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Autore: Nina Ninetta    15/05/2017    2 recensioni
Yumiko ed Eri, due donne, una trentenne e una quindicenne, una madre e una figlia, catapultate dall’altra parte del Mondo, costrette a ricominciare tutto d’accapo, a confrontarsi con una cultura completamente diversa, lontane anni luce dal loro Paese d’origine: il Giappone. Ma Yumiko quel nuovo Paese lo conosce già in un certo senso, ha imparato a conoscerlo attraverso i racconti del padre di Eri.
N.B. Il titolo è tratto dalla canzone di Malika Ayane “E se poi” così come i titoli di ogni capitolo saranno presi da frasi del medesimo testo.
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 13
Tu non puoi far finta che niente sia cambiato


 
Il dottore che era di turno quella notte alla guardia medica della capitale la guardò da sopra gli occhiali dalla montatura spessa e dall’improbabile colore verde pisello. Parlava biascicando le parole e sebbene Yumiko parlasse lo spagnolo da ormai diversi anni, dovette chiedergli di ripetere lentamente quello che le stava dicendo. Successivamente, guidando verso casa con Ricardo mezzo addormentato sul seggiolino del passeggero, avrebbe capito il motivo principale per cui aveva faticato a comprendere il medico: usava un linguaggio prettamente inerente alla sua occupazione. In quel momento le stava dicendo:
 «Il paziente deve seguire» raramente i dottori usano altri tempi verbali al di fuori dell’imperativo «una terapia che prevede l’assunzione di un analgesico tre volte al giorno per tre dì» ed era stato allora che Yumiko l’aveva interrotto titubante, chiedendogli umilmente si spiegarle meglio:
«Sa, sono giapponese e …»
«Tre pillole al giorno per tre giorni» aveva tagliato corto lui, ma era stato comunque molto gentile a porle il vasetto delle medicine, in modo che non avesse dovuto cercare una farmacia aperta a quell’ora e rischiare di fare l’alba, senza dimenticare che sua figlia era a casa da sola. Ricardo Salas era arrivato dalla saletta di fianco con il muso imbronciato e un naso grosso così. Alla donna ancora faceva male la mano per quanto gliel’aveva stritolata poco prima, ma non poteva fargliene una colpa, nossignore! Tutto sommato era anche un po’ per causa sua se si trovavano in quella situazione …
 
Dopo essersi salutati negli spogliatoi, Yumiko aveva raggiunto la sua Toyota Yaris al parcheggio: era l’ultima macchina, esclusa quella di Oscar ferma a parecchi metri più in là. La giapponese aveva sistemato la sua borsa sui sedili posteriori, canticchiava e la cosa la divertì non poco, in attesa dell’arrivo di Ricardo, il quale le aveva chiesto di attenderlo proprio lì. L’avrebbe raggiunta nel giro di qualche minuto, Yumiko pensò di accendersi una sigaretta prendendola dal pacchetto di scorta che teneva nel cruscotto dell’auto. Se la portò alle labbra e avvicinò la fiamma dell’accendino, ma questa si spense con un soffio che arrivò dalle sue spalle. La donna sorrise, mentre si sentiva abbracciare e un viso farsi strada oltre la sua spalla per baciarle la guancia e prenderla per il mento, sfiorandole le labbra. Solo allora Yumiko si accorse che non era chi pensava che fosse, bensì Antonio. Lo allontanò con una spinta e lui indietreggiò sogghignando e beffeggiandola, domandandole come mai quest’altro socio del night non le garbava. Lei rispose semplicemente di lasciarla stare, imbarazzata per quello che era accaduto e per lo spettacolo a cui aveva assistito pocanzi affacciandosi nello spogliatoio. Gli diede le spalle, con la scusa di riporre la sigaretta dove l’aveva trovata, ma fu la mossa più sbagliata che potesse fare, soprattutto per una nativa del Paese del Karate: mai dare le spalle all’avversario. Lui le fu nuovamente addosso, sbattendola contro la carrozzeria della macchina, le strizzò uno dei seni:
«Uh bambolina, sei messa male qui!» Disse pizzicandole pure l’altro seno, il suo alito sapeva di alcool e aveva decisamente bisogno di una doccia.
Yumiko si sarebbe liberata di lui in due mosse e forse sarebbe stato molto meglio,  tuttavia se lo sentì tirato via con forza e voltandosi indietro vide la schiena di Salas che stava già con il pugno a mezz’aria. Non fece in tempo a fermarlo che si era già fiondato su Antonio, il quale ricevette il colpo e capitolò sul cemento del parcheggio.
 
