tre appuntamenti per farla ri-innamorare
E
pensare che era tutto cominciato con un
libro.
Era una
nuvolosa giornata di marzo. Si era appena conclusa l’ultima
lezione della
giornata e Gwen aveva deciso di recarsi nella biblioteca dietro
l’università,
un piccolo negozio polveroso stracolmo di e librerie, con
l’intento di
prendere in prestito qualcosa da accompagnata da una cioccolata
calda.
Aveva
adocchiato un tomo di circa seicento pagine e si era recata alla cassa,
quando
avvenne la svolta.
Dietro
di essa, vi era un ragazzo smilzo dai capelli mori, gli occhi
verdissimi e un
sorriso adorabile. Quel ragazzo era Trent.
Il suo
cuore perse un battito.
Teneva
lo sguardo fisso sul monitor del computer e non si era ancora accorto
della sua
presenza. Sarebbe potuta benissimo scappare via - non si sentiva ancora
a suo
agio ad intrattenere una conversazione con il suo ex -, se quello non
avesse
deciso proprio in quel momento di voltarsi in sua direzione.
«Posso
esserle utile in qual-» e si bloccò non appena la
riconobbe.
Si
fissarono per qualche secondo, entrambi visibilmente imbarazzati. La
mente di
Gwen non partoriva altro che sonore imprecazioni.
Non si
vedevano da quando era terminata quell’ultima, intensa
stagione, e già allora
si limitavano a semplici saluti e a qualche parola di cortesia.
Ritrovarselo
avanti così, spiattellato in faccia, di certo non aiutava.
«Gwen!»
la chiamò lui, interrompendo il silenzio. «Che
piacevole sorpresa!»
Non
riuscì a capire se la sua ultima affermazione fosse sincera
o in qualche modo
ironica. Una piccola parte di lei sperò la prima.
«È una
piacevole sorpresa anche per me» disse con un sorriso
forzato. Poi gli chiese,
e si augurò di non suonare burbera o scontrosa in qualche
modo: «Che ci fai
qui?»
«Lavoro
per pagarmi affitto e conservatorio» rispose secco.
«Oh,
bello!» esclamò, la voce acuta.
Dovette
frenare l’impulso di sbattersi una mano in faccia. Stava
facendo la figura
dell’imbecille.
Quando
l’aveva chiamato quell’estate(1)
- solo perché era tremendamente sola e perché, e
non l’avrebbe mai ammesso, le
mancava la sua voce - non era stato poi così strano ed
imbarazzante: superato
l’impaccio iniziale, erano riusciti ad avere una
conversazione amichevole.
Mentre ora non riusciva a spiccicare parola.
Parlarci
faccia a faccia era diverso, le metteva addosso un’ansia
assurda.
Gli
allungò libro e tessera della biblioteca e lui prese nota
del prestito, senza
aggiungere altro.
Lo
fissò durante quel processo, mentre uno strano senso di
colpa le attanagliò lo
stomaco.
Si
sentiva ancora male per quello che aveva fatto, per aver chiesto alla
sua
squadra di eliminarlo subito dopo aver rotto, solo per dimostrare che
non erano
in alcun modo alleati. Evidentemente autoescludersi non era bastato per
fare
pace con se stessa.
E
soprattutto sapeva che il bacio con Duncan nel confessionale
l’aveva ferito e
aveva confermato i suoi peggiori sospetti. L’idea di avergli
recato del male,
seppur involontariamente, non la faceva stare in pace con se stessa.
«Il
libro va riconsegnato tra tre settimane» disse Trent,
interrompendo il flusso
dei suoi pensieri.
Scosse
la testa per risvegliarsi.
«Certo»
sillabò. «Grazie»
Le
riconsegnò libro e tessera e le loro mani si sfiorarono
appena. Gwen sentì un
brivido lungo la schiena.
«Beh,
ci vediamo» borbottò, voltandosi verso
l’uscita e imponendosi di non arrossire.
Ma aveva
fatto solo pochi passi, quando la sua voce la inchiodò al
suolo.
«Gwen,
aspetta!» la richiamò Trent, sporgendosi verso il
bancone e allungando
istintivamente una mano verso di lei, sebbene fosse troppo distante
anche solo
per sfiorarla.
Lei lo
guardò, sorpresa e incuriosita nello stesso momento.
Poggiò
entrambe le mani sul ripiano, come per sorreggersi, e tentò
di formulare una
frase di senso compiuto, scegliendo accuratamente le parole.
«Mi dispiace
che sia finita così» constatò dopo un
po’, alludendo alla loro relazione. «Ci
tenevo davvero a te, ci tengo ancora. Ed è triste il fatto
che adesso nemmeno
riusciamo a parlarci».
Gwen restò
di stucco. Di certo non si aspettava una reazione del genere, e non
sapeva come
rispondere. Sapeva solo che, in un modo o nell'altro, quelle frasi la
rendevano
felice.
«Vorrei
davvero riallacciare i rapporti. Magari non come fidanzati, mi va bene
anche
solo amici!» si affrettò ad aggiungere, notando il
suo cipiglio. «Tre
appuntamenti, non ti chiedo altro. Tre appuntamenti e vediamo come si
evolve il
tutto».
