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Autore: Lhea    10/06/2009    17 recensioni
ATTENZIONE: POSTATA "SORPRESA"
Los Angeles: nella città più grande della California, dalle spiagge assolate e l’odore del mare nell’aria, la vita della gente trascorre tranquilla tra gli alti e i bassi di tutti i giorni. Per tutti, tranne che per lei.
Irina, 20 anni, pilota prodigio invischiata in qualcosa di molto più grosso di lei, i cui soprannomi sono tanti quante le maschere che porta, vive cercando disperatamente di riguadagnare la libertà che le è stata rubata. Perché lei non è una ragazza qualunque, nonostante cerchi di esserlo. Lei è Fenice, l’unica donna ad essere arrivata così in alto nella Lista Nera, l’elenco dei più famosi piloti clandestini dello Stato. L’unica a essere entrata nelle grazie del capo, lo Scorpione…
E mentre la sregolata vita della criminalità si svolge senza intrusioni di alcun genere, Alexander Went si prepara a entrare in azione per portare a termine la missione più importante che gli sia stata affidata: arrestare lo Scorpione e smontare tutta la sua organizzazione.
Tra auto truccate, notti brave e affari di droga, Alexander capirà che certe volte le cose non si fanno per piacere, ma per necessità. E che ci sono cose che non vanno toccate. Una di quelle cose è proprio Irina… L’unica che potrà mandare in fumo i suoi piani, e l’unica cosa a cui lui terrà veramente…
RIPOSTATO CAP. VI e VII
Genere: Drammatico, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Gioco dello Scorpione' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Se qualcuno di voi era stato precedentemente interessato a questa storia, ma non aveva potuto leggere per via del rating rosso, sono lieta di annunciare che ho preso la decisione di abbassarlo. Non vi preoccupate, perché la storia è sempre la stessa, ma alla fine ho ritenuto che per qualche parolaccia fosse eccessivo. Ci sono fic molto più violente e spinte che non hanno rating più bassi.

Per il resto, anche se la storia è già finita, se avete voglia di lasciarmi comunque un commento, magari in un capitolo che vi è piaciuto particolarmente oppure alla fine, è molto gradito e ben accetto. Anche perché sto provvedendo alla correzione degli errori che mi sono sfuggiti e all’aggiunta di qualche canzone, quindi riposterò tutti i capitoli (scriverò quali di volta in volta nella presentazione della storia).

Per il resto, l’unico avvertimento che posso darvi è che il tema trattato a un certo punto non sarà particolarmente allegro, ma credo di aver affrontato la cosa in modo da non urtare i sentimenti di nessuno.

Non mi resta che augurarvi buona lettura, e sperare che gradiate.

Lhea

 

 

 

 

 

Capitolo I

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 7,00 – Casa

 

La sveglia iniziò a trillare forte nel buio della stanza. Solo uno spiraglio di luce filtrava tra le imposte della finestra, disegnando lame luminose sul pavimento della camera. I numeri rossi sul display lampeggiavano insistentemente, segnando l’inizio di una nuova giornata.

 

Irina, sdraiata supina nel letto, alzò un braccio e a tentoni spense la sveglia, lasciandosi scappare un grugnito scocciato, le mani che stropicciavano il volto. Trasse un sospiro prima di aprire gli occhi: i numeri sul display della sveglia segnavano le 7,01. Si girò a pancia in su, scostando bruscamente il lenzuolo, poi scese dal letto. Ancora intontita accese la lampada che aveva sul comodino e tirò su le persiane, lasciando entrare la luce di aprile nella camera da letto.

 

Nella stanza regnava il caos più totale, perché la sera prima non aveva avuto il tempo di rimettere tutto in ordine. Non aveva nemmeno guardato l’ora, quando era rientrata in casa, ma dovevano essere state più o meno le quattro del mattino…

 

Moriva dal sonno, ma come ogni volta che faceva tardi avrebbe resistito. Ormai era abituata a quel tipo di vita. Si stiracchiò, sbadigliando, poi gettò un’occhiata al lettino che era incastrato in un angolo della stanza: suo nipote dormiva ancora.

