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Autore: MaDeSt    16/05/2017    4 recensioni
Non è necessario leggere il prologo ma è caldamente consigliato.
Sei ragazzini provenienti da un villaggio sperduto, cresciuti in un piccolo paradiso, ignoranti dell'orrore che li circonda, si ritrovano ad avere tra le mani sei uova di drago, di cui poi diventeranno amici... e la loro leggenda ha così inizio.
Dovranno salvare il mondo, ecco ciò che ci si aspetta da loro. Ma ne saranno all'altezza? Riusciranno a capire chi è il loro vero nemico prima che questo li distrugga?
[Pubblicazione interrotta. Non aggiornerò più questa storia su EFP, non aggiornerò i capitoli all'ultima versione, pubblicherò solo in privato per chi realmente è interessato a seguire la storia a causa di plagi e ispirazioni non autorizzate non tutelati a discapito del regolamento apparentemente ferreo. Trattandosi della mia unica storia, a cui lavoro da anni e a cui sono affezionata, non vale la pena rischiare. Chi fosse interessato a capire come seguire la storia troverà tutte le informazioni nelle note all'inizio dell'ultimo capitolo pubblicato. Risponderò comunque alle recensioni qualora dovessi riceverne, ma potrei accorgermene con del ritardo.]
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dargovas'
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RED ON WHITE

Guardava il cielo bianco con una delle due membrane richiusa su entrambi gli occhi perché la neve non le desse fastidio. Scendeva lentamente imbiancando strato per strato la radura nella quale sedeva a riflettere, abbastanza lontana dai fratelli e dalle sorelle da non sentirli schiamazzare ma sufficientemente vicina per non perdere il contatto con le loro menti.
Huran aveva spiegato a tutti loro perché disponessero di due membrane da chiudere sugli occhi, una quasi trasparente e l’altra più opaca: quella quasi trasparente la potevano chiudere durante il volo, per guardare in ogni direzione compreso il sole, oppure sott’acqua, o quando spirava un forte vento, avrebbe protetto l’occhio senza compromettere la vista; quella opaca non si poteva chiudere da sola, ma solo richiudendo anche l’altra perché era quella più esterna e generalmente serviva solo per dormire o per sbattere le palpebre - così dicevano gli umani, ma i draghi non avevano palpebre, solo quelle doppie membrane.
Prima di incontrare il drago bianco le era capitato più volte di chiedersi come mai Jennifer potesse chiudere gli occhi in quel modo così diverso, mentre lei doveva far scorrere contemporaneamente una membrana più leggera e una più spessa, ma pur sempre sottile. Non che avesse mai avuto problemi a farlo, ma le palpebre umane scorrevano verticalmente sugli occhi, mentre le sue - o le loro - scorrevano quasi diagonalmente, e non s’incontravano a metà ma si sovrapponevano ricoprendo entrambe l’occhio per intero.
Scosse la testa, rendendosi conto di star divagando; per ovvie ragioni draghi e umani erano differenti, si erano adattati diversamente ai diversi ambienti che frequentavano. Forse se gli umani avessero avuto le ali si sarebbero ritrovati a dover proteggere gli occhi in un modo simile dal vento.
Si chiese se gli umani vedessero bene sott’acqua senza quella membrana. Ma di nuovo aveva cominciato a divagare. Non che avesse di meglio a cui pensare, Jennifer le mancava terribilmente ma sapeva bene di non potersi avvicinare alla città né a piedi né in volo; con quegli uomini in vesti d’acciaio che probabilmente ancora li stavano cercando non era prudente farsi avvistare da qualcuno.
Aveva molte cose da dirle, soprattutto riguardo il volo: non aveva più avuto problemi nell’ultima settimana, finalmente le sue ali erano cresciute abbastanza da sostenere il suo peso senza sforzo. Ancora non poteva imitare le acrobazie di Smeryld, ma nemmeno Zaffir e Sulphane ci riuscivano pur essendo anch’essi propensi al volo acrobatico.
Il draghetto verde aveva a suo parere delle proporzioni davvero invidiabili, ogni volta che lo guardava desiderava poter avere le sue lunghe ali, o il suo fragile corpo così flessibile da permettergli di toccarsi il dorso tra le ali con la punta del muso, e allo stesso modo il ventre. Anche Ametyst aveva un corpo notevolmente mobile, davvero simile a quello di un serpente, ma trovava scomode le zampe così corte. Non che quelle di Smeryld fossero molto più lunghe, in confronto alla lunghezza del collo.
