AVVISO
Se qualcuno di voi era stato precedentemente interessato a questa storia, ma non aveva
potuto leggere per via del rating rosso, sono lieta di annunciare che ho preso la
decisione di abbassarlo. Non vi preoccupate, perché la storia è sempre la
stessa, ma alla fine ho ritenuto che per qualche parolaccia fosse eccessivo. Ci
sono fic molto più violente
e spinte che non hanno rating più bassi.
Per il resto, anche se la storia è già
finita, se avete voglia di lasciarmi comunque un commento, magari in un
capitolo che vi è piaciuto particolarmente oppure alla
fine, è molto gradito e ben accetto. Anche perché sto provvedendo alla
correzione degli errori che mi sono sfuggiti e all’aggiunta di qualche canzone,
quindi riposterò tutti i capitoli (scriverò quali di
volta in volta nella presentazione della storia).
Per il resto, l’unico avvertimento che
posso darvi è che il tema trattato a un certo punto non sarà particolarmente allegro, ma credo di aver affrontato la cosa in modo da non
urtare i sentimenti di nessuno.
Non mi resta che augurarvi buona
lettura, e sperare che gradiate.
Lhea
Capitolo
I
Ore 7,00 – Casa
La sveglia iniziò a
trillare forte nel buio della stanza. Solo uno spiraglio di luce filtrava tra
le imposte della finestra, disegnando lame luminose sul pavimento della camera.
I numeri rossi sul display lampeggiavano insistentemente, segnando l’inizio di
una nuova giornata.
Irina, sdraiata
supina nel letto, alzò un braccio e a tentoni spense
la sveglia, lasciandosi scappare un grugnito scocciato, le mani che
stropicciavano il volto. Trasse un sospiro prima di aprire gli occhi: i
numeri sul display della sveglia segnavano le 7,01. Si girò a pancia in su, scostando bruscamente il lenzuolo, poi scese dal
letto. Ancora intontita accese la lampada che aveva sul comodino e tirò su le
persiane, lasciando entrare la luce di aprile nella camera da
letto.
Nella stanza regnava il caos più totale, perché la sera prima non aveva
avuto il tempo di rimettere tutto in ordine. Non aveva nemmeno guardato l’ora,
quando era rientrata in casa, ma dovevano essere state più o
meno le quattro del mattino…
Moriva dal sonno, ma come ogni volta che faceva tardi
avrebbe resistito. Ormai era abituata a quel tipo di vita. Si stiracchiò,
sbadigliando, poi gettò un’occhiata al lettino che era incastrato in un angolo
della stanza: suo nipote dormiva ancora.
Infilatasi le ciabatte, Irina scese nella cucina disordinata: nel
lavandino c’erano ancora i piatti della sera prima da lavare. Preparò la
caffettiera e la mise sul fuoco, poi accese il televisore dopo aver trovato il
telecomando dentro il cassetto delle posate. Stavano trasmettendo il
telegiornale del mattino.
<< Anche questa volta il gruppo di pirati della strada è riuscito
a sfuggire alla polizia >> stava dicendo il mezzo busto sullo schermo, un
certo P.J. Friedman <<
Le autorità però assicurano che stanno facendo tutto il possibile per sgominare
la banda, il cui numero di componenti sembra vari da zona a zona…
Fortunatamente, la gara clandestina non ha causato incidenti sull’autostrada,
ma ha gettato nel panico gli ignari automobilisti, che si sono visti sfrecciare
di fianco diverse auto a velocità inaudite >>
Irina sbuffò: non avrebbero mai preso nessuno di quei piloti
clandestini, semplicemente perché la polizia stessa li copriva. La gente di Los
Angeles credeva che quei pazzi criminali avessero ormai i giorni contati, ma si
sbagliava di grosso. Lei, che era nel giro, lo sapeva bene.
Intanto, sullo schermo trasmettevano le immagini, riprese da un
elicottero della polizia, di cinque auto che correvano a una velocità folle
sull’autostrada: tutte macchine di grossa cilindrata, tra cui una Porsche
gialla in testa alla gara. Notò subito un’auto bianca che superò a destra un
lungo Tir che trasportava bestiame, e che sfrecciò via nel giro di dieci
secondi. “Bè, sono stata brava” pensò con un mezzo
sorriso sul volto.