Quell'offerta
la intrigava. Era davvero curiosa di scoprire dove sarebbe andato a
parare
quell’“esperimento”. Anche
perché, non poteva negare che Trent le mancasse e
riacquistare perlomeno la sua amicizia era una cosa che desiderava
davvero.
«Ci sto»
ribatté. «Ma che sia chiaro, saranno tre
appuntamenti in amicizia».
«Naturalmente»
le rispose, sorridendo.
E quel
sorriso la fece sciogliere un po’.
Amicizia. Come
no.
•
• •
Il primo
appuntamento lo pianificò Gwen. E fu un disastro.
A una
settimana da quell’incontro, proprio quando la ragazza aveva
cominciato a non
sperarci più, Trent le inviò un messaggio in cui
le lasciava carta bianca per
l’uscita.
Senza
pensarci due volte, optò per il cinema, quel
giovedì, giorno in cui sarebbe
uscito un horror che aveva assolutamente voglia di vedere. Poi si
ricordò che
Trent non era Duncan e che odiava film splatter in cui ogni cinque
minuti una
persona veniva ammazzata in modo cruento e raccapricciante.
Così si
ritrovarono a decidere la pellicola mentre erano in fila al botteghino.
Alla
fine la scelta ricadde su una commedia leggera, che soddisfava i gusti
di
entrambi. O perlomeno, si disse Gwen consolandosi, sebbene non fosse
quello che
voleva vedere, non si trattava di qualche schifezza romantica, che ogni
tanto
le propinava Courtney durante una delle loro “serate tra
donne”.
Sì, erano di
nuovo grandi amiche… ma questa è
un’altra storia.
«Ci siamo
quasi» annunciò Trent, sollevandosi sulle punte
dei piedi e contando le teste
davanti a loro.
Tirò un
sospiro di sollievo. Sembrava che l’intero quartiere avesse
preso d’assalto il
cinema per andare a vedere, ironia della sorte, il film horror che
tanto le
interessava.
Fecero i
biglietti, comprarono due ciotole di pop corn al bar ed entrarono in
sala che,
come era facilmente prevedibile, era desertica, tranne che per un
ometto sulla
quarantina.
«Abbiamo la
sala tutta per noi» constatò il ragazzo
allegramente, prendendo posto in una
delle file centrali.
«Già, evviva»
esclamò cercando di suonare felice almeno quanto lui, mentre
una morsa le
stringeva la bocca dello stomaco.
Gwen adorava
andare al cinema la sera tardi, proprio per gustarsi il film in santa
pace,
senza bambini urlatori, commentatori, individui che facevano rumori
molesti col
cibo e fastidiosi di qualsiasi genere. Ma stare con Trent, in una
stanza quasi
del tutto vuota, dopo tutte le divergenze passate, la metteva a disagio.
«Allora,»
iniziò Trent, rompendo il silenzio, «come va con
Duncan?»
Sapeva che prima
o poi quella domanda sarebbe arrivata. Tuttavia, la colse ugualmente di
sorpresa.
«Abbiamo
rotto un anno fa» rispose risoluta, scrollando le spalle.
«Semplicemente,
abbiamo capito che il nostro non è un rapporto romantico, ma
solo di profonda
amicizia».
«Oh,
peccato» disse triste, sebbene sapesse che tutto quel
dispiacere fosse
palesemente finto. Non erano mai andati molto d’accordo.
«Tu invece?»
chiese lei istintivamente. «Che mi dici della tua vita
sentimentale?»
«Due
relazioni in quasi due anni, entrambe finite».
Fortunatamente
il film iniziò subito dopo quell’affermazione. Non
era sicura di voler sapere i
dettagli, né aveva intenzione di tener viva una
conversazione del genere con il
suo ex.
Mentre le
scene scorrevano rapide sullo schermo, Gwen ebbe la netta sensazione
che il
cervello le stesse colando dalle orecchie. In vita sua, non aveva mai
visto
qualcosa di più stupido. D’accordo, qualche
passaggio era anche divertente, ma
per il resto si basava tutto su cliché banali, situazioni al
limite dell’assurdo
e battute da bambini di seconda elementare.
E la cosa
peggiore era che Trent non aveva smesso di ridere
dall’inizio, mentre lei si
contorceva sulla sua poltroncina, profondamente disgustata.
«Troppo
spassoso!» commentò durante
l’intervallo, tra una risata e l’altra.
«Esilarante»
disse sarcastica, rivolgendogli uno sguardo truce. «Davvero
uno spasso».
Per quei
quaranta minuti non aveva pensato altro che a qualche metodo efficace
per
fuggire o suicidarsi. Si trattava per lo più di metodi non
efficaci e che non
avrebbero mai funzionato.
«Dai, non è
poi così male!» esclamò, gettandole un
braccio attorno alle spalle. Quando Gwen
se ne accorse, scoprì che non la cosa non la infastidiva poi
così tanto.
«Ci sono
state delle scene molto comiche e ben riuscite, ammettilo!»
«Niente
affatto» sorrise lei, ripensando a tutte le gag patetiche e
agli imprevisti prevedibilissimi.
«Uno dei punti più bassi della cinematografia
americana».
Lui rise di
gusto.
