Film > Le 5 Leggende
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Autore: Roiben    21/05/2017    1 recensioni
Ancora poco, solo qualche metro, e infine sarà libero.
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«Tu chi sei?»
«Boogeyman, e tu?»
«Katherine»
Genere: Angst, Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Emily Jane Pitchiner, Kozmotis 'Pitch' Pitchiner, Nuovo personaggio, Pitch
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Strada Verso Casa'
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capitolo 75 – Nero e Oro




2028 d.c. – marzo



«Katherine! Katherine, dove sei?».


La voce allarmata della donna raggiunge velocemente la bambina, distogliendola dai suoi pensieri e costringendola a tornare con la mente al presente.


«Sono qui, in camera mia, nonna» si affretta a risponderle, così da non farla inutilmente preoccupare.


È difficile, da un anno a questa parte, riuscire a rimanere sola con i propri pensieri, senza che la nonna corra presto a cercarla. Katherine la comprende: sa che non dev’essere stata una bella esperienza, per lei, rimanere giorni interi sola in casa, senza avere idea di dove potesse trovarsi né se stesse bene, senza poter fare nulla per cambiare le cose. E no, Katherine in effetti non stava per niente bene, a quel tempo. A dire il vero, nemmeno ora sente di riuscire a stare davvero bene; e in fondo, la costante presenza della nonna fa sì che non possa mai realmente perdersi nei propri ricordi.


La donna si affaccia alla porta della sua stanza e le sorride, rassicurata.


«Fra un’oretta sarà pronta la cena» le ricorda gentilmente. «È tutto a posto?» si accerta, come sempre.


Katherine stiracchia un sorriso per lei.


«Sì, nonna, è tutto a posto. Tra poco scendo» promette, sospirando quando lei lascia la camera e torna al piano inferiore.


No che non è tutto a posto. Affatto. È così tanto tempo che non lo è, troppo.


Katherine volta le spalle all’entrata e si appoggia al davanzale della finestra, osservando il cielo imbrunire e le prime stelle comparire contro il blu che va infittendosi. Poggia la fronte sul vetro freddo e chiude gli occhi. Dietro le sue palpebre serrate può ancora vedere polvere e pietre, la cenere grigia che imbratta le sue piccole mani. Qualcosa graffia, nel suo petto. È gelo, e poi il fuoco che lo spazza via, bruciando e ricoprendo tutto di cenere, di nuovo.


Una lacrima scivola lungo la sua guancia e Katherine riapre gli occhi, ora leggermente appannati.


«Io… io ci credo» soffia con voce tremante. «Ci credo, ci credo, ci credo» mormora, gli occhi puntati con decisione sul cielo ormai buio e adorno di milioni di stelle.


Un angolo delle sue labbra si curva verso l’alto, mentre le sue mani poggiano brevemente sul proprio petto. Annuisce e infine esce dalla camera, scendendo per la cena come ha promesso alla nonna.


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Un minuscolo frammento luminoso compare fra gli alberi fitti della foresta. Sembra una lucciola, ma la sua luce è dorata e fluttua, quasi incerta, a mezz’aria nell’oscurità impenetrabile della notte priva di Luna.


Non sembra sapere cosa fare, né dove andare. Rimane lì, come in ascolto, nell’attesa di qualcosa, o forse di qualcuno.


Aspetta. Il tempo non sembra mancargli, e neppure la pazienza.


Aspetta.


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Gli occhi blu di Akh si spalancano sulla nera volta celeste. È notte, nessuno spirito è in vista da mesi, ormai. Che cosa lo ha risvegliato? Si guarda intorno. Niente.


Ha deciso di cambiare aria, per un po’. Ha pensato che, per distrarsi, la vecchia Europa potesse fare al caso suo. Ma nulla, in fondo, è cambiato. A niente è davvero servito cambiare città, paese, continente. I pensieri, i ricordi, sono tutti ancora lì. No, nulla sembra cambiato.


