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Autore: Machaira    16/05/2017    2 recensioni
Dal secondo capitolo.
Rick si allungò, prese il fascicolo e cominciò a leggerlo. A Daryl bastò un'occhiata per riconoscere la foto di quel ragazzo con i capelli corti biondo cenere, le spalle larghe e la canottiera bianca.
“Che cazzo ci fai con quello?” chiese irruento.
“È il tuo fascicolo.” rispose imperturbabile l'uomo dall'altra parte della scrivania, senza alzare gli occhi.
[…] “Che cosa volete?” chiese secco.
“Lavora per noi.” rispose risoluto Rick.
(sempre) dal secondo capitolo.
Eugene si alzò in piedi, si portò le mani rigide lungo i fianchi e lo guardò. “A settembre comincia il periodo di praticantato degli stagisti e ne è stato assegnato uno anche al nostro distretto. Stavo aspettando che qualcuno, uno qualunque di voi, facesse un passo falso per scegliere a chi scaricare quella zavorra. Hai vinto.”
Rick rimase allibito e per un momento non riuscì a dire nulla. […] Con le spalle al muro si arrese all'idea che la sua sorte fosse già decisa. “Si sa chi è?”
“La figlia minore del Generale Greene, Beth.”
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon, Michonne, Rick Grimes, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 12
 
Si avvicinarono all'ingresso e diedero i biglietti a un uomo che, dopo avere strappato una striscetta lungo la linea tratteggiata ed avergli augurato buon divertimento, li salutò lasciandoli passare. Si trovarono sotto un piccolo portico tutto buio; l'unica fonte di luce proveniva da oltre i teli di plastica trasparente a pochi passi da loro. Nonostante non vedessero quasi niente, sentì lo sguardo della ragazza accanto a sé indugiare su di lui; automaticamente si girò a sua volta e dopo pochi istanti si diressero entrambi verso l'entrata vera e propria.
 
Con un braccio scostò un telo, creando un varco oltre il quale Beth si intrufolò subito; passò anche lui e la trovò ferma in cima alla scalinata che conduceva al padiglione; in poche falcate le si accostò e rimase ad osservarla mentre lei non aveva occhi che per quello che era di fronte a loro. Sotto un enorme spazio coperto c'erano un mare di bancarelle, ognuna decorata con una fila di lucine intermittenti. Ovunque c'erano cartelloni, manifesti e gente travestita in linea con il tema del suo stand. Dall'alto del loro posto potevano vedere tutto nell'insieme e quella miriade di puntini colorati che schizzavano di qua e di là senza sosta sembravano dare vita alla tavolozza di un pittore. Nell'aria si mischiavano i profumi più diversi: salsiccia bruciacchiata, zucchero filato, olio per friggere, paste calde e focaccine. Paradossalmente, nonostante fossero odori così diversi tra loro, non davano fastidio. Beth non aveva dato segno di volersi muovere; probabilmente sarebbe rimasta lì anche tutta la sera se avesse potuto, però restare lì impalato lo innervosiva.
 
“Andiamo?” e senza aspettare una risposta cominciò a scendere le scale. Lei lo raggiunse qualche secondo dopo e cominciarono a camminare tra bancarelle, senza sapere bene cosa fare. Almeno, lui non ne aveva idea. A dirla tutta non sapeva nemmeno come si era convinto ad accompagnarla davvero. Durante quella settimana aveva cercato di trovare una scusa per disdire ma ogni volta che si accennava l'argomento, Rick faceva terra bruciata attorno a lui e senza accorgersene si ritrovava a parlare col muro. Era riuscito a bloccarlo solo la sera prima, ma a quel punto l'agente aveva detto che non la poteva lasciare con così poco preavviso e dato che aveva preso un impegno era suo compito onorarlo. Alla fine si era fatto coraggio pensando che prima sarebbero andati, prima sarebbero tornati ognuno a casa propria.
 
Dopo qualche minuto, a Daryl cadde l'occhio su uno stand poco distante a cui si stavano dirigendo un ragazzo e una ragazza per mano. Il banco era rosa confetto, sovrastato da una tettoia rosa acceso su cui campeggiava l'insegna “Due cuori e una tazza”. Oltre allo stand poteva intravvedere una piccola pista su cui erano fissate una decina di tazze formato gigante che ruotavano lentamente. In ogni tazza era seduta una coppietta e sul tavolino al centro di ogni tazza c'era un piattino di marshmallow. Era la cosa più imbarazzante che avesse mai visto.
 