 

Infilatasi le ciabatte, Irina scese nella cucina disordinata: nel lavandino c’erano ancora i piatti della sera prima da lavare. Preparò la caffettiera e la mise sul fuoco, poi accese il televisore dopo aver trovato il telecomando dentro il cassetto delle posate. Stavano trasmettendo il telegiornale del mattino.

 

<< Anche questa volta il gruppo di pirati della strada è riuscito a sfuggire alla polizia >> stava dicendo il mezzo busto sullo schermo, un certo P.J. Friedman << Le autorità però assicurano che stanno facendo tutto il possibile per sgominare la banda, il cui numero di componenti sembra vari da zona a zona… Fortunatamente, la gara clandestina non ha causato incidenti sull’autostrada, ma ha gettato nel panico gli ignari automobilisti, che si sono visti sfrecciare di fianco diverse auto a velocità inaudite >>

 

Irina sbuffò: non avrebbero mai preso nessuno di quei piloti clandestini, semplicemente perché la polizia stessa li copriva. La gente di Los Angeles credeva che quei pazzi criminali avessero ormai i giorni contati, ma si sbagliava di grosso. Lei, che era nel giro, lo sapeva bene.

 

Intanto, sullo schermo trasmettevano le immagini, riprese da un elicottero della polizia, di cinque auto che correvano a una velocità folle sull’autostrada: tutte macchine di grossa cilindrata, tra cui una Porsche gialla in testa alla gara. Notò subito un’auto bianca che superò a destra un lungo Tir che trasportava bestiame, e che sfrecciò via nel giro di dieci secondi. “, sono stata brava” pensò con un mezzo sorriso sul volto.

 

Mentre il mezzo busto annunciava un altro servizio, si voltò e cercò in un cassetto un biberon e lo riempì di latte caldo, lasciandolo raffreddare sotto l’acqua corrente.

 

Andò a vestirsi in camera, infilandosi un paio di jeans e una maglia scura. Poi si mise le scarpe, un paio di mocassini beige, e si chinò sul lettino di suo nipote. Dentro, dormiva un bimbo di circa due anni, dal viso tondo e i capelli chiari. Era Thomas, il figlio di suo fratello.

 

Prese il bambino in braccio, svegliandolo dolcemente. Lui appoggiò la testa sulla sua spalla, stringendole con una manina una ciocca di capelli, senza l’intenzione di svegliarsi. Con Tommy tra le braccia scese di nuovo in cucina, gettando prima un’occhiata alla porta chiusa della camera di suo padre, e preparò la borsa con il cambio del bimbo per la giornata.

 

<< Ciao piccolo >> disse, vedendo Tommy che si svegliava << Vuoi fare colazione? >>.

 

Gli porse il biberon che lui prese con le manine e che portò subito alla bocca. Irina lo fece sedere sul seggiolone, bevve in fretta il caffè e aggiunse la tazza alla pila di piatti da lavare.

 

Sul bancone strapieno di stoviglie gettate alla rinfusa, vide i due cellulari con cui andava sempre in giro: il Nokia per le comunicazioni personali, e il Motorola ultimo modello per farsi trovare quando era ora di gareggiare. Due oggetti che rappresentavano il suo modo di essere.

 

Il display a colori del Motorola lampeggiava, con la dicitura “Nuovo messaggio”. Irina lo prese e lesse.

 

Consegna la posta a Gulliver. Il pacco è già nella tua auto”

 

Il mittente era William, che le dava il lavoro per quella giornata. Doveva averle lasciato il pacco nel bagagliaio la sera precedente, prima di fare la gara.

 

“Consegnare la posta” aveva un significato ben preciso, e lei sapeva quale. E anche cosa si intendeva per “pacco”.

 

Dando un ultimo sguardo al televisore, accese il Nokia e lo mise nella borsa, poi vestì Tommy, controllando ogni tanto l’orologio.

