male.
“Zio, tu sul Titanic?! Ma.. come.. perché non me l’hai mai raccontato?” protestò poi.
Uno dei motivi per cui amava tanto Arthur erano proprio per le storie che, con finta malagrazia, le aveva sempre raccontato sin da piccola.
E adesso veniva a scoprire che era uno dei pochi sopravvissuti del Titanic!
“Non è propriamente un argomento di cui mi piace parlare.” Sbuffò l’uomo, il forte accento inglese ancora perfettamente conservato nonostante un’intera vita passata in America. “Dammi una mano ad alzarmi, ti mostro una cosa.” Fece poi.
Appoggiandosi al braccio della ragazza, l’uomo attraversò la stanza.
Sotto un largo specchio, andò ad aprire un cassettone, che si rivelò colmo di fotografie.
“Ecco, questo sono io il giorno della partenza. Bill Queens, il fotografo, la spedì a tua nonna il giorno in cui si seppe del naufragio. Pensava potesse essere il mio ultimo ricordo..” spiegò ironico, tendendole una foto in bianco e nero.
Sarah osservò il gruppo di persone ritratte.
Un uomo di mezza età che sorrideva altero, una giovane donna dalla pelle scura e, al centro, lo zio Arthur.
“Però, eri davvero un bel ragazzo.” Commentò Sarah, impressionata.
Il ragazzo – zio Arthur, insomma – era davvero di una bellezza mozzafiato.
Era vestito elegantemente, con un completo scuro. I capelli chiari erano tenuti ordinatamente su di un lato e dal taschino si intravedeva la catena d’oro di un orologio.
Non doveva avere neanche vent’anni, cosa che contrastava parecchio con l’uomo che adesso stava accanto a sé, dai capelli bianchi e il viso segnato.
“La gioventù vola via in un attimo.” Commentò Arthur, come se avesse intuito i suoi pensieri.
“Chi è lei?” domandò poi la ragazza.
Che sapesse, lo zio non aveva mai avuto una fidanzata. Forse quella donna ne era la spiegazione.
“Gwen Montoya, la mia promessa sposa all’epoca.” Spiegò lo zio. “Suo padre era proprietario di una ricca piantagione di caffè in Brasile. Suppongo che il nostro matrimonio avrebbe mandato in visibilio mio padre.” Aggiunse, storcendo la bocca.
“Oh, ma allora è morta nella tragedia! Mi dispiace..”
“Ma no, ragazzina, certo che non è morta nella tragedia.” Ribattè infastidito l’uomo.
Sarah sentiva di essersi persa qualche passaggio. “Scusa zio, ma se lei, cioè Gwen, era la tua fidanzata e non è morta nella tragedia.. perché, insomma.. non vi siete sposati?” domandò confusa.
Zio Arthur soppesò un attimo la ragazza con lo sguardo.
Poi sospirò profondamente. “Perché il mio grande amore è stato un altro.” Disse grave.
Sarah gli mise la mano su un braccio. “Se ti vai, puoi raccontarmelo.”
“Mi lasceresti in pace in caso contrario?” domandò laconico l’uomo.
Sarah sorrise furba. “Mai.”
Arthur sospirò profondamente. Tutta sua nonna. “Vatti a sedere e mettiti comoda, non sarà una storia breve.”
La ragazza sorrise e, inaspettatamente, si sporse a baciare la guancia dello zio. “Faccio la brava.” Proclamò allegra, scuotendo i lunghi capelli neri. Arthur sbuffò, osservandola andare a sedersi con un balzo.
Chiuse il cassettone e rivolse un’occhiataccia alla foto della sorella sulla mensola.
“Oh lo so che c’è il tuo zampino.” Borbottò con disappunto.
Morgana, nella foto scolorita dal tempo, gli sorrideva beffarda.
 
