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Autore: Ode To Joy    24/05/2017    10 recensioni
REWRITING in Progress
[Kageyama x Hinata]
[Iwaizumi x Oikawa]
[Daichi x Suga]
"Ti racconto una cosa: quando un corvo riesce a trovare il proprio compagno gli rimane accanto per tutta la vita."
In un mondo la cui storia è scritta da continui giochi di potere tra principi e re, due regni continuano a scontrarsi senza che vi sia mai un vincitore.
"C'è una lezione che non devi mai dimenticare: un Re che decide di combattere da solo, è un Re sconfitto in partenza."
In un mondo in cui si può solo perdere o vincere tutto, alle volte è utile ricordare che anche il più grande avversario può divenire il più forte degli alleati.
"Alla fine, il Re più potente è sempre quello con a fianco più compagni disposti a seguirlo fino alla fine."
[Medieval+Fantasy -AU]
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Koushi Sugawara, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Raven Crown '
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30
Di lucciole e stelle
 
 

Il Principe Demone aveva permesso all’erede al trono di Shiratorizawa e al suo Cavaliere di sistemarsi nel fienile dietro alla tenuta dalle bianche mura ma si era assicurato che tutti fossero a letto prima di farlo, come se si vergognasse della loro presenza.
Tsutomu si era addormentato raggomitolato su di un accidentato letto di paglia spuntando una lunga serie d’insulti contro chiunque gli passasse per la testa, compreso il Cavaliere che lo aveva accompagnato in quell’assurda impresa.
Da parte sua, Satori l’aveva presa a ridere. “Non te la prendere, Tsutomu. Ci saranno altri Principe o Principesse per te!”
“Vai al diavolo!”
Il Principe dell’Aquila aveva dormito poco e male in quella sua prima notte nelle campagne di Seijou e, tanto per peggiorare la situazione, il Principe Demone lo aveva anche buttato giù dal letto all’alba.
“Come sarebbe a dire che dobbiamo lavorare nei campi?”
Se fosse stato un poco più onesto con se stesso, Tsutomu avrebbe ammesso che quello che più gli dava fastidio era il fatto che il Principe Demone se ne stesse lì, fresco come una rosa mentre il sole non aveva ancora tagliato l’orizzonte, ad apparire come un Re degno di tale nome anche con dei semplici abiti da contadino addosso.
Satori non parve molto disturbato da quella prospettiva. “Sembra divertente!” Commentò entusiasta consumando una pagnotta di pane con del latte sotto il portico della tenuta.
Tsutomu, seduto dalla parte opposta del tavolo, lo guardò storto. “Siamo dei nobili, noi…”
“Mangiate cibo che viene prodotto lavorando la terra, come qualunque uomo che respiri,” replicò Tobio con voce incolore. “Essere umili non è una caratteristica degli indegni. Casomai il contrario, Tsutomu.”
Il Principe dell’Aquila sgranò gli occhi. “Ma sei un Principe, esattamente come me!” Esclamò. “Dove è il tuo orgoglio?”
Tobio fece una smorfia. “Sta nel fatto di essermi guadagnato in parte il trono che erediterò,” replicò. “Appena avete finito di mangiare, seguitemi. Vi spiegherò cosa faremo prima che gli altri si alzino e qui si scateni il caos a causa della vostra presenza.”
Tsutomu fece per dire qualcosa di molto scortese ma Satori lo precedette. “Vi ringraziamo per la vostra gentilezza, Principe Demone,” disse forzando un sorriso.
Tobio annuì e rientrò all’interno della casa.
“Uhm…” Satori prese un sorso del suo latte. “No, quel moccioso non è niente male.”
Il suo Principe lo guardò con astio. “Non basta mio padre, ti ci metti anche tu!”
“Quando imparerai a controllare la lingua, forse, il mio giudizio cambierà,” disse Satori. “Per ora, l’anno di differenza che c’è tra voi corrisponde ad almeno un decennio nei fatti.”
Tsutomu sbatté il pugno sul tavolo. “Io sono partito per conquistare il nord, mentre l’idiota risaliva la costa a bordo di una nave perfettamente sicura!”
Satori alzò gli occhi al cielo. “Continua così, Tsutomu. Continua a credere che il tasso di rischio di un’impresa renda un uomo più degno di un altro e diverrai l’erede che tuo padre merita.”
Il Principe dell’Aquila guardò il Cavaliere un poco smarrito, ogni traccia d’arroganza era sparita dal suo viso. “Perché lo dici come se fosse una cosa negativa?”
Satori rimase con la sua tazza sospesa a mezz’aria osservando il fanciullo dalla parte opposta del tavolo con un barlume di pietà ad illuminargli gli occhi. “Per essere il degno erede di un Re, non devi imitarlo, Tsutomu. Devi superarlo. Questa è una lezione che il piccolo Tobio sembra aver imparato molto in fretta. Quando lo capirai anche tu, allora potrete combattere sullo stesso campo di battaglia.”
