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Autore: acchiappanuvole    22/05/2017    1 recensioni
C'è odore di alcol. Forse proviene da lei o forse è impregnato nelle pareti spoglie della stanza. Si era aspettata tutto un altro luogo, un luogo misurato sull'ego dell'uomo che lo abita. Ma forse è più adatto così. Con i fogli di giornali sparsi in giro e reliquie di mozziconi di sigaretta un tempo poggiate su labbra oneste.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Roy Mustang, Winry Rockbell
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Winter

C'è odore di alcol. Forse proviene da lei o forse è impregnato nelle pareti spoglie della stanza. Si era aspettata tutto un altro luogo, un luogo misurato sull'ego dell'uomo che lo abita. Ma forse è più adatto così. Con i fogli di giornali sparsi in giro e reliquie di mozziconi di sigaretta un tempo poggiate su labbra oneste. Mustang si muove dietro di lei, le offre una sedia, una tazza di caffè o un bicchiere d'acqua per allentare la presa del liquore. Winry non sa se è realmente sbronza. Vorrebbe esserlo. Tanto da non capire, tanto da mandare ogni cosa al diavolo e ridere e piangere dietro i paravanti da ubriaca. Non accetta la sedia né il caffè. Vaga per la stanza come alla ricerca di indizi, tracce, e di cosa non è tanto sicura.
“Winry il cappotto, toglilo è fradicio.”
Lei sorride ma non obbedisce, “lo sono anche i vestiti” replica e capisce che l'uomo è disorientato, che non sa come comportarsi, e questo, in qualche maniera, la diverte. Una porta semi aperta rivela la camera da letto, spoglia come tutto il resto. Si siede tra le lenzuola sfatte, reclina indietro la testa e prende il respiro, come se dovesse tuffarsi da un enorme altezza.
“Ti ammalerai” è ferma la voce di Roy Mustang. Potrebbe essere un padre al bivio tra la premura e il rimprovero.
“Ha così fretta di spogliarmi?” Winry ride, di sé e della figura che sta facendo in quel momento.
“Posso prestarti una maglia e puoi metterti a letto. Nonostante l'apparenza le lenzuola sono pulite. Io dormirò di là. Hai bisogno di riposare.”
“Lei è davvero certo di sapere quello di cui ho bisogno?!” lascia scivolare il cappotto sulle spalle, la pelle reagisce al freddo in un tremito appena percettibile, “lo sa forse vorrei davvero mettermi qui e poter dormire. Svegliarmi domattina un po' imbarazzata, chinare il capo e chiedere scusa. E tuttavia...” ascolta la propria voce, le parole così aliene che escono dalle labbra in un'improvvisazione che sa di audacia e disperazione, “tuttavia non sono voluta venire qui per scroccarle un letto.”
Mustang la fissa, come un uomo può fissare qualcosa di distante nel cielo, qualcosa che si intravede ma non è chiaro identificare.
“E' sbagliato e lo sai .”
“No, non lo so” lo sguardo azzurro non tentenna, “un uomo, una donna, una stanza. Succede in continuazione e non ci sono particolari implicazioni.”
“Non siamo due estranei. Direi che le implicazioni ci sarebbero.”
“Vorrei che non le importasse.”
“ Ma mi importa.”
“Beh, non dovrebbe”  abbandona il letto, le ginocchia la tradiscono per un istante, “un estraneo non capirebbe.”
“Che cosa non capirebbe?” Mustang la guarda avvicinarsi, improvvisamente piccola nei vestiti umidi, le ciocche bionde appiccicate al pallore del viso.
Winry non risponde, non vuole controllo, non vuole domande. Le domande la costringerebbero a pensare, la distoglierebbero da quell'atto di punizione e liberazione. Ha bisogno del vuoto. Ha bisogno dello schianto. Delle ossa rotte e dell'anima condensata. Ha bisogno di poter morire e illudersi possa essere vero.
Quando il corpo tocca quello di Mustang lui l'allontana. E dovrebbe bastare questo. Ma c'è l'immagine di Edward, l'idea che in qualche modo possa vederla, che possa soffrirne... è sufficiente perché le labbra cerchino, premano con insistenza in un bacio impacciato. Il primo della sua vita. E' sufficiente per non sentirsi patetica. E Mustang cede a quella disperata insistenza. Potranno dare la colpa al bere, potrà dare la colpa a se stessa o a lui, potrà incolparlo di aver approfittato della situazione. Potrà schiacciarlo sotto questo nuovo peccato insieme alla privazione che lui le ha inflitto.
Franano su quelle lenzuola sfatte, due corpi avvinghiati e gettati in un abisso di leviatani, se la stanza vortica di domande e di ombre Winry chiude gli occhi, preme il viso contro il collo di Mustang, pelle calda e compatta, ruvida di cicatrici mal guarite; poggia le mani su quelle spalle sfondate dal passato, ne sente la forza stanca affiorare dal tessuto ruvido della giacca, lui la stringe ma non si muove, la ingabbia in quel calore malinconico, non la guarda, ne ha paura. Paura che anche lei possa sentire quell’odore, quell’odore dolciastro e tremendo della carne bruciata, quell’odore di morte che lui porta con sé e non può lavare via completamente.