Daryl distolse subito lo sguardo con espressione scocciata; alzò gli occhi al cielo e dopo aver trattenuto un piccolo sbuffo aprì la bocca per chiederle cosa volesse fare, ma lei lo precedette.
 
“Andiamo lì?” gli chiese Beth entusiasta. Non ebbe nemmeno bisogno di vedere cosa stesse indicando per capire.
 
“No.” la stroncò lapidario, continuando a camminare.
 
“Dai, è per il mio compleanno, non puoi dirmi di no!” lo richiamò lei facendolo fermare.
 
“Io qui non volevo nemmeno venirci, ti ho solo accompagnata.” rispose sbrigativo.
 
“Ma ormai sei qui, tanto vale divertirsi!” gli sorrise. Lui non disse niente, limitandosi a fissarla con sguardo scettico. “D'accordo, facciamo così: decidiamo una volta per uno.”
 
Sapeva che non avrebbe ottenuto niente di meglio così distolse lo sguardo dai suoi occhi grandi, grattandosi la nuca per mascherare la sensazione di disagio che stava crescendo dentro di lui in quel momento. Ovviamente lei colse al volo la sua possibilità e senza pensarci due volte esclamò: “Inizio io! Andiamo alle tazze!” e detto questo lo prese con entrambi le mani per un polso e lo trascinò verso lo stand.
 
“Un giro, per favore.” disse raggiante all'uomo dall'altra parte della bancarella senza mollare la presa. Il tizio, con un improbabile cappellino rosa a cuoricini, pinzò i biglietti che gli aveva dato la ragazza lasciando un forellino a forma di cuore, poi sorrise e riempì un piattino con i marshmallow aggiungendo anche un lecca-lecca rosso a forma di cuore.
 
“Buon divertimento ragazzi! John, falli passare.” disse poi rivolto al ragazzo accanto al cancellino che conduceva alla pista girevole.
 
Lei fece per dirigersi verso l'entrata ma lui la trattenne e sporgendosi verso l'uomo domandò secco: “Quanto dura?”
 
“Solo sette minuti.” gli sorrise di rimando. Alla fine Daryl cedette e fu trascinato in pista; appena si sedettero si strinse nelle spalle, cercando di nascondersi più che poteva. Non che ci riuscisse molto in quella tazzina; sperava solo che nessuno che lo conosceva lo vedesse. Beth lo osservò mentre si gustava a piccoli morsi un marshmallow azzurro.
 
“Che fai?” gli chiese piuttosto divertita. Lui in tutta risposta si limitò a scoccarle uno sguardo di fuoco, di fronte al quale le venne ancora più da ridere.
 
“Dai, mangia qualcosa.” disse avvicinando il piattino verso di lui. Guardò l'orologio che aveva al polso: era passato solo un minuto e mezzo. Ma perché la lancetta dei secondi sembrava incedere così lentamente nel quadrante? Rimase con lo sguardo fisso per altri trenta secondi, che gli parvero durare una vita. Solo sette minuti. Se avesse continuato così, il tempo si sarebbe addirittura fermato, così sollevò di nuovo lo sguardo su di lei e la trovò come l'aveva lasciata. Lo stava osservando piuttosto divertita, con un marshmallow tra le dita.
 
“Possiamo anche parlare, sai?” lo prese in giro “Credi di poter sostenere cinque minuti di conversazione?”
 
“No.” le rispose asciutto.
 
“Perché?” gli chiese lei, non demordendo.
 
Lui si allungò verso il piattino e prese il lecca-lecca. “Ehi, quello lo volevo io!” lo rimbeccò.
 
Ignorandola, Daryl lo scartò velocemente e se lo infilò in bocca. “Non si parla con la bocca piena.” rispose guardandola. Attendeva la sua reazione, ma tra tutte ebbe quella che meno si aspettava: dopo un momento di perplessità era scoppiata a ridere. E la cosa peggiore è che si era reso conto di averci sperato. Rimase lì ad osservarla mentre la risata si spegneva pian piano e sulle sue labbra rimaneva solo un sorriso.
 