 

In quel momento, entrò in cucina suo padre, un uomo dalla calvizie incipiente e dalle mani grandi come badili. Si passò una mano sulla faccia e aprì il frigo, facendo un grugnito, i piedi che strisciavano per terra dando il nervoso a Irina.

 

<< Devi andare a fare la spesa >> disse lui.

 

Irina non lo degnò nemmeno di uno sguardo: “Devi andare a fare la spesa”, “E’ finita la birra” e “Ho fame” erano le uniche frasi coerenti che Todd era in grado di pronunciare. Per il resto, passava la giornata a bere seduto in soggiorno.

 

Di lavorare suo padre non ci pensava proprio. Disoccupato cronico, sbandato, praticamente sempre arrabbiato, trascorreva le sue giornate in giro per la città a condurre loschi affari, o semisdraiato davanti alla TV. Irina non lo odiava, ma non poteva nascondere di sopportarlo a stento, certe volte. Era il prezzo da pagare per salvare la vita a lui e ai suoi fratelli.

 

Dieci minuti dopo, Irina chiudeva a chiave la porta di casa con Tommy in braccio e raggiungeva il garage.

 

Ad attenderla, affiancate l’una vicino all’altra, c’erano le sue due auto, le uniche cose che al momento rappresentavano la sua vita. Una era un’Audi TT nero lucido, cerchi in lega ribassati e tettuccio in vetro apribile.

 

L’altra, nascosta sotto un telo scuro, era “la Belva”, come la chiamavano tutti quelli che erano del suo stesso giro. Una Grande Punto bianco lucido, cerchi da 21’ a sei razze, pneumatici ribassati Pirelli. Paraurti sportivi e minigonne laterali. Assetto ribassato e sospensioni specifiche. Spoiler posteriore e scanalature sul cofano per far respirare il potente motore. Fari allo xeno con luci di posizione azzurre. Scarico cromato e specchietti retrovisori con calotta nera. Sulla fiancata, l’aerografia nera di una fenice stilizzata.

 

E sotto il cofano, un motore che non conservava nulla dell’originale. Un 2.8 litri da 255 cavalli, capace di spingere quella vettura a 250 km/h e oltre.

 

Irina fissò un attimo la macchina nascosta sotto la stoffa scura, poi aprì la porta della TT e fece sedere Tommy nel seggiolino con un po’ di difficoltà. Quell’Audi non era proprio il genere di macchina che si addice a una ragazza con un bambino.

 

<< Arrivo subito >> disse dolcemente a Tommy. Lui la guardò sparire in silenzio, come faceva sempre.

 

Tolse il telo alla Grande Punto, e aprì il bagagliaio. Dentro c’era un pacco quadrato, ricoperto da carta marrone, senza alcuna scritta. Era droga, la droga che lei doveva consegnare.

 

Afferrò la scatola e richiuse il baule con uno scatto, poi ricoprì l’auto con il lenzuolo. Nascose “la posta” sotto il sedile anteriore della TT, e uscì dal garage, diretta da “Gulliver”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Con una silenziosa frenata, l’Audi TT si fermò davanti al cancello in ferro battuto di una grande villa con vista sul mare, a nel quartiere di Play del Rey. Il sole del mattino faceva brillare le vetrate della casa, e anche da fuori si sentiva lo scrosciare dell’acqua della piscina.

 

Un inserviente fece aprire il cancello appena la vide, e Irina entrò nella tenuta a passo d’uomo. Le pietre del selciato scricchiolavano sotto le gomme ribassate della TT.

 

Tommy non c’era: lo aveva già lasciato all’asilo nido. Guardò l’orologio: era in perfetto orario. Normalmente non era lei a recarsi da Gulliver, ma evidentemente Patrick aveva altro da fare, quella mattina.

 

Un uomo di circa cinquant’anni uscì dalla porta vetrata della villa, vestito in un completo di lino bianco e occhiali da sole vecchio tipo. I corti baffetti a spazzola sembravano tagliati con la squadra, e gli davano l’aria di un perfetto uomo d’affari.