Mentre il mezzo
busto annunciava un altro servizio, si voltò e cercò in un cassetto un biberon
e lo riempì di latte caldo, lasciandolo raffreddare sotto l’acqua corrente.
Andò a vestirsi in
camera, infilandosi un paio di jeans e una maglia scura. Poi si mise le scarpe, un paio di mocassini beige, e si chinò sul
lettino di suo nipote. Dentro, dormiva un bimbo di circa due anni, dal viso
tondo e i capelli chiari. Era Thomas, il figlio di suo fratello.
Prese il bambino in
braccio, svegliandolo dolcemente. Lui appoggiò la testa sulla sua spalla,
stringendole con una manina una ciocca di capelli, senza l’intenzione di
svegliarsi. Con Tommy tra le braccia scese di nuovo in cucina, gettando prima
un’occhiata alla porta chiusa della camera di suo padre, e preparò la borsa con
il cambio del bimbo per la giornata.
<< Ciao
piccolo >> disse, vedendo Tommy che si svegliava << Vuoi fare
colazione? >>.
Gli porse il
biberon che lui prese con le manine e che portò subito alla bocca. Irina lo
fece sedere sul seggiolone, bevve in fretta il caffè e aggiunse la tazza alla
pila di piatti da lavare.
Sul bancone
strapieno di stoviglie gettate alla rinfusa, vide i due cellulari con cui
andava sempre in giro: il Nokia per le comunicazioni personali, e il Motorola
ultimo modello per farsi trovare quando era ora di gareggiare. Due oggetti che
rappresentavano il suo modo di essere.
Il display a colori
del Motorola lampeggiava, con la dicitura “Nuovo messaggio”. Irina lo prese e
lesse.
“Consegna la posta a Gulliver. Il pacco è già
nella tua auto”
Il mittente era
William, che le dava il lavoro per quella giornata. Doveva averle lasciato il
pacco nel bagagliaio la sera precedente, prima di fare la gara.
“Consegnare la posta”
aveva un significato ben preciso, e lei sapeva quale. E anche cosa si intendeva per “pacco”.
Dando un ultimo
sguardo al televisore, accese il Nokia e lo mise nella borsa, poi vestì Tommy,
controllando ogni tanto l’orologio.
In quel momento,
entrò in cucina suo padre, un uomo dalla calvizie incipiente e dalle mani
grandi come badili. Si passò una mano sulla faccia e aprì il frigo, facendo un
grugnito, i piedi che strisciavano per terra dando il nervoso
a Irina.
<< Devi
andare a fare la spesa >> disse lui.
Irina non lo degnò
nemmeno di uno sguardo: “Devi andare a fare la spesa”, “E’ finita la birra” e
“Ho fame” erano le uniche frasi coerenti che Todd era in grado di pronunciare.
Per il resto, passava la giornata a bere seduto in soggiorno.
Di lavorare suo
padre non ci pensava proprio. Disoccupato cronico, sbandato, praticamente
sempre arrabbiato, trascorreva le sue giornate in giro per la città a condurre
loschi affari, o semisdraiato davanti alla TV. Irina non lo odiava, ma non
poteva nascondere di sopportarlo a stento, certe volte. Era il prezzo da pagare
per salvare la vita a lui e ai suoi fratelli.
Dieci minuti dopo,
Irina chiudeva a chiave la porta di casa con Tommy in braccio e raggiungeva il
garage.
Ad attenderla,
affiancate l’una vicino all’altra, c’erano le sue due
auto, le uniche cose che al momento rappresentavano la sua vita. Una era
un’Audi TT nero lucido, cerchi in lega ribassati e tettuccio in vetro apribile.
L’altra, nascosta
sotto un telo scuro, era “
E sotto il cofano,
un motore che non conservava nulla dell’originale. Un 2.8
litri da 255 cavalli, capace di spingere quella vettura a 250 km/h e
oltre.
Irina fissò un
attimo la macchina nascosta sotto la stoffa scura, poi aprì la porta della TT e
fece sedere Tommy nel seggiolino con un po’ di difficoltà. Quell’Audi non era
proprio il genere di macchina che si addice a una ragazza con un bambino.
<< Arrivo
subito >> disse dolcemente a Tommy. Lui la guardò sparire in silenzio,
come faceva sempre.