“Impossibile.” scosse la testa divertita. Voleva fare il duro, ma quel lecca-lecca gli dava solo l'aria di un bambino capriccioso, facendolo fallire completamente nel suo intento. Finì da sola gli ultimi tre dolcetti, ascoltando la musica che proveniva dal piccolo palco allestito su uno dei due lati corti del padiglione e abbandonandosi al movimento della pista. Dopo un paio di minuti il signore li avvisò che il loro turno era finito.
 
Quando uscirono Daryl cercò di mettere più distanza che poté tra sé e quella trappola mortale, così ripresero a camminare tra le varie bancarelle e giostre. Con la coda dell'occhio, tra l'altro, si era accorto di come Beth lo stava guardando. O forse sarebbe stato più corretto dire di come guardava il lecca-lecca. Lo divertiva vederla agitarsi impaziente, sperando che lui capisse cosa voleva.
 
“Me lo dai?” gli chiese dopo un po' che camminavano in silenzio. Giurava di averla intravista arrossire, ma per quanto vederla in difficoltà lo divertisse (come gli capitava con chiunque d'altra parte, era la sua specialità) si sarebbe messo in una situazione che stava tentando di evitare dal primo momento in cui aveva messo piede in quel festival, quindi la ignorò. Beth non disse più nulla, continuando a camminare affianco a lui, perdendosi di tanto in tanto ad osservare questo o quello stand.
 
Tirò fuori il lecca-lecca dalla bocca e vide che ormai ne aveva consumato più di metà; la forma del cuore si era completamente persa, lasciando spazio a un disegno indefinito. Sbuffò, attirando la sua attenzione. Non gliel'avrebbe mai offerto come facevano tutti gli uomini in quelle squallide commedie d'amore che piacevano tanto a sua madre.
 
“Non ti va più?” gli chiese dopo qualche istante. Lui per tutta risposta sollevò le spalle, dissimulando un'espressione indifferente e lei lo prese subito dalle sue mani, con un sorriso. Lo assaggiò, facendo uno schiocco di approvazione. Sapeva il gusto che stava sentendo sulla sua lingua: fragola e... lui. Quel pensiero lo fece rabbrividire e lo allontanò il più velocemente possibile; aveva avuto quasi paura a formulare un'idea del genere.
 
“Tocca a me.” esordì guardandosi intorno. Era tutto colorato, tutto così diverso eppure tutto così confondibile. Non c'era un posto che gli sembrava degno di nota più degli altri; stava per arrendersi all'idea che non avrebbe trovato niente quando posò lo sguardo su uno stand completamente diverso dagli altri. La bancarella era rivestita da un telo nero e il tettuccio era ricoperto da una lastra che dava un effetto a specchio.
 
“Quella.” indicò la casa degli specchi, voltandosi verso di lei. Ecco il suo riscatto; gliel'avrebbe fatta pagare per quelle tazze maledette!
 
“No, Daryl. Io...” non riuscì a proseguire quando lui la guardò perplesso. “Andiamo.” concluse infine, avviandosi. Arrivati davanti allo stand, l'uomo gli chiese i biglietti e li bucherellò lasciando la forma di una stellina, dopodiché glieli riconsegnò e, scostando una pesante tenda di velluto nero, li fece entrare.
 
L'interno era illuminato da luci che non riflettevano direttamente su nessuno degli specchi; nulla aveva un'ombra e tutto sembrava così... piatto. Rimase un attimo bloccata sulla soglia e poi, sentendosi chiamare da Daryl, si fece coraggio ed avanzò. Vagò per qualche minuto, toccando la superficie delle lastre di vetro, cercando di trovare una via d'uscita, e un paio di volte aveva rischiato anche di sbattere la faccia. Intanto Daryl, rimanendo sempre nascosto, l'aveva osservata. Si divertiva a vederla in difficoltà; in quel momento gli sembrava una cieca che, disorientata, cercava di aiutarsi con il tatto per ritrovare la strada di casa. Ed essendo che lei ci vedeva benissimo, lo spettacolo era piuttosto esilarante. La seguiva passo passo, attento a non farsi scoprire. Ad un certo punto, dopo aver svoltato in un paio di vicoli ciechi, lo chiamò.
 
“Daryl?” nella voce c'era una nota di agitazione, che aveva tentato di camuffare. Non le rispose, giusto per vedere che cosa avrebbe fatto non trovandolo. “Daryl, dove sei?” lo richiamò, alzando un po' la voce, cercando di essere più decisa. Era a pochi passi da lei, ma non poteva vederlo perché si era abilmente nascosto. La vendetta è un piatto che va servito freddo, ma neanche tanto.
 