Anche Sulphane non era male, zampe lunghe, collo lungo, coda lunga, ali lunghe. E una corporatura leggermente più robusta di quella di Smeryld. Ma di lei le piacevano di più i denti: aveva due paia di canini superiori; un paio leggermente più piccolo davanti e l’altro più grosso dietro. Le sue ali erano troppo complesse da manovrare, ragion per cui era ormai tra loro quella che faticava di più a volare, non aveva ancora il totale controllo delle due parti separate delle ali, mentre ormai aveva imparato a usare le piume della coda. E probabilmente era il solo motivo per cui non precipitava a terra.
Si chiese se fosse normale per un drago provare invidia nei confronti di altri draghi, o se invece l’avesse imparato vivendo a stretto contatto con gli umani. Non era certa di sapere la risposta, ma non aveva dubbi sul fatto che crescere con degli umani piuttosto che in una famiglia di draghi li rendesse dei draghi diversi; forse più docili, o più istruiti sul mondo e sulle lingue, o con vedute del mondo circostante completamente diverse. Non era un caso che sia Garandill che Nerkoull volessero insegnargli a comportarsi come dei draghi avrebbero fatto.
E quello che Nerkoull aveva detto ai ragazzi: crescere accanto a dei draghi poteva cambiarli fino a renderli più draghi che umani nel profondo. O addirittura renderli immortali. Non era sicura di sapere cosa fosse l’immortalità, qualcosa le diceva che per lei era una cosa scontata vivere per sempre. Le bastava pensare a Gorall, che aveva più di tremila anni. Al contrario gli umani le erano sembrati sbalorditi.
Ma quindi se Nerkoull fosse stato in errore Jennifer sarebbe morta con l’età? L’avrebbe lasciata da sola? Come? E in quanto tempo? Questo pensiero l’angosciò e liberò un mugolio; non voleva separarsi dalla creatura che l’aveva amata e seguita fin dal suo primo passo nel mondo. Sperò egoisticamente che crescere insieme avrebbe reso immortale anche l’umana. Forse le avrebbe causato dei disagi, perché il suo corpo non era programmato per vivere in eterno.
Decise che avrebbe chiesto consiglio ai draghi adulti appena si sarebbero riuniti, non poteva tollerare di vivere tremila anni senza la giovane al suo fianco; l’aveva fatta nascere e ora stava rischiando la vita - sia a causa della magia che per quegli uomini in vesti d’acciaio che cercavano loro, i draghi - pur di rimanerle accanto.
Scosse tutto il corpo per scrollarsi di dosso il sottile strato di neve dove il calore non era sufficiente a scioglierla, come le spine, la membrana delle ali o sulle scaglie più spesse del dorso. Si guardò gli artigli delle zampe, sollevando da terra quella che per un umano sarebbe stata la mano destra e aprendo e chiudendo le dita, come artigliando qualcosa d’invisibile. Ne rimase compiaciuta: quegli artigli diventavano più lunghi e forti mese dopo mese; se quegli uomini in vesti d’acciaio un giorno fossero ricomparsi si sarebbero ritrovati a dover affrontare quelle armi letali.
Non avrebbe esitato a uccidere per proteggere Jennifer. La sua amica Jennifer. Trovava così strano che volesse continuare quella vita insieme a lei nonostante fino ad ora le avesse portato solo problemi, ma non poteva sentirsi colpevole di ciò: stava cominciando a capire che genere di creatura fosse un drago, e non poteva biasimare gli umani che volevano provare a controllarli per vincere una guerra. Ma quegli umani non avevano evidentemente tenuto conto della loro intelligenza, se pensavano di poterli utilizzare come quei cavalli, a loro piacimento.
Rimise a terra la zampa, nella neve, senza sentirne il freddo. Sapeva cosa fosse il freddo solo grazie a Jennifer, ma non lo aveva mai sperimentato sulla propria pelle. Probabilmente perché la sua pelle era coperta di dure scaglie, o perché nel suo corpo scorreva fuoco, che avesse ancora imparato a respirarlo o meno.
Ecco uno dei vantaggi di poter crescere con degli umani, immaginò che un drago sapesse cosa fosse il freddo solo per sentito dire, ma non l’avesse mai provato nemmeno indirettamente. Lei invece lo sapeva.