Tsutomu inarcò le sopracciglia. “Mi stai consigliando di sconfiggere mio padre.”
Satori sbuffò. “Quanto siete tragici, voi adolescenti. Arriva all’età giusta per avere una donna prima di pensare ai colpi di stato, almeno!”
“Me lo hai appena detto tu!”
“Ti ho detto di superare tuo padre,” chiarì Satori. “Se pensi che per superare qualcuno sia necessario decapitarlo, allora la strada che hai davanti a te è davvero ma davvero tanto lunga.”
Tsutomu piegò le labbra in un ghignetto sicuro. “Uccidere un nemico è la sconfitta ultima, no?”
“Quanto sei ingenuo…” Commentò Satori con un sorrisetto. “Decapita un uomo amato dalle masse e sii abbastanza stupido da farlo di fronte al suo popolo e vedrai quanto ti sentirai vittorioso, alla fine.”
“Non credo di capire…”
Il Cavaliere sorrise con pazienza. “Sei giovane,” disse. “Non sei obbligato a capire. Non ancora…”
“E quando, allora?” Domandò Tsutomu.
“Quando arriverà il momento, lo capirai,” concluse il Cavaliere finendo di bere il suo latte. “Per ora, impara che offendere un Principe più potente di te in casa sua è davvero poco intelligente. Sei un ospite, sappi comportarti come tale.”
“Oh! Oh! Oh!”
Satori si fece rigido nell’udire quell’esclamazione idiota.
“Sogno o son desto?” Domandò una seconda voce. “Satori!”
Il Cavaliere si voltò e non fu felice di riconoscere i due idioti che erano comparsi al centro del cortile interno della tenuta.
“Oh, merda…” Sibilò tra i denti, mentre Koutaro di Fukurodani e Tetsuro di Nekoma si avvicinavano per dare il loro benvenuto ai nuovi ospiti.
 
 
***
 
 
Kenjirou venne svegliato dal rumore del mare.
Avevano tenuto le finestre aperte per lasciare che la brezza fresca della notte alleviasse un poco i fastidi del caldo di fine estate. Sospirò e si stiracchiò tra le lenzuola. Wakatoshi non era accanto a lui, lo seppe ancora prima di aprire gli occhi ed allungare la mano verso la parte di letto lasciata vuota.
Non perse tempo a provare malinconia: ci era abituato.
Quella mattina, non rimase solo a lungo, però.
Si mise a sedere quasi di scatto nel sentire la porta della camera venire aperta. Si strinse le lenzuola al petto mettendosi sulla difensiva ma a varcare l’uscio fu solo Wakatoshi.
 “Buongiorno,” salutò il Re avvicinandosi.
“Buongiorno,” rispose Kenjirou sinceramente sorpreso.
“Sei sveglio da molto?” Domandò Wakatoshi sedendosi sul bordo del letto, accanto al suo amante. “Vuoi che ti faccia portare la colazione?”
“No, resta…” Kenjirou esitò. “Resta e basta.”
Wakatoshi annuì. “Hai dormito bene, almeno?”
“Sì,” ammise l’Arciere. “Ero nervoso la notte scorsa, non credevo ci sarei riuscito.”
“Sei ancora arrabbiato con me?”
“Non mi è permesso essere arrabbiato con il mio Re.”
“Ti è permesso essere arrabbiato con il tuo amante, però,” replicò Wakatoshi.
Kenjirou venne preso di sorpresa da quelle parole. Si umettò le labbra e decise di sviare l’argomento di quella conversazione. “Sei andato da lui?”
Il Re annuì.
“Gli hai portato dei fiori?”
“Non mi piace portargli dei fiori,” rispose Wakatoshi. “I fiori sono un regalo per i morti. Eita non è morto.”
Kenjirou scrollò le spalle. “Sono anche regali per gli innamorati, però,” replicò. “Satori glieli porta continuamente.”
Wakatoshi accennò un sorriso. “Vuoi forse dire che il mio più fidato amico è segretamente innamorato della madre di mio figlio?”
“Sicuramente prova per lui un profondo affetto,” disse Kenjirou. Non pensava ci fosse nulla di male. Erano cresciuti insieme, dopotutto e quella era una delle ragioni principali per cui lui era stato messo da parte per molto tempo.
“Mi preoccuperei se non fosse così,” ammise Wakatoshi. “Eita ha sempre saputo come farsi voler bene. È sempre stato riservato ma gentile, a modo suo.”
“È questo che ti ha fatto innamorare di lui?” Kenjirou si pentì di averlo domandato un istane troppo tardi.
Wakatoshi lo fissò dritto negli occhi. “Pensavo non ti piacesse parlare di Eita,” disse.
“Non mi piace parlarne con te,” rispose l’Arciere. “Ma non per la ragione che credi.”
Il Re annuì. “Eravate amici, voi due. Forse, lo eravate più di quanto lo fossero lui e Satori.”
Kenjirou scosse la testa. “La natura del nostro legame era solo diversa, niente di più,” disse. “Non era più o meno profonda dell’amicizia con Satori. Immagino abbia confidato a me cose che non ha mai confessato a nessuno.”
