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Autore: Snow_Elk    14/05/2017    1 recensioni
L'amore. Un sentimento profondo, capriccioso, instabile. Un'emozione oscura, qualcosa che tutti cerchiamo. Anche Alan, uno studente universitario, lo sa bene. Pensava di averlo finalmente trovato, ma si sbagliava, tutto ciò a cui teneva è svanito, l'ennesima relazione "andata a puttane" come direbbe Phil, il suo coinquilino. Eppure, mesi dopo, Alan è ancora tormentato da strane visioni, da ricordi vividi e da lei, da quella stessa ragazza a cui aveva dato il proprio cuore. Perché l'amore può trasformarsi in odio, l'odio in consapevolezza e quest'ultima ci aiuta a crescere, a capire. Perché anche se un cuore è andato in frantumi può ancora battere, riecheggiando nel silenzio.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Fragments of a Silent Heart



Frammento I - Fuori Piove


Fuori piove. Continua da ore ormai, non riesco a capire se è notte o giorno, non che me ne freghi più di tanto.
Mi giro dall’altra parte, perché il cuscino è così scomodo?
Ho un terribile mal di testa, devo aver bevuto troppo ieri sera. Di nuovo.
Non so neanche come sono riuscito ad arrivare nel letto, ma una cosa me la ricordo: l’ho vista, l’ho vista di nuovo, ma era veramente lei?
Cerco di ricordare, ma è tutto confuso, non avevo detto che avrei smesso con l’alcool? Stronzate, riesco ancora a sentirne il sapore in bocca, è amaro, come se lo avessi appena bevuto. Quanti bicchieri? Non so, non ha importanza.
La sveglia suona, riconosco la canzone, si perde nelle ombre della camera.
Fuori continua a piovere, cerco il cellulare con la mano, lo colpisco, cade a terra e il suono della sveglia scompare nel nulla, inghiottito dal silenzio. Fanculo.
Non ricordavo di aver messo la sveglia, non ricordo nemmeno che giorno è. Iniziamo bene.
Apro gli occhi, sento il tintinnio delle gocce contro la finestra: la stanza è immersa nella penombra, la luce entra timida dal vetro, superando la tenda, perdendosi nei vestiti buttati a terra, nel caos che c’è sulla scrivania. Tra le pieghe delle coperte. E’ mattina.
Dov’è Phil? Il suo letto è in ordine, la scrivania è vuota, probabilmente non è ancora tornato, credo.
“Era davvero lei?” Non capisco perché continuo a chiedermelo, non posso rispondere. Non conosco la risposta. E poi che cosa cambierebbe?
Mi tiro giù dal letto, ho bisogno di un’aspirina, e l’intera camera sembra girare intorno a me, ma non mi importa.
La cerco nel cassetto, eccola, prendo la bottiglia dell’acqua abbandonata sul comodino accanto ai libri da leggere: la lascio sciogliere direttamente nella bottiglia, sento lo sfrigolio della pillola, è fastidioso. Non ricordavo che avesse un sapore così orribile, ma è sempre meglio dell’alcool. Devo assolutamente prepararmi o farò di nuovo tardi a lezione. Che giorno è? Mercoledì?
Qualcuno bussa alla porta della camera, è chiusa. Perché l’ho chiusa?
- Ehi, Alan. Alan! Avanti, lo so che sei sveglio, ti ho sentito! – è Phil, non pensavo sarebbe tornato così presto.
- Arrivo! – gli urlo, per farmi sentire, prima che ricominci a bussare.
Mi avvicino barcollando alla porta, l’aspirina non ha ancora fatto effetto, giro la chiave nella serratura, la maniglia si abbassa e lui entra: i suoi occhi chiari mi squadrano come se fosse la prima volta che mi vede. È sempre stato così biondo?
- Cazzo! Post sbornia, eh? -  sorride beffardo mentre trascina il trolley blu in camera.
- Già, devo aver esagerato ieri sera – gli rispondo, lasciandomi andare sulla sedia accanto sulla scrivania. La testa continua a girare, ho bisogno ancora di qualche minuto.
- Quante volte ti ho detto che non devi bere senza di me? Finisci sempre così – continua a sorridere, sembra che ci prenda gusto a vedermi ridotto in questo stato. Philip è il mio compagno di stanza, il mio coinquilino, ma ormai è diventato un vero e proprio amico, qualcuno con cui chiacchierare la sera tardi finché il bicchiere di vino non è vuoto.
- Sì mamma – cerco di ironizzare, ma non con il tono che vorrei. Phil scoppia a ridere, abbandonando il trolley accanto al letto e voltandosi verso di me. Vedo i miei occhi castani riflettersi nei suoi.
- Sei messo davvero male – dice, annuendo alla sua stessa osservazione.
- Dici? – gli chiedo, conoscendo già la risposta.
- Già, dovresti darti una sistemata. Hai lezione? – ha smesso di fissarmi, si è poggiato sul bordo della scrivania, guarda fuori dalla finestra. Dal giubbotto nero scivolano alcune gocce d’acqua.
