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Autore: smarsties    13/05/2017    7 recensioni
Missing moment de "La Storia Inversa", ma può essere letta anche senza conoscere il contesto.
Il sequel termina col matrimonio di Gwen e Trent, che, felici e innamorati più che mai, possono finalmente godersi il meritato "per sempre". Ma come si sono ritrovati? Come ha fatto la scintilla della passione a scoccare nuovamente tra loro due? Ed è stato facile?
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Estratto dal testo
Gwen restò di stucco. Di certo non si aspettava una reazione del genere, e non sapeva come rispondere. Sapeva solo che, in un modo o nell'altro, quelle frasi la rendevano felice.
«Vorrei davvero riallacciare i rapporti. Magari non come fidanzati, mi va bene anche solo amici!» si affrettò ad aggiungere, notando il suo cipiglio. «Tre appuntamenti, non ti chiedo altro. Tre appuntamenti e vediamo come si evolve il tutto».
Quell'offerta la intrigava. Era davvero curiosa di scoprire dove sarebbe andato a parare quell’“esperimento”. Anche perché, non poteva negare che Trent le mancasse e riacquistare perlomeno la sua amicizia era una cosa che desiderava davvero.
«Ci sto» ribatté. «Ma che sia chiaro, saranno tre appuntamenti in amicizia».
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gwen, Trent | Coppie: Trent/Gwen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
- Questa storia fa parte della serie 'La storia inversa: quando tutto va come non dovrebbe'
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tre appuntamenti per farla ri-innamorare

 

E pensare che era tutto cominciato con un libro.
Era una nuvolosa giornata di marzo. Si era appena conclusa l’ultima lezione della giornata e Gwen aveva deciso di recarsi nella biblioteca dietro l’università, un piccolo negozio polveroso stracolmo di e librerie, con l’intento di prendere in prestito qualcosa da accompagnata da una cioccolata calda.
Aveva adocchiato un tomo di circa seicento pagine e si era recata alla cassa, quando avvenne la svolta.
Dietro di essa, vi era un ragazzo smilzo dai capelli mori, gli occhi verdissimi e un sorriso adorabile. Quel ragazzo era Trent.
Il suo cuore perse un battito.
Teneva lo sguardo fisso sul monitor del computer e non si era ancora accorto della sua presenza. Sarebbe potuta benissimo scappare via - non si sentiva ancora a suo agio ad intrattenere una conversazione con il suo ex -, se quello non avesse deciso proprio in quel momento di voltarsi in sua direzione.
«Posso esserle utile in qual-» e si bloccò non appena la riconobbe.
Si fissarono per qualche secondo, entrambi visibilmente imbarazzati. La mente di Gwen non partoriva altro che sonore imprecazioni.
Non si vedevano da quando era terminata quell’ultima, intensa stagione, e già allora si limitavano a semplici saluti e a qualche parola di cortesia. Ritrovarselo avanti così, spiattellato in faccia, di certo non aiutava.
«Gwen!» la chiamò lui, interrompendo il silenzio. «Che piacevole sorpresa!»
Non riuscì a capire se la sua ultima affermazione fosse sincera o in qualche modo ironica. Una piccola parte di lei sperò la prima.
«È una piacevole sorpresa anche per me» disse con un sorriso forzato. Poi gli chiese, e si augurò di non suonare burbera o scontrosa in qualche modo: «Che ci fai qui?»
«Lavoro per pagarmi affitto e conservatorio» rispose secco.
«Oh, bello!» esclamò, la voce acuta.
Dovette frenare l’impulso di sbattersi una mano in faccia. Stava facendo la figura dell’imbecille.
Quando l’aveva chiamato quell’estate(1) - solo perché era tremendamente sola e perché, e non l’avrebbe mai ammesso, le mancava la sua voce - non era stato poi così strano ed imbarazzante: superato l’impaccio iniziale, erano riusciti ad avere una conversazione amichevole. Mentre ora non riusciva a spiccicare parola.
Parlarci faccia a faccia era diverso, le metteva addosso un’ansia assurda.
Gli allungò libro e tessera della biblioteca e lui prese nota del prestito, senza aggiungere altro.
Lo fissò durante quel processo, mentre uno strano senso di colpa le attanagliò lo stomaco.
Si sentiva ancora male per quello che aveva fatto, per aver chiesto alla sua squadra di eliminarlo subito dopo aver rotto, solo per dimostrare che non erano in alcun modo alleati. Evidentemente autoescludersi non era bastato per fare pace con se stessa.
E soprattutto sapeva che il bacio con Duncan nel confessionale l’aveva ferito e aveva confermato i suoi peggiori sospetti. L’idea di avergli recato del male, seppur involontariamente, non la faceva stare in pace con se stessa.
«Il libro va riconsegnato tra tre settimane» disse Trent, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
Scosse la testa per risvegliarsi.
«Certo» sillabò. «Grazie»
Le riconsegnò libro e tessera e le loro mani si sfiorarono appena. Gwen sentì un brivido lungo la schiena.
«Beh, ci vediamo» borbottò, voltandosi verso l’uscita e imponendosi di non arrossire.
Ma aveva fatto solo pochi passi, quando la sua voce la inchiodò al suolo.
«Gwen, aspetta!» la richiamò Trent, sporgendosi verso il bancone e allungando istintivamente una mano verso di lei, sebbene fosse troppo distante anche solo per sfiorarla.
Lei lo guardò, sorpresa e incuriosita nello stesso momento.
Poggiò entrambe le mani sul ripiano, come per sorreggersi, e tentò di formulare una frase di senso compiuto, scegliendo accuratamente le parole.
«Mi dispiace che sia finita così» constatò dopo un po’, alludendo alla loro relazione. «Ci tenevo davvero a te, ci tengo ancora. Ed è triste il fatto che adesso nemmeno riusciamo a parlarci».
Gwen restò di stucco. Di certo non si aspettava una reazione del genere, e non sapeva come rispondere. Sapeva solo che, in un modo o nell'altro, quelle frasi la rendevano felice.
«Vorrei davvero riallacciare i rapporti. Magari non come fidanzati, mi va bene anche solo amici!» si affrettò ad aggiungere, notando il suo cipiglio. «Tre appuntamenti, non ti chiedo altro. Tre appuntamenti e vediamo come si evolve il tutto».
Quell'offerta la intrigava. Era davvero curiosa di scoprire dove sarebbe andato a parare quell’“esperimento”. Anche perché, non poteva negare che Trent le mancasse e riacquistare perlomeno la sua amicizia era una cosa che desiderava davvero.
«Ci sto» ribatté. «Ma che sia chiaro, saranno tre appuntamenti in amicizia».
«Naturalmente» le rispose, sorridendo.
E quel sorriso la fece sciogliere un po’.