“Nessuna trasposizione”, iniziò lo zio Arthur, “potrà rendere la reale imponenza del Titanic.
Nei miei 18 anni, ero stato diverse volte nel Continente, avevo attraversato la Manica, raggiunto l’Italia, ma nessun marchingegno avrebbe potuto competere con l’immensa estensione di metallo che si parava di fronte ai nostri occhi.
Nella tua videocassetta, la chiameranno sicuramente la nave dei sogni e, credimi, lo era davvero.
Mi sembra ancora di vedere la folla ammassarsi sul parapetto per salutare conoscenti e familiari, carichi di entusiasmo per il futuro.
Inutile dire che avremmo presto desiderato di non aver mai lasciato le nostre case.”


Arthur batté gli occhi, abbagliato dal riverbero del sole sul metallo del transatlantico.
"E’ davvero imponente.” Commentò ad alta voce Gwen, ferma accanto a suo padre.
“Oh mia cara, sono certo che ci siano navi ancora più grandi. L’importante è che ci porti a destinazione nel minor tempo possibile.”
Arthur roteò gli occhi. Tipico di suo padre contraddire il prossimo, anche sul minimo dettaglio.
“E’ incredibile come tanti poveracci siano riusciti a comprare il biglietto, non trovi, Arthur caro?” continuò ancora la giovane, arpionandogli il braccio con una mano guantata.
“C’è chi è pronto ad investire tutti i propri guadagni, per migliorare la propria condizione.” Rispose mite il giovane.
“E questa plebaglia non ha certo nulla da perdere.” Tuonò Uther, senza degnare di uno sguardo il facchino che gli reggeva con rispetto la porta.

“Tuo padre doveva essere un incubo, zio.”
“Già inizi ad interrompere, signorina?”
Sarah sospirò. “Vai avanti.”

Uther Pendragon era il classico uomo appartenente a una famiglia nobile inglese, ormai decaduta.
Non si poteva più definire ricco da tempo, nonostante si ostinasse a tenere almeno due cameriere e un maggiordomo: non avrebbe certo permesso che suo figlio dovesse prepararsi da sè, non sarebbe certo caduto così in basso!
Arthur fremeva di disgusto ogniqualvolta un estraneo, con il solo scopo di ingraziarselo, osava trovargli una somiglianza con il genitore.
Suo padre aveva gli occhi di un grigio freddo e tagliente, che non avevano mai trasmesso la minima briciola di amore ai suoi due figli.
L’unica cosa che contava per Uther era il loro cognome e l’importanza che ispirava, il sangue, la discendenza.
Arthur rabbrividì al di sotto della giacca nera, uno degli ultimi pezzi pregiati che non erano stati costretti ad impegnare.
Il ragazzo cercò di dipingere sul suo volto l’espressione più rilassata possibile, cercando di dare l’impressione di interessarsi a quanto si discuteva a tavola.
Gwen, al suo fianco, sorrideva civettuola, sbattendo le lunghe ciglia nere confusa quando gli argomenti diventavano troppo complicati per lei.
Mai come quel momento Arthur aveva desiderato sua sorella Morgana accanto a sé.
Avrebbe sistemato tutta la combriccola paterna con una paio di battute acide ben piazzate.
“Ormai non c’è più rispetto per il lignaggio.” Stava proclamando un uomo con un paio di interessanti baffoni bianchi al fianco di suo padre. “Sempre più paesi concedono il suffragio maschile universale, non tenendo più conto dell’importanza della famiglia di provenienza. Qualsiasi sfaccendato ora può avere una voce in politica.” Disse, battendo la mano sul tavolo, con grande assenso degli altri commensali.
“Il sangue ormai conta sempre meno, caro Sir Bingley.” Disse convinto Uther. “Qualsiasi stranezza viene accettata, purchè sia a favore di stranieri e proletari di bassa lega.”
Sir Bingley annuì, facendo ondeggiare i baffoni.
Arthur dovette trattenere a forza un sorrisetto.
“Basti vedere quanto abbiano riempito gli alloggi di terza classe.” Continuò ancora l’uomo. “Siamo sicuri che non proveranno a derubarci, Mr Andrews?”
“Il Titanic dispone di ufficiali addestrati a prevenire qualsiasi inconveniente.”
“Io non mi sento del tutto tranquilla.” Pigolò Gwen, aggrappandosi al braccio di Arthur.
Il ragazzo represse un moto di stizza. Si direbbe che non fosse capace di mantenersi in equilibrio da sola!
“Non si preoccupi, cara. D’altronde il suo fidanzato certamente la difenderebbe.”
Sentendosi chiamare in causa, Arthur forzò un sorriso mite. “Senz’altro, Mr Andrews.”
Alle sue stesse orecchie le parole suonavano ironiche.
Uther, poco più in là, gli rivolse un’occhiata inquisitoria. “Arthur e la signorina Montoya si sposeranno a breve.” Si risolse a dire.
“Così giovani, eppure già sposi?” domandò un uomo anziano in fondo al tavolo.
L’espressione di Uther si congelò per un istante. “Non è mai troppo presto perché un giovane pensi al suo futuro, Mr..?”
“Gaius Brown.” Rispose l’uomo cordiale. “Quanto meno spero si amino profondamente.” Disse, alzando il calice di champagne nella loro direzione.
Gwen sorrise radiosa, stringendosi ad Arthur (il cui braccio non sarebbe stato più lo stesso di quel passo), ma Uther non sembrava completamente soddisfatto.
“L’amore.. una favoletta per consolare i poveri, non trova?” disse sprezzante.
Brown non rispose, limitandosi ad inarcare un bianchissimo sopracciglio.
Arthur sentì improvvisamente mancargli l’aria.
Con una scusa, si allontanò dalla tavola, precipitandosi all’uscita della sala ristorante.