- Credo di sì – mi basterebbe guardare il piccolo foglio attaccato al muro per averne conferma, ma non ne ho voglia, osservo la pioggia. Mi rilassa.
- Di certo non puoi andarci con quella faccia, vado a preparare il caffè – mi dà una pacca sulla spalla e si dirige in cucina, canticchiando un motivetto familiare.
Ha ragione, dovrei proprio darmi una sistemata.
Una doccia veloce, jeans e t-shirt, i capelli neri lasciati umidi, non ho voglia di stare davanti allo specchio col phon. Prendo una felpa grigia, fa più freddo di quanto immaginavo.
Phil è ancora in cucina a canticchiare, un giorno capirò come fa ad essere così euforico la mattina, io mi sento ancora uno zombie.
La stanza è illuminata nonostante la pioggia e stranamente in ordine: non c’è nulla sul tavolo, le sedie sono tutte in ordine e il lavello è vuoto. Ieri sera devo aver puntato direttamente alla camera da letto senza fare danni. Guardo oltre il piccolo muro che divide la cucina dal soggiorno, anche lì sembra tutto normale. Meglio così.
L’aspirina ha fatto effetto, la doccia mi ha rimesso al mondo e il caffè bollente farà il resto.
- Oh bene, adesso ti riconosco! – esclama, alzando i pollici in segno di approvazione.
- Sei un’idiota – sibilo, sedendomi al tavolo, l’aroma del caffè sta invadendo l’intera stanza. Mi è sempre piaciuto, trasmette tranquillità. Prendo una delle tazzine ferme accanto alla moka.
- Mai quanto te, è la terza volta che fai questa fine in due settimane – sa sempre dove colpire: incasso il colpo e inizio a sorseggiare il caffè.
Finalmente il sapore dell’alcool è svanito. Rimango in silenzio, sinceramente non so cosa dire.
- Si può sapere che hai? Sembra che ti ha investito un tir – non sono mai stato bravo a nascondere le cose, tanto quanto Phil è bravo a scoprirle.
- L’ho vista, di nuovo – poggio la tazzina vuoto sul tavolo e lo guardo negli occhi – Ieri sera, vicino al pub sul lungofiume – Phil mi fissa perplesso.
- Ancora? Quanto tempo è passato da… beh… da quando è finita? –
- Tre mesi o giù di lì – in realtà mi sembra sia passata una vita. Dicono che ognuno ha la sua concezione del tempo. Io non ho ancora trovato la mia.
- Avete parlato? – Phil sfila una sigaretta dal pacchetto che tiene sempre nella tasca dei pantaloni e me ne allunga un’altra.
- No, non hai capito, mi è successa di nuovo… quella cosa – afferro la sigaretta, la accendo non appena mi passa lo “zippo” e faccio un lungo tiro: il sapore aspro del tabacco si mescola a quello aromatizzato del caffè. Espiro, la nuvoletta di fumo si perde nell’aria, nel tintinnio della pioggia.
- Sei serio? Ancora? – Phil espira lentamente, osserva il fumo e ticchetta sul filtro della sigaretta: lo fa sempre quando è pensieroso.
- Ti sembra che abbia voglia di scherzare? – faccio un altro tiro – Ero lì con alcuni colleghi a bere, niente di particolare, poi l’ho vista passare fuori, di sfuggita, mi sono precipitato all’uscita. Era vicino al lungo fiume e c’era qualcun altro con lei… -
- Chi? – Phil sembra molto preso dal mio racconto, la sigaretta gli si sta consumando tra le dita. Vado avanti.
- Io -
- Cosa?! Aspetta, era così anche le altre volte? – lascia cadere la cenere nella tazzina ormai vuota e riprende a fumare.
- Sì, mi sono ritrovato a rivivere uno dei tanti momenti che avevamo passato insieme, ma da spettatore. Che cazzo mi sta succedendo, Phil? – spero davvero che possa darmi una risposta, non voglio pensare che sto impazzendo. Era tutto così reale.
- Non lo so, nessuno oltre a te ha visto tutto ciò? -  scuoto la testa, Phil torna a ticchettare il filtro più pensieroso di prima.
- È strano, molto strano, ma c’è sempre una spiegazione, anche a questo genere di cose, ne sono sicuro – non riesco a capire se sta parlando con me o con sé stesso. Rimango in silenzio, ad ascoltare la pioggia. Guardo l’orologio appeso al muro: le 7.42, ho ancora tempo.
- Penso che tu debba parlare con lei – mi guarda, spegne la sigaretta nella tazzina e continua a fissarmi.
- E questo dovrebbe risolvere la cosa? –
- Non saprei, ma è comunque un inizio, no? -  mentre lo dice si alza, continua a parlare tra sé e punta alla camera, lasciandomi da solo.
Parlare con lei. Sono mesi che non parliamo, da quel giorno. Forse Phil ha ragione: quelle visioni continueranno finché non parlerò con lei. Mi accendo un’altra sigaretta e mi avvicino alla finestra, pensando a quelle scene, ai miei ricordi. Fuori piove.

 
   
 
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