Tolse il telo alla
Grande Punto, e aprì il bagagliaio. Dentro c’era un pacco quadrato, ricoperto
da carta marrone, senza alcuna scritta. Era droga, la droga
che lei doveva consegnare.
Afferrò la scatola
e richiuse il baule con uno scatto, poi ricoprì l’auto con il lenzuolo. Nascose
“la posta” sotto il sedile anteriore della TT, e uscì dal garage, diretta da
“Gulliver”.
Con una silenziosa
frenata, l’Audi TT si fermò davanti al cancello in
ferro battuto di una grande villa con vista sul mare, a nel quartiere di Play
del Rey. Il sole del mattino faceva brillare le
vetrate della casa, e anche da fuori si sentiva lo scrosciare dell’acqua della
piscina.
Un inserviente fece
aprire il cancello appena la vide, e Irina entrò nella tenuta a passo d’uomo.
Le pietre del selciato scricchiolavano sotto le gomme ribassate della TT.
Tommy non c’era: lo
aveva già lasciato all’asilo nido. Guardò l’orologio: era in perfetto orario.
Normalmente non era lei a recarsi da Gulliver, ma evidentemente Patrick aveva
altro da fare, quella mattina.
Un uomo di circa
cinquant’anni uscì dalla porta vetrata della villa, vestito in un completo di
lino bianco e occhiali da sole vecchio tipo. I corti baffetti a spazzola
sembravano tagliati con la squadra, e gli davano l’aria di un perfetto uomo
d’affari.
<<
Buongiorno, Fenice >> la salutò cordialmente, mentre Irina scendeva
dall’auto.
<< Buongiorno
a lei, signor Woodhook >> rispose la ragazza.
Gulliver era un
soprannome. Per evitare di svelare qualche informazione riservata nel caso i messaggi
di William venissero intercettati, tutti i clienti
dello Scorpione erano conosciuti con un soprannome. E lo stesso valeva per i
piloti della Black List,
oltre che per un altro alto numero di persone che voleva far parte del giro di
William.
<< Ecco la
posta di oggi >> disse Irina, consegnando il pacco all’uomo, << Ha
già pagato, vero? >>.
<< Come
sempre >> ribatté l’altro, << Come mai Patrick non è venuto, oggi?
>>.
<< Non ne ho
idea >> rispose la ragazza, stringendosi nelle spalle, << Immagino avesse
qualcosa di urgente da fare… >>
<< Oh… Posso
offriti un caffè, allora? >> domandò Woodhook,
facendole cenno di entrare in casa.
<< No, la
ringrazio >> disse Irina, << Devo andare a lezione. Arrivederci
>>
Senza aggiungere
altro, la ragazza risalì sulla TT e uscì dal cancello, lasciandosi in pochi
minuti alle spalle la villa.
Oltre che fare la
pilota clandestina, Irina era anche uno dei “corrieri” di William Challagher, che si occupavano di consegnare la droga che
lui trattava. Era sorprendente scoprire quante persone insospettabili avessero
vizi del genere. Woodhook era uno di quelli.
Mezz’ora dopo,
Irina parcheggiava l’Audi davanti all’università, incastrandola con un abile
manovra tra due pick-up dopo aver cercato per venti minuti buoni un parcheggio.
Per fortuna non ci andava quasi mai in macchina, visto che
non distava molto da casa sua.
Scese dall’auto con
la borsa dei libri in spalla e guardò l’orologio. Erano le 9.30, giusto in
tempo per la lezione di marketing.
A passo veloce
entrò nella University of South California, dalla bella facciata in mattoni
chiari. I corridoi erano gremiti di studenti che si spostavano per cambiare
aula, parlando animatamente tra loro. Incrociò un paio di ragazzi che conosceva
di vista e li salutò con un cenno del capo, ignorando le occhiate che qualcuno
le aveva lanciato: anche lì c’era gente che sapeva chi era.
Raggiunse l’aula 12 con il fiato corto. Entrò, cercando con lo sguardo le sue
tre amiche, sedute a metà della stanza. Una, Jenny,
era una ragazza minuta, dai capelli neri e il viso affilato; Katy aveva i capelli biondo scuro, un fisico molto robusto
e un paio di occhiali dalla montatura viola; e poi c’era Angie,
la “secchiona” del gruppo, magra magra e dai capelli
castani perennemente legati.
<< Eccomi!