“Nemmeno a me?”
“Non posso saperlo, Wakatoshi,” Kenjirou scosse la testa. “Per rispetto suo, non ti ho mai posto molte domande che continuano a tormentarmi. Ti sarei grato se avessi a cuore le sue volontà quanto me.”
Il Re dell’Aquila annuì. “Non voglio forzarti ad infrangere una promessa.”
“Puoi rispondere alla mia domanda, però?” Insistette l’Arciere. “Era per quella discrezione e quella gentilezza che ti sei innamorato di lui?”
Wakatoshi prese a fissare un punto qualunque del pavimento lucido. “L’amore è una questione su cui ho smesso d’interrogarmi,” ammise. “Quello che provo per Tsutomu è quello per cui non alcun dubbio.”
Kenjirou accennò un sorriso, suo malgrado. “Ha ancora tanto bisogno di te.”
“Perché lo fai?”
“Che cosa?”
Wakatoshi tornò a guardarlo negli occhi. “Sarà l’unica domanda che ti porrò riguardo al tuo rapporto con Eita e, lo prometto, dopo non ne parleremo mai più. A meno che tu non lo voglia…”
Kenjirou annuì. “Parla…”
“Tu ami Tsutomu come se fosse tuo perché lo hai promesso a lui o perché lo hai tenuto tra le braccia fin dal principio?”
Kenjirou si umettò le labbra. “Non credo di essere un genitore per Tsutomu… In particolare, non credo di essere quello che ha perso.”
“Ma?”
“Non c’è un ma,” replicò l’Arciere. “Non si può promettere l’amore, Wakatoshi. Tu hai amato Tsutomu nel momento in cui Eita ti ha detto che lo portava in grembo? Hai amato lui ancor di più nel renderti di conto di dove si era spinto per esaudire il tuo desiderio?”
Lo sguardo di Wakatoshi si tinse di una sfumatura terribile, la stessa che si sarebbe potuta trovare negli occhi di un uomo tormentato. “No,” ammise. “Non ho amato quel figlio quando Eita mi ha detto di portarlo in grembo. Non l’ho amato mentre lo vedevo crescere fin troppo velocemente in lui.”
Kenjirou strinse le labbra e si costrinse a non dire una sola parola.
“Quel giorno d’inverno, però,” aggiunse il Re dell’Aquila. “Nevicava, ricordi? Dopo tanto cercare, concepire quel bambino era stato terribilmente facile e l’attesa per metterlo al mondo altrettanto terribilmente breve. Quella notte, però, sembrava non passare mai.”
Kenjirou annuì. “Me lo ricordo…”
“Poi quel neonato ha cominciato a piangere,” Wakatoshi portò lo sguardo verso la finestra, verso quell’orizzonte ancora misterioso per qualunque Re dei Regni liberi. “L’ho messo io tra le braccia di Eita. Era ancora sporco, coperto solo da un lenzuolo. Si agitava come poteva e gridava a pieni polmoni.”
Suo malgrado, Kenjirou sorrise. “È sempre stato se stesso fin dall’inizio…”
“Se ho mai dubitato di sapere cosa fosse quel gran mistero chiamato amore, l’ho capito in quel momento,” confessò il Re dell’Aquila. “Nel momento in cui Tsutomu ha aperto gli occhi la prima volta e mi ha guardato.”
Kenjirou osservò il profilo del suo signore come se lo vedesse per la prima volta. Restò in silenzio a contemplare il dio che diveniva uomo e lo faceva senza vergogna né paura e si disse che, in fondo, la creatura così distante da ogni essere umano che tanto aveva idolatrato non era nemmeno la metà di quello che gli era permesso di vedere ora.
“Poi Eita ha perso i sensi,” aggiunse Wakatoshi. “La nascita di nostro figlio è stato l’inizio della sua fine…”
Kenjirou abbassò lo sguardo con rispetto. “Te ne sei mai pentito?” Domandò pur sapendo che era una risposta crudele.
“Di aver messo al mondo Tsutomu?” Domandò Wakatoshi.
L’Arciere sospirò. “Non intendevo questo…”
“So cosa intendevi,” lo interruppe il Re. “Ciò non cambia i fatti: pentirmi di aver spinto Eita a fare quello che ha fatto significherebbe pentirmi di aver messo al mondo mio figlio.”
Kenjirou non disse altro.
“E tu conosci già la risposta, Kenjirou.”
 
 
***
 
 
Tobio salì le scale lentamente cercando di fare meno rumore possibile e s’infilò all’intero della camera che era appartenuta ai suoi genitori in punta di piedi. Shouyou dormiva con il viso rivolto verso la finestra e le prime luci del giorno gli accarezzavano le guance ed i capelli ma non abbastanza intensamente da svegliarlo.
Il Principe Demone l’osservò per un istante, poi esaurì la distanza tra sé ed il letto sedendovisi sul bordo. “Shouyou…” Chiamò afferrandogli una spalla gentilmente.