“Non era la prima volta che ascoltavo quei discorsi, ma mai prima di allora mi avevano procurato un tale effetto di repulsione.
Mio padre e i suoi discorsi di gloria e potere, di come avesse deciso della mia vita in un battito di ciglia, Gwen e le sue smancerie, il disprezzo che aveva mostrato per le parole di quell’uomo, tutto, mi avevano nauseato.
Sapevo benissimo cosa si aspettasse da me.
Sposare la ricca ereditiera era solo il primo passo per poterlo rendere finalmente orgoglioso di quel figlio indegno che il destino aveva voluto lasciargli.
A diciotto anni appena compiuti la mia vita mi sembrava già finita, ancora prima che iniziasse.”

Arthur uscì sul ponte silenzioso, nel gelo del Mare del Nord.
Si strinse meglio la giacca indosso, rabbrividendo fin nelle ossa.
Si sentiva così sperduto, una minuscola figurina vestita di nero nell’immensità dell’oceano scuro.
Non sapeva che dall’alto del ponte superiore un giovane lo stava osservando con curiosità.

Merlin Emrys era tutto ciò che Uther Pendragon avrebbe disprezzato sulla faccia della terra, a partire dalla punta delle sue scarpe consumate fino al berretto calato sui capelli neri e scompigliati.
Eppure, non si poteva dire che Merlin non fosse un ragazzo sveglio.
La figura che si aggirava solitaria per il ponte dabbasso lo incuriosiva non poco.
In una serata del genere, se fosse stato uno dei ricconi della prima classe, sarebbe rimasto al caldo nella propria suite, eh!
La luce delle lanterne brillava debolmente sui capelli biondi del ragazzo, che si stava avvicinando sempre di più al parapetto della nave.
Spero vivamente non sia un imbranato, ci mancherebbe solo che scivoli sul pavimento bagnato, pensò Merlin.
Ma a quanto pare il giovane aveva un buon equilibrio, visto che superò indenne l’ostacolo, e si appoggiò con le mani alle sbarre di ferro.
A quel punto, l’osservazione poteva dirsi conclusa, la scommessa di quindici minuti con Gwaine era ormai stata vinta, eppure Merlin sentì una forza inspiegabile incollarlo lì dov’era.