«Non pensavo
che avessi un senso dell’umorismo così poco
elevato» scherzò Trent.
«E io non
pensavo che ti piacessero film così squallidi»
ribatté, incrociando le braccia
al petto.
Stavolta
risero assieme e Gwen si sentì finalmente a suo agio.
Peccato che la cosa durò
ben poco.
Trent tornò
serio e la guardò fisso negli occhi. Poi si
avvicinò lentamente al suo viso,
mentre Gwen spalancò gli occhi, sorpresa e terrorizzata
nello stesso momento.
Gli poggiò
le mani sul petto per bloccarlo, voltando appena la testa, per
nascondere il
rossore che iniziava a colorarle le gote.
«Devo andare
in bagno!» esclamò ad alta voce, tutto
d’un fiato, e scappò fuori dalla sala.
Lo sapeva.
Lo sapeva che Trent aveva in mente qualcosa in più
dell’amicizia fin
dall’inizio.
Ma non
avrebbe mai potuto prevedere quel tentativo improvviso di baciarla. Era
troppo
anche per uno come lui.
Una volta
lungo il corridoio, soffocò un imprecazione e le
balenò in testa l’idea di
rifugiarsi in bagno fino alla fine del film. Poi, però, le
venne in mente
un’idea migliore e si avviò verso
l’uscita. Non avrebbe rimesso piede in quel
posto, non aveva il coraggio di affrontarlo. Era ancora imbarazzata.
E quale miglior
piano, se non fuggire via?
Una volta
fuori, l’imbarazzo si trasformò in un moto
improvviso di rabbia e si ritrovò a
gridare la sua frustrazione al cielo, mentre qualche passante si
girò a
guardarla, chiedendosi se quella ragazza stesse bene.
Come gli era
saltato in mente? Perché doveva finire a complicare una
situazione già di per
sé complicata? Non gli bastava rimanere solo amici, come
avevano concordato?
Stupidi
Trent e i suoi sentimenti che non riusciva a tenere a bada.
Se lo
ripromise, mentre camminava verso il parcheggio: quella sarebbe stata
la prima
ed ultima uscita.
Inutile dire
che non fu così.
•
• •
Il secondo
appuntamento lo organizzarono di comune accordo. E non andò
tanto meglio.
Due giorni
dopo il primo, Gwen sentiva il bisogno di dover chiarire quella
situazione una
volta per tutte. Non era il tipo che lasciava qualcosa in sospeso.
Aveva appena
preso il cellulare, decisa a telefonare Trent, quando arrivò
una chiamata
proprio da parte sua.
La
conversazione durò circa dieci minuti e si concluse con il
ragazzo che si
giustificò per il suo gesto avventato con una scusa alquanto
patetica, a cui
probabilmente non credeva nemmeno lui - «Mi dispiace che tu
abbia pensato male.
Avevi l’eyeliner sbafato e volevo ripulirtelo» -, e
che le propose di scegliere
assieme dove vedersi per il prossimo appuntamento.
Gwen non
aveva veramente intenzione di accettare quell’invito, non
dopo quello che era
successo, ma le parole le uscirono di bocca da sole. Dopotutto, non
poteva
avercela con lui per troppo tempo, perché… beh,
perché era Trent ed era troppo
adorabile per tenergli il broncio più di mezza giornata.
Così la
settimana seguente si ritrovò a guidare in direzione del
centro città, dove vi
era una gelateria che frequentavano quando uscivano assieme.
Ebbe la
fortuna di trovare un parcheggio a pochi metri dal negozio. Trent la
attendeva
già lì davanti.
«Ehi Gwen!»
La salutò venendole incontro, probabilmente con
l’intenzione di abbracciarla,
dal momento che aveva allungato la braccia in fuori; poi le fece
ricadere lungo
i fianchi, limitandosi a sorridere. Non era proprio il caso.
«Ciao Trent»
gli sorrise timida accennando un saluto con la mano. Subito dopo
pensò quanto
potesse essere risultata patetica quell’immagine ai suoi
occhi.
«Allora,
entriamo?» le domandò, facendole segno di
precederlo. Anche se, poco prima che
potesse spingere la porta, egli scattò in avanti e la
aprì al posto suo,
reggendola e scansandosi per farla passare.
Evidentemente
Trent aveva continuato a frequentare quel posto dopo la rottura,
poiché scambiò
un saluto amichevole con uno dei dipendenti. Lei, al contrario, non vi
era più
tornata, non ne aveva avuto il coraggio: quell’ambiente le
faceva riaffiorare
ricordi felici e nostalgici.
Ricordi che
stavano tornando a galla anche adesso. Tentò di soffocarli
meglio che poté.
«Cono medio
con amarena e panna, giusto?» le chiese Trent.
Si voltò a
guardarlo con un’espressione interrogativa.
«Il gelato»
specificò, notando la sua confusione. «Hai sempre
preso un cono medio con
amarena e panna».
«Sì, vero»
confermò, annuendo appena.
Come faceva
a ricordarsi un dettaglio tanto insignificante come il suo gusto di
gelato
preferito? Di certo, lei non si ricordava il suo e la cosa la fece
sentire
stranamente in colpa. Motivo per cui si segnò a mente
ciò che aveva appena
ordinato, un cono grande con pistacchio e cioccolato.