 

<< Buongiorno, Fenice >> la salutò cordialmente, mentre Irina scendeva dall’auto.

 

<< Buongiorno a lei, signor Woodhook >> rispose la ragazza.

 

Gulliver era un soprannome. Per evitare di svelare qualche informazione riservata nel caso i messaggi di William venissero intercettati, tutti i clienti dello Scorpione erano conosciuti con un soprannome. E lo stesso valeva per i piloti della Black List, oltre che per un altro alto numero di persone che voleva far parte del giro di William.

 

<< Ecco la posta di oggi >> disse Irina, consegnando il pacco all’uomo, << Ha già pagato, vero? >>.

 

<< Come sempre >> ribatté l’altro, << Come mai Patrick non è venuto, oggi? >>.

 

<< Non ne ho idea >> rispose la ragazza, stringendosi nelle spalle, << Immagino avesse qualcosa di urgente da fare… >>

 

<< Oh… Posso offriti un caffè, allora? >> domandò Woodhook, facendole cenno di entrare in casa.

 

<< No, la ringrazio >> disse Irina, << Devo andare a lezione. Arrivederci >>

 

Senza aggiungere altro, la ragazza risalì sulla TT e uscì dal cancello, lasciandosi in pochi minuti alle spalle la villa.

 

Oltre che fare la pilota clandestina, Irina era anche uno dei “corrieri” di William Challagher, che si occupavano di consegnare la droga che lui trattava. Era sorprendente scoprire quante persone insospettabili avessero vizi del genere. Woodhook era uno di quelli.

 

Mezz’ora dopo, Irina parcheggiava l’Audi davanti all’università, incastrandola con un abile manovra tra due pick-up dopo aver cercato per venti minuti buoni un parcheggio. Per fortuna non ci andava quasi mai in macchina, visto che non distava molto da casa sua.

 

Scese dall’auto con la borsa dei libri in spalla e guardò l’orologio. Erano le 9.30, giusto in tempo per la lezione di marketing.

 

A passo veloce entrò nella University of South California, dalla bella facciata in mattoni chiari. I corridoi erano gremiti di studenti che si spostavano per cambiare aula, parlando animatamente tra loro. Incrociò un paio di ragazzi che conosceva di vista e li salutò con un cenno del capo, ignorando le occhiate che qualcuno le aveva lanciato: anche lì c’era gente che sapeva chi era.

 

Raggiunse l’aula 12 con il fiato corto. Entrò, cercando con lo sguardo le sue tre amiche, sedute a metà della stanza. Una, Jenny, era una ragazza minuta, dai capelli neri e il viso affilato; Katy aveva i capelli biondo scuro, un fisico molto robusto e un paio di occhiali dalla montatura viola; e poi c’era Angie, la “secchiona” del gruppo, magra magra e dai capelli castani perennemente legati.

 

<< Eccomi! >> disse Irina, sedendosi vicino a Jenny e gettando la borsa dei libri sotto la sedia.

 

<< Ciao >> la salutò la ragazza, << Appena in tempo, il professore sta per iniziare >>.

 

Irina si voltò verso la cattedra dell’insegnante, per vedere che l’uomo stava afferrando il microfono intimando il silenzio all’aula gremita da almeno duecentocinquanta studenti. Si sedette di scatto, tirando fuori il quaderno per gli appunti.

 

Era una fortuna che il lunedì le lezioni iniziassero alle 9.30: per lei era sempre un giorno critico. Normalmente aveva un fine settimana di notti brave da smaltire.

 

Jenny, Katy ed Angie erano le sue migliori amiche, e come tali sapevano che era una pilota clandestina e il giro che frequentava. Si conoscevano da molto prima che lei fosse costretta a iniziare la sua vita da criminale, ma aveva rivelato loro il meno possibile su quello che faceva. Sapevano che gareggiava con auto potenziate, che partecipava alle feste della gente più potente della città, ma non sapevano altro sulla sua doppia vita. Per loro era sempre l’Irina che avevano conosciuto al College, la ragazza dalla famiglia scapestrata e il sorriso perennemente sul viso. , si sbagliavano di grosso. Erano cambiate tante cose da allora.