Bastò così poco a destare il piccolo Principe ma gli occhi d’ambra si aprirono appena per guardarlo. “Tobio?”
Il giovane dai capelli corvini strinse le labbra. “Hai avuto problemi ad addormentarti, non è così?”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “No…”
“Ti ho sentito, stupido,” replicò il Principe Demone con una smorfia. “Ti sei mosso per tutta la notte.”
Il piccolo Principe si stese sulla schiena e scrollò le spalle. “Pensieri…”
“Pensieri che hanno a che fare con la presenza di Tsutomu?”
Shouyou scosse la testa. “No,” si umettò le labbra. “Mi ero quasi dimenticato di lui, a dire il vero…”
Tobio sospirò. “Allora, qualcosa che a che fare con quello che è successo ieri alla cascata?”
Gli occhi d’ambra si fecero attenti ed il Principe Demone non poté evitare di notare quanto fossero luminosi, nonostante la poca luce nella camera da letto.
“Resta a riposo, oggi,” disse stringendo ancora una volta la spalla del piccolo Principe. “Tadashi si occuperà di te e chiederò a Kenma e Keiji di restare nei paraggi, se avessi bisogno di qualcosa.”
Shouyou si sollevò su di un gomito. “Non voglio essere di…”
“Non sarai di disturbo a nessuno,” lo interruppe Tobio. “Sappiamo entrambi cosa è successo ieri alla cascata e non voglio che tu resti da solo, capito? Non con tutti questi nobili adolescenti completamente idioti che se ne vanno in giro.”
Shouyou abbassò lo sguardo, le sue guance si fecero rosse. “Non è successo niente ieri…”
Tobio alzò gli occhi al cielo. “Shouyou…”
“Non è successo niente!” Insistette il Principe dei Corvi, gli occhi pieni di lacrime.
Il Principe Demone gli concesse il tempo di un respiro, poi riprese a parlare. “Ricordi la prima volta che mi hai parlato della tua paura di essere un Omega, Shouyou?”
L’altro annuì lentamente. “Mi hai detto che non te ne importava niente.”
“Esatto,” Tobio annuì per sottolineare il concetto. “Continua a non importarmene niente. Per tanto, non rendere una maledizione qualcosa che non lo è. Non è cambiato niente.”
“Mi vuoi chiuso in casa per stare lontano dai tuoi uomini e hai anche il coraggio di dire che non è cambiato niente?” Replicò Shouyou tirando su col naso.
“Ehi…” Tobio gli diede un colpetto sul mento per invitarlo a guardarlo di nuovo negli occhi. “Non ti sto punendo, non vedere questo ordine come un’azione contro di te.”
“E come dovrei interpretarlo, Tobio?”
“Sarei stupido a comportarmi come se nulla fosse successo,” spiegò il Principe Demone. “Se ti stai presentando, devo tenere in considerazione che potresti sentirti strano. Come quando cresci di una spanna in una sola estate ed allora ti fa male tutto fino alla primavera successiva.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Mi stai prendendo in giro?”
“Sì,” ammise Tobio senza cambiare espressione.
Shouyou gli diede una gomitata. Era tornato a sorridere. “Veramente?” Domandò. “Ti faceva male tutto?”
“Come se mi avessero calpestato in centomila vestiti di armatura e tutto il resto,” rispose Tobio accennando un sorriso. “Non ho idea di come funzioni per gli Omega, quindi preferisco lasciarti in mani più esperte delle mie.”
Shouyou annuì. “Keiji è come me, vero? Ha partorito la sua bambina, no?”
“Esatto…” Tobio si alzò in piedi. “Se avrai bisogno di fare domande, penso che lui sia il più adatto a cui chiedere. Se, invece, vuoi qualcosa che ti aiuti a riposare o se comincia a farti male tutto, Kenma è più indicato.” Si portò le mani ai fianchi. “Se prometti di non fare una scenata, pensavo di farci qualche parola anche io… Per… Capire, immagino.”
Le guance di Shouyou si colorarono ancor di più. “Sì, immagino che possa essere utile per entrambi…”
Tobio annuì. “Voglio sapere come posso comportarmi. Cosa devo fare, cosa non devo fare e così via…”
Shouyou si portò le ginocchia al petto. “Puoi… Puoi non…”
“Se vuoi parlarne, lo farai tu,” concluse Tobio. “Per ora, pensa a riposarti.”
Il Principe dei Corvi annuì. “Tu che cosa farai?”
“Andrò nei campi,” rispose Tobio. “Il tuo Cavaliere verrà con me e, se sarò fortunato, al mio ritorno l’avrò annoiato abbastanza da raccontarti qualcosa di divertente.”
Shouyou ridacchiò. “Porterai anche Tsutomu con te?”
“Non l’ho nominato perché, senza ombra di dubbio, avrò molto da raccontare su di lui.”
“Fai il simpatico ora, Tobio?”
“No, sono ancora arrabbiato col mondo come sempre, Shouyou,” confessò il Principe Demone.