Trent si dimostrò
per la seconda volta un cavaliere, quando le bloccò il
braccio, poco prima che
potesse prendere il portafoglio dalla borsa, e si offrì di
pagare anche il suo
gelato, sganciando qualche banconota in più al gelataio.
Quel gesto
la fece molto piacere e si sentì lusingata.
D’altro canto, sapeva di non
meritarsi tutta quella gentilezza da parte sua, non dopo che era stata
tutt’altro che gentile nei suoi confronti sul set di Azione.
Si
sistemarono fuori, nel tavolino più lontano ed isolato, da
cui la vista del
centro città era ottima. Tempo fa era il loro tavolino e
venne loro spontaneo
scegliere proprio quello.
Sedersi lì,
dopo tanto, le fece ricordare i lunghi pomeriggi trascorsi in quel
posto a
parlare e a scherzare con Trent, come i giovani innamorati quali erano.
Erano, appunto.
«Se non lo
mangi subito, si scioglierà tutto» le fece notare
Trent, richiamandola per
l’ennesima volta all’attenzione.
Gwen scacciò
via quei pensieri e si concentrò sul suo gelato, che
minacciava di gocciolarle
lungo il braccio da un momento all’altro. Presto non fu
più un problema.
Divorò metà
gelato un pochissimi minuti. Era a dir poco delizioso, il migliore che
avesse
mai mangiato. Adesso ricordava perché amava quella gelateria.
«Ti verrà
un’emicrania» commentò Trent con tono
cantilenante, guardandola e scuotendo la
testa. Aveva un bellissimo sorrisetto stampato in volto.
«Ne varrà la
pena» rispose Gwen, i baffetti macchiati di panna.
«Sembri una
bambina» ridacchiò, indicando lo sporco attorno
alla sua bocca-
«Mi paragoni
ad un’infante fastidiosa e con la voce stridula?
Così mi offendi!» esclamò lei
fingendosi indispettita.
Ben presto
si aggregò alla sua risata. Era troppo bella per resistervi.
Si sporse
verso la sua borsa, appesa sullo schienale della sedia, in cerca di
qualcosa
per pulirsi, ma il ragazzo la sorprese.
«Lascia,
faccio io» si offrì, prendendo un fazzoletto dal
pacchetto che aveva appena
estratto dalla tasca dei jeans consunti.
Si allungò
in sua direzione e le ripulì amorevolmente gli angoli della
bocca.
La sua
vicinanza la metteva a disagio, ma nello stesso momento avrebbe voluto
restare
così per sempre.
Si
schiaffeggiò mentalmente.
«Ecco fatto»
constatò, poggiando il fazzoletto sporco sul tavolo, ma
senza distogliere lo
sguardo.
Gwen sentì
dei brividi lungo la schiena e si impose di non arrossire. Non davanti
a Trent.
Non davanti al ragazzo che la faceva sentire come una bimbetta alla sua
prima
cotta.
Aspetta, cosa?
Il suo
cervello stava impazzendo.
Lui
socchiuse gli occhi e increspò appena le labbra,
avvicinandosi con lentezza
quasi sovrumana.
Gwen era
immobilizzata dal panico. Il suo cuore esplodeva nella cassa toracica.
Una piccola
parte di lei, quella irrazionale e che agognava quel bacio sin dal
primo
appuntamento, le suggerì di lasciarsi andare. Peccato che,
mezzo secondo dopo,
l’istinto e la razionalità presero il sopravvento:
spiaccicò il suo gelato
sulla maglietta di Trent, che si allontanò di colpo.
«Oh mio Dio,
scusami!» esclamò, portandosi le mani davanti alla
bocca e fingendosi il più
dispiaciuta e il meno colpevole possibile. «Non era
assolutamente mia
intenzione!»
«Tranquilla»
disse Trent convinto. «Non è successo
niente».
Prese un
altro fazzoletto e tamponò la macchia al meglio, mentre lei
manteneva la sua
falsa espressione mortificata.
«Vado in
bagno» annunciò, notando che la situazione non era
granché migliorata. «Vedo se
riesco a smacchiarla».
Quando sparì
all’interno della gelateria, la ragazza si
rilassò, portandosi la testa fra le
mani.
Allora lo
sentì, il suo cuore che continuava a battere
all’impazzata. Ma stavolta non si
trattava di ansia o panico.
La sua mente
continuava a riprodurle l’immagine degli occhioni verdi di
Trent a pochi
centimetri dai suoi, mentre le ripuliva la bocca come fa un
papà con la propria
figlia. O un fidanzato amorevole e
premuroso con la propria amata.
Stava
decisamente delirando. Non era possibile che ogni volta che pensava a
lui, o
che si trovava nelle sue immediate vicinanze, cominciava a sentire i
brividi
lungo la schiena e le farfalle nello stomaco e non riusciva a formulare
più di
mezza frase di senso compiuto.
Le sue
facoltà mentali la stavano lentamente abbandonando.
E poi, dopo
averci rimuginato su, comprese.
«Merda»
mormorò, sconsolata.
Si era
rinnamorata di Trent.
•
• •
Il terzo
appuntamento arrivò dopo due settimane e mezzo e
organizzò tutto Trent.