>> disse Irina, sedendosi vicino a Jenny e gettando la borsa dei libri
sotto la sedia.
<< Ciao
>> la salutò la ragazza, << Appena in tempo, il professore sta per
iniziare >>.
Irina si voltò verso
la cattedra dell’insegnante, per vedere che l’uomo stava afferrando il
microfono intimando il silenzio all’aula gremita da almeno duecentocinquanta
studenti. Si sedette di scatto, tirando fuori il quaderno per gli appunti.
Era una fortuna che
il lunedì le lezioni iniziassero alle 9.30: per lei era sempre un giorno
critico. Normalmente aveva un fine settimana di notti
brave da smaltire.
Jenny, Katy ed Angie
erano le sue migliori amiche, e come tali sapevano che era una pilota
clandestina e il giro che frequentava. Si conoscevano da molto prima che lei
fosse costretta a iniziare la sua vita da criminale, ma aveva rivelato loro il
meno possibile su quello che faceva. Sapevano che gareggiava con auto
potenziate, che partecipava alle feste della gente più potente della città, ma
non sapevano altro sulla sua doppia vita. Per loro era sempre l’Irina che avevano conosciuto al College, la ragazza dalla
famiglia scapestrata e il sorriso perennemente sul viso. Bè,
si sbagliavano di grosso. Erano cambiate tante cose da allora.
Mezz’ora dopo
l’inizio della lezione, Irina ascoltava distrattamente il professore, la testa
appoggiata sulla mano sinistra, mentre con l’altra cercava di prendere appunti.
Nonostante il caffè, aveva sonno.
Jenny le diede una
gomitata, e lei si riscosse.
<< Ragazze,
ho bisogno di un altro caffè >> disse reprimendo uno sbadiglio <<
Che ne dite se nella pausa facciamo un salto al bar?
>>
Jenny annuì.
Nell’aula il brusio
aumentava, segno che ormai gli studenti iniziavano a cedere alla stanchezza e
alla noia. Alla fine, il professore decise di lasciargli fare una pausa,
sperando si dessero una calmata. Molto probabilmente
il lunedì non era un giorno critico solo per Irina.
Le quattro ragazze
si alzarono, lasciando penne e quaderni sui banchi. Un attimo dopo camminavano lungo il corridoio che portava al bar
dell’università, insieme a un altro bel gruppo di studenti.
<< A che ora
sei tornata ieri sera? >> chiese Katy.
<< Alle
quattro >> rispose Irina, infilandosi nel bar affollato e mettendosi in
coda alla cassa << Sai che mi piace la vita movimentata >>.
Jenny ridacchiò.
“Movimentata” non era proprio il termine giusto.
Ore 14,30 – Autostrada
Alexander Went sfrecciava sull’autostrada in direzione Sud, a bordo della
sua BMW M3 bianca. Con la radio che trasmetteva una canzone dei Linkin Park a tutto volume, si piazzò lungo la corsia di
sorpasso sapendo di star infrangendo tutti i limiti di velocità consentiti. Era
uno dei privilegi di essere un agente speciale.
La sua destinazione
era Los Angeles, la più grande città della California e centro di una delle più
pericolose organizzazioni criminali degli Stati Uniti, che controllava praticamente tutta la regione. Un luogo conosciuto per i
tanti divertimenti, ma anche per i fiumi di droga che scorrevano nei locali più
famosi ed esclusivi… E per le innumerevoli gare clandestine di auto.
Xander appoggiò il gomito
del braccio sinistro vicino al finestrino, poi cercò gli
occhiali da sole Ray Ban nel portaoggetti. Li
inforcò rapidamente, e guardò l’orologio. Ancora un po’ e sarebbe arrivato alla
sua nuova casa.
Essere uno dei più
giovani agenti dell’F.B.I. aveva i suoi pregi: per uno
come lui, cresciuto in una famiglia più che benestante, non si trattava di
denaro, bensì di regole che poteva infrangere senza troppi problemi. Non aveva
mai amato le imposizioni, e per entrare nell’F.B.I.
aveva dovuto abbassare un po’ la cresta, ma aveva guadagnato il privilegio di
far parte di una missione come quella, che comprendeva gare clandestine di
automobili per cui lui aveva un certo talento.