Eppure, qualcosa lo ha ridestato. Inspira a fondo l’aria fredda e salmastra della costa scozzese. Che cosa è stato? Akh è da solo, nessuno è più andato a disturbarlo da circa sei mesi, ovvero dall’ultima occasione nella quale ha quasi preso a pugni uno scocciatore che si ostinava a seguirlo per cercare di attaccare bottone. Preso a pugni? Che assurdità! Non ha mai davvero fatto a botte con nessuno, durante la sua lunga esistenza; non è mai servito: la sua Luce ha sempre egregiamente lavorato al suo posto. La sua Luce…


Akh serra le palpebre e si concentra sul suo nucleo. È irrequieto, quella notte. Sente che c’è qualcosa di strano. Forse un cambiamento all’orizzonte? Vuole capire, deve capire. Sente che la risposta è lì, molto vicina, e lui intende trovarla. La risposta è… I suoi occhi si sgranano improvvisamente nel vuoto.


«Questo non… È impossibile» esclama incredulo.


Ma, possibile o meno che sia, è necessario che se ne accerti di persona. Per questo motivo, poco dopo, si alza in volo abbandonando il suo momentaneo isolamento e librandosi leggero nel cielo notturno, portato dal vento sempre più in alto, le ali blu frementi di smania ed eccitazione.


ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ ҩ


Un fruscio tra le fitte fronde richiama l’attenzione di Emily Jane. Quando si volta scorge, incredula, la figura di Akh, che non vede da quasi un anno ormai e che, francamente, credeva non avrebbe più rivisto. E invece eccolo lì, proprio di fronte al suo sguardo attonito. Ma qualcosa non va; se ne rende conto presto, ancora prima di avere il tempo per salutarlo in modo appropriato. Sta tremando e i suoi occhi sono enormi e smarriti. Gli si fa incontro, preoccupata.


«Akh! Cosa succede? Come mai sei qui?» gli chiede con voce tesa.


Il comportamento dello spirito della Luce diviene, se possibile, ancora più strano. Le sue ali si spalancano e si richiudono più volte, quasi febbrilmente, e i suoi occhi la guardano palesemente stravolti. Per qualche motivo a lei ignoto, tiene le braccia raccolte al petto, come a volersi proteggere da qualcosa.


«Akh?» ritenta, ormai a pochi passi da lui.


«C’è… qualcosa che devi vedere» soffia lui, aprendo bocca per la prima volta e facendo un paio di incerti passi avanti.


«Di che cosa si tratta? È accaduto qualcosa di brutto?» si accerta Emily Jane, sempre più preoccupata.


«No» soffia Akh, anche se, a ben vedere, è un no veramente poco persuasivo.


Emily Jane non riesce a comprendere cosa gli stia succedendo. Ma, vedendolo vacillare, si affretta a sostenerlo per le spalle e a condurlo vicino ad alcuni grossi tronchi d’albero caduti.


«Vieni, siedi qui» lo istruisce, paziente. «Ecco, bene. Vuoi che ti porti qualcosa di caldo da bere?» domanda gentile.


«Io… N-no, grazie» balbetta.


Sta ancora tremando. Lo nota mentre si rende conto che è anche completamente fradicio d’acqua e mezzo congelato. Sembra anche esausto, come se avesse trascorso molto tempo in volo sotto un acquazzone.


«Cos’è accaduto?» riprova a chiedere, sperando di ottenere qualche risposta degna di questo nome, stavolta.


Così non è. Tuttavia, al posto dell’attesa spiegazione, Akh rilassa faticosamente le braccia, allontanandole finalmente dal petto, e mostra con visibile ansia ciò che trattiene nelle proprie mani.


Emily Jane aggrotta le sopracciglia, confusa. A una prima occhiata, giudica possa trattarsi di una piccola, ignota fonte di luce, forse appartenente a qualche creatura magica? Eppure, in quel piccolo bagliore, avverte un che di strano.


«Akh, che cosa…?» tenta incerta.


«Non… n-non so come sia potuto accadere» soffia sgomento. «L’ho… t-trovato nella foresta. Era l-lì, aspettava. As-aspettava» ripete, in un fievole balbettio costernato.