Amicizia. Come no.

 
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Il primo appuntamento lo pianificò Gwen. E fu un disastro.
A una settimana da quell’incontro, proprio quando la ragazza aveva cominciato a non sperarci più, Trent le inviò un messaggio in cui le lasciava carta bianca per l’uscita.
Senza pensarci due volte, optò per il cinema, quel giovedì, giorno in cui sarebbe uscito un horror che aveva assolutamente voglia di vedere. Poi si ricordò che Trent non era Duncan e che odiava film splatter in cui ogni cinque minuti una persona veniva ammazzata in modo cruento e raccapricciante.
Così si ritrovarono a decidere la pellicola mentre erano in fila al botteghino. Alla fine la scelta ricadde su una commedia leggera, che soddisfava i gusti di entrambi. O perlomeno, si disse Gwen consolandosi, sebbene non fosse quello che voleva vedere, non si trattava di qualche schifezza romantica, che ogni tanto le propinava Courtney durante una delle loro “serate tra donne”.
Sì, erano di nuovo grandi amiche… ma questa è un’altra storia.
«Ci siamo quasi» annunciò Trent, sollevandosi sulle punte dei piedi e contando le teste davanti a loro.
Tirò un sospiro di sollievo. Sembrava che l’intero quartiere avesse preso d’assalto il cinema per andare a vedere, ironia della sorte, il film horror che tanto le interessava.
Fecero i biglietti, comprarono due ciotole di pop corn al bar ed entrarono in sala che, come era facilmente prevedibile, era desertica, tranne che per un ometto sulla quarantina.
«Abbiamo la sala tutta per noi» constatò il ragazzo allegramente, prendendo posto in una delle file centrali.
«Già, evviva» esclamò cercando di suonare felice almeno quanto lui, mentre una morsa le stringeva la bocca dello stomaco.
Gwen adorava andare al cinema la sera tardi, proprio per gustarsi il film in santa pace, senza bambini urlatori, commentatori, individui che facevano rumori molesti col cibo e fastidiosi di qualsiasi genere. Ma stare con Trent, in una stanza quasi del tutto vuota, dopo tutte le divergenze passate, la metteva a disagio.
«Allora,» iniziò Trent, rompendo il silenzio, «come va con Duncan?»
Sapeva che prima o poi quella domanda sarebbe arrivata. Tuttavia, la colse ugualmente di sorpresa.
«Abbiamo rotto un anno fa» rispose risoluta, scrollando le spalle. «Semplicemente, abbiamo capito che il nostro non è un rapporto romantico, ma solo di profonda amicizia».
«Oh, peccato» disse triste, sebbene sapesse che tutto quel dispiacere fosse palesemente finto. Non erano mai andati molto d’accordo.
«Tu invece?» chiese lei istintivamente. «Che mi dici della tua vita sentimentale?»
«Due relazioni in quasi due anni, entrambe finite».
Fortunatamente il film iniziò subito dopo quell’affermazione. Non era sicura di voler sapere i dettagli, né aveva intenzione di tener viva una conversazione del genere con il suo ex.
Mentre le scene scorrevano rapide sullo schermo, Gwen ebbe la netta sensazione che il cervello le stesse colando dalle orecchie. In vita sua, non aveva mai visto qualcosa di più stupido. D’accordo, qualche passaggio era anche divertente, ma per il resto si basava tutto su cliché banali, situazioni al limite dell’assurdo e battute da bambini di seconda elementare.
E la cosa peggiore era che Trent non aveva smesso di ridere dall’inizio, mentre lei si contorceva sulla sua poltroncina, profondamente disgustata.
«Troppo spassoso!» commentò durante l’intervallo, tra una risata e l’altra.
«Esilarante» disse sarcastica, rivolgendogli uno sguardo truce. «Davvero uno spasso».
Per quei quaranta minuti non aveva pensato altro che a qualche metodo efficace per fuggire o suicidarsi. Si trattava per lo più di metodi non efficaci e che non avrebbero mai funzionato.
«Dai, non è poi così male!» esclamò, gettandole un braccio attorno alle spalle. Quando Gwen se ne accorse, scoprì che non la cosa non la infastidiva poi così tanto.
«Ci sono state delle scene molto comiche e ben riuscite, ammettilo!»
«Niente affatto» sorrise lei, ripensando a tutte le gag patetiche e agli imprevisti prevedibilissimi. «Uno dei punti più bassi della cinematografia americana».
Lui rise di gusto.
«Non pensavo che avessi un senso dell’umorismo così poco elevato» scherzò Trent.
«E io non pensavo che ti piacessero film così squallidi» ribatté, incrociando le braccia al petto.
Stavolta risero assieme e Gwen si sentì finalmente a suo agio. Peccato che la cosa durò ben poco.
Trent tornò serio e la guardò fisso negli occhi. Poi si avvicinò lentamente al suo viso, mentre Gwen spalancò gli occhi, sorpresa e terrorizzata nello stesso momento.
Gli poggiò le mani sul petto per bloccarlo, voltando appena la testa, per nascondere il rossore che iniziava a colorarle le gote.
«Devo andare in bagno!» esclamò ad alta voce, tutto d’un fiato, e scappò fuori dalla sala.
Lo sapeva. Lo sapeva che Trent aveva in mente qualcosa in più dell’amicizia fin dall’inizio.
Ma non avrebbe mai potuto prevedere quel tentativo improvviso di baciarla. Era troppo anche per uno come lui.
Una volta lungo il corridoio, soffocò un imprecazione e le balenò in testa l’idea di rifugiarsi in bagno fino alla fine del film. Poi, però, le venne in mente un’idea migliore e si avviò verso l’uscita. Non avrebbe rimesso piede in quel posto, non aveva il coraggio di affrontarlo. Era ancora imbarazzata.
E quale miglior piano, se non fuggire via?
Una volta fuori, l’imbarazzo si trasformò in un moto improvviso di rabbia e si ritrovò a gridare la sua frustrazione al cielo, mentre qualche passante si girò a guardarla, chiedendosi se quella ragazza stesse bene.
Come gli era saltato in mente? Perché doveva finire a complicare una situazione già di per sé complicata? Non gli bastava rimanere solo amici, come avevano concordato?
Stupidi Trent e i suoi sentimenti che non riusciva a tenere a bada.
Se lo ripromise, mentre camminava verso il parcheggio: quella sarebbe stata la prima ed ultima uscita.
Inutile dire che non fu così.