Inserì l’indicatore
di posizione e superò a destra una grossa utilitaria argentata. Arrivava da San
Francisco, e aveva una certa fretta. Guardò il navigatore satellitare attaccato
al parabrezza, che indicava 50 chilometri alla meta.
Era curioso di
vedere la casa che il suo capo gli aveva affittato. Sperava fosse un bel posto,
visto che a Los Angeles ci era già stato diverse volte
e amava quella città soleggiata solcata dal mare: da giovane vi aveva
frequentato il College, prima di seguire il padre a New York.
La missione era
stata affidata solamente a lui, ma poteva contare sull’aiuto di un amico che
faceva l’informatico per l’F.B.I., e che molto
probabilmente si sarebbe fatto vedere spesso a casa sua. O
molto più verosimilmente ci si sarebbe direttamente trasferito.
Fermandosi in coda
al casello, Xander frugò dentro il portaoggetti,
estraendo un fascicolo senza nessuna intestazione. Lo sfogliò velocemente: erano
tutte le poche informazioni di cui disponeva per portare a termine la sua
missione.
Il suo compito era
uno solo: infiltrarsi tra i piloti clandestini, diventare uno di loro e far
arrestare lo “Scorpione”, il loro boss. Preso lui, avrebbero avuto in pugno
tutti gli altri.
Non sarebbe stato
poi così difficile, se le informazioni che aveva non fossero state così poche. Non si sapeva praticamente niente di loro, se non i soprannomi dei piloti
più famosi e qualche foto fatta di sfuggita. Oltretutto, il fatto che la
polizia di Los Angeles stesse dalla loro parte non aiutava.
Era stupito.
William Challagher, lo Scorpione, aveva messo su
un’organizzazione perfetta: solo chi passava una serie di controlli da parte
dei suoi scagnozzi entrava nel gruppo, e praticamente
mai nessuno era riuscito a conoscere lui di persona. Ecco perché non erano mai
riusciti a catturarlo.
Tra i vari fogli
del fascicolo, trovò una foto che quando aveva visto la prima volta lo aveva
lasciato a bocca aperta: era una ragazza dai bei lineamenti e i capelli
castani, che veniva chiamata “Fenice”. Era Irina, e
anche se erano passati tanti anni dall’ultima volta che l’aveva vista, non
poteva non riconoscerla.
Era stata
fotografata mentre scendeva da un’auto italiana, una Fiat Grande Punto bianca,
molto probabilmente importata. I capelli scuri le ricadevano in onde morbide
sulle spalle, il corpo magro e scattante delineato dai
jeans aderenti. Doveva essere dimagrita, in tutti quegli anni.
“Non avrei mai pensato di incontrarti di
nuovo” pensò, “Soprattutto
in una situazione del genere”.
Ore 15.00 – Garage di Max
Maximilian passò una mano
sulla fiancata della Fiat Punto, sopra il graffio che sfregiava la portiera.
<< Non è
niente >> disse, << Verrà via in un minuto >>.
Lui e Irina erano
nel suo garage, che durante gli anni era diventata una vera e propria officina
specializzata in elaborazioni di auto. In fondo c’era un ampio bancone pieno di
attrezzi, e sotto una mezza dozzina di pneumatici usurati Bridgestone. La saracinesca
era chiusa, per evitare che occhi indiscreti vedessero la Grande Punto nota
alla polizia di Los Angeles.
Il ragazzo si alzò.
Aveva ventitre anni, ma nel mondo delle corse
clandestine era considerato poco più che un ragazzino, anche se non era certo
il più giovane. Aveva i capelli castani, gli occhi scuri e un viso dai tratti
dolci dall’espressione perennemente incuriosita.
Max era entrato nel
mondo delle auto da corsa a quindici anni, quando aveva iniziato a lavorare
come meccanico nell’officina dello zio. A diciotto aveva comprato la sua prima
auto, una Volkswagen Golf blu, e aveva tentato di entrare nel giro delle gare
clandestine. Purtroppo per lui non aveva dimostrato grande bravura nelle corse,
ma non era passato inosservato: tutti avevano notato la sua attitudine
all’elaborazione delle auto.
Nel giro di qualche
mese, complice qualche amicizia giusta, era entrato nel giro ed era diventato
uno dei meccanici più bravi e famosi in tutta Los Angeles. E poi, quello di
Irina.