Una parte della sua mente sconvolta si chiede da quanto tempo, esattamente, potesse trovarsi lì ad attendere. Un fremito più violento lo coglie al solo pensiero.


«Akh, io non capisco» prova a far presente Emily Jane.


Akh non sa davvero come spiegarglielo. Così, invece di cercare invano le parole giuste, afferra con delicatezza uno dei suoi sottili polsi, facendo ben attenzione a non farsi sfuggire la piccola luce dall’altra mano, e lascia che le dita di lei la sfiorino appena.


Emily Jane spalanca gli occhi e un rauco gemito sconvolto scivola fuori dalle sue labbra tremanti.



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2030 d.c. – giugno



Un tiepido peso preme sul suo petto. Quando Akh apre pigramente gli occhi e dà un’occhiata, si trova a incrociare lo sguardo con quello di un paio di affilati occhi dorati, che probabilmente lo fissano insistenti da chissà quanto tempo, ormai. Solleva un sopracciglio blu e reclina il capo di lato, buffamente imitato dal nero felino acciambellato su di lui.


«Che cosa?» mormora Akh, assonnato.


«Meow» replica il gatto per tutta risposta.


Lo spirito della Luce storce le labbra in una smorfia esasperata.


«Ah, certo. Ora sì che è tutto perfettamente chiaro».


«Meeeowww» ripete il gatto, con maggior enfasi.


Sembra proprio che si stia spazientendo.


«Senti, io non lo capisco quello che stai dicendo» borbotta Akh, seccato.


«MEOW!» sbotta il gatto, piantando una zampata fra le costole dello spirito e facendolo sussultare.


«Okay! Facciamo quello che vuoi tu, creatura dispotica. Datti una calmata, però» protesta Akh, turbato.


Nonostante le sue lamentele, lo spirito della Luce allunga le braccia e raccoglie delicatamente fra le mani la piccola palla di lucido pelo nero, sollevandosi a sedere e riportandosela al petto. Infine si rimette in piedi e permette al gatto di arrampicarsi sulla sua spalla.


«Qual è la destinazione?» chiede ironico, senza aspettarsi una reale risposta.


Ciò che ottiene è uno zampettìo nervoso e un soffio irritato un po’ troppo vicino al suo orecchio.


Akh sbuffa. «Non cambierai mai, vero? Sempre a tiranneggiarmi» si lamenta teatralmente, ricevendo in cambio l’ennesima zampata di avvertimento. Sospira. «Molto bene: reggiti» avverte, un istante prima di scomparire in un accecante bagliore dorato.


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Il luogo nel quale atterrano morbidamente non è familiare a nessuno dei due. Eppure il piccolo felino, senza più degnare di un’occhiata Akh, balza giù dalla sua spalla e trotterella in una precisa direzione. Perplesso, lo spirito della Luce lo segue in silenzio per una manciata di minuti, fino a quando le orecchie di entrambi captano una voce conosciuta.


«… che non mi interessa di cosa pensi tu. Non sono affari tuoi. Non puoi… immischiarti in faccende che non ti riguardano. È la mia vita, non la tua! Perché non lo vuoi capire?».


Katherine. Sapeva che l’avrebbero trovata al loro arrivo. Ma pare proprio non essere un buon momento per una visita di cortesia, dopo tutto. Akh, stranito, osserva il gatto che, lungi dal volersi fermare, si appiattisce al suolo e procede veloce e attento, deciso a raggiungere la bambina e chi si trova con lei in quel momento.


«Ehi» sibila, cercando di attirare l’attenzione del gatto senza farsi scoprire da Katherine. «Fermati. Dove vai?».


Ma a nulla valgono i suoi richiami. Pare proprio che la palla di pelo intenda fare da terzo incomodo.


Non è la prima volta che il maledetto gattaccio lo trascina fino a quella cittadina per osservare Katherine e dare un’occhiata a come se la passa. Akh non ha mai obbiettato a quel genere di incursioni. Nessuno dei due si è mai apertamente mostrato a lei, d’altronde; si sono sempre limitati a rimanere a debita distanza e prendersi qualche ora per accertarsi che tutto andasse bene, per poi tornarsene dall’altra parte del mondo soddisfatti.