Gwen
ricevette un suo messaggio con pochissimo preavviso; vi erano scritti
giorno ed
ora in cui sarebbe passato a prenderla. Nessun altro dettaglio.
Non si erano
più sentiti dopo l’episodio della gelateria. Gwen
aveva passato quelle due settimane
e mezzo come un’anima in pena, a rimuginare sui suoi
sentimenti e a provare ad
accettare il fatto che amava ancora Trent e che in quel lasso di tempo
gli era
mancato come l’aria.
Quando le
erano arrivare quelle poche righe, era certamente al settimo cielo, ma
il
contenuto criptico la mandò ancora più in
confusione. Cosa aveva in mente?
Per quell’ultimo incontro, voleva che tutto andasse liscio e
che i suoi dubbi
amletici non rovinassero tutto un’altra volta. Per questo
decise di affidarsi a
delle mani esperte.
Alle quattro
di sabato pomeriggio, ben tre ore prima dell’appuntamento, si
presentò a casa
sua Courtney, con un’enorme borsa strapiena di roba a
tracollo. Gwen aveva
seriamente paura di cosa potesse esserci all’interno.
La salutò a
malapena, quando le aprì la porta, e si precipitò
nella sua stanza. Quando la
raggiunse, aveva già ispezionato tre quarti
dell’armadio.
«Sei ancora
qui?» le domandò l’amica senza smettere
di frugare tra i suoi vestiti. «Vai a
farti una doccia. E vedi di lavarti per bene i capelli, si vede
l’unto da qui».
Stava per
farle notare che l’aveva a malapena guardata in faccia,
quando aggiunse: «Usa i
prodotti che ho poggiato sulla scrivania».
Gwen non
aveva mai visto tanti unguenti per il corpo in vita sua. Era sicura che
almeno
la metà di quelli era completamente inutile, tuttavia decise
di fare come aveva
ordinato. Dopotutto, voleva aiutarla.
Mezz’ora
dopo, si ripresentò in camera, pulita e fresca come una
rosa, e finalmente
Courtney si degnò di guardarla.
«Finalmente
profumi come una donna» constatò, squadrandola
dalla testa ai piedi. «Vediamo
se riusciamo anche a fartici somigliare».
Notò che
tutti i suoi abiti erano sparsi sul letto, in due mucchi distinti: uno
abnorme
e uno minuscolo. Aveva già capito dove sarebbe andata a
parare.
«Ho fatto
una selezione» annunciò la castana, confermando i
suoi peggiori sospetti. «Nel
mucchio più grande ci sono gli abiti che probabilmente avrai
comprato al
mercatino sotto casa - altrimenti non capisco perché siano
così orrendi -, mentre
nel più piccolo quelli che sono vagamente consoni per un
appuntamento».
Nell’udire
quella frase, roteò nervosamente gli occhi.
«Grazie,
Courtney» disse sarcasticamente. «Mi fai sempre
sentire così apprezzata».
Evidentemente
uno dei suoi hobby era quello di ricordarle, ogni qual volta ne avesse
l’occasione, quanto fosse sciatta e fuori moda e di
insultare, seppur
velatamente e senza alcun tipo di cattiveria, i suoi gusti nel vestire.
«Non posso
scegliere io cosa indossare?» azzardò, vedendola
combinare abbinamenti con quei
pochi capi che aveva salvato.
«Certo, se
vuoi che Trent scappi a gambe levate» rispose, guardandola
come se fosse
un’ingenua.
Sapevano
entrambe che Trent non sarebbe corso via, nemmeno se avesse indossato
un sacco
dell’immondizia, ma Gwen decise ugualmente di farle
soddisfare le sue manie di
primadonna.
Dopo varie
prove e cambi, scelsero un semplicissimo outfit, che comprendeva un
leggins
nero e una maglia forse un pochino ampia.
Poi
passarono alla fase trucco, durante la quale ripeterono fino alla
nausea le
regole stilate da Courtney, la stessa che l’aveva costretta
ad impararle a
memoria affinché tutto filasse liscio come l’olio.
Inoltre, continuava a
ripeterle un’unica parola fino alla nausea,
affinché gliel’inculcasse nella
mente: rilassati.
Facile a
dirsi.
«Come va
con… ehm, Josh?» le domandò Gwen,
mentre recitava per la dodicesima volta tutte
le regole.
«Bene»
ribatté seccamente, facendole cenno di chiudere gli occhi.
«Hai già
capito che nemmeno lui potrà rimpiazzare Duncan?»
aggiunse con un risolino e,
sebbene non potesse vederla, sapeva che aveva un’espressione
sorpresa in volto.
La sentì
sbuffare, mentre le tracciava due linee il più simili
possibile con l’eyeliner.
Da un anno a
quella parte, Courtney aveva cominciato ad avere dei flirt con svariati
ragazzi, tutti della durata massima di qualche settimana. Gwen ne era
certa, lo
faceva solo per dimenticarsi di Duncan e di quello che provava per lui.
Con
scarsi risultati.
«Per la
milionesima volta, Duncan ha smesso di piacermi secoli fa»
sbottò con rabbia, e
lei sapeva che stava mentendo spudoratamente. «I miei
sentimenti verso Josh
sono sinceri».