 
• • •

 
Il secondo appuntamento lo organizzarono di comune accordo. E non andò tanto meglio.
Due giorni dopo il primo, Gwen sentiva il bisogno di dover chiarire quella situazione una volta per tutte. Non era il tipo che lasciava qualcosa in sospeso.
Aveva appena preso il cellulare, decisa a telefonare Trent, quando arrivò una chiamata proprio da parte sua.
La conversazione durò circa dieci minuti e si concluse con il ragazzo che si giustificò per il suo gesto avventato con una scusa alquanto patetica, a cui probabilmente non credeva nemmeno lui - «Mi dispiace che tu abbia pensato male. Avevi l’eyeliner sbafato e volevo ripulirtelo» -, e che le propose di scegliere assieme dove vedersi per il prossimo appuntamento.
Gwen non aveva veramente intenzione di accettare quell’invito, non dopo quello che era successo, ma le parole le uscirono di bocca da sole. Dopotutto, non poteva avercela con lui per troppo tempo, perché… beh, perché era Trent ed era troppo adorabile per tenergli il broncio più di mezza giornata.
Così la settimana seguente si ritrovò a guidare in direzione del centro città, dove vi era una gelateria che frequentavano quando uscivano assieme.
Ebbe la fortuna di trovare un parcheggio a pochi metri dal negozio. Trent la attendeva già lì davanti.
«Ehi Gwen!» La salutò venendole incontro, probabilmente con l’intenzione di abbracciarla, dal momento che aveva allungato la braccia in fuori; poi le fece ricadere lungo i fianchi, limitandosi a sorridere. Non era proprio il caso.
«Ciao Trent» gli sorrise timida accennando un saluto con la mano. Subito dopo pensò quanto potesse essere risultata patetica quell’immagine ai suoi occhi.
«Allora, entriamo?» le domandò, facendole segno di precederlo. Anche se, poco prima che potesse spingere la porta, egli scattò in avanti e la aprì al posto suo, reggendola e scansandosi per farla passare.
Evidentemente Trent aveva continuato a frequentare quel posto dopo la rottura, poiché scambiò un saluto amichevole con uno dei dipendenti. Lei, al contrario, non vi era più tornata, non ne aveva avuto il coraggio: quell’ambiente le faceva riaffiorare ricordi felici e nostalgici.
Ricordi che stavano tornando a galla anche adesso. Tentò di soffocarli meglio che poté.
«Cono medio con amarena e panna, giusto?» le chiese Trent.
Si voltò a guardarlo con un’espressione interrogativa.
«Il gelato» specificò, notando la sua confusione. «Hai sempre preso un cono medio con amarena e panna».
«Sì, vero» confermò, annuendo appena.
Come faceva a ricordarsi un dettaglio tanto insignificante come il suo gusto di gelato preferito? Di certo, lei non si ricordava il suo e la cosa la fece sentire stranamente in colpa. Motivo per cui si segnò a mente ciò che aveva appena ordinato, un cono grande con pistacchio e cioccolato.
Trent si dimostrò per la seconda volta un cavaliere, quando le bloccò il braccio, poco prima che potesse prendere il portafoglio dalla borsa, e si offrì di pagare anche il suo gelato, sganciando qualche banconota in più al gelataio.
Quel gesto la fece molto piacere e si sentì lusingata. D’altro canto, sapeva di non meritarsi tutta quella gentilezza da parte sua, non dopo che era stata tutt’altro che gentile nei suoi confronti sul set di Azione.
Si sistemarono fuori, nel tavolino più lontano ed isolato, da cui la vista del centro città era ottima. Tempo fa era il loro tavolino e venne loro spontaneo scegliere proprio quello.
Sedersi lì, dopo tanto, le fece ricordare i lunghi pomeriggi trascorsi in quel posto a parlare e a scherzare con Trent, come i giovani innamorati quali erano. Erano, appunto.