Al momento si
guadagnava da vivere lavorando come meccanico specializzato nell’officina che
aveva aperto insieme a un amico, e il tempo libero lo passava nel suo garage
facendo elaborazioni alla sua attuale Golf rossa.
Irina fissò il
graffio sulla portiera della Punto, e sbuffò: << Quanto ci vorrà per riparalo? >>.
<< Due ore al
massimo e torna come nuova. Non devo nemmeno portarla da me: ho già tutto il
necessario qui >> rispose Max, appoggiando una mano sull’auto e guardando
lei.
<< In soldi,
intendo >> disse Irina.
<< Bè, considerando che passerò sopra solo la vernice e gli
darò una spazzolata, non più di 200 dollari >>. Max la guardò di
sottecchi, e aggiunse: << Stai bene, Irina? >>.
La ragazza si
sedette su uno sgabello lì vicino, sbuffando. Era uscita dall’università e poi
era scappata a casa per prendere la Punto e portarla da lui: non aveva nemmeno
mangiato.
<< Si, sto bene. Sono solo un po’ stanca >> rispose,
<< Hai sentito il notiziario, no? >>.
<< Per poco
non vi facevate prendere… >> disse Max, << Come
hai fatto a scappare? >>.
Irina giochicchiò
con le chiavi che aveva in mano. << C’erano anche gli altri, e nel casino
sono riuscita a dileguarmi sull’autostrada. William mi ha dato una mano, perché
voleva i poliziotti per sé. Aveva voglia di divertirsi >>.
Max prese una
bomboletta dal bancone in fondo al garage, e iniziò a spruzzare il contenuto
sulla fiancata della Punto. << A che ora sei tornata? >> domandò.
<< Alle
quattro >> rispose Irina.
<< Mentre ti
rimetto a nuovo la macchina puoi andare in camera mia
a dormire, se vuoi >> propose Max, guardandola. << Quando ho finito ti vengo a chiamare >>.
Irina sorrise.
<< No, grazie Max, ma dormire non mi rimetterà a nuovo… Non è il sonno
che mi manca, nonostante tutto >>.
<< William
che ha detto? >> chiese il ragazzo.
<< Niente,
come al solito >> rispose Irina, << Si è
preso i suoi soldi, poi è arrivata la polizia e siamo scappati tutti >>.
Nell’ora che seguì Irina osservò l’amico rimettere a posto la fiancata della
Punto, poi gli diede i 200 dollari che si meritava e prese la macchina, diretta
a casa. Sperava di non incontrare poliziotti, perché la sua auto non sarebbe
passata certo inosservata: di solito si muoveva di notte, ma
questa volta aveva voluto sbrigarsela in fretta e riportare la Punto subito a casa.
Arrivata in garage,
coprì
Trovò Harry e
Dennis, i suoi due fratelli maggiori, in soggiorno a guardare la tv mangiando
un pacchetto di patatine. Harry, ventiquattro anni, capelli neri e naso
spaccato più volte, faceva lo scaricatore al porto di Los Angeles, e quel poco
che guadagnava lo spendeva in sigarette. Denis, ventidue anni, al momento stava
cercando un impiego dopo essere stato licenziato dieci volte in dieci posti
diversi: la parola “lavoro” aveva un particolare significato, nel suo
dizionario.
Vedendola passare
per il corridoio, Harry gridò: << Ci serve la macchina stasera. Lascia le
chiavi a portata di mano >>.
Sbuffando, Irina
uscì di casa e attraversò il vialetto. Odiava prestare
la TT ai suoi fratelli, perché di solito gliela riportavano sempre con una riga
o un’ammaccatura. Ma piuttosto che averli in casa
spaparanzati sul divano con i piedi sul tavolino, era disposta ad
accettare quel rischio.
Ore 16.00 – Casa di Xander
<< Allora?
Che ne pensi? >> domandò Jess, allargando le
braccia nel grande soggiorno della villa con piscina che il loro capo aveva avuto
la fantastica idea di affittargli. Era un ragazzo dai capelli rossi e il naso a
punta, più basso di lui ma anche più magro: decisamente
una corporatura da informatico fuori di testa quale era.
Xander guardò la sala,
soffermando gli occhi azzurri sul televisore ultrapiatto Sony, i divani di
pelle blu e il tavolino in cristallo che da soli dovevano costare almeno 15.000
dollari. Le porta-finestra davano sul giardino ben
tenuto in cui era incassata una grande piscina, al momento vuota. In fondo al
soggiorno c’era una larga scala che portava al piano di sopra.