Il sorriso del Principe dei Corvi si fece malinconico. “Ed io sto ancora qui a chiedermi perché.”
Le labbra di Tobio si piegarono in una smorfietta. “Mi devi ancora una lezione di volo…”
“Sì,” Shouyou reclinò la testa da un lato. “A proposito di quello: vorrei che facessimo a modo mio, va bene? Niente più colpi di testa come quello di ieri.”
Tobio annuì. “Affare fatto,” si voltò. “Torna a riposare, Shouyou.”
 
 
***
 
 
Takahiro non si sentiva molto a suo agio con quel vassoio in mano e fissava il calice che vi era al centro e che a stento riusciva a mantenere in equilibrio come se potesse attaccarlo da un momento all’altro.
“Sei riuscito a fare le scale,” gli disse Issei, “il peggio è passato.”
“Ancora non ho capito perché dobbiamo farlo noi,” si lamentò Takahiro che, oltre ad essere di nobili natali, era anche divenuto Cavaliere lungo la strada e questo sarebbe dovuto bastare a tenerlo lontano da vassoi, calici ed intrugli destinati a rendere meno terribile il giorno successivo ad una sbronza colossale.
“Perché il Re ha chiesto espressamente di noi ai suoi servitori,” gli ricordò Issei.
“Il fatto stesso che abbia dei servitori rende inutile la nostra presenza,” replicò Takahiro imboccando l’ingresso degli appartamenti privati del Re Demone.
Issei scrollò le spalle. “Avrà le sue ragioni…”
“È proprio questo che mi preoccupa,” disse l’altro Cavaliere stizzito. “Tooru è formale con noi da anni ed ora vuole che gli portiamo questo veleno per alleviare i postumi della sbronza? Perché non lo ha chiesto a Hajime?”
“Il Primo Cavaliere è più in alto di noi nella gerarchia, dopotutto.”
“Questo non giustifica il fatto che stia facendo il cameriere!”
“Alle volte, ti è capitato di fare il contadino…”
“Non è paragonabile! Quello è lavoro utile! Portare questo intruglio al Re… A proposito, siamo sicuri che non sia veramente veleno?”
Issei scrollò le spalle. “L’ha preparato Kaname. Ha detto di non essere bravo come Kenma ma che sarebbe stato comunque utile.”
“Appunto!” Esclamò Takahiro. “Kaname, Re di Dateko… Lo sai quanto ci amano quelli di Dateko, no?” Sottolineò con sarcasmo.
“Kaname non sembra assetato di vendetta quanto Futakuchi.”
“E se Futakuchi ha corretto la ricetta?”
“E rischiare che il suo signore venga condannato a morte per regicidio? No, quei soldati adorano troppo Kaname per considerarlo sacrificabile.”
“Una volta anche noi adoravamo il nostro Re…” Replicò Takahiro amaramente.
Issei fece una smorfia. “Non ci pensare, siamo arrivati.” Bussò due volte alla porta della camera del Re Demone. Non dovettero attendere molto per una risposta.
“Oh, buongiorno a tutti e due!” Salutò Tooru con un sorriso solare affacciandosi dalla porta.
I due Cavalieri inarcarono le sopracciglia.
“State bene, Maestà?” Domandò Issei.
“Oh, sì!” Esclamò il Re Demone uscendo nel corridoio ma stando attento a non aprire troppo la porta della camera da letto. “Vi farei accomodare ma il vostro signore e padrone dorme ancora… Anche se, a giudicare dai versi doloranti che emette di tanto in tanto, è solo questione di tempo prima che si svegli.”
Takahiro passò gli occhi dal vassoio tra le sue mani al viso allegro del Re Demone. “Questo non è per voi?”
“No!” Tooru ridacchiò. “Ho sempre saputo reggere un po’ di vino meglio di Hajime. Lui, d’altro canto… Ma non devo raccontarvi niente, avete condiviso con lui più notti brave di me!”
Issei ci pensò un attimo. “Hajime è lì dentro?” Domandò indicando la porta della camera reale.
Tooru annuì con naturalezza. “Ieri notte abbiamo esagerato, non si reggeva in piedi,” prese il vassoio dalle mani di Takahiro ma il Cavaliere rimase con le mani sollevate comunque, come se fosse pietrificato. “Ho fatto chiamare voi perché penso che sia giusto che siate voi ad avvisare gli altri soldati che, per oggi, il loro Primo Cavaliere non sarà disponibile. Da domani, però, tutto tornerò come sempre, promesso!”
Il Re rivolse ai due un occhiolino amichevole ma i Cavalieri trasalirono come se li avesse minacciati con il suo arco. Per loro fortuna, Tooru non ci fece caso. “Vi ringrazio per il disturbo!” Disse infilandosi di nuovo all’interno della camera da letto. “A presto!”
Richiuse la porta velocemente come l’aveva aperta.
Issei e Takahiro non si mossero. Entrambi fissarono la superficie di legno lucido davanti a loro, poi si scambiarono un’occhiata basita.