“Mi dispiace” dice accostato al suo orecchio, un suono che deve provenire dalle viscere di caverne profonde, come un animale che respira la libertà dopo una cattività troppo lunga, una libertà che lo sgomenta e lo respingerebbe nuovamente all’ombra di un passato monolitico.
Winry non sa quello che prova, non riesce a cogliere a pieno il sapore di quel pentimento, che è sincero certo, ma è un balsamo ormai privo di proprietà benefiche, un sentimento che non salva quella bambina seduta al tavolo di una cucina spoglia, il viso nascosto tra le braccia, i singhiozzi impossibili da trattenere mentre fuori il mondo gira ancora, gli uccelli cantano, il sole brilla incurante della sua tragedia personale. Quanto dolore e quanta rabbia aveva ingoiato, un liquido amaro depositato nel suo essere, acquietato solo dal buon senso e dalla vita che Edward le aveva mostrato tendendo semplicemente la mano. Ed ora lei è stretta alla causa di quel dolore, ascolta le sue confessioni riscoprendosi il solo confessore in grado di assolvere la deriva di quell’uomo. Sa di non poterlo fare, non completamente. Dire “ perdono” sarebbe una menzogna, perché Winry non può perdonare, ha accettato quel sussurro, lo tiene stretto nella mano sudata e annuisce “lo so” mormora e gli occhi si sporcano di lacrime, ma va bene, va bene così. Mustang si solleva appena, ora la fissa da quell’unico occhio buono, catrame liquido senza speranza. Lei gli carezza il viso, ne segue i contorni maturi, le dita si soffermano sulla benda scura, la sollevano liberando il biancore cieco contornato da pelle violacea e grinzosa. Vuoto a fissare il vuoto. Solleva la testa e ne raggiunge le labbra, un bacio diverso, non ne conosce il significato e non è nemmeno certa che un significato ci sia, la dolcezza dell’amore è un’altra cosa, si trova su un altro volto, negli occhi di qualcun altro. Qualcuno che Winry ha smesso di aspettare. Quell’amore non era per per lei. Mustang ricambia il bacio, asseconda, comprende quella strana reciproca punizione. Nel’intimo Winry vorrebbe ridere, vorrebbe gridare “abbiamo amato entrambi la stessa persona e ci consoliamo del nostro male comune. La vita è tutta da ridere!” ma no, ricaccia l’ironia crudele, preme il corpo di donna, supplica per l’oblio dei sensi, per quelle mani esperte che hanno varcato la soglia dell’intimo pudore e le percorrono le cosce sotto la lana umida della gonna. A breve gli indumenti saranno cadaveri di dignità lasciati a vergognare in un angolo e loro saranno liberi, liberi in quella nudità ferita, in quei baci bagnati, in quella disperazione solo e soltanto loro.
“Sei…” Mustang si ferma, coglie il rossore di ragazzina sulle guance in contrasto con la convinzione dello sguardo. La domanda rimane sospesa un istante , Winry gli prende una mano e se la poggia sul petto, il cuore le batte, le batte così forte da sembrare vicino allo spasmo finale. “Sai bene che lo sono” risponde “la verginità è forse più un fattore mentale che fisico” e la verginità del suo amore rimarrà intatta, poco a che fare con qualche goccia rossa su di un lenzuolo. Lei lo ha cercato, lei lo ha voluto. E se era la brama dell’atto fisico, l’irruenza di soddisfare primordiali voglie, Roy Mustang non l’accontenta. La gentilezza del suo tocco, la premura delle sue attenzioni sono quasi dolorose. Fuori dalla finestra la notte d’inverno è una lugubre seta marezzata dalla luna, la carne di Mustang viola l’ultima resistenza, la costringe a serrare gli occhi e le lascia sfuggire un lamento doloroso fra le labbra; lui si ferma, rimane così, invasore richiesto di un’innocenza lasciata al tempo, respira pesantemente issandosela contro e Winry pensa che un tempo sono stati entrambi due visi da cartolina non toccati dalla realtà, un tempo così remoto che pare un sogno nel sogno,  quando una bambina salutava entusiasta ferma davanti all’uscio di casa la missione compassionevole dei suoi genitori e, nello stesso istante, un ragazzo di sedici anni indossava la sua prima uniforme ornata di belle speranze e idee di giustizia.
Inarca il corpo sotto quelle spinte, le accompagna, smette di trattenere la natura, la rincorre attraverso le mani sulla pelle, su,dietro la nuca a stringere incolte ciocche scure. E in quel momento smette di martoriarsi l’anima con le anfetamine di quello che non è stato: un bacio alla stazione di Resembool, una promessa mai pronunciata, un amore mai corrisposto… smette di chiedersi che sensazioni il corpo di Edward avrebbe potuto darle, la gioia assurda di una completezza a metà. Bacia Roy e piange, svuota il fardello dei rimpianti, accompagna i sensi nel piacere bruciante di quello che sta facendo, lì tra quelle mura anonime a fare da fortezza a quel dolore condiviso.