Per un momento tutto si arrestò, in lontananza si udì l’abbaiare di un cane e le sirene di un’ambulanza. Ricardo non aggiunse una sola parola al pugno, si limitò a fissare il socio con rancore e se non gli sputò addosso fu solo perché non voleva che Yumiko pensasse che non fosse in grado di contenere la sua rabbia. Si girò a guardarla e le posò un bacio sulla fronte, prendendole il volto fra le mani, quindi le chiese se stesse bene. Lei rispose di si, grazie. Salas sorrise, prima o poi avrebbe imparato a finire una frase senza ringraziarlo? Sicuramente.
«Mi dai uno strappo a casa?» Solo in quel momento Yumiko notò che aveva con sé la borsa della lavanderia addetta al lavaggio degli abiti dei dipendenti, lui se ne accorse e spiegò. «Non sono molto bravo a fare il bucato, così ho una specie di abbonamento con la titolare della lavanderia che era buona amica di mio pad-»
Antonio arrivò da dietro, chiuse la mano sulla curva del capo di Ricardo e lo spinse contro la macchina, rompendogli il naso. Il dolore fu così lancinante che gli si appannò la vista e se non cadde ginocchioni fu solo grazie al supporto di Yumiko e alla Toyota contro cui si puntellò. Oscar arrivò di corsa e con il fiatone, era tornato il bellissimo ragazzo che faceva voltare anche le ragazzine per strada, senza piume sfavillanti e vestiti luccicanti. In un attimo fu al fianco del suo grande amico Ricardo, aiutandolo a tamponare il sangue con dei fazzoletti. Antonio intanto aveva assunto la posizione d’attacco, con i pugni chiusi e alti davanti al viso, mimò un incontro di boxe, saltellando sulle punte dei piedi. Oscar lo fulminò con gli occhi:
«Ti sei rincoglionito?!» Ringhiò, mentre in sottofondo si udiva la voce impastata di Ricardo che lo insultava in tutti i modi possibili.
«Stai zitto frocio!» Esclamò Antonio rivolto ad Oscar, il quale era abituato ad essere preso in giro, in un certo senso da quel punto di vista il peggio era passato, ma continuava a sentirsi a disagio quando episodi del genere capitavano davanti ad altre persone. Era totalmente preso da quei pensieri che quasi finì con il culo a terra quando Ricardo lo allontanò da sé per lanciarsi nuovamente contro Antonio, pronunciando tante di quelle ingiurie che Yumiko neanche conosceva. Il sangue era scuro e denso e gli aveva oramai inzuppato il davanti della maglia e qualche goccia era finita anche sui jeans. Per fortuna Oscar fu lesto a trattenerlo e probabilmente Antonio li avrebbe colpiti entrambi se Yumiko non gli avesse afferrato il polso. La guardò stupito, non si era aspettato un’uscita del genere – e come avrebbe potuto – ma anche le espressioni di Ricardo e Oscar erano alquanto sbalordite e lo divennero ancor di più quando la donna piegò il polso di Antonio in modo innaturale, obbligandolo a girarsi di spalle o glielo avrebbe spezzato. Lo tenne con il braccio piegato all’indietro facendo sempre più leva, fino a costringerlo a piegarsi sulle ginocchia. La supplicò di lasciarlo andare, di smetterla che gli stava facendo male, che aveva capito la lezione, ti prego, ti prego, ti prego!
«E hai il coraggio di chiamare gli altri froci. Guardati: piagnucoli come una femminuccia e della peggiore specie.» Yumiko lo fece alzare con uno strattone, poi lo lasciò libero con una spinta. Antonio barcollò per qualche metro, mentre si massaggiava il polso e il braccio, si girò indietro solo una volta, meditò sul da farsi e decise che era meglio non far arrabbiare quella tizia con gli occhi troppo lunghi e troppo sottili. Che poi a guardarla bene non era neanche quella grande bellezza, cosa ci aveva trovato in lei il socio Salas rimaneva un mistero che, se all’inizio aveva pensato di svelare, ora gli era passata la voglia!
Yumiko lo accompagnò con lo sguardo fino a vederlo sparire oltre la porta di servizio del night club, aveva sbagliato una volta a dargli le spalle (anzi due, contando anche l’assalto a Ricardo) e non avrebbe ripetuto ancora quella leggerezza.
I due ragazzi alle sue spalle avevano seguito la scena senza fiatare e con la bocca aperta, troppo intontiti per pensare che erano stati difesi da una donna in miniatura. Questa si girò, preoccupata per la botta che aveva ricevuto Salas, ma notando la loro espressione stranita avvampò:
«Da ragazzina mio padre mi insegnò qualche mossa di karate, ne era maestro, a Tokio aveva un dojo, cioè l’equivalente di quella che voi chiamate palestra, con la differenza che...»
«Sono sicuro che è davvero molto interessante tesoro, ma l’eroe qui ha bisogno di un dottore.» La interruppe Oscar
«Io invece l’ascolterei per ore» biascicò Ricardo e Oscar alzò gli occhi al cielo sospirando, quei due non avevano ascoltato il suo consiglio di lasciarsi perdere a vicenda, non si rendevano conto di quanto fossero diversi?!
«Gomena-sai» ecco che Yumiko riprendeva con le scuse nella sua lingua madre, aiutando Oscar a mettere Salas in macchina, poi lo guardò. «Tu non vieni?»
«No, scricciolo, ho un appuntamento. Sono sicuro che con te è in buone mani» e le fece l’occhiolino, la ragazza rimase impalata qualche secondo, senza muoversi, incapace di pensare. «Ehi, tesoro, tranquilla, devi solo accompagnarlo dal dottore.»
 