«Se non lo mangi subito, si scioglierà tutto» le fece notare Trent, richiamandola per l’ennesima volta all’attenzione.
Gwen scacciò via quei pensieri e si concentrò sul suo gelato, che minacciava di gocciolarle lungo il braccio da un momento all’altro. Presto non fu più un problema.
Divorò metà gelato un pochissimi minuti. Era a dir poco delizioso, il migliore che avesse mai mangiato. Adesso ricordava perché amava quella gelateria.
«Ti verrà un’emicrania» commentò Trent con tono cantilenante, guardandola e scuotendo la testa. Aveva un bellissimo sorrisetto stampato in volto.
«Ne varrà la pena» rispose Gwen, i baffetti macchiati di panna.
«Sembri una bambina» ridacchiò, indicando lo sporco attorno alla sua bocca-
«Mi paragoni ad un’infante fastidiosa e con la voce stridula? Così mi offendi!» esclamò lei fingendosi indispettita.
Ben presto si aggregò alla sua risata. Era troppo bella per resistervi.
Si sporse verso la sua borsa, appesa sullo schienale della sedia, in cerca di qualcosa per pulirsi, ma il ragazzo la sorprese.
«Lascia, faccio io» si offrì, prendendo un fazzoletto dal pacchetto che aveva appena estratto dalla tasca dei jeans consunti.
Si allungò in sua direzione e le ripulì amorevolmente gli angoli della bocca.
La sua vicinanza la metteva a disagio, ma nello stesso momento avrebbe voluto restare così per sempre.
Si schiaffeggiò mentalmente.
«Ecco fatto» constatò, poggiando il fazzoletto sporco sul tavolo, ma senza distogliere lo sguardo.
Gwen sentì dei brividi lungo la schiena e si impose di non arrossire. Non davanti a Trent. Non davanti al ragazzo che la faceva sentire come una bimbetta alla sua prima cotta.

Aspetta, cosa?
Il suo cervello stava impazzendo.
Lui socchiuse gli occhi e increspò appena le labbra, avvicinandosi con lentezza quasi sovrumana.
Gwen era immobilizzata dal panico. Il suo cuore esplodeva nella cassa toracica.
Una piccola parte di lei, quella irrazionale e che agognava quel bacio sin dal primo appuntamento, le suggerì di lasciarsi andare. Peccato che, mezzo secondo dopo, l’istinto e la razionalità presero il sopravvento: spiaccicò il suo gelato sulla maglietta di Trent, che si allontanò di colpo.
«Oh mio Dio, scusami!» esclamò, portandosi le mani davanti alla bocca e fingendosi il più dispiaciuta e il meno colpevole possibile. «Non era assolutamente mia intenzione!»
«Tranquilla» disse Trent convinto. «Non è successo niente».
Prese un altro fazzoletto e tamponò la macchia al meglio, mentre lei manteneva la sua falsa espressione mortificata.
«Vado in bagno» annunciò, notando che la situazione non era granché migliorata. «Vedo se riesco a smacchiarla».
Quando sparì all’interno della gelateria, la ragazza si rilassò, portandosi la testa fra le mani.
Allora lo sentì, il suo cuore che continuava a battere all’impazzata. Ma stavolta non si trattava di ansia o panico.
La sua mente continuava a riprodurle l’immagine degli occhioni verdi di Trent a pochi centimetri dai suoi, mentre le ripuliva la bocca come fa un papà con la propria figlia. O un fidanzato amorevole e premuroso con la propria amata.
Stava decisamente delirando. Non era possibile che ogni volta che pensava a lui, o che si trovava nelle sue immediate vicinanze, cominciava a sentire i brividi lungo la schiena e le farfalle nello stomaco e non riusciva a formulare più di mezza frase di senso compiuto.
Le sue facoltà mentali la stavano lentamente abbandonando.
E poi, dopo averci rimuginato su, comprese.
«Merda» mormorò, sconsolata.
Si era rinnamorata di Trent.