“Winry…”
Apre gli occhi, appena, l’impasto del sonno la tiene a sé, intorpidisce i movimenti, confonde la percezione. Winry mugugna, desidera un bicchiere d’acqua ma non vuole chiedere. Si era aspettata che una marea rinnegatrice l’avrebbe colta, derisa di quella nudità ancora addossata al corpo di quell’uomo. Ma c’è una strana quiete di membra spossate dal sesso e dal respiro caldo di colui che, forse più di lei, aveva conosciuto il mondo perduto dei fratelli Elric. I suoi fratelli. E mentre assaggia il suono della parola “miei” sulla lingua, Winry se ne sente d’improvviso estranea, come succhiare una caramella che ormai ha esaurito il piacere dello zucchero.
“Winry stai bene?” la voce profonda e gli occhi spaiati la raggiungono, Winry annuisce, si gira appena verso la finestra, il cielo è trafitto dalla prima luce, qualche stella sopravvive all’imminenza del sole, e tutto sembra così distante e alieno. Allunga una mano in direzione del vetro, l’urgere del pianto le strozza la gola, va con la mente a pascolare fantasmi tra quello che non si vede, lì attraverso le pieghe più scure del cielo, ma che deve pur esserci lì fuori. Chissà dove? Tutta la vita ad annaspare, a cercare nel buio e mai una volta che ci basti quello che c’è intorno.
“Vuoi che ti accompagni alla stazione?” Mustang sta calando la scialuppa di salvataggio per entrambi, la stazione come un piccolo porto dove lasciare la tragicità della navigazione appena superata. Ma lì, nel calore di quel letto, Winry si sente protetta e si sente donna come mai lo era stata prima, finalmente i fardelli sono lasciati a terra come valigie cariche di oggetti che non hanno più alcuna utilità.
Siede sul letto fissando quell’uomo che è da sempre lo spartiacque tra passato e presente e in qualche modo sente in sé di poterlo ringraziare.
“Una doccia prima colonnello Mustang ed un caffè” indica la stanza adiacente, il tavolino pervaso dalle bottiglie di alcolici già scolati da tempo. “sono più vecchia di un anno e questo è un giorno nuovo. Me lo concede un caffè insieme?” e Roy Mustang comprende e annuisce.

 

Note: nelle mie intenzioni questa fanfiction è collocabile dopo la fine di Conqueror of Shambala e fa quindi riferimento all’anime del 2003. Anime che la sottoscritta ama profondamente.  Il duo è abbastanza atipico, non sono mai stata una fan di Winry ma la reputo comunque un personaggio forte che mi incuriosiva approfondire. Nella serie del 2003 non c’è un lieto fine romantico per lei ma l’accettare che il ragazzo di cui è sempre stata innamorata non farà più ritorno. Decidere di farla rapportare proprio con l’uomo che è stato la causa della morte dei suoi genitori può essere azzardato però l’ho reputato un salto nel vuoto risolutivo. La storia è stata totalmente ispirata dalla canzone “Drought” dei Vienna Teng.

 

 

  
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