Ignaro di essere oggetto di tali considerazioni, Arthur scrutava incantato le onde dell’oceano incresparsi sotto ai suoi occhi.
Il blu petrolio si confondeva col cielo notturno.
Estrasse un penny dalla tasca e lo lasciò cadere nel vuoto.
Osservò la monetina roteare nell’aria fredda, un luccichio effimero che precipitava velocemente nelle fauci marine.
Sentì il tintinnio della moneta che urtava le pale e poi, il nulla.
Il tutto era durato una frazione di secondo o poco più.
Arthur si allargò il colletto della camicia con due dita.
Come sarebbe stato liberatorio potersi lasciare cadere come quella monetina, inconsapevole, libero da quel peso opprimente, abbandonarsi all’acqua fredda e abbracciare la pace tanto desiderata.
Non si accorse neanche di aver messo un piede sulla prima sbarra e di essersi issato al di là di essa.
Il metallo sotto le dita intorpidite non sembrava neanche poi così freddo.
Sarebbe stato così facile staccare un dito alla volta e lasciarsi cadere, ma quella forza, la sua vita, sembrava restia a cedere così facilmente.
Arthur strinse le labbra.
Se non ora, quando?
E sarebbe stato libero, finalmente.

“Signore! Signore, non lo faccia!” esclamò una voce.
Arthur chiuse gli occhi, era sicuro si trattasse solo della sua immaginazione.
“Dico sul serio, non lo faccia!”
“Altrimenti?”
Merlin tolse le scarpe e si arrampicò agilmente sul parapetto. “Altrimenti dovrò saltare insieme a lei e, mi creda, non sarei entusiasta di farmi un bagno a quest’ora, con questo freddo poi! e non adesso che ho vinto una scommessa con Gwaine, tra l’altro!”
Arthur sbattè le palpebre, investito dal torrente di parole. “Gwaine?”
Merlin annuì energicamente, nonostante si tenesse in precario equilibrio accanto ad Arthur. “E’ un mio amico, sa? In realtà, ci siamo conosciuti ieri, abbiamo vinto a carte i biglietti di terza classe. Dio, non penso esistano dei giovani più esuberanti di lui, mi creda! Però è uno a posto, tutto sommato.”
Arthur lo guardò con tanto d’occhi. “Io non sono sicuro che lei sia a posto, in realtà.”
Merlin sorrise. “Beh, non sono io che avevo ispirazione suicide fino ad un istante fa.”
Arthur corrugò la fronte. “Sono intenzionato quanto prima a gettarmi.” Proclamò altezzoso. “Se lei non chiacchierasse continuamente di questo Gwaine, ora i miei problemi sarebbero finiti!”
Merlin roteò gli occhi. “In prima classe sono tutti melodrammatici come lei? Non mi ha sentito, prima? Salta lei, salto io. D’altronde non mi sembra tanto intenzionato a farlo sul serio.”
“Cosa glielo fa pensare?” esclamò Arthur, gli occhi puntati al mare impetuoso e un groppo alla gola che sembrava soffocarlo.
“Mi avrebbe semplicemente ignorato.” Disse furbo il ragazzo.
Arthur tentò di deglutire, ma aveva la gola secca.
Istintivamente le mani si serrarono con più forza al parapetto.
Merlin sorrise incoraggiante, non essendosi perso il benché minimo movimento del giovane. “Su, la prego, si tiri indietro. Ora io scendo dall’altro lato e la aiuto ad arrampicarsi, faccia attenzione.”
Arthur, come in un sogno, si vide tendere la mano a quello sconosciuto, che gliela strinse con forza.
Piano, si girò verso l’interno della nave, incontrando il viso di un ragazzo poco più grande di lui, dai grandi occhi azzurri, brillanti come due perle.