 

Mezz’ora dopo l’inizio della lezione, Irina ascoltava distrattamente il professore, la testa appoggiata sulla mano sinistra, mentre con l’altra cercava di prendere appunti. Nonostante il caffè, aveva sonno.

 

Jenny le diede una gomitata, e lei si riscosse.

 

<< Ragazze, ho bisogno di un altro caffè >> disse reprimendo uno sbadiglio << Che ne dite se nella pausa facciamo un salto al bar? >>

 

Jenny annuì.

 

Nell’aula il brusio aumentava, segno che ormai gli studenti iniziavano a cedere alla stanchezza e alla noia. Alla fine, il professore decise di lasciargli fare una pausa, sperando si dessero una calmata. Molto probabilmente il lunedì non era un giorno critico solo per Irina.

 

Le quattro ragazze si alzarono, lasciando penne e quaderni sui banchi. Un attimo dopo camminavano lungo il corridoio che portava al bar dell’università, insieme a un altro bel gruppo di studenti.

 

<< A che ora sei tornata ieri sera? >> chiese Katy.

 

<< Alle quattro >> rispose Irina, infilandosi nel bar affollato e mettendosi in coda alla cassa << Sai che mi piace la vita movimentata >>.

 

Jenny ridacchiò.

 

“Movimentata non era proprio il termine giusto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 14,30 – Autostrada

 

Alexander Went sfrecciava sull’autostrada in direzione Sud, a bordo della sua BMW M3 bianca. Con la radio che trasmetteva una canzone dei Linkin Park a tutto volume, si piazzò lungo la corsia di sorpasso sapendo di star infrangendo tutti i limiti di velocità consentiti. Era uno dei privilegi di essere un agente speciale.

 

La sua destinazione era Los Angeles, la più grande città della California e centro di una delle più pericolose organizzazioni criminali degli Stati Uniti, che controllava praticamente tutta la regione. Un luogo conosciuto per i tanti divertimenti, ma anche per i fiumi di droga che scorrevano nei locali più famosi ed esclusivi… E per le innumerevoli gare clandestine di auto.

 

Xander appoggiò il gomito del braccio sinistro vicino al finestrino, poi cercò gli occhiali da sole Ray Ban nel portaoggetti. Li inforcò rapidamente, e guardò l’orologio. Ancora un po’ e sarebbe arrivato alla sua nuova casa.

 

Essere uno dei più giovani agenti dell’F.B.I. aveva i suoi pregi: per uno come lui, cresciuto in una famiglia più che benestante, non si trattava di denaro, bensì di regole che poteva infrangere senza troppi problemi. Non aveva mai amato le imposizioni, e per entrare nell’F.B.I. aveva dovuto abbassare un po’ la cresta, ma aveva guadagnato il privilegio di far parte di una missione come quella, che comprendeva gare clandestine di automobili per cui lui aveva un certo talento.

 

Inserì l’indicatore di posizione e superò a destra una grossa utilitaria argentata. Arrivava da San Francisco, e aveva una certa fretta. Guardò il navigatore satellitare attaccato al parabrezza, che indicava 50 chilometri alla meta.

 

Era curioso di vedere la casa che il suo capo gli aveva affittato. Sperava fosse un bel posto, visto che a Los Angeles ci era già stato diverse volte e amava quella città soleggiata solcata dal mare: da giovane vi aveva frequentato il College, prima di seguire il padre a New York.

 

La missione era stata affidata solamente a lui, ma poteva contare sull’aiuto di un amico che faceva l’informatico per l’F.B.I., e che molto probabilmente si sarebbe fatto vedere spesso a casa sua. O molto più verosimilmente ci si sarebbe direttamente trasferito.

 

Fermandosi in coda al casello, Xander frugò dentro il portaoggetti, estraendo un fascicolo senza nessuna intestazione. Lo sfogliò velocemente: erano tutte le poche informazioni di cui disponeva per portare a termine la sua missione.