Un rumore la distrasse e si volse immediatamente alla propria destra: sembravano dei passi incespicanti, ma la creatura doveva essere troppo grande per essere un animale, a giudicare dal rumore. Orsi non potevano essercene, non in inverno e non in quel piccolo bosco in mezzo alla pianura; ma un cervo sarebbe stato decisamente più silenzioso, a meno che non fosse stato morente.
Decise di allontanarsi dalla radura per cercare riparo tra i tronchi e gli arbusti per essere meno visibile, e provò a coprire le tracce spazzando la neve con la coda. Non voleva espandere i confini della propria mente per capire cosa si stesse avvicinando, perché se fosse stato un umano, e per caso quell’umano avesse avuto esperienze su come usare la propria mente per comunicare, la segretezza dell’esistenza di almeno un cucciolo di drago nei pressi di Eunev poteva essere compromessa.
Non dovette attendere molto tra gli arbusti prima di vedere un cucciolo di umano fare capolino da dietro gli alberi; sembrava poco più giovane di Jennifer e ferito, si teneva un braccio stretto al petto e zoppicava lasciandosi alle spalle una scia di sangue. Comparve poi una donna, anche lei ferita e con incedere malfermo, continuava a guardarsi ansiosamente alle spalle. Ora si sentivano dei feroci latrati, e immaginò quindi che fossero stati aggrediti da un branco di lupi.
Non poteva aiutarli, non doveva farsi vedere. Per qualche ragione provò tristezza e non era certa di sapere il perché; dopotutto se quei due si erano imbattuti in un branco di lupi di giorno voleva dire che non avevano prestato attenzione.
Ma la creatura che entrò nella radura pochi attimi dopo non era un lupo, o almeno non del tutto: ringhiava e latrava come tale, aveva un muso canino, zampe con lunghi artigli neri e pelliccia bruna, ma stava in posizione quasi eretta, aveva un paio di mani, due corna sulle tempie, indossava delle specie di vesti di cuoio o pelle ed era di dimensioni notevoli, alto quasi due volte la donna. Aveva una corporatura massiccia, e in una delle grandi mani artigliate impugnava una strana arma che non era certa di aver mai visto, ma sembrava un coltello grande quasi quanto un lupo normale.
La donna gridò di terrore e ordinò al ragazzino, che doveva essere suo figlio, di mettersi al riparo. Rubia dubitava che sarebbe mai riuscito a sfuggire a quella creatura; una volta morta la madre sarebbe toccato a lui. Ma non poteva intervenire. Non doveva essere vista. Se quegli umani fossero morti lei non avrebbe corso rischi, non poteva salvarli.
Il ragazzino stava piangendo e tremando, ma obbedì e con passo malfermo riprese ad allontanarsi, avvicinandosi invece a Rubia.
Lei si maledisse per essere rimasta ferma a osservare la scena: se ora si fosse mossa in qualsiasi direzione sicuramente il giovane l’avrebbe vista. Tanto più che aveva le scaglie rosse, avrebbe avuto una possibilità di nascondersi solo se fosse stata vicina ad arbusti dai rami o dalle foglie del medesimo colore, ma il bosco era spoglio, e il basso strato di neve copriva le foglie gialle, rosse o secche cadute dai rami nelle ultime settimane.
E il grande lupo stava ringhiando ferocemente, come pregustandosi il pasto o uno spargimento di sangue, sembrava quasi divertito dalle urla di terrore della donna.
Così decise d’intervenire. Non seppe esattamente cosa la spinse al di fuori di non avere la possibilità di svignarsela senza essere vista. Non conosceva nemmeno la creatura alla quale stava correndo incontro. E lo strano lupo non sembrò riconoscerla a sua volta.
Con un ringhio balzò oltre la donna frapponendosi tra lei e il lupo, ruggì a testa bassa aprendo le ali e sollevando la coda con aria minacciosa. Sentì l’umana gridare ancora di più e il giovane dirle di correre via. Sentiva gli sguardi di tutti addosso a sé, anche il lupo la stava studiando; ora non aveva più un’aria divertita, ma piuttosto cauta e riflessiva. Dedusse che dunque fosse mentalmente più simile a un umano che a un lupo, e disponesse quindi di un’intelligenza sufficiente da capire di avere a che fare con un drago. E a quel punto sarebbe dovuto fuggire.
Al contrario cominciò ad avanzare avanti e indietro senza mai staccarle gli occhi gialli di dosso, come studiando la sua prossima mossa o attendendo quella dell’avversaria.