«Così come
lo erano quelli per Adrian, o quelli per Lucas» la
assecondò, ricordando due
delle sue tresche. «E infatti si è visto
com’è andata a finire».
Courtney la
guardò accigliata, mentre le passava un filo
d’ombretto sulle palpebre.
«Andiamo,
quando ammetterai di provare ancora qualcosa per Duncan?»
chiese con tono
esasperato, ritornando alla carica.
«Qui chi non
ammette di provare qualcosa per un certo ragazzo, sei tu, cara» ribatté con un
sorrisetto, azzittendola.
Touché.
Come
ultimo
tocco, Courtney insistette per passarle la piastra, affinché
il suo caschetto
assumesse almeno per quella sera una forma ben definita.
Quando si
guardò allo specchio, dovette ammettere che aveva fatto un
lavoro magistrale:
non era mai stata così curata e graziosa. Le doveva
decisamente un favore.
Courtney era
andata via da mezz’ora, quando Trent citofonò.
Mezz’ora in cui non aveva fatto
altro che ripetersi di stare tranquilla e rilassata.
«Ehi
bellissima!» la salutò lui, vedendola uscire dal
portone del palazzo.
Appariva
molto più slanciato, poggiato contro la sua auto, e la
camicia bianca
sbottonata e i capelli neri scompigliati gli donavano un aspetto
trasandato.
Gwen cercò di in ogni modo di non fare pensieri poco consoni
e casti su di lui.
Le allungò
un mazzo di gigli e violette, i suoi fiori preferiti.
«Non ci
credo che te ne sei ricordato» gli disse sorridendo,
prendendo il mazzo.
«Sono sempre
stato attento alle cose che mi interessano» rispose,
scrollando le spalle.
Una parte di
lei, a quell’affermazione, urlò di gioia, ma non
lo diede a vedere. Una delle
regole concordate con Courtney era, appunto, quella di apparire posata.
«Vogliamo
andare?» domandò Trent, aprendole la portiera.
Salì a
bordo, ma non prima di averlo ringraziato con un mormorio e un leggero
cenno
della testa.
Trascorsero
il viaggio in perfetto silenzio e Gwen si azzardò a
proferire parola solo
quando, ormai, si trovavano da un po’ sulla superstrada.
«Ora mi è
concesso sapere dove ci stiamo recando?»
La curiosità
la stava divorando da quasi tre settimane.
«Assolutamente
no» disse, continuando a guardare dritto davanti a
sé e imboccando l’uscita che
portava fuori città. «Però ci siamo
quasi».
La radio
passò un pezzo datato, ma sempre bellissimo. Il ragazzo
alzò il volume.
«Adoro
questa canzone» constatò estasiato.
Quegli
ultimi minuti trascorsero con Trent che cantava a bassa voce,
tamburellando con
le dita sul volante, convinto che Gwen non lo sentisse. Ma lei lo aveva
ascoltato dall’inizio alla fine e ne rimase ammaliata. Aveva
dimenticato quanto
fosse melodica la sua voce.
Parcheggiarono
alla fine di una strada senza uscita, immersa dal verde; da
lì avrebbero dovuto
proseguire a piedi.
Trent si
precipitò a svuotare il cofano, da cui tirò fuori
un cestino da pic-nic e la
custodia della sua chitarra.
«Ti serve
una mano?» domandò lei, venendogli incontro.
«Non serve,
ce la faccio da solo» disse convinto. «E poi, che
razza di gentiluomo sarei, se
facessi scomodare una donna al posto mio?»
Ancora una
volta, si confermava un cavaliere.
Continuarono
a camminare lungo quella strada fino a che, dietro a dei folti rami,
apparve la
superficie cristallina del Lago Ontario.
Una volta
sulla spiaggia, Trent si tolse le scarpe; Gwen decise di non imitarlo,
dal
momento che detestava la sabbia fra le dita dei piedi. Non le era mai
piaciuto
andare al lago.
«Io vado a
cercare dei ramoscelli per accendere un falò»
annunciò il moro, poggiando tutto
per terra. «Nel frattempo, potresti cominciare a stendere gli
asciugamani?»
«Certo»
annuì, guardandolo allontanarsi.
Sentì di
nuovo le farfalle nello stomaco. Doveva decisamente controllarsi.
Tirò fuori
dal cestino un grosso telo da mare e lo distese, tenendolo fermo con
dei grossi
sassi che aveva trovato poco più in là. Poi si
era seduta con lo sguardo
rivolto verso l’enorme distesa d’acqua.
Odiava quel
posto d’estate, ma doveva ammettere che ad aprile era
veramente magico. Tutta
l’atmosfera che Trent stava cercando di creare era magica. E
romantica. E
decisamente perfetta.
Forse per la
prima volta nella sua vita, si sentì fortunata: era in un
luogo incantato con
il ragazzo che amava e che più volte aveva dimostrato di
tenerci a lei.
«Se hai
finito di sognare ad occhi aperti,» la richiamò la
voce del suo accompagnatore,
«potresti aiutarmi ad accendere il falò».
Si voltò di
scatto, come se fosse stata colta in flagrante a fare qualcosa di
sbagliato o
proibito. La sua espressione fece ridere di gusto il ragazzo.