 

Il suo compito era uno solo: infiltrarsi tra i piloti clandestini, diventare uno di loro e far arrestare lo “Scorpione”, il loro boss. Preso lui, avrebbero avuto in pugno tutti gli altri.

 

Non sarebbe stato poi così difficile, se le informazioni che aveva  non fossero state così poche. Non si sapeva praticamente niente di loro, se non i soprannomi dei piloti più famosi e qualche foto fatta di sfuggita. Oltretutto, il fatto che la polizia di Los Angeles stesse dalla loro parte non aiutava.

 

Era stupito. William Challagher, lo Scorpione, aveva messo su un’organizzazione perfetta: solo chi passava una serie di controlli da parte dei suoi scagnozzi entrava nel gruppo, e praticamente mai nessuno era riuscito a conoscere lui di persona. Ecco perché non erano mai riusciti a catturarlo.

 

Tra i vari fogli del fascicolo, trovò una foto che quando aveva visto la prima volta lo aveva lasciato a bocca aperta: era una ragazza dai bei lineamenti e i capelli castani, che veniva chiamata “Fenice”. Era Irina, e anche se erano passati tanti anni dall’ultima volta che l’aveva vista, non poteva non riconoscerla.

 

Era stata fotografata mentre scendeva da un’auto italiana, una Fiat Grande Punto bianca, molto probabilmente importata. I capelli scuri le ricadevano in onde morbide sulle spalle, il corpo magro e scattante delineato dai jeans aderenti. Doveva essere dimagrita, in tutti quegli anni.

 

Non avrei mai pensato di incontrarti di nuovopensò, “Soprattutto in una situazione del genere”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 15.00 – Garage di Max

 

Maximilian passò una mano sulla fiancata della Fiat Punto, sopra il graffio che sfregiava la portiera.

 

<< Non è niente >> disse, << Verrà via in un minuto >>.

 

Lui e Irina erano nel suo garage, che durante gli anni era diventata una vera e propria officina specializzata in elaborazioni di auto. In fondo c’era un ampio bancone pieno di attrezzi, e sotto una mezza dozzina di pneumatici usurati Bridgestone. La saracinesca era chiusa, per evitare che occhi indiscreti vedessero la Grande Punto nota alla polizia di Los Angeles.

 

Il ragazzo si alzò. Aveva ventitre anni, ma nel mondo delle corse clandestine era considerato poco più che un ragazzino, anche se non era certo il più giovane. Aveva i capelli castani, gli occhi scuri e un viso dai tratti dolci dall’espressione perennemente incuriosita.

 

Max era entrato nel mondo delle auto da corsa a quindici anni, quando aveva iniziato a lavorare come meccanico nell’officina dello zio. A diciotto aveva comprato la sua prima auto, una Volkswagen Golf blu, e aveva tentato di entrare nel giro delle gare clandestine. Purtroppo per lui non aveva dimostrato grande bravura nelle corse, ma non era passato inosservato: tutti avevano notato la sua attitudine all’elaborazione delle auto.

 

Nel giro di qualche mese, complice qualche amicizia giusta, era entrato nel giro ed era diventato uno dei meccanici più bravi e famosi in tutta Los Angeles. E poi, quello di Irina.

 

Al momento si guadagnava da vivere lavorando come meccanico specializzato nell’officina che aveva aperto insieme a un amico, e il tempo libero lo passava nel suo garage facendo elaborazioni alla sua attuale Golf rossa.

 

Irina fissò il graffio sulla portiera della Punto, e sbuffò: << Quanto ci vorrà per riparalo? >>.

 

<< Due ore al massimo e torna come nuova. Non devo nemmeno portarla da me: ho già tutto il necessario qui >> rispose Max, appoggiando una mano sull’auto e guardando lei.

 

<< In soldi, intendo >> disse Irina.

 

<< , considerando che passerò sopra solo la vernice e gli darò una spazzolata, non più di 200 dollari >>. Max la guardò di sottecchi, e aggiunse: << Stai bene, Irina? >>.