Ad entrambi sarebbe servita mezza giornata per recuperare il dono della parola e saperlo usare lucidamente.
 
 
 
Hajime si sentiva come se un cavallo avesse ballato sulla sua testa e pregò con tutte le sue forze di perdere di nuovo i sensi perché quella tortura proprio non voleva viverla. No, non era più abbastanza giovane e scellerato per quel genere di dolore.
Una luce improvvisa, però, comparve di fronte alle sue palpebre ancora chiuse e fu come se qualcuno stesse cercando di cavargli gli occhi con una lama rovente.
“Oh! Buongiorno!” Cinguettò in modo insopportabilmente allegro una voce che, suo malgrado, conosceva bene.
“Tooru…” Gemette premendosi il cuscino contro il viso. Sentiva le lenzuola attorcigliate intorno alle gambe ed era una sensazione poco piacevole ma poteva ignorarla in favore di qualche altra ora di sonno. Un peso improvviso sullo stomaco lo avvisò che non gli sarebbero stati concessi nemmeno cinque minuti. “Tooru!”
Il Re Demone rise da qualche parte nella stanza che continuava a girare. O, forse, era la sua testa.
Dopo tutte quelle storie di premonizioni e magie, Hajime non riusciva più a dare per scontato nulla.
Sollevò il cuscino dal viso quel tanto che bastava per sbirciare la situazione: Tooru era seduto a cavalcioni su di lui. Vestiti semplici, capelli spettinati ed un sorriso furbetto che chiedeva solo di essere cancellato a pugni.
Nulla di nuovo…
Il Cavaliere gemette e si rintanò di nuovo in quel suo non poi così sicuro nascondiglio.
“Hajime!” Tooru non dovette usare poi tanta forza per togliergli il cuscino di mano ed esporlo alla luce diabolica del sole d’estate che inondava la camera.
“Sto per morire…” Si lamentò il Cavaliere prendendosi la testa tra le mani.
Tooru rise di nuovo. “È solo un’impressione, passerà presto.”
Hajime provò a mandarlo al diavolo ma, troppo stordito, finì per emettere solo un mugolio disarticolato.
Il peso sul suo stomaco si bilanciò sul resto del corpo.
Aprì un occhio per puro istinto di sopravvivenza e vide che Tooru lo osservava con le braccia incrociate sopra il suo petto.
Hajime sospirò. “Voglio dormire…”
“Quando calerà il sole.”
“Voglio dormire adesso…”
“Sei davvero troppo vecchio per fare i capricci, Hajime.”
Il Cavaliere spalancò gli occhi e lo guardò storto. “Tu non hai il potere di giudicarmi in questo.”
Tooru si sollevò di nuovo sulle ginocchia. “Puzzi un po’,” disse con naturalezza. “Ti preparo un bagno e faccio cambiare le lenzuola.”
Hajime chiuse gli occhi nella speranza di perdere i sensi una volta per tutte.
Una leggera e veloce pressione contro l’angolo destro della bocca gli fece inarcare le sopracciglia.
“Ti chiamo non appena finisco di riscaldare l’acqua. Riposa.”
Il Cavaliere sollevò di nuovo le palpebre ma Tooru si era già alzato dal letto. Lo guardò mentre si dirigeva verso la stanza da bagno domandandosi se quel bacio fosse stato reale o solo l’eco di un sogno. Una fitta alla testa lo costrinse a smettere di pensare: ci avrebbe riflettuto non appena gli fosse passata la sbornia.
Tooru gli lanciò un’ultima occhiata prima di entrare nella stanza adiacente e sentì gli angoli della bocca sollevarsi un poco. Il pensiero di quello che aveva appena fatto lo congelò ad appena un passo dopo la soglia. Si portò una mano al viso e si sfiorò le labbra con la punta delle dita.
Riadagiò il braccio lungo il fianco e decise di lasciar perdere.
 
 
***
 
 
Shouyou si alzò dal letto in tarda mattinata.
Si era appisolato di nuovo dopo che Tobio lo aveva lasciato e nessuno era venuto a disturbarlo. Si mise a sedere sul letto quando la camera da letto cominciò ad essere troppo calda e sollevò le braccia sopra la testa per stiracchiarsi. Si guardò intorno, poi si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra che dava sul cortile interno. Spalancò le persiane e dovette chiudere gli occhi alcuni istanti per abituarsi alla luce accecante del sole d’estate.
“Oh… Buongiorno, mio Principe!” Esclamò con allegria una voce sotto di lui.
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte ed abbassò lo sguardo. Tadashi gli sorrideva, mentre Keiji aggiustava le lenzuola appena lavate sul filo per il bucato. Nella cesta vuota al suo fianco giocava una bambina dai capelli corvini. Se Shouyou non ricordava male, si chiamava Keijiko.
Non vedeva Kenma.
Bussarono alla porta e si voltò. “Avanti…”
Non fu del tutto sorpreso di vedere il Mago entrare nella camera da letto. “Buongiorno, mio Principe,” disse con neutrale educazione.