Il giovane Pendragon restò per un istante incantato e, probabilmente, fu il motivo per cui mise un piede in fallo e mancò poco che cadesse davvero nelle acque gelide.
Merlin lo tirò con forza, facendolo arrivare steso sul ponte, ammaccato e col fiatone, ma illeso.
“E dire, che sembrava avesse buon equilibrio da lassù.” Fece Merlin, raccogliendogli di terra il cappotto pesante.
“Cosa?” fece il giovane perplesso. Merlin fece spallucce. “Ero sul ponte superiore, quando ha deciso di cimentarsi in acrobazie. Mi chiedevo se fosse un imbranato e, a quanto pare, non avevo tutti i torti.” Commentò furbo.
Arthur arrossì in zona guance. “Lei è davvero irrispettoso, signore, oltre che chiacchierone fino all’inverosimile.” Fece, alzando il naso al cielo.
Il giovane rise. “Non è il primo a dirmelo.” Rispose, per poi tendergli una mano. “Comunque, piacere, Merlin Emrys.”
Arthur ricambiò la stretta, ancora calamitato dagli occhi chiari dell’altro. “Arthur Pendragon.”
“Wow, fa molto romanzo di cavalieri.” Scherzò il giovane, tendendogli il cappotto.
Arthur quasi non si era accorto di star tremando dal freddo. “Voglio ringraziarla per quanto ha fatto. Io.. beh..” balbettò, ma Merlin gli strinse piano l’avambraccio, facendolo tacere.
“Non c’è bisogno che mi spieghi. Sono certo che avesse i suoi motivi e, non si preoccupi, il suo segreto è al sicuro con me.”
Lo sguardo di Merlin, il suo tono di voce, erano così sinceri, che Arthur per un attimo dimenticò anche solo di respirare.
“Io.. in ogni caso, sarei molto felice se domani le andasse di cenare con noi e, se le va, di restare per una partita di carte.” Disse, cercando di sembrare il più possibile sicuro di sé.
In realtà, Arthur si sentiva infinitamente stupido, ma la sola idea che quell’incontro con Merlin si esaurisse in quella serata, gli provocava una stretta dolorosa al cuore.
“Sicuro che un poveraccio della terza classe sarà ben accetto tra persone così raffinate come lei?” domandò il giovane leggermente.
Arthur annuì, nonostante sapesse quanto Uther avrebbe disapprovato l’amicizia con un ragazzo a loro socialmente inferiore.
“Le assicuro che non ci sarebbero problemi.” Ripeté Arthur convinto.
Merlin sorrise da un orecchio all’altro. “Facciamo così: domattina si faccia trovare qua verso le undici. Passeggeremo un po’, fumeremo un paio di sigarette e vedremo se le farà ancora piacere avermi come suo ospite. Che ne dice?” propose poi.
Arthur ricambiò il sorriso, con una gioia che non immaginava neanche potesse esistere fino ad un’ora prima.
“D’accordo.”
“E così fu. L’indomani mi presentai alle undici in punto sul ponte a prua e Merlin era già là, appoggiato coi gomiti al parapetto.
Fu pazzesco, quasi assurdo, pensare che solo la sera prima mi ero recato nello stesso posto con l’intenzione di togliermi la vita.
Avevo le mani sudate e continuavo a lisciarmi il colletto della camicia azzurra che avevo scelto per l’occasione.
Mi sentivo ridicolo, non credere.
Gwen era rimasta sorpresa, vedendomi prepararmi con tanta solerzia, ma non fece domande.
Nonostante la civetteria innata e un’ingenuità che rasentava l’idiozia, era una buona ragazza.
Mio padre mi squadrò sospettoso, i suoi occhi grigi mi inchiodarono alla porta della suite come fossero spuntoni gelidi.
Se solo avesse avuto il minimo sentore della mia agitazione e, soprattutto, a cosa fosse dovuta, non dubitavo che mi avrebbe ucciso con le sue stesse mani.”