 

La ragazza si sedette su uno sgabello lì vicino, sbuffando. Era uscita dall’università e poi era scappata a casa per prendere la Punto e portarla da lui: non aveva nemmeno mangiato.

 

<< Si, sto bene. Sono solo un po’ stanca >> rispose, << Hai sentito il notiziario, no? >>.

 

<< Per poco non vi facevate prendere… >> disse Max, << Come hai fatto a scappare? >>.

 

Irina giochicchiò con le chiavi che aveva in mano. << C’erano anche gli altri, e nel casino sono riuscita a dileguarmi sull’autostrada. William mi ha dato una mano, perché voleva i poliziotti per sé. Aveva voglia di divertirsi >>.

 

Max prese una bomboletta dal bancone in fondo al garage, e iniziò a spruzzare il contenuto sulla fiancata della Punto. << A che ora sei tornata? >> domandò.

 

<< Alle quattro >> rispose Irina.

 

<< Mentre ti rimetto a nuovo la macchina puoi andare in camera mia a dormire, se vuoi >> propose Max, guardandola. << Quando ho finito ti vengo a chiamare >>.

 

Irina sorrise. << No, grazie Max, ma dormire non mi rimetterà a nuovo… Non è il sonno che mi manca, nonostante tutto >>.

 

<< William che ha detto? >> chiese il ragazzo.

 

<< Niente, come al solito >> rispose Irina, << Si è preso i suoi soldi, poi è arrivata la polizia e siamo scappati tutti >>.

 

Nell’ora che seguì Irina osservò l’amico rimettere a posto la fiancata della Punto, poi gli diede i 200 dollari che si meritava e prese la macchina, diretta a casa. Sperava di non incontrare poliziotti, perché la sua auto non sarebbe passata certo inosservata: di solito si muoveva di notte, ma questa volta aveva voluto sbrigarsela in fretta e riportare la Punto subito a casa.

 

Arrivata in garage, coprì la Punto con il suo telo scuro e tornò in casa a recuperare le chiavi della TT per andare a prendere Tommy all’asilo.

 

Trovò Harry e Dennis, i suoi due fratelli maggiori, in soggiorno a guardare la tv mangiando un pacchetto di patatine. Harry, ventiquattro anni, capelli neri e naso spaccato più volte, faceva lo scaricatore al porto di Los Angeles, e quel poco che guadagnava lo spendeva in sigarette. Denis, ventidue anni, al momento stava cercando un impiego dopo essere stato licenziato dieci volte in dieci posti diversi: la parola “lavoro” aveva un particolare significato, nel suo dizionario.

 

Vedendola passare per il corridoio, Harry gridò: << Ci serve la macchina stasera. Lascia le chiavi a portata di mano >>.

 

Sbuffando, Irina uscì di casa e attraversò il vialetto. Odiava prestare la TT ai suoi fratelli, perché di solito gliela riportavano sempre con una riga o un’ammaccatura. Ma piuttosto che averli in casa spaparanzati sul divano con i piedi sul tavolino, era disposta ad accettare quel rischio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 16.00 – Casa di Xander

 

<< Allora? Che ne pensi? >> domandò Jess, allargando le braccia nel grande soggiorno della villa con piscina che il loro capo aveva avuto la fantastica idea di affittargli. Era un ragazzo dai capelli rossi e il naso a punta, più basso di lui ma anche più magro: decisamente una corporatura da informatico fuori di testa quale era.

 

Xander guardò la sala, soffermando gli occhi azzurri sul televisore ultrapiatto Sony, i divani di pelle blu e il tavolino in cristallo che da soli dovevano costare almeno 15.000 dollari. Le porta-finestra davano sul giardino ben tenuto in cui era incassata una grande piscina, al momento vuota. In fondo al soggiorno c’era una larga scala che portava al piano di sopra.

 

<< Direi che non è per niente male >> disse Xander, guardandosi intorno soddisfatto. << A proposito… Che ci fai già qui? Non dovevi venire domani? >>.