L'avrebbe anche lasciata uscire da sola, se un secondo dopo non fosse successo qualcosa che non si aspettava. Beth arretrò fino a trovarsi nel centro della stanza. Cominciò a tremare, spalancò gli occhi e lo chiamò di nuovo.
 
“Daryl! Daryl?!” non era la semplice agitazione di prima, era in panico. Aveva cominciato a girare su sé stessa, sperando di vederlo apparire da qualche parte. Prima non aveva avuto il coraggio di dirgli che aveva una fobia per le case degli specchi. Sentì il respiro diventare sempre più pesante e le si annebbiò la vista. Stava per cedere quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla.
 
“Beth?” Daryl la fece voltare verso di sé e controllò che stesse bene. Lei lo guardò con gli occhi ancora spalancati, iniettati di paura, e poi si gettò tra le sue braccia stringendolo forte. Lì per lì rimase bloccato; non si aspettava una reazione del genere. Ma quando sentì che continuava a tremare portò lentamente le mani sulla sua schiena, cercando di tranquillizzarla.
 
Pian piano la guidò fuori e quando uscirono la vide tirare letteralmente un sospiro di sollievo. La ragazza fece qualche passo e poi si appoggiò a una porzione di muro libera tra due bancarelle, chiuse gli occhi e tentò di regolarizzare il respiro. Poco distante da loro, Daryl vide uno stand che vendeva bibite e ghiaccioli e comprò dell'acqua. Tornò da lei e tossicchiando attirò la sua attenzione.
 
Quando Beth alzò lo sguardo si trovò di fronte l'uomo che, ad occhi bassi, le offriva una bottiglietta. La prese e solo quando iniziò a bere si rese conto di avere la gola secca e tanta sete. Senza dire nulla, si incamminò verso l'uscita del padiglione che dava sul parco, sicura che lui l'avrebbe seguita. Doveva allontanarsi da tutta quella gente, si sentiva soffocare; aveva bisogno di una boccata d'aria.
 
“Perché non me lo hai detto?” le chiese lui a bruciapelo dopo un po' che camminavano nell'aria fresca.
 
“Non volevo rovinare la serata.” rispose semplicemente, sentendosi una stupida. “Colpa di quello scemo di mio fratello Shawn; da bambina mi ha dimenticata in una casa degli specchi e da quel momento non ci ho più messo piede; è una vera fobia. Speravo mi fosse passata.” si giustificò “Evidentemente no.” concluse con un sorriso amaro.
 
“Non c'è bisogno di essere tanto melodrammatici.” disse lui liquidando la faccenda come se non fosse successo niente di che. Non era bravo a consolare le persone, e quella era la cosa più vicina a una rassicurazione che potesse uscirgli, soprattutto in quel momento. Soprattutto con lei. Sperò solo che capisse.
 
“Sai, io non so nulla di te.” esordì lei, tenendo gli occhi bassi sulle sue All-Stars blu, ma stando attenta alla reazione dell'uomo accanto a sé. Daryl rimase in silenzio, con le mani nelle tasche del giubbotto e lo sguardo basso.
 
“Meglio.” borbottò alla fine.
 
“Che è successo?” E, stranamente, si resero conto entrambi che non era una domanda generale, né di circostanza; voleva sapere. Lei glielo stava chiedendo. Nessuno gli aveva mai chiesto cosa fosse successo. Sospirò lentamente, ma prima ancora di rendersene conto stava già parlando.
 
“Mio padre era un alcolista; picchiava sia mia madre che mio fratello. Quando ero ancora piccolo lei se n'è andata, e siamo rimasti solo io e Merle. Poi ha iniziato anche con me. Adesso è morto, penso si sia meritato tutto quello che gli ha dato la vita.” disse come assorto tra i suoi pensieri.
 
“E tuo fratello?” chiese lei, a voce bassa, come se alzare il tono avrebbe spezzato quel momento.
 
“Mio fratello è un coglione; e non è mai veramente uscito dal giro. Ma quando lei ci ha lasciati, lui è rimasto. Per quanto a volte - la maggior parte delle volte - vorrei, non riesco a mandarlo a fanculo. Lui c'è sempre stato per me, a modo suo.”
 
Le parole si persero nel venticello freddo che si era alzato da poco e gli scompigliava i capelli. Rimasero l'uno accanto all'altra e continuarono a camminare. Percorsero quasi tutto il perimetro dell'edificio quando, svoltando un angolo, videro delle luci in lontananza.
 