Arthur osservò Merlin per un lungo minuto, indeciso sul da farsi.
Mai come in quel momento dovette fare appello a tutta l’arroganza in stile Pendragon che gli scorreva nelle vene.
“Buongiorno, Mr. Emrys.” Disse, avvicinandosi al giovane.
Merlin ebbe un sussulto di sorpresa. “Dio, Mr. Pendragon, lei certo deve nutrire un amore particolare per le entrate a sorpresa.” Fece, scuotendo la testa.
Arthur sorrise. “Pensava non sarei venuto?”
“Sì.” Rispose il ragazzo, spiazzando Arthur. “Credevo che avrebbe trovato un passatempo migliore per la sua mattinata.”
“Le assicuro di no.”
Merlin lo guardò in un modo tale da farlo sentire trapassato da parte a parte. Poi scosse le spalle, ridendo fra sé.
“Cos’ha da ridere?” borbottò Arthur, punto sul vivo.
“Lei è strano, Mr. Pendragon.” Disse semplicemente il ragazzo. “Ma mi piace.” Aggiunse, facendogli l’occhiolino. “Venga, camminiamo.”
Arthur e Merlin si incamminarono lungo il ponte, passando dinanzi a divanetti lussuosi, dove i passeggeri più ricchi degustavano la propria colazione.
Il sole picchiava forte, nonostante la temperatura fresca di aprile.
“E lei di cosa si occupa?” domandò Arthur, sperando di non apparire stupido.
Effettivamente, Merlin non aveva l’aria di occuparsi di qualcosa o, per lo meno, non di qualcosa che riguardasse sé stesso.
“Mi piace definirmi un artista.”
“Di che tipo?”
“Di quelli che non hanno un soldo per mangiare.” Rispose furbo Merlin.
Arthur arrossì. “Non volevo essere indelicato..”
Merlin agitò una mano. “Non lo è, si figuri. E poi, non mi lamento: in fondo, mi piace la mia vita e penso che, nonostante non possa permettermi molto, valga la pena di essere vissuta così com’è.”
“Lei dice?” disse Arthur piano.
Merlin annuì. “Sediamoci qua, le mostro i miei disegni.” Disse, tendendogli una cartellina di cuoio, tenuta insieme dallo spago.
Arthur scorse i fogli di carta pesante, tutti rigorosamente disegnati a carboncino.
“Sono veramente bellissimi.” Mormorò senza fiato, sfiorando i bordi di ciascun foglio con delicatezza.
La maggior parte erano studi di varie parti del corpo.
Mani, occhi, nasi, appartenenti ora a donne, ora ad uomini, ora a giovani, ora vecchi.
Ognuno di essi con una luce e una caratteristica propria, che lo rendevano unico, incomparabile.
Alcuni erano nudi a figura intera, spesso di uomini.
Arthur non potè fare a meno di sentirsi un po’ a disagio.
“Questo lo ha ritratto diverse volte.” Fece, indicando un giovane in un disegno.
“Lui è Timothée, l’ho conosciuto a Parigi. Mi creda, non si è vissuto a pieno finchè non si ha vissuto a Parigi, nelle banlieu. Offrono una quantità inimmaginabile di soggetti da studiare. ” Spiegò Merlin. “Vede? Gli manca una gamba, ma aveva un gran senso dell’umorismo.”
“Come lo ha conosciuto?” chiese Arthur incuriosito.
Merlin sorrise a mezza bocca. “Nel bordello dove lavorava.”
Arthur sbattè le palpebre e Merlin continuava a sorridere, come se non gli importasse nulla dell’opinione che poteva avere l’altro giovane.
Come se non temesse affatto che l’altro potesse denunciarlo o, in misura minore, scappare a gambe levate, disgustato alla sua sola vista.
Arthur fissò i muscoli finemente scolpiti, dove il carboncino aveva indugiato volutamente di più sul foglio.
Si chiese se la conoscenza fosse stata solo artistica o se ci fosse stato qualcosa altro.
Il solo pensiero gli faceva salire il sangue alle guance.
“Mr. Emrys..” iniziò Arthur, senza sapere bene cosa dire.
Merlin gli mise una mano sull’avambraccio e, nonostante la stoffa della camicia, al giovane Pendragon sembrava di poter sentire nitidamente la sua pelle contro la sua.
“La prego, mi chiami solo Merlin.” Disse, con un tono di voce che ad Arthur sembrò miele liquido nella gola.
“Merlin..” cercò di dire Arthur, ma prima che potesse aggiungere qualcos’altro, una voce imponente tuonò alle sue spalle e il mondo di Arthur si congelò in quell’istante.
“Arthur, cosa ci fai con questo signore?”
Uther era ritto in piedi a pochi passi dal divano, l’espressione fiera e sprezzante, che puntava Merlin come l’ultimo dei miserabili sulla faccia della terra.
Il ragazzo si alzò quasi istantaneamente. “Padre, permettimi di presentarti Mr. Emrys.” Disse, cercando di suonare il più casuale possibile.
Merlin sollevò il cappello e chinò brevemente il capo, ma sul suo volto era dipinto il più ironico e ribelle dei sorrisi.
Arthur notò che la cartellina di cuoio era stata provvidenzialmente ben chiusa.
Uther non ricambiò il saluto, limitandosi a riportare la sua attenzione verso il figlio. “E come hai conosciuto quest’uomo?”
“Ieri sera, mentre ero a passeggiare sul ponte..” iniziò il ragazzo, ma si interruppe di botto.
Cosa avrebbe mai potuto raccontare al padre per giustificare quell’incontro? Certo non poteva raccontare la verità...
“Mr. Pendragon ha perso l’equilibrio.” Intervenne prontamente Merlin, professando una mezza verità.
“L’equilibrio?” ripetè Uther sospettoso.
“Sì.” Confermò Arthur, scambiando un’occhiata con Merlin.
“Volevo guardare le.. le.. le pale e ho perso l’equilibrio. Sarei certamente caduto in mare, se non fosse intervenuto Mr. Emrys.”
“Ti eri sporto per guardare le pale. E Mr. Emrys ti ha salvato.” Disse lentamente Uther.
Arthur annuì.
Mr. Pendragon sembrò soddisfatto da quella spiegazione. “Beh, penso che il minimo che possiamo fare, sia invitare Mr. Emrys a cenare con noi, non trovi, Arthur?”
Arthur sentì Merlin sospirare di sollievo alle sue spalle, ma non si sentiva così sicuro a riguardo.
Sapeva fin troppo bene quanto subdolo e crudele suo padre potesse diventare.