«Sei sempre
con la testa fra le nuvole» le fece notare, portando un
braccio attorno alle
sue spalle e avvicinandola a sé.
Gwen avrebbe
voluto rimanere così per sempre.
«A cosa
stavi pensando?»
«Niente» rispose
sincera. «Solo che… è bello
qui».
Accesero il
fuoco in tempo record e si sistemarono sul telo. Erano di nuovo fin
troppo
vicini, notò Gwen con un leggero rossore sulle guance.
Recuperarono
due lunghi bastoni e alla loro estremità conficcarono due
marshmallow, che il
ragazzo aveva tirato fuori dal cestino, e li abbrustolirono.
«Sembra di
essere tornati a Wawanakwa» constatò lei, dando
voce ai suoi pensieri - e
probabilmente anche a quelli di lui.
«Già»
confermò lui.
Ad entrambi
era tornato alla mente quando, a termine di ogni cerimonia di
eliminazione, i
campeggiatori rimasti si riunivano attorno al fuoco e arrostivano il
loro
marshmallow, contenti di rimanere in gioco per un’altra
settimana. E
stranamente, sebbene in quel maledetto campo estivo ne avessero passate
di
tutti i colori, quell’atmosfera nostalgica non dispiacque a
nessuno dei due.
A Trent non
l’aveva mai detto, ma Gwen era arrivata a concordare che quel
gesto avesse
perso di ogni significato, non appena egli era stato eliminato.
Aprì la bocca,
come per dire qualcosa, ma subito dopo decise di lasciar perdere. Non
voleva
rovinare quel momento.
La sera era
ormai calata da un pezzo e i due giovani stavano mangiando dei panini,
rivolti
verso il lago scuro, mentre discutevano di costellazioni e di come le
abilità
culinarie di Trent fossero notevolmente migliorate, da quando viveva da
solo.
Nel
frattempo, il ragazzo aveva fatto scivolare la sua mano sul fianco di
lei, e
Gwen lo lasciò fare, mentre il suo cuore batteva
all’impazzata.
Stavano
entrambi così bene.
«Ho un’idea
per rievocare ancora di più i vecchi tempi» disse
il moro ad un certo punto.
Si allungò
verso la custodia, che aveva abbandonato in un angolino, e
tirò fuori la sua
amata chitarra acustica, consumata e piena di adesivi. La
imbracciò e Gwen si
sistemò davanti a lui.
Subito le
ritornò alla mente quando, nascosta dietro un grosso albero,
si divertiva ad
ascoltarlo strimpellare lo strumento, seduto sui gradini della casetta
delle
Marmotte Urlanti. Neanche questo gli aveva mai rivelato.
Effettivamente,
pensò, c’erano un po’ di cose su cui
aveva taciuto.
«Voglio
proporti un brano edito, ma più che adatto per una serata
nostalgica come
questa» annunciò con finto tono solenne, che la
fece sorridere. «Spero ti
piaccia».
Cominciò a
suonare degli accordi familiari e subito la riconobbe: era la canzone
che aveva
portato al talent show, la primissima che le aveva dedicato.
E quando
fece sfoggio della sua voce da angelo, si sentì
improvvisamente in estasi. Era
tutto perfetto.
Lo ascoltava
con aria sognante, più innamorata che mai, e lui la guardava
come se fosse la
cosa più preziosa al mondo.
Se questo
è davvero il paradiso,
pensò
Gwen, voglio rimanerci per sempre.
Quando finì
nessuno osò rompere il silenzio, non un applauso o una
parola. Si limitarono a
fissarsi intensamente e, senza rendersene conto, si stavano avvicinando
sempre
di più. Ben presto le loro labbra distavano pochi centimetri.
Un tuono
rumoroso, subito dopo la pioggia scrosciante. Furono investiti da una
tempesta
improvvisa.
Scattarono
in piedi e sgomberarono tutto il più velocemente possibile.
In quei secondi,
Gwen inventò imprecazioni una più creativa
dell’altra.
Corsero in
direzione della macchina, attraversando la spiaggia alla
velocità della luce, e
vi si catapultarono dentro. Erano al riparo.
Trent
cominciò a ridacchiare sempre più forte, senza
apparente motivo. La ragazza lo
guardò stranita, ma non riuscì a trattenersi: si
aggregò alla sua risata.
«Riusciremo
mai ad avere un appuntamento decente?» domandò lui
divertito, quando si
ricompose.
«Direi
proprio di no» rispose con un enorme sorriso, scuotendo la
testa.
Si accasciò
sul suo sedile e guardò Trent, che cercava di trattenere una
nuova ondata di
risatine. Prima che potesse rendersene conto, le parole cominciarono ad
uscire
di bocca senza che potesse fermarle.
«Non ti ho
mai chiesto scusa per quello che è successo in
Azione» cominciò, facendolo
ammutolire di colpo. «È stato scorretto da parte
mia, tremendamente scorretto.
Non volevo che finisse così».
Dal tono di
voce si poteva comprendere che fosse davvero mortificata.