“Ma qui non c'è un angolo di pace?” borbottò lui spostando l'attenzione sullo stand lì vicino.
 
“Devono essere gli animali! Di solito li lasciano sempre fuori, andiamo?” chiese speranzosa. Aveva il volto un po' pallido e gli occhi ancora lucidi, ma il sorriso che gli stava rivolgendo era sincero. Lui la osservò di rimando e fece un gesto d'assenso col capo. Mentre si dirigevano verso quello che pian piano si era davvero rivelato essere un recinto, avevano entrambi la testa piena di pensieri.
 
Beth provava solo dispiacere per l'uomo; non le aveva detto tutto, sentiva che la storia aveva molte più sfumature, ma era stata contenta che avesse condiviso qualcosa di sé con lei, per quanto poco fosse. La verità era che l'unica cosa che voleva fare era abbracciarlo. Stringerlo tra le braccia e vederlo sorridere. Il suo destino era stato fin troppo crudele ed era sicura di poter dire che lui non si meritasse tanto male.
 
Daryl da parte sua ancora non ci credeva di averle risposto davvero. Aveva sempre fatto fatica a confidarsi; anzi, eccetto il suo vecchio capo Hank, che lo conosceva da dieci anni, e Rick a cui l'aveva praticamente urlato addosso, non ne aveva mai parlato con nessuno. Eppure, quando lei glielo aveva chiesto, non si era sentito giudicato. Parlarne con lei non era stato difficile come con gli altri. Si sentiva sicuro.
 
Quando si avvicinarono allo stand, videro un recinto basso con dentro quattro o cinque coniglietti che si rincorrevano saltellando, mentre qualche metro più in là c'era la staccionata che avevano visto anche in lontananza, dentro cui erano tenuti un paio di pony. Uno dei due responsabili, dopo aver chiamato un pony, aveva dato loro due piccole mele ciascuno. Si avvicinarono e Beth iniziò ad accarezzarlo.
 
“Qual è il tuo animale preferito?” gli chiese dopo qualche istante.
 
“Il cane.”
 
Lei scosse la testa con un sorriso gentile. “Che tipo?”
 
“Non è un tipo, era un bastardino. Ne avevo uno tempo fa.” spiegò. Si ricordava quel cane, e gli mancava. L'aveva trovato dodici anni prima; era stato abbandonato e girava tra i cassonetti cercando qualcosa da mangiare, quando non c'erano gatti da inseguire. Lo aveva visto un paio di volte prima che gli si avvicinasse. All'epoca avevano appena arrestato Merle, e lui era sempre nervoso. Aveva finito per trattare male anche quel povero cane; lo aveva allontanato, tirandogli dietro qualche parola. Il giorno che aveva saputo che Merle si sarebbe fatto dentro qualche anno, aveva girato senza meta tutto il giorno e quando si era seduto su una panchina da qualche parte, quel cane gli si era avvicinato. Ricordava di esserne rimasto sorpreso perché non lo aveva mai visto in quella zona. Questo gli aveva posato il muso su un ginocchio e lo aveva guardato, come se davvero stesse cercando di comunicargli qualcosa. Era morto da un paio d'anni ormai; la vecchiaia.
 
“E il tuo qual è?” domandò.
 
Beth si accorse del cambiamento d'umore dell'uomo e decise che avrebbe anche potuto dirgli la verità, soprattutto perché la cosa faceva sempre ridere tutti. Con un sorriso imbarazzato, tentennò “Se te lo dico, promettimi di non prendermi per il culo.”
 
“Mmm.” annuì.
 
“È il bradipo.”
 
“Il bradipo?” chiese guardandola basito, pensando di aver capito male.
 
“Sì! Lo sottovalutano tutti!” disse convinta “Ma è così...” indugiò, pensando alle parole esatte per descriverlo.
 
“Orribile?” concluse lui per lei, mascherando un sorrisino.
 
“È tenerissimo!” lo difese.
 
“Sono pigri e lenti, guardarli mi intristisce.*1” ribatté deciso.
 
“Sono lenti su strada, ma grandi arrampicatori!” si infervorò, notando anche il divertimento nei suoi occhi.
 
“Per quanto tu voglia farla sembrare poetica, restano inutili.” rispose, divertito dalla foga con cui la ragazza si stava battendo per i bradipi.
 
“Be, se sono al mondo un motivo ci sarà!”disse soddisfatta di aver trovato un punto a suo favore. Vedendola lì, tutta impettita, con le braccia conserte al petto e l'espressione trionfante, non riuscì ad impedirsi di ridere. Cercò di trattenersi, ma la risata esplose riempiendo l'aria attorno a loro.
 
All'inizio Beth rimase come intontita; non l'aveva mai visto ridere davvero di gusto e il fatto che lui si fosse lasciato andare l'aveva stupita e non poco. Poi però la felicità prese il sopravvento e scoppiò a ridere a sua volta. Non si era mai sentita così giusta come in quel momento. Era il momento giusto, nel posto giusto, con la persona giusta.
 
Finirono di dare da mangiare al pony, continuando a coccolarlo. Il clima serio di poco prima era stato spazzato via dalla loro risata e la situazione si era sbloccata. Avevano iniziato a parlare con molta più tranquillità di come non avessero fatto fino a quel momento; in realtà era Beth a tenere le redini della conversazione ma a differenza del solito, Daryl non si stava costringendo a rimanere distante e rispondeva, se pur brevemente, a tutto.
 
Camminarono ancora un po' nell'aria fresca del parco, tornando all'ingresso del padiglione. Quando entrarono rimasero frastornati: la folla era almeno triplicata, e già prima c'era abbastanza gente per i loro gusti. Si guardarono indecisi e poi Daryl le fece segno di uscire. Snodandosi tra il mare di persone fra loro e l'ingresso, riuscirono a fatica a raggiungere la scala solo dopo una decina di minuti. Era un peccato, Beth gli aveva appena detto di voler mangiare qualcosa e avevano deciso di rientrare proprio per fermarsi a uno degli stand di panini. Ma effettivamente l'atmosfera era invivibile, mancava il respiro e tutti si spintonavano per andare da una parte all'altra del padiglione.
 
Quando uscirono si strinsero di nuovo nei cappotti.
 
“Mi dispiace di essere usciti, ma sembrava di essere in mezzo a un'orda di zombie; c'era davvero troppa gente.” disse Beth voltandosi verso l'uomo al suo fianco.
 
“Mmm...” alzò le spalle, senza sapere bene nemmeno lui cosa volesse dire. “Hai ancora fame?”
 
“Sì, ma a quest'ora non sarà tutto chiuso?” guardò l'orologio che aveva al polso e segnava circa l'una di notte.
 
“Qui vicino c'è un posto.” la contraddisse lui, svoltando in una delle viette che si diramavano da quella principale. Camminarono ancora; l'atmosfera era rilassata e tranquilla. Quando parlavano, nuvolette di vapore facevano le capriole nell'aria davanti a loro; il cielo era carico di nubi plumbee che promettevano un acquazzone coi fiocchi. Quella zona non era proprio in centro e c'erano solo loro due a passeggio in quella fredda notte di novembre.
 
Dopo qualche minuto arrivarono di fronte a una tavola calda aperta ventiquattr'ore su ventiquattro. Quando entrarono Beth vide che era un locale piuttosto piccolo, ma ben arredato e pulito. Dava la sensazione di casa, era accogliente. Si sedettero ad un tavolo l'uno di fronte all'altra e aspettarono che la cameriera arrivasse con i menu. Nel frattempo, il tepore del posto li aveva riscaldati. La cameriera arrivò e lasciò loro un paio di fogli plastificati su cui erano segnate le pietanze e i relativi prezzi.
 
Daryl a mala pena guardò il foglio; andava lì abbastanza spesso da sapere cosa prendere. Si concentrò invece sulla ragazza di fronte a lui, che lasciava scorrere gli occhi sul menu alla ricerca di qualcosa. Quando aveva tolto il cappellino di lana i capelli si erano un po' spettinati e qualche ciocca ribelle sparava verso l'alto. Gli occhi che fino a un'ora prima erano pieni di paura, adesso erano illuminati da una strana luce. E, finalmente, il viso aveva ripreso colore: complice anche la temperatura confortevole del locale, le guance erano tornare a colorarsi di rosso. Gli piaceva vederla così.
 
La ragazza con l'uniforme del locale si riavvicinò a loro e prese le ordinazioni, tornando poco dopo con i piatti colmi di cibo fumante. Era stata piuttosto veloce, ma d'altra parte erano gli unici clienti, eccetto un uomo che aveva davanti solo un boccale di birra mezzo vuoto. Parlarono ancora per tutta la durata della cena. Beth gli raccontò dei suoi anni all'Accademia, dei suoi interessi e anche della fattoria fuori città dove stavano i suoi cavalli; a quel punto lui aveva fatto una strana espressione.
 
“Che c'è?” gli aveva chiesto lei incuriosita. Lui come al solito aveva scosso la testa in un gesto non ben definito. “Non ti piacciono i cavalli?”
 
“Sì, mi piacciono.” rispose lui un po' sulla difensiva. “Se stanno là.” disse indicando la fine della via che vedevano da una delle finestre del locale.
 
Beth rise. “Sono animali estremamente sensibili ed empatici; capiscono come si sente una persona, non c'è bisogno di aver paura.” disse dolcemente.
 
“Io non ho paura!” ribatté deciso. “Ma capiscono anche fin troppo, per quello che mi riguarda.”
 
La ragazza di fronte a lui lo guardò con un sorriso confuso, non capendo cosa intendesse dire. Daryl sbuffò. “Non vedo perché dovrei avere una cosa con una mente tutta sua che mi ballonzola tra le gambe!*2” Lei lo guardò basita per un momento e poi scoppiò a ridere, pensando a come sarebbe stato vederlo su un cavallo. All'inizio lui la guardò un po' offeso, ma poi la bocca si storse in quello che doveva essere un sorrisino mal celato.
 
Dopo un'oretta si diressero al bancone per pagare la cena, ma lui fu più veloce e pagò per entrambi, senza nemmeno farle sapere il prezzo.
 
“Quanto ti devo?” gli chiese mentre uscivano.
 
“Niente.”
 
“Davvero, non ce n'è bisogno. Dimmi quant'è.” disse piccata.
 
“È il tuo compleanno, va bene così chiacchierona.” mise fine alla discussione e lei non poté evitare di sorridere sotto i baffi.
 
Camminarono ancora, e dopo una ventina di minuti si trovarono di fronte al pick-up di Daryl con cui era passato a prenderla qualche ora prima. Lui aprì la portiera e accese il riscaldamento; accese una sigaretta, giusto il tempo per aspettare che l'abitacolo si riscaldasse. Lei restò a fargli compagnia, appoggiata con i gomiti al retro dell'auto, rivolta verso di lui. Rimasero immersi nel buio della notte rischiarato da qualche lampione qua e là, sentendo i gufi bubolare sopra di loro e i rumori della città in lontananza.
 
Quando finì la sigaretta salirono entrambi in macchina e partirono nella quiete più totale. Nessuno dei due disse una parola, ma non si sentirono in imbarazzo. Era un silenzio rilassato e... ordinario. Ad entrambi sembrava la cosa più normale del mondo, come se fosse già capitato mille volte e sarebbe successo ancora.
 
Dopo una mezz'oretta arrivarono sotto casa di Beth; Daryl parcheggiò e scese per accompagnarla. Giunti davanti all'ingresso, lei salì i primi due gradini che conducevano al portoncino e si voltò verso di lui, ritrovandosi a superarlo di poco in altezza.
 
“Grazie per avermi accompagnata.” gli sorrise lei, guardandolo. Lui tenne la testa bassa, fissa sue scarpe, spostando il peso da un piede all'altro. “Mi sono divertita.”
 
Lui alzò lo sguardo verso di lei, perdendosi per un momento in quegli occhi limpidi. Rimasero in silenzio qualche istante; poteva essere passato un secondo come una vita intera, non avrebbero saputo dirlo. Inconsciamente si sporse leggermente, alzando il volto verso di lei e un lampo di stupore le attraversò gli occhi. A quel punto lui arretrò riabbassando la testa.
 
“Grazie, Daryl.” gli sorrise dolcemente “A domani.” scese un gradino e gli diede un leggero bacio sulla guancia, per poi voltarsi ed entrare velocemente nella portineria del palazzo, richiudendosi la porta alle spalle con il cuore che sembrava stesse per esploderle nel petto. Entrò in ascensore e schiacciò il numero del suo piano; solo quando le porte si richiusero di fronte a lei, liberò un sospiro che non si era accorta d'aver trattenuto. Ma che era successo?! Era stata solo una sua impressione o stava davvero per...? Si portò le mani sul viso e sentì le guance in fiamme. L'ascensore si fermò; Beth fece qualche passo incerto nel pianerottolo e cominciò a cercare le chiavi di casa con le mani che tremavano leggermente. Quando riuscì ad entrare, richiuse la porta con due mandate e vi si appoggiò improvvisamente debole. La cosa l'aveva parecchio sconvolta; non sarebbe riuscita a chiudere occhio tutta la notte.
 
Daryl da parte sua rimase imbambolato come un idiota a fissare il punto oltre il quale era sparita. Si riscosse solo quando sentì il rombo di un motore passargli affianco. Senza quasi rendersene conto si rimise al volante, immettendosi nella strada senza una meta ben precisa. Guidò non prestando particolare attenzione alla strada, agendo come un automa. L'unica cosa che gli rimbombava in testa era Beth. Anche se aveva gli occhi aperti riusciva a vederla ovunque, come lo spettro di un sogno: quando i fari di una macchina lo colpivano in viso, quando vedeva qualcuno camminare al lato della strada. Una volta gli sembrò di sentire la sua voce nello stridio dei freni della macchina davanti a lui. Non era lucido, sentiva l'adrenalina scorrergli nelle vene e il cuore battergli all'impazzata.
 
L'aveva quasi baciata! Maledizione, dopo tutto quello che si era ripromesso, dopo tutto l'autocontrollo a cui aveva sempre fatto appello quando ce l'aveva nei paraggi, l'aveva quasi baciata! Alla fine era stato proprio lui a sbilanciarsi; lui, che aveva sempre avuto paura che lei si sarebbe spinta troppo oltre! E ad averlo fermato non era stato tanto lo sguardo stupito nei suoi occhi, quanto una punta di quella che gli era sembrata... speranza?
 
Non gli era mai capitata una cosa del genere, e quella sensazione lo spaventava. Accostò la macchina al ciglio della strada e la spense. Posò la testa sul volante e mormorò debolmente: “Oh no... questa proprio non ci voleva...*3
 
Dopo essersi calmato alzò la testa e si guardò intorno. Ma dov'era finito? Sulle prime non capì, ma poi la luce che proveniva dal piano terra della villetta ben curata di fronte al quale aveva parcheggiato attirò la sua attenzione. Cominciò a ridere, lasciando libero sfogo alla frustrazione del momento. Scese dal pick-up, lo chiuse e si mise le chiavi in tasca, dirigendosi verso la porta. Se avesse suonato il campanello avrebbe svegliato tutta casa, dovevano essere almeno le tre di notte, così si limitò a bussare leggermente con le nocche. Sentì dei passi strascicati percorrere l'ingresso e dopo pochi istanti la porta si aprì.
 
L'ultima persona che Rick si sarebbe aspettato di vedere quella sera era proprio Daryl, e invece eccolo lì. “Ciao.” disse piano, per non svegliare Carl e Judith.
 
“Ciao.” La voce era persino più rauca del solito e a ben guardare anche il resto sembrava diverso. Aveva i capelli spettinati, gli occhi socchiusi e una strana espressione in viso. Sembrava sconvolto.
 
“Posso dormire qui?”




Angolo autrice:
 
*1 Come ammazzare il capo... e vivere felici, 2011. Bob Pellit.
*2 Sherlock Holmes - Gioco di Ombre, 2011. Sherlock Holmes.
*3 Love Actually, 2003. David.
 
Eccoci! Allora? Vi è piaciuta questa uscita? Questo capitolo ha qualche nota seria, ma giusto un paio; fondamentalmente è molto fluff :P Sono troppo belli insieme, io non posso scendere a patti col fatto che non abbiano avuto la possibilità che si meritavano nella serie. Vabbe, non dipende da me (purtroppo). In ogni caso perdonatemi se fuggo così e faccio tutto in fretta e furia, ma il tempo è denaro e non è mai abbastanza. Fatemi sapere cosa ne pensate, mi fa piacere leggere il vostro parere! Come sempre ringrazio tanto chi ha messo la storia tra le preferite/seguite/ricordare e soprattutto chi recensisce. A presto!
·Machaira·

PS: Rileggendo mi sono accorta che mancava un pezzo; non è una parte consistente per fortuna, sono giusto due righe su quello che prova Beth quando torna in casa. In ogni caso ora l'ho aggiunto e dovrebbe essere tutto a posto :) Perdonate il disguido, alla prossima!
   
 
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