Alle sette e mezza, Arthur uscì dalla suite, dando il braccio a Gwen.
Sentiva la ragazza ciarlare senza sosta, suo padre come una cappa imponente alle loro spalle.
Arthur cercò di mostrarsi il più loquace possibile, ma il nervosismo scorreva veloce sotto pelle.
I corridoi della nave erano ricchi di specchi.
Arthur riuscì a vedersi per un istante, biondo, pallido, accanto a una ragazza vestita di rosso.
Un perfetto estraneo abitante del suo corpo.
Scese lentamente gli scalini, sentendo Gwen lamentarsi per lo strascico dell’abito lungo.
Un passo, poi un altro, passò davanti al ricco pendolo in mogano.
E là, ai piedi dello scalone, c’era Merlin.
Arthur sentì mancargli l’aria nei polmoni.
Era Merlin, ma sembrava non esserlo allo stesso tempo.
Aveva i capelli tirati all’indietro, sembrava piccolissimo nell’abito scuro ed elegante che indossava, chiaramente non suo.
Il giovane notò che si stropicciava le mani in attesa, le labbra corrucciate in una smorfia nervosa.
Arthur espirò lentamente e, in quel momento, Merlin alzò lo sguardo, facendo incrociare i loro occhi.
Azzurro nell’azzurro.
“Merlin!” esclamò Arthur entusiasta.
“Mr. Pendragon.” Salutò il ragazzo rispettosamente, rovinando l’effetto con un occhiolino dei suoi.
Gwen gli rivolse un’occhiata confusa. “Non l’ho vista nei nostri alloggi, signore.”
“Non posso ancora permettermi il costo di un biglietto di prima classe, signora.” Scherzò Merlin, facendole il baciamano.
Arthur si sporse in avanti. “Ha il papillon storto.” Commentò aggiustandolo.
Le guance di Merlin si imporporarono lievemente. “Non sono pratico di questi affari. Gwaine, il ragazzo di cui le parlavo, ha stretto amicizia con un certo Mr. Brown che, giustamente, ha giudicato i miei abiti inadatti a un salone di prima classe. Così, gentilmente ha acconsentito a prestarmi qualcosa.” Spiegò velocemente.
“Spero solo di non sembrare troppo ridicolo.”
Arthur sorrise ampiamente. “Non si preoccupi, sta d’incanto.”