Quel giorno, tuttavia, dev’esserci qualcosa di diverso. Il gattaccio non sembra minimamente intenzionato a rimanere, come al solito, nell’ombra. Tutt’altro, e Akh non ne comprende granché il motivo. O per lo meno non lo comprende fino al momento in cui, allibito, assiste al degenerare della precedente discussione fra Katherine e il suo interlocutore, che culmina in un tentativo, da parte di quest’ultimo, di darle uno schiaffo. Tentativo andato in fumo all’ultimo momento proprio a causa di una macchia nera piombata giù da chissà dove direttamente sulla testa del malcapitato.


Akh, suo malgrado, ridacchia osservando il suo gattaccio accanirsi sui capelli del ragazzino e schivare agilmente un suo presunto tentativo di scrollarselo di dosso. Alla fine, pieno di graffi e bestemmiante, l’idiota di turno saggiamente decide di abbandonare l’impresa e di darsi a una ritirata strategica. Il gatto riguadagna il terreno con un soffice balzo e, dopo un’ultima occhiata per controllare che Katherine stia bene, corre via eclissandosi nel nulla dal quale è venuto.


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Quando le sue nere e morbide zampe poggiano nuovamente sulla spalla dello spirito, Akh si concede un sorriso compiaciuto, osservando il musetto serio ma soddisfatto del felino.


«Ottimo lavoro» si congratula Akh, allungando lentamente una mano e grattando morbidamente fra le sue orecchie ritte.


Per tutta risposta, il gatto reclina il capo verso il suo e fuseggia con appagamento.



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2038 d.c. – ottobre



«Sei proprio sicuro di volerlo fare?» domanda la donna con evidente nervosismo.


«Sarà la centesima volta che glielo chiedi. Se continui così, di questo passo finirà col passare un altro anno senza riuscire a fare nulla di concreto» si lagna Akh.


«Zitto, tu! Non ho chiesto il tuo parere» bercia lei.


«Sì, sono sicuro» mormora pacatamente l’interpellato.


«Visto, che ti dicevo?» si intromette nuovamente lo spirito della Luce, guadagnandosi un’occhiata truce e una silenziosa promessa di rappresaglie future.


Al contrario, un paio di labbra si incurvano impercettibilmente verso l’alto, seguendo il rassegnato divertimento del proprietario.


«Va bene, ho capito» soffia la donna, prendendosi comunque un lungo momento per studiare i suoi occhi apparentemente tranquilli. «Però… promettimi che farai attenzione, e che…» tentenna, visibilmente combattuta, ma infine sembra decidersi a completare la sua richiesta «che tornerai» soffia, suo malgrado spaventata.


L’accenno di sorriso diviene più ampio e gentile.


«Sulla mia anima» replica sicuro.


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Gli alberi hanno il colore del tramonto, questa volta, e l’aria è piacevolmente fresca e profuma di pioggia. Un piccolo scoiattolo rosseggiante, su un ramo poco lontano, lo osserva con cauta curiosità dopo aver momentaneamente interrotto il proprio frenetico lavoro sulle provviste per l’inverno.


Attende. Sa che manca poco, ormai. Quando il sole sarà appena più alto e abbagliante, otterrà ciò che desidera da anni, senza tuttavia essersi potuto permettere alcuna mossa per accelerarne i tempi.


Sospira. Si sente nervoso e impaziente. L’incertezza, a volte, è più dura da gestire rispetto alla delusione.


D’un tratto, sul suo orizzonte, intravede una figura conosciuta che, lentamente, si avvicina. Ha lunghi capelli, lucidi e neri, raccolti in una morbida coda; indossa un paio di jeans e un maglioncino verde; sulla spalla sinistra porta una borsa di tela dall’aria consunta e decisamente pesante; dalle sue orecchie penzolano un paio di fili bianchi che si uniscono al centro, scomparendo all’interno della tasca dei jeans; non ha purtroppo la possibilità di osservare i suoi occhi, al momento coperti da scuri occhiali da sole, ma sa bene che sono verdi come il maglioncino e curiosi come quelli di un gatto.