Shouyou accennò un sorriso allontanandosi dalla finestra. “Buongiorno…”
“Vi sentite bene?” Domandò Kenma senza muovere un passo più del necessario.
Il Principe dei Corvi scrollò le spalle lasciandosi cadere seduto sul bordo del letto. “In realtà, non so nemmeno come dovrei sentirmi,” ammise. “Voglio dire, mi guardo allo specchio e sono sempre lo stesso. Dovrei avvertire qualche cambiamento?”
Kenma scrollò le spalle. “Non come succede alle fanciulle, questo è certo.”
Shouyou non era certo di capire ma era assolutamente sicuro di non voler sapere.
“Posso dire che è strano, però.” Aggiunse il Mago.
“Str-Strano?”
“Certo, non mi pare che abbiate sviluppato nessuno carattere sessuale secondario e questo avrebbe dovuto essere un segnale chiaro da qualche stagione, ormai.”
Shouyou arrossì pur non volendolo. “Caratteri sessuali secondari?”
“Non credo che Daichi abbia mai dovuto spiegarvi come radervi per essere chiari.”
“N-No…” Inarcò le sopracciglia. “Ma Tobio…”
“È sei mesi più giovane di voi,” gli ricordò Kenma, “e fonti certe mi hanno informato che il Primo Cavaliere è stato visto mentre gli insegnava ad usare un rasoio. A parte questo, non ci vuole certo un esame approfondito per notare come i vostri corpi siano sviluppati diversamente.”
Shouyou reclinò la testa da un lato con aria depressa. “Non mi alzerò mai di una spanna in una sola estate io, vero? Non mi farà mai male tutto per una crescita improvvisa, non è così?”
Kenma sbatté le palpebre un paio di volte. “Non so di cosa stiate parlando ma, dopotutto, avete quindici anni ed è naturale che crescerete ancora…”
Gli occhi di Shouyou s’illuminarono di colpo.
“Certo, vedendovi ora e prendendo in considerazione la vostra natura di Omega, dubito che raggiungerete mai Tobio…”
Shouyou abbassò di nuovo lo sguardo deluso.
“Tuttavia, il vostro corpo sta maturando davvero solo ora… Dategli qualche stagione e cambierete completamente.”
Il Principe dei Corvi si premette una mano contro il petto. “Il mio corpo sta maturando solo ora per via del…”
“Sì, mio Principe.”
Shouyou sollevò gli occhi d’ambra su quelli del Mago. “Che cosa lo ha provocato?”
Kenma scrollò le spalle. “Questo dovreste dirlo voi a me.”
Il fanciullo reclinò la testa da un lato confuso. “Che cosa significa?”
“Che nella fanciullezza il corpo prova desideri ancor prima che la mente riesca ad elaborarli.”
Shouyou si voltò verso la porta: Keiji era sulla soglia con la sua bambina in braccio, Tadashi era dietro di lui.
“Possiamo entrare?” Domandò il consorte dell’uomo che era stato Re di Fukurodani.
“Certo,” permise loro il Principe accennando un sorriso. Keiji posò la bambina a terra e si avvicinò. Shouyou notò che Tadashi fece un paio di passi all’interno della stanza ma rimase comunque in disparte.
“Ovviamente, però,” aggiunse Keiji sedendosi sul bordo del letto accanto al piccolo Principe, “una semplice attrazione non può giustificare nessun atto in cui tu non sia completamente consenziente.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Cosa?”
“Keiji,” lo richiamò Kenma incrociando le braccia contro il petto, “prima i dettagli più leggeri. È sotto la protezione del Principe più potente dei Regni liberi, nessuno lo toccherebbe contro la sua volontà… A meno che non voglia scatenare una guerra.”
Tadashi si sentì improvvisamente a disagio. “Di cosa stiamo parlando?”
“Come ho detto,” rispose il Mago, “nulla che riguarda il Principe dei Corvi. Non ancora…”
Keiji annuì.
“Mamma…” Keijiko sollevò le piccole braccia ed il genitore la sollevò mettendola a sedere sulle sue gambe.
Shouyou la guardò con particolare interesse. “Lei…” Mormorò un poco imbarazzato. “Tu hai…”
Fu il turno di Keiji di essere confuso. “Avete una sorella minore,” notò. “C’è abbastanza differenza d’età tra voi… Dovresti ricordare il giorno della sua nascita.”
Shouyou annuì fissando un punto qualunque del movimento. “Ricordo anche che la sentivo scalciare dentro la pancia della mamma,” ammise. “Solo che… Ehm…”
Keiji annuì con pazienza. “Capisco,” disse. “Sul serio, mio Principe. Fino a ieri non pensavate di poterlo fare, invece…”
Shouyou sollevò gli occhi d’ambra di colpo. “Posso farlo?” Domandò, le gote rosse. “Sul serio?”