“Soltanto io, mio padre, Gwen e Mr. Brown sapevamo perfettamente da dove provenisse Merlin.
Per il resto, aveva completamente catturato l’attenzione di tutta la tavola, come un diamante rifulge alla luce solare.
Era allegro, spiritoso, si interessava di qualunque argomento.
Io, al suo fianco, sentivo di essere il ragazzo più felice di tutto l’Impero Britannico.
Osservarlo tenere testa ai degni compari di mio padre mi causava un’ebbrezza tale, che mi sentivo ubriaco senza aver bevuto un solo dito di vino.
Era la prima volta nella mia vita che non mi preoccupava lo sguardo di mio padre, che non mi interessava di quello che avrebbe potuto dire.
Merlin era là, con il suo brio, la sua risata coinvolgente, e niente, niente avrebbe potuto spezzare quell’incantesimo di cui mi sentivo preda.”

“Arthur ci ha raccontato che lei è un ottimo artista, Mr. Emrys.” Disse Gwen, tamponandosi la bocca col tovagliolo ricamato.
Merlin sorrise cordiale. “Mr. Pendragon esagera. Cerco semplicemente di vivere la mia vita nel modo in cui più mi piace.”
“E non la spaventa.” Intervenne Uther. “Non sapere cosa le riservi il futuro? Che un minimo passo falso possa distruggerle qualsiasi prospettiva?”
Arthur istintivamente strinse la tovaglia tra le dita.
Riconosceva perfettamente il tono di avvertimento nella voce di suo padre.
“Non direi, Mr. Pendragon.” Rispose Merlin, senza scomporsi. “Sono fermamente convinto che qualsiasi evento improvviso, bello o brutto che sia, renda la vita degna di essere vissuta. Insomma, solo qualche giorno fa, ho dormito sotto un ponte, come avrei potuto prevedere di ritrovarmi qua, questa sera, con persone eleganti come voi, a bere champagne in bicchieri di cristallo? Ogni giorno ha la sua importanza. Ogni minima azione.” Concluse e, forse, fu un’impressione di Arthur, ma il suo sguardo sembrò puntare proprio nella sua direzione.
“Sono d’accordo.” Disse fermo, sicuro.
Uther inarcò le sopracciglia, estraendo un sigaro dal taschino e accendendolo.
“Sono felice che la pensi così. Spero, allora, che il suo soggiorno in terza classe sia il più piacevole possibile.”
Passata una decina di minuti, Merlin si alzò, scusandosi con i commensali, per congedarsi.
Un istante prima di allontanarsi, si chinò casualmente verso Arthur e gli sussurrò all’orecchio: “Se vuoi partecipare a una vera festa, fatti trovare all’entrata degli alloggi della terza classe tra un quarto d’ora. Sarò là ad aspettarti.”
Arthur non ebbe neanche il tempo di annuire, che il ragazzo era già sparito oltre la porta d’ingresso.












note di Lidia: ehm ehm ehm, ehilà fandom! *agita la manina*
Quale miglior modo per scrivere la prima fanfiction Merthur? MA ISPIRANDOSI AL TITANIC OVVIAMENTE.
Penso di aver preso troppo alla lettere quel "I will go down with this ship" ma tant'è..... 
(gelo del pubblico)
Okay, smettiamola di fare ironia sul mio sadismo, okay. 
L'ispirazione è venuta con la personcina sopracitata e dopo 37 infinite pagine, infiniti audio per leggerla, infiniti complessi mentali, ho deciso di postarla uu
Dato che, appunto, è uscita fuori molto più lunga del previsto, ho pensato di suddividerla in due/tre parti che posterò a distanza di qualche giorno ciascuna uu
Fatemi sapere se vi è piaciuta questa prima parte, se vi ha fatto schifo ed è meglio che vada a coltivare i broccoli, anche un MA COSA TI E' SALTATO IN MENTE INSOMMA, tutto ben accetto AHAHAHAHAH
Un bacino e un grazie a chiunque si sia fermato a leggere <3
   
 
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Merlin / Vai alla pagina dell'autore: Melodia_