 
• • •

 
Il terzo appuntamento arrivò dopo due settimane e mezzo e organizzò tutto Trent.
Gwen ricevette un suo messaggio con pochissimo preavviso; vi erano scritti giorno ed ora in cui sarebbe passato a prenderla. Nessun altro dettaglio.
Non si erano più sentiti dopo l’episodio della gelateria. Gwen aveva passato quelle due settimane e mezzo come un’anima in pena, a rimuginare sui suoi sentimenti e a provare ad accettare il fatto che amava ancora Trent e che in quel lasso di tempo gli era mancato come l’aria.
Quando le erano arrivare quelle poche righe, era certamente al settimo cielo, ma il contenuto criptico la mandò ancora più in confusione. Cosa aveva in mente?
Per quell’ultimo incontro, voleva che tutto andasse liscio e che i suoi dubbi amletici non rovinassero tutto un’altra volta. Per questo decise di affidarsi a delle mani esperte.
Alle quattro di sabato pomeriggio, ben tre ore prima dell’appuntamento, si presentò a casa sua Courtney, con un’enorme borsa strapiena di roba a tracollo. Gwen aveva seriamente paura di cosa potesse esserci all’interno.
La salutò a malapena, quando le aprì la porta, e si precipitò nella sua stanza. Quando la raggiunse, aveva già ispezionato tre quarti dell’armadio.
«Sei ancora qui?» le domandò l’amica senza smettere di frugare tra i suoi vestiti. «Vai a farti una doccia. E vedi di lavarti per bene i capelli, si vede l’unto da qui».
Stava per farle notare che l’aveva a malapena guardata in faccia, quando aggiunse: «Usa i prodotti che ho poggiato sulla scrivania».
Gwen non aveva mai visto tanti unguenti per il corpo in vita sua. Era sicura che almeno la metà di quelli era completamente inutile, tuttavia decise di fare come aveva ordinato. Dopotutto, voleva aiutarla.
Mezz’ora dopo, si ripresentò in camera, pulita e fresca come una rosa, e finalmente Courtney si degnò di guardarla.
«Finalmente profumi come una donna» constatò, squadrandola dalla testa ai piedi. «Vediamo se riusciamo anche a fartici somigliare».
Notò che tutti i suoi abiti erano sparsi sul letto, in due mucchi distinti: uno abnorme e uno minuscolo. Aveva già capito dove sarebbe andata a parare.
«Ho fatto una selezione» annunciò la castana, confermando i suoi peggiori sospetti. «Nel mucchio più grande ci sono gli abiti che probabilmente avrai comprato al mercatino sotto casa - altrimenti non capisco perché siano così orrendi -, mentre nel più piccolo quelli che sono vagamente consoni per un appuntamento».
Nell’udire quella frase, roteò nervosamente gli occhi.
«Grazie, Courtney» disse sarcasticamente. «Mi fai sempre sentire così apprezzata».
Evidentemente uno dei suoi hobby era quello di ricordarle, ogni qual volta ne avesse l’occasione, quanto fosse sciatta e fuori moda e di insultare, seppur velatamente e senza alcun tipo di cattiveria, i suoi gusti nel vestire.
«Non posso scegliere io cosa indossare?» azzardò, vedendola combinare abbinamenti con quei pochi capi che aveva salvato.
«Certo, se vuoi che Trent scappi a gambe levate» rispose, guardandola come se fosse un’ingenua.
Sapevano entrambe che Trent non sarebbe corso via, nemmeno se avesse indossato un sacco dell’immondizia, ma Gwen decise ugualmente di farle soddisfare le sue manie di primadonna.
Dopo varie prove e cambi, scelsero un semplicissimo outfit, che comprendeva un leggins nero e una maglia forse un pochino ampia.
Poi passarono alla fase trucco, durante la quale ripeterono fino alla nausea le regole stilate da Courtney, la stessa che l’aveva costretta ad impararle a memoria affinché tutto filasse liscio come l’olio. Inoltre, continuava a ripeterle un’unica parola fino alla nausea, affinché gliel’inculcasse nella mente: rilassati.
Facile a dirsi.
«Come va con… ehm, Josh?» le domandò Gwen, mentre recitava per la dodicesima volta tutte le regole.
«Bene» ribatté seccamente, facendole cenno di chiudere gli occhi.
«Hai già capito che nemmeno lui potrà rimpiazzare Duncan?» aggiunse con un risolino e, sebbene non potesse vederla, sapeva che aveva un’espressione sorpresa in volto.
La sentì sbuffare, mentre le tracciava due linee il più simili possibile con l’eyeliner.
Da un anno a quella parte, Courtney aveva cominciato ad avere dei flirt con svariati ragazzi, tutti della durata massima di qualche settimana. Gwen ne era certa, lo faceva solo per dimenticarsi di Duncan e di quello che provava per lui. Con scarsi risultati.
«Per la milionesima volta, Duncan ha smesso di piacermi secoli fa» sbottò con rabbia, e lei sapeva che stava mentendo spudoratamente. «I miei sentimenti verso Josh sono sinceri».
«Così come lo erano quelli per Adrian, o quelli per Lucas» la assecondò, ricordando due delle sue tresche. «E infatti si è visto com’è andata a finire».
Courtney la guardò accigliata, mentre le passava un filo d’ombretto sulle palpebre.
«Andiamo, quando ammetterai di provare ancora qualcosa per Duncan?» chiese con tono esasperato, ritornando alla carica.
«Qui chi non ammette di provare qualcosa per un certo ragazzo, sei tu, cara» ribatté con un sorrisetto, azzittendola.