<< Direi che
non è per niente male >> disse Xander,
guardandosi intorno soddisfatto. << A proposito… Che ci fai già qui? Non
dovevi venire domani? >>.
Jess si strinse nelle
spalle, facendo un cenno verso le scale. << Ero curioso di vedere dove ti
avevano piazzato. Tra parentesi, la stanza che da sulla
piscina è la mia >> rispose.
Jess era una di delle
nuove leve dell’F.B.I.: ventiquattro anni come lui, e
uno spiccato talento per mettersi nei guai. A differenza di Xander,
però, era un informatico, e sapeva praticamente tutto
di computer. L’avevano reclutato quando era quasi riuscito a entrare nel
database della CIA, e piuttosto che farselo nemico lo
avevano arruolato tra loro. Condividevano lo stesso ufficio al Quartier
Generale di San Francisco.
Xander salì le scale, ed
esplorò la casa da cima a fondo, prendendosi la stanza
che dava sul vialetto. Vedeva la BMW bianca parcheggiata davanti al garage,
scintillante nel sole di aprile.
Posò a terra i due
borsoni in cui aveva infilato a forza tutte le sue cose ed esaminò la camera. Armadi dalle imposte nero lucido, letto matrimoniale e comodini con
lampade bianche. Vicino alla finestra c’era una poltrona di cuoio nero
con tanto di pouf coordinato.
<< Tra un po’
dovrebbe arrivare Nichole >> disse Jess, di sotto.
Nichole era la loro
domestica, che provvidenzialmente il capo gli aveva assunto: due come loro
nella stessa casa avrebbero fatto decisamente casino.
Oltretutto, Jess non sembrava conoscere il vocabolo
“ordine”.
Ore 17.00 – Casa
Il telefono
cellulare Motorola squillò prepotente, e Irina lo afferrò pulendosi le mani
sulla maglietta ormai sporca di omogeneizzato. Posò la forchetta sul bancone,
mentre sentiva Tommy lamentarsi seduto sul seggiolone. Suo padre Todd, e i suoi
fratelli Harry e Denis, erano seduti a tavola a mangiare le sue frittelle belle
calde. Era assurdo come il telefono squillasse nei momenti meno opportuni.
<< Pronto
>> disse, controllando di non bruciare nulla.
<< Sono
William >> disse una voce dall’altra parte della linea. Anche se
l’interlocutore non si fosse identificato, lo avrebbe riconosciuto lo stesso:
aveva una voce che le faceva gelare in sangue nelle vene, certe volte.
<< Ciao
>> disse lei porgendo a Tommy un succo di frutta.
Harry gridò
qualcosa riguardo al bere, ma Irina gli diede le
spalle e si tappò un orecchio per riuscire a sentire meglio. Il volume alto
della televisione certo non aiutava.
<< Cosa c’è?
>> domandò.
<< Stasera
c’è una gara a coppie, aperta, e tu devi venire >> spiegò William,
<< Andiamo a dare uno sguardo a qualche pivellino >>.
<< Senti, io
non so se ce la faccio. Sono stanca, non puoi gareggiare con Hanck? Non dovrebbe essere difficile… >>. Gara aperta
significava gara facile, per lei. Era riservata agli
“aspiranti piloti” che volevano diventare qualcuno.
<< No
>> la interruppe William, << Io voglio che sia tu a gareggiare… E
dopo si va al Gold Bunny
>>.
Irina sentì lo
stomaco stringersi, ma non perse la calma. I suoi ordini non si discutevano,
lei lo sapeva bene, ma a volte dimenticava quella regola fondamentale nella
speranza di potergli stare alla larga.
<< Ho appena
fatto mettere a posto la macchina >> disse,
<< E sinceramente non ho voglia di gareggiare. Mi è bastato
l’inseguimento di ieri sera >>
Sentì William
ridacchiare dall’altra parte del telefono. << Irina, non discutere.
Stasera vieni, perché ci divertiremo. Voglio la mia pilota preferita, con me.
Mi sembra una richiesta legittima, non credi? >>.
La ragazza sospirò.
Ci aveva provato, almeno.
<< D’accordo
>> disse, << A che ora? >>.