“Ci sono donne che non riescono a concepire,” spiegò Kenma. “Nulla esclude che questo possa accadere anche ad un Omega ma, considerando che Koushi è riuscito a dare alla luce voi e vostra sorella, non vedo perché non dovreste essere in grado di mettere al mondo dei bambini.”
“Mettere al mondo dei bambini…” Ripeté Shouyou col viso rosso e la voce un poco tremante.
“In altre parole, e lo dico da genitore,” aggiunse Keiji, “se vi piace qualcuno, state attenti a quello che fate. Io tuoi genitori e quelli di Tobio vi hanno avuti che erano ancora fanciulli, ma…”
“Cosa centra Tobio?” Domandò Shouyou con voce stridula.
“È stato lui ad accorgersi di questa cosa,” gli ricordò Kenma. “È stato lui a parlarcene.”
Keiji accennò un sorriso. “Voi e Tobio siete…”
“No!” Esclamò Shouyou sulla difensiva. “Nella maniera più assoluta, no!”
“In questo caso…” Keiji si alzò stringendo al petto la sua bambina, le labbra ancora piegate in un sorriso paziente. “Non abbiamo niente di cui preoccuparci.”
Kenma gli lanciò un’occhiata ma non disse nulla. “Se avete bisogno qualcosa, mio Principe…” Disse prendendo la via della porta.
“Chiamatemi Shouyou,” disse il Principe dei Corvi con un sorriso. “Solo Shouyou…”
Sia il Mago che Keiji annuirono e tolsero il disturbo.
Tadashi se ne era rimasto appoggiato al muro accanto alla porta per tutto il tempo.
Si guardarono. Fu Shouyou a rompere il silenzio per primo. “Lo hai saputo da Tobio anche tu?”
Tadashi annuì. “Io e Kei…” Aggiunse timidamente esaurendo la distanza tra sé ed il letto.
Shouyou strinse le labbra. “Anche Kei?”
“Tobio ha ritenuto opportuno che lo sapessimo entrambi,” disse sedendosi sul bordo del letto. “Non avercela con lui per questo. Noi due non siamo chiunque, Shouyou. Se vogliamo proteggerti al meglio, dobbiamo…”
“Sì, certo,” lo interruppe il piccolo Principe, gli occhi d’ambra rivolti alla finestra e le guance ancora rosse. “È successo con lui…” Forse, con Tadashi poteva permettersi di essere sincero.
“Cosa?”
Shouyou scrollò le spalle. “Qualunque cosa sia successa… Non credo di essere in grado di spiegarlo a parole. Eravamo io e Tobio. Eravamo vicini… Molto vicini…”
Tadashi annuì. “Capisco…”
Il Principe lo guardò. “Perché lo dici anche tu?”
L’amico sbatté le palpebre un paio di volte. “Tobio è… Beh, se ti costringessero a sposarlo per motivi politici, non sarebbe il Principe peggiore che potrebbe capitarti.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Ti piace Tobio?”
“No!” Esclamò Tadashi un poco irritato per l’ottusità del suo Principe. “Shouyou, non starò qui a dirti che Tobio non è un ragazzo attraente per assecondare la tua negazione.”
“Quale negazione?”
“Hai provato qualcosa con lui, altrimenti non sarebbe stato il primo ad accorgersi che sei… Sei…”
Shouyou mise su il broncio e fissò con insistenza un punto del muro davanti a sé. “Qualcosa ho provato, sì…” Ammise.
Tadashi annuì due volte. “Vuoi parlarne?”
“Te l’ho detto, non so come descriverlo,” rispose Shouyou. “So solo che era piacevole, che avrei voluto durasse di più e che… Ad un certo punto ho stretto le gambe.”
Fu il turno di Tadashi di arrossire. “Eh?!”
“Sei stato tu a chiedermi se volevo parlarne!” Esclamò Shouyou frustrato. “Mi sentivo strano , va bene? Non lo so perché…”
Tadashi parve ancora più confuso. “Non ti era mai capitato di sentirti strano ?”
Shouyou lo guardò con un’innocenza disarmante. “Perché? A te sì?”
L’altro si sentì in difficoltà. “Beh… Dovrebbe capitare a tutti, prima o poi.”
Il Principe dei Corvi lo guardò con interesse. “Anche a te è capitato con qualcun altro?”
“Non proprio, Shouyou…”
“Lo conosco?”
“Shouyou,” disse Tadashi fermamente. “Non stiamo parlando di me,” gli ricordò. Non poteva confessargli che Kei lo faceva sentire così da qualche stagione ormai.
Shouyou sospirò. “Non c’è molto da dire su di me, però…”
“O, forse, non hai voglia di dirlo,” disse Tadashi pazientemente. “E, non fraintendermi, va bene così! Solo non vorrei che questa cosa ti facesse stare male.”
“Pensavo che sarebbe accaduto,” ammise Shouyou. “Voglio dire… Ho sempre voluto essere un Cavaliere, il degno erede di mio padre ed anche di più… Come gli eroi delle leggende. Credevo che…” Scosse la testa.
“Sia tua madre che il Re Demone hanno