Sorride. La strada verso casa è stata lunga e impegnativa, ma infine ce l’ha fatta, e lei è rimasta ad aspettarlo; non lo ha mai dimenticato, proprio come gli aveva promesso tanto tempo prima.


Si scosta dal tronco dell’albero a cui è rimasto appoggiato fino a quel momento e fa alcuni passi avanti, così da mostrarsi chiaramente.


«Katherine» soffia con voce tranquilla e un poco roca.


Rapidamente, la ragazza volta il capo nella direzione dalla quale le è giunta la voce. Quella voce, che non è mai davvero riuscita a scordare, e che ora ha nuovamente una forma concreta.


Sgrana gli occhi oltre le lenti scure, le sue labbra tremano appena e un brusco respiro solleva il suo petto.


«Pitch».



"Gli umani sono schiavi della nostalgia, del dolore che nasce dalla separazione; soffrono se sono lontano da chi amano. Ma questo non li indebolisce, semmai li rende sempre più forti, perché hanno qualcosa in cui credere." (I Cavalieri dello zodiaco: Le porte del paradiso)



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"La speranza è un sogno fatto da svegli." (Aristotele)



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"Dalla mia oscurità nacque una luce che mi rischiarò il cammino." (Khalil Gibran)


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"Mi fermai, battei le palpebre: non capivo niente. Niente, niente del tutto: non capivo le ragioni delle cose, degli uomini, era tutto senza senso, assurdo. E mi misi a ridere." (Italo Calvino, Il lampo)


* * * * * * * * * * * * * *


"L’ira del gatto è bella, bruciante di pura fiamma felina, pelo irto e scintille blu, occhi fiammanti e crepitanti." (W. S. Borroughs)



* * * * * * * * * * * * * *


"Meravigliosa creatura,

sei sola al mondo,

meravigliosa paura

di averti accanto,

occhi di sole

mi bruciano in mezzo al cuore

amo la vita meravigliosa.

--

Meravigliosa creatura,

sei sola al mondo,

meravigliosa paura

di averti accanto.

Occhi di sole,

mi tremano le parole,

amo la vita meravigliosa."


(Gianna Nannini)




Fine…




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L’Angolino Buio e Polveroso dell’Uomo Nero (e dell’autrice a cui piace maltrattarlo)



Salve ^-^


Ho scritto “fine”, vero? Ho mentito (oh, andiamo, con tutte le balle che racconta Pitch, una ogni tanto posso dirla anche io, no?).

Bene, bene… Detto questo, dato che quest’ultimo capitolo mi ha dato un po’ da pensare e quello che ne è sorto è stato un grosso punto di domanda, ho deciso di provare a rimpicciolirlo questo punto di domanda, per quanto mi sia possibile.

In sostanza ho scritto una storia (una one shot) che spiega, almeno in parte, i fatti di questo capitolo. Inoltre ho scritto un’altra storia (in due parti, perché più di quaranta pagine in una sola volta mi parevano eccessive) che invece racconta ciò che accade dopo.

Siccome sono entrambe concluse, ma devono ancora essere revisionate, è probabile che mi serva qualche giorno in più per metterle online. Credo, se tutto va come deve andare, che la prima vedrà la luce domenica prossima e l’altra a seguire.

Spero che qualcuno sia interessato a leggerle, ovviamente. Se no pace: le terrò sul mio e-reader e mi diletterò con me stessa.


Vorrei infine ringraziare tutti i lettori di questa storia, chiunque abbia apprezzato il modo in cui amo mettere nei guai Pitch e, soprattutto, chi ha voluto dirmi qualcosa in proposito: OlzawerBlack, Emma Laurence e in particolare _Anthos_ che dà sempre qualche buon motivo per riflettere (e trovare soluzioni creative).


Credo sia tutto, per ora.

Un saluto,


Roiben


  
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