Touché.
Come ultimo tocco, Courtney insistette per passarle la piastra, affinché il suo caschetto assumesse almeno per quella sera una forma ben definita.
Quando si guardò allo specchio, dovette ammettere che aveva fatto un lavoro magistrale: non era mai stata così curata e graziosa. Le doveva decisamente un favore.
Courtney era andata via da mezz’ora, quando Trent citofonò. Mezz’ora in cui non aveva fatto altro che ripetersi di stare tranquilla e rilassata.
«Ehi bellissima!» la salutò lui, vedendola uscire dal portone del palazzo.
Appariva molto più slanciato, poggiato contro la sua auto, e la camicia bianca sbottonata e i capelli neri scompigliati gli donavano un aspetto trasandato. Gwen cercò di in ogni modo di non fare pensieri poco consoni e casti su di lui.
Le allungò un mazzo di gigli e violette, i suoi fiori preferiti.
«Non ci credo che te ne sei ricordato» gli disse sorridendo, prendendo il mazzo.
«Sono sempre stato attento alle cose che mi interessano» rispose, scrollando le spalle.
Una parte di lei, a quell’affermazione, urlò di gioia, ma non lo diede a vedere. Una delle regole concordate con Courtney era, appunto, quella di apparire posata.
«Vogliamo andare?» domandò Trent, aprendole la portiera.
Salì a bordo, ma non prima di averlo ringraziato con un mormorio e un leggero cenno della testa.
Trascorsero il viaggio in perfetto silenzio e Gwen si azzardò a proferire parola solo quando, ormai, si trovavano da un po’ sulla superstrada.
«Ora mi è concesso sapere dove ci stiamo recando?»
La curiosità la stava divorando da quasi tre settimane.
«Assolutamente no» disse, continuando a guardare dritto davanti a sé e imboccando l’uscita che portava fuori città. «Però ci siamo quasi».
La radio passò un pezzo datato, ma sempre bellissimo. Il ragazzo alzò il volume.
«Adoro questa canzone» constatò estasiato.
Quegli ultimi minuti trascorsero con Trent che cantava a bassa voce, tamburellando con le dita sul volante, convinto che Gwen non lo sentisse. Ma lei lo aveva ascoltato dall’inizio alla fine e ne rimase ammaliata. Aveva dimenticato quanto fosse melodica la sua voce.
Parcheggiarono alla fine di una strada senza uscita, immersa dal verde; da lì avrebbero dovuto proseguire a piedi.
Trent si precipitò a svuotare il cofano, da cui tirò fuori un cestino da pic-nic e la custodia della sua chitarra.
«Ti serve una mano?» domandò lei, venendogli incontro.
«Non serve, ce la faccio da solo» disse convinto. «E poi, che razza di gentiluomo sarei, se facessi scomodare una donna al posto mio?»
Ancora una volta, si confermava un cavaliere.
Continuarono a camminare lungo quella strada fino a che, dietro a dei folti rami, apparve la superficie cristallina del Lago Ontario.
Una volta sulla spiaggia, Trent si tolse le scarpe; Gwen decise di non imitarlo, dal momento che detestava la sabbia fra le dita dei piedi. Non le era mai piaciuto andare al lago.
«Io vado a cercare dei ramoscelli per accendere un falò» annunciò il moro, poggiando tutto per terra. «Nel frattempo, potresti cominciare a stendere gli asciugamani?»
«Certo» annuì, guardandolo allontanarsi.
Sentì di nuovo le farfalle nello stomaco. Doveva decisamente controllarsi.
Tirò fuori dal cestino un grosso telo da mare e lo distese, tenendolo fermo con dei grossi sassi che aveva trovato poco più in là. Poi si era seduta con lo sguardo rivolto verso l’enorme distesa d’acqua.
Odiava quel posto d’estate, ma doveva ammettere che ad aprile era veramente magico. Tutta l’atmosfera che Trent stava cercando di creare era magica. E romantica. E decisamente perfetta.
Forse per la prima volta nella sua vita, si sentì fortunata: era in un luogo incantato con il ragazzo che amava e che più volte aveva dimostrato di tenerci a lei.
«Se hai finito di sognare ad occhi aperti,» la richiamò la voce del suo accompagnatore, «potresti aiutarmi ad accendere il falò».
Si voltò di scatto, come se fosse stata colta in flagrante a fare qualcosa di sbagliato o proibito. La sua espressione fece ridere di gusto il ragazzo.
«Sei sempre con la testa fra le nuvole» le fece notare, portando un braccio attorno alle sue spalle e avvicinandola a sé.
Gwen avrebbe voluto rimanere così per sempre.
«A cosa stavi pensando?»
«Niente» rispose sincera. «Solo che… è bello qui».
Accesero il fuoco in tempo record e si sistemarono sul telo. Erano di nuovo fin troppo vicini, notò Gwen con un leggero rossore sulle guance.
Recuperarono due lunghi bastoni e alla loro estremità conficcarono due marshmallow, che il ragazzo aveva tirato fuori dal cestino, e li abbrustolirono.
«Sembra di essere tornati a Wawanakwa» constatò lei, dando voce ai suoi pensieri - e probabilmente anche a quelli di lui.
«Già» confermò lui.
Ad entrambi era tornato alla mente quando, a termine di ogni cerimonia di eliminazione, i campeggiatori rimasti si riunivano attorno al fuoco e arrostivano il loro marshmallow, contenti di rimanere in gioco per un’altra settimana. E stranamente, sebbene in quel maledetto campo estivo ne avessero passate di tutti i colori, quell’atmosfera nostalgica non dispiacque a nessuno dei due.
A Trent non l’aveva mai detto, ma Gwen era arrivata a concordare che quel gesto avesse perso di ogni significato, non appena egli era stato eliminato.
Aprì la bocca, come per dire qualcosa, ma subito dopo decise di lasciar perdere. Non voleva rovinare quel momento.
La sera era ormai calata da un pezzo e i due giovani stavano mangiando dei panini, rivolti verso il lago scuro, mentre discutevano di costellazioni e di come le abilità culinarie di Trent fossero notevolmente migliorate, da quando viveva da solo.
Nel frattempo, il ragazzo aveva fatto scivolare la sua mano sul fianco di lei, e Gwen lo lasciò fare, mentre il suo cuore batteva all’impazzata.
Stavano entrambi così bene.
«Ho un’idea per rievocare ancora di più i vecchi tempi» disse il moro ad un certo punto.
Si allungò verso la custodia, che aveva abbandonato in un angolino, e tirò fuori la sua amata chitarra acustica, consumata e piena di adesivi. La imbracciò e Gwen si sistemò davanti a lui.
Subito le ritornò alla mente quando, nascosta dietro un grosso albero, si divertiva ad ascoltarlo strimpellare lo strumento, seduto sui gradini della casetta delle Marmotte Urlanti. Neanche questo gli aveva mai rivelato.
Effettivamente, pensò, c’erano un po’ di cose su cui aveva taciuto.
«Voglio proporti un brano edito, ma più che adatto per una serata nostalgica come questa» annunciò con finto tono solenne, che la fece sorridere. «Spero ti piaccia».
Cominciò a suonare degli accordi familiari e subito la riconobbe: era la canzone che aveva portato al talent show, la primissima che le aveva dedicato.
E quando fece sfoggio della sua voce da angelo, si sentì improvvisamente in estasi. Era tutto perfetto.
Lo ascoltava con aria sognante, più innamorata che mai, e lui la guardava come se fosse la cosa più preziosa al mondo.