Yumiko l’aveva portato dal dottore e aveva esaudito il suo desiderio di tenerlo per mano mentre gli aggiustavano il naso con una botta secca e rapida. Salas non aveva urlato, in cambio le aveva stritolato le dita incrociate alle sue e gli occhi gli si erano riempiti di lacrime. Successivamente le avrebbe confessato che aveva provato anche più dolore di quando Cassano l’aveva scaraventato contro l’auto.
«Non credo di stare molto simpatico alla tua macchina.» Disse durante il tragitto di ritorno verso casa «É la seconda volta che ci vado a sbattere contro» e sorrise con lei, sentendo una fitta di dolore corrergli per la faccia, così smise subito. Erano andati via dall’ambulatorio medico da poco, Yumiko gli porse la boccetta con le pillole, dicendogli che ne avrebbe dovute prendere tre al giorno per tre giorni, a intervalli regolari e che poteva già cominciare. Con la coda dell’occhio lo vide indugiare con due compresse nel palmo della mano e quasi le venne un colpo quando se le portò entrambe alla bocca, ingerendole. Per poco non fu tentata di tornare indietro e far presente al medico dell’accaduto, d’istinto accostò al marciapiedi e Ricardo si giustificò affermando che il dolore era troppo forte da sostenere. Lei neanche rispose, gli strappò di mano il contenitore di plastica bianca e accese la luce all’interno dell’abitacolo, leggendo attentamente il foglio illustrativo e in particolare la parte dove elencava gli effetti indesiderati in caso di eccessiva assunzione. Niente di preoccupante, al massimo avrebbe dormito qualche ora in più o sofferto di dissenteria. Spense la luce, lo guardò male e ritornò in strada, prossima fermata davanti casa del passeggero, il quale era profondamente addormentato quando la raggiunsero. Yumiko lo scosse per la spalla, ma lui non fece altro che accasciarsi con il peso del corpo a ridosso dello sportello, il capo ficcato contro ii finestrino. Era tardi, o molto presto, dipende dai punti di vista, era stanca e il pensiero di Eri da sola a casa non l’aveva abbandonata neanche dal dottore, così riavviò il motore dell’auto e decise che per quella notte il suo letto avrebbe avuto un ospite che non fosse lei.
 