 

Jess si strinse nelle spalle, facendo un cenno verso le scale. << Ero curioso di vedere dove ti avevano piazzato. Tra parentesi, la stanza che da sulla piscina è la mia >> rispose.

 

Jess era una di delle nuove leve dell’F.B.I.: ventiquattro anni come lui, e uno spiccato talento per mettersi nei guai. A differenza di Xander, però, era un informatico, e sapeva praticamente tutto di computer. L’avevano reclutato quando era quasi riuscito a entrare nel database della CIA, e piuttosto che farselo nemico lo avevano arruolato tra loro. Condividevano lo stesso ufficio al Quartier Generale di San Francisco.

 

Xander salì le scale, ed esplorò la casa da cima a fondo, prendendosi la stanza che dava sul vialetto. Vedeva la BMW bianca parcheggiata davanti al garage, scintillante nel sole di aprile.

 

Posò a terra i due borsoni in cui aveva infilato a forza tutte le sue cose ed esaminò la camera. Armadi dalle imposte nero lucido, letto matrimoniale e comodini con lampade bianche. Vicino alla finestra c’era una poltrona di cuoio nero con tanto di pouf coordinato.

 

<< Tra un po’ dovrebbe arrivare Nichole >> disse Jess, di sotto.

 

Nichole era la loro domestica, che provvidenzialmente il capo gli aveva assunto: due come loro nella stessa casa avrebbero fatto decisamente casino. Oltretutto, Jess non sembrava conoscere il vocabolo “ordine”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ore 17.00 – Casa

 

Il telefono cellulare Motorola squillò prepotente, e Irina lo afferrò pulendosi le mani sulla maglietta ormai sporca di omogeneizzato. Posò la forchetta sul bancone, mentre sentiva Tommy lamentarsi seduto sul seggiolone. Suo padre Todd, e i suoi fratelli Harry e Denis, erano seduti a tavola a mangiare le sue frittelle belle calde. Era assurdo come il telefono squillasse nei momenti meno opportuni.

 

<< Pronto >> disse, controllando di non bruciare nulla.

 

<< Sono William >> disse una voce dall’altra parte della linea. Anche se l’interlocutore non si fosse identificato, lo avrebbe riconosciuto lo stesso: aveva una voce che le faceva gelare in sangue nelle vene, certe volte.

 

<< Ciao >> disse lei porgendo a Tommy un succo di frutta.

 

Harry gridò qualcosa riguardo al bere, ma Irina gli diede le spalle e si tappò un orecchio per riuscire a sentire meglio. Il volume alto della televisione certo non aiutava.

 

<< Cosa c’è? >> domandò.

 

<< Stasera c’è una gara a coppie, aperta, e tu devi venire >> spiegò William, << Andiamo a dare uno sguardo a qualche pivellino >>.

 

<< Senti, io non so se ce la faccio. Sono stanca, non puoi gareggiare con Hanck? Non dovrebbe essere difficile… >>. Gara aperta significava gara facile, per lei. Era riservata agli “aspiranti piloti” che volevano diventare qualcuno.

 

<< No >> la interruppe William, << Io voglio che sia tu a gareggiare… E dopo si va al Gold Bunny >>.

 

Irina sentì lo stomaco stringersi, ma non perse la calma. I suoi ordini non si discutevano, lei lo sapeva bene, ma a volte dimenticava quella regola fondamentale nella speranza di potergli stare alla larga.

 

<< Ho appena fatto mettere a posto la macchina >> disse, << E sinceramente non ho voglia di gareggiare. Mi è bastato l’inseguimento di ieri sera >>

 

Sentì William ridacchiare dall’altra parte del telefono. << Irina, non discutere. Stasera vieni, perché ci divertiremo. Voglio la mia pilota preferita, con me. Mi sembra una richiesta legittima, non credi? >>.

 

La ragazza sospirò. Ci aveva provato, almeno.

 

<< D’accordo >> disse, << A che ora? >>.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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