Se questo è davvero il paradiso, pensò Gwen, voglio rimanerci per sempre.
Quando finì nessuno osò rompere il silenzio, non un applauso o una parola. Si limitarono a fissarsi intensamente e, senza rendersene conto, si stavano avvicinando sempre di più. Ben presto le loro labbra distavano pochi centimetri.
Un tuono rumoroso, subito dopo la pioggia scrosciante. Furono investiti da una tempesta improvvisa.
Scattarono in piedi e sgomberarono tutto il più velocemente possibile. In quei secondi, Gwen inventò imprecazioni una più creativa dell’altra.
Corsero in direzione della macchina, attraversando la spiaggia alla velocità della luce, e vi si catapultarono dentro. Erano al riparo.
Trent cominciò a ridacchiare sempre più forte, senza apparente motivo. La ragazza lo guardò stranita, ma non riuscì a trattenersi: si aggregò alla sua risata.
«Riusciremo mai ad avere un appuntamento decente?» domandò lui divertito, quando si ricompose.
«Direi proprio di no» rispose con un enorme sorriso, scuotendo la testa.
Si accasciò sul suo sedile e guardò Trent, che cercava di trattenere una nuova ondata di risatine. Prima che potesse rendersene conto, le parole cominciarono ad uscire di bocca senza che potesse fermarle.
«Non ti ho mai chiesto scusa per quello che è successo in Azione» cominciò, facendolo ammutolire di colpo. «È stato scorretto da parte mia, tremendamente scorretto. Non volevo che finisse così».
Dal tono di voce si poteva comprendere che fosse davvero mortificata.
«Non devi scusarti» la fermò lui. «In fondo, è colpa mia. Sono io che ho cominciato a fare il pazzo. Tu hai solo-»
«Non osare colpevolizzarti!» quasi urlò lei, sovrastando la sua voce. Nel mente si era sporta fin troppo in sua direzione e aveva poggiato le mani sul suo petto.
Si ritirò di scatto, e sentì le guance andarle a fuoco.
«Tu sei stato adorabile nei miei confronti» riprese, evitando accuratamente di incrociare quegli occhi verdi. «Dolce, premuroso… forse fin troppo appiccicoso» e qui fu interrotta da un grugnito di Trent - forse una risata isterica soffocata -, «Ma hai dimostrato di tenerci moltissimo a me. E io, per dimostrarti la mia riconoscenza, ti ho fatta eliminare. Non meritavo le tue attenzioni, non le ho mai meritate. Scusami».
Quell’ultima parola, quasi mormorata, rimase sospesa nell’aria.
«È successo secoli fa» concluse il ragazzo, ancora colpito da quelle parole. «Non parliamone più».