«Non devi
scusarti» la fermò lui. «In fondo,
è colpa mia. Sono io che ho cominciato a
fare il pazzo. Tu hai solo-»
«Non osare
colpevolizzarti!» quasi urlò lei, sovrastando la
sua voce. Nel mente si era
sporta fin troppo in sua direzione e aveva poggiato le mani sul suo
petto.
Si ritirò di
scatto, e sentì le guance andarle a fuoco.
«Tu sei
stato adorabile nei miei confronti» riprese, evitando
accuratamente di
incrociare quegli occhi verdi. «Dolce, premuroso…
forse fin troppo appiccicoso»
e qui fu interrotta da un grugnito di Trent - forse una risata isterica
soffocata -, «Ma hai dimostrato di tenerci moltissimo a me. E
io, per
dimostrarti la mia riconoscenza, ti ho fatta eliminare. Non meritavo le
tue
attenzioni, non le ho mai meritate. Scusami».
Quell’ultima
parola, quasi mormorata, rimase sospesa nell’aria.
«È successo
secoli fa» concluse il ragazzo, ancora colpito da quelle
parole. «Non
parliamone più».
E non ne
parlarono più.
Poggiò
la
mano destra sulla sua coscia sinistra. A quel tocco, lei
ritrovò il coraggio di
guardarlo in faccia. Quelle iridi la scrutavano con aria dolce, non si
era mai
sentita così apprezzata ed amata.
Il suo
cervello era in tilt e il cuore minacciava di uscirle dal petto, tanto
che
batteva.
Quando fece
correre l’altra mano sulla sua guancia e avvicinò
il volto al suo, il suo
colorito era ormai bordeaux. Si sentiva morire.
«Hai
intenzione di scappare?» chiese lui a bassa voce, scherzando.
«Oppure vuoi lanciarmi
qualcosa addosso? Sì,» si sbrigò a
chiarire, quando il volto di lei assunse
un’espressione sorpresa - come quella di qualcuno che viene
beccato in
flagrante ad infrangere delle regole -, «lo so che
l’hai fatto di proposito, a
sporcarmi la maglietta con il gelato. È stato piuttosto
patetico da parte tua».
«Eppure ha
funzionato» ribatté con un sorriso di scherno
dipinto in volto.
«Stavolta
non ti salverà niente» la avvisò.
«Non ti lascerò fuggire».
E allora
Gwen agì di impulso, facendo qualcosa che non avrebbe mai
avuto il coraggio di
fare: prese saldamente il viso di Trent fra le mani e si
fiondò sulle sue
labbra, come se fosse la cosa più naturale che avesse mai
fatto.
Non ci mise
niente a ricambiare quel bacio. Subito la sua lingua andò
alla ricerca di
quella della compagna e insieme cominciarono ad intrecciarsi e a
danzare nelle
loro bocche.
Gwen aveva
dimenticato quanto i suoi baci la facessero impazzire.
Si staccò
per riprendere fiato e lo guardò divertita: era rimasto
piuttosto spiazzato da
quel gesto.
«Chi ti dice
che io voglia scappare?» chiese beffarda, tra un respiro e un
altro.
Le sorrise
di rimando, prima di tornare a concentrarsi sulla sua bocca, adornata
come
sempre da un rossetto scuro.
E si
baciarono ancora e ancora, prima con delicatezza e poi sempre
più avidamente.
Ad ogni contatto, sentivano una scarica elettrica lungo la spina
dorsale.
Erano stati
lontani troppo a lungo, dovevano recuperare tutto il tempo perso.
E per un po’
non si sentirono altro che lo scoccare delle loro labbra e
l’infrangersi delle
gocce d’acqua contro i finestrini dell’auto.
Note
(1)
Riferimento
al sesto capitolo de «La Storia Inversa ~ Ovvero, come
distruggersi il sette
giorni».
Da
quanto
tempo non scrivevo su questo ? Troppo.
Mi siete
mancati, inutile dirlo.
questa one shot è stato facile, le parole uscivano da sole.
È come se sapessi da
sempre che storia raccontare. L’ho scritta gran parte a mano
- quattordici
pagine! - e poi l’ho battuta al computer. Non mi era mai
successo di essere
così ispirata.
Beh, sono
abbastanza soddisfatta del risultato ottenuto.
È da tanto
che volevo qualcosa sui Gwent, ma non sapevo cosa. Poi mi
è venuta in
mente questa missing moment. La Storia Inversa è
probabilmente la mia più
grande fonte di ispirazione.
Cosa che
avrete notato è il costante ripetersi di situazioni e
azioni. È tutto voluto -
anche se all’inizio non l’avevo minimamente
progettato. Però mi piace.
Spero di non
essere caduta nell’OOC e di non aver reso Gwen un essere
perennemente imbarazzato
e a disagio. E spero anche che la storia non vi abbia annoiati a causa
della
sua lunghezza.
Non so
quando tornerò, al momento non ho progetti in
mente. Sappiate solo
che tornerò - l’annuncio di una nuova stagione mi
ha caricata come non mai.
Un'ultima cosa: ho notato che il primo capitolo della seconda parte de "La Storia Inversa" ha avuto più di mille visite e il primo capitolo della prima parte è a quasi duemila. Che posso dirvi? Grazie mille!
Se siete arrivati fin qui, vi mando un enorme abbraccio. Ci vediamo!
Hayle xx