Yumiko parcheggiò al posto che le era stato riservato nell’ultima riunione condominiale, per fortuna a soli quattro passi dal portone d’ingresso rispetto a quello precedente. Scosse Salas con maggior forza e questi mugolò, ma Yumiko non si arrese, aveva bisogno che per lo meno si mettesse in piedi, non poteva di certo prenderlo in braccio come un bambino, né tantomeno lasciarlo in macchina. Gli parlò direttamente all’orecchio, descrivendogli velocemente la situazione in cui si trovavano, lui sollevò le palpebre appena un pochino e le carezzò il viso. Yumiko raccolse la sua mano nella propria, baciandone il centro del palmo:
«Spero di ricordare tutto quanto domani» disse lui, la voce era ridotta ad un sussurro, era evidente che era sotto sedativo, allora la ragazza gli baciò le labbra con un sorrisetto
«Io invece spero che questo lo dimenticherai» affermò baciandolo con maggior trasporto, lui ricambiò per quanto la sua condizione gli concedeva. Quando si separarono Salas le rivolse una domanda strana:
«Hai carta e penna?» Yumiko fu incuriosita e glieli porse entrambi, allora lui scrisse con una grafia ballerina e stretta
 
dormo – bacio – bello
 
«Così domani me lo ricorderò» e si ficcò il biglietto nella tasca anteriore dei pantaloni di jeans.
La giapponese lo aiutò sorreggendolo per il braccio, se qualcuno li avesse visti avrebbe pensato che il ragazzo fosse ubriaco fradicio e lei pregò lungo tutto il tragitto che nessuno li scorgesse o non avrebbero smesso di spettegolare tanto presto. Quando Ricardo si sedette sul letto matrimoniale nella stanza personale della donna in pratica stava già dormendo. Yumiko gli tirò via le scarpe, lo liberò del giubbino e muovendogli prima il braccio destro, poi il sinistro, riuscì a sfilargli anche la maglia, facendo attenzione a non toccare il naso indolenzito. Lo sdraiò sul letto, la testa adagiata sul morbido cuscino, prima di rimboccargli le coperte decise che era meglio togliere anche la cintura con la placca in metallo, avrebbe potuto infastidirlo durante la dormita. Piegò la maglia sulla poltroncina di fianco al letto, arrotolò la cintura e gliela poggiò sopra, appese il giubbotto alla spalliera e sistemò le scarpe ai piedi della stessa poltrona.
Come un lampo l’idea di coricarsi al suo canto le balenò nella mente, ma la scacciò immediatamente, vergognandosene di averlo solo pensato. Chiuse la porta della stanza, si affacciò in quella di Eri e sentendo il suo respiro regolare un nuovo senso di pace l’avvolse e la tranquillizzò. Rapidamente tornò in macchina a recuperare il proprio borsone e anche quello di Ricardo, dove probabilmente teneva i panni puliti. Rientrata in casa si rese conto di non avere neanche la forza di spogliarsi o struccarsi, così si sdraiò sul divano tirandosi la coperta fin sotto il mento. Chiuse gli occhi e si addormentò all’istante.
L’orologio alla parete segnava le 5.30. 

  
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