E non ne parlarono più.
Poggiò la mano destra sulla sua coscia sinistra. A quel tocco, lei ritrovò il coraggio di guardarlo in faccia. Quelle iridi la scrutavano con aria dolce, non si era mai sentita così apprezzata ed amata.
Il suo cervello era in tilt e il cuore minacciava di uscirle dal petto, tanto che batteva.
Quando fece correre l’altra mano sulla sua guancia e avvicinò il volto al suo, il suo colorito era ormai bordeaux. Si sentiva morire.
«Hai intenzione di scappare?» chiese lui a bassa voce, scherzando. «Oppure vuoi lanciarmi qualcosa addosso? Sì,» si sbrigò a chiarire, quando il volto di lei assunse un’espressione sorpresa - come quella di qualcuno che viene beccato in flagrante ad infrangere delle regole -, «lo so che l’hai fatto di proposito, a sporcarmi la maglietta con il gelato. È stato piuttosto patetico da parte tua».
«Eppure ha funzionato» ribatté con un sorriso di scherno dipinto in volto.
«Stavolta non ti salverà niente» la avvisò. «Non ti lascerò fuggire».
E allora Gwen agì di impulso, facendo qualcosa che non avrebbe mai avuto il coraggio di fare: prese saldamente il viso di Trent fra le mani e si fiondò sulle sue labbra, come se fosse la cosa più naturale che avesse mai fatto.
Non ci mise niente a ricambiare quel bacio. Subito la sua lingua andò alla ricerca di quella della compagna e insieme cominciarono ad intrecciarsi e a danzare nelle loro bocche.
Gwen aveva dimenticato quanto i suoi baci la facessero impazzire.
Si staccò per riprendere fiato e lo guardò divertita: era rimasto piuttosto spiazzato da quel gesto.
«Chi ti dice che io voglia scappare?» chiese beffarda, tra un respiro e un altro.
Le sorrise di rimando, prima di tornare a concentrarsi sulla sua bocca, adornata come sempre da un rossetto scuro.
E si baciarono ancora e ancora, prima con delicatezza e poi sempre più avidamente. Ad ogni contatto, sentivano una scarica elettrica lungo la spina dorsale.
Erano stati lontani troppo a lungo, dovevano recuperare tutto il tempo perso.
E per un po’ non si sentirono altro che lo scoccare delle loro labbra e l’infrangersi delle gocce d’acqua contro i finestrini dell’auto.

 

 

 

 

 

Note
(1)
Riferimento al sesto capitolo de «La Storia Inversa ~ Ovvero, come distruggersi il sette giorni».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Angolo dell’autrice
Da quanto tempo non scrivevo su questo ? Troppo.
Mi siete mancati, inutile dirlo.
questa one shot è stato facile, le parole uscivano da sole. È come se sapessi da sempre che storia raccontare. L’ho scritta gran parte a mano - quattordici pagine! - e poi l’ho battuta al computer. Non mi era mai successo di essere così ispirata.
Beh, sono abbastanza soddisfatta del risultato ottenuto.
È da tanto che volevo qualcosa sui Gwent, ma non sapevo cosa. Poi mi è venuta in mente questa missing moment. La Storia Inversa è probabilmente la mia più grande fonte di ispirazione.
Cosa che avrete notato è il costante ripetersi di situazioni e azioni. È tutto voluto - anche se all’inizio non l’avevo minimamente progettato. Però mi piace.
Spero di non essere caduta nell’OOC e di non aver reso Gwen un essere perennemente imbarazzato e a disagio. E spero anche che la storia non vi abbia annoiati a causa della sua lunghezza.
Non so quando tornerò, al momento non ho progetti in mente. Sappiate solo che tornerò - l’annuncio di una nuova stagione mi ha caricata come non mai. Un'ultima cosa: ho notato che il primo capitolo della seconda parte de "La Storia Inversa" ha avuto più di mille visite e il primo capitolo della prima parte è a quasi duemila. Che posso dirvi? Grazie mille!
Se siete arrivati fin qui, vi mando un enorme abbraccio. Ci vediamo!

Hayle xx

  
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