Rubia decise di non chiamare gli altri draghi: se doveva esporsi mostrandosi a due umani preferiva pensassero che fosse da sola, magari senza vedere altri draghi non sarebbero riusciti ad associarla ad alcuna creatura esistente.
Se Smeryld era riuscito a uccidere un orso quando era grande la metà di lei ora, non avrebbe dovuto avere difficoltà a uccidere quel lupo. E Rubia non era da meno, sapeva di avere un corpo più forte e resistente, anche se meno agile.
Ruggì di nuovo e gli corse incontro senza preoccuparsi della sua arma, difficilmente avrebbe potuto penetrare le sue dure scaglie, soprattutto quelle del ventre che ora era scoperto. Il lupo infatti provò a colpirla con un fendente diretto proprio sotto lo sterno, ma non la ferì. La sbalzò tuttavia a diverse braccia di distanza, ma la dragonessa riuscì ad alzarsi in volo per atterrare subito dopo.
Volse un rapido sguardo ai due umani e vide che erano ancora fermi, il figlio accanto alla madre, probabilmente perché lei non riusciva a camminare oltre. Tornò a guardare il lupo che sembrava sorpreso di non averla ferita, guardava prima lei e poi la propria arma forse chiedendosi se fosse affilata.
Rubia ruggì ancora, catturando la sua attenzione, e corse attorno a lui cercando un suo punto cieco, o di riuscire a coglierlo alle spalle. Ma il grande lupo si guardava bene da lasciarle un punto scoperto da colpire.
Fu l’intervento del giovane ragazzo a darle l’occasione di saltargli addosso in sicurezza.
L’umano in qualche modo capì che lei stava solo cercando di aiutarli, e trovò il coraggio e la forza di alzarsi in piedi. Gridò diversi insulti al lupo con tutto il fiato che gli era rimasto, ma quello da solo servì a farlo ringhiare infastidito e nulla più; voleva tenere d’occhio il pericolo più grande, ovvero la dragonessa. Dunque il giovane si guardò intorno e scorse diversi sassi; prese il più grande tra le mani e con fatica lo sollevò tremando per lo sforzo, e infine lo lanciò.
Colpì il lupo al fianco, il quale si girò di scatto, colto dall’improvviso dolore, e vedendo il ragazzino in piedi capì che era stato lui ad aggredirlo. Scoprì i lunghi denti in un ringhio feroce e drizzò il pelo sulla schiena.
Ma Rubia non gli diede il tempo di muovere nemmeno un passo verso madre e figlio: gli saltò subito sulla schiena, il lupo sembrò accorgersi immediatamente di aver commesso un grave errore lasciandosi andare alla rabbia, e subito dopo la dragonessa lo azzannò alla nuca, dove non era coperto né di pelle e cuoio né dalle corna.
La creatura ruggì di dolore e le afferrò la testa con una di quelle mani smisurate, ma Rubia rispose affondando le zanne più in profondità assaporando il suo caldo sangue. Il grande lupo cadde a terra incapace di muoversi, paralizzato dal dolore dei centri nervosi danneggiati che si propagava rapidamente lungo tutta la spina dorsale, e la dragonessa sferrò il colpo decisivo recidendogli la carotide coi lunghi artigli.
Non rimase a guardarlo morire, piuttosto volse la sua attenzione ai due umani che la guardavano ora con terrore, temendo che si fosse liberata del lupo per un semplice fatto di concorrenza e potersi appropriare delle sue prede.
Tuttavia Rubia rimase immobile a guardarli e per rassicurarli decise di allontanarsi e fare un giro più largo, senza mai smettere di fissarli.
La donna era ancora in lacrime e tremante, ma ora nel suo sguardo riusciva a leggere un vago senso di gratitudine che si era sostituita al precedente terrore.
Per questa ragione Rubia si sentì pronta a entrare nella mente della donna e sussurrarle lentamente: Non raccontare di me. Non dire di avermi visto. Di’ lo stesso a tuo figlio.
La lasciò a bocca aperta e nuovamente spaventata, ma dopo averle detto quelle parole corse via sparendo rapidamente nel folto del bosco per tornare dagli altri. Sperava di non aver commesso un grave errore parlandole, e soprattutto sperava che la donna avrebbe obbedito alla sua richiesta; aveva capito di essersi trovata davanti a un giovane drago, aveva dovuto provare a dissuaderla dal raccontarlo.
E davvero sperava che avesse funzionato, altrimenti poteva appena aver ricoperto Jennifer e i suoi compagni di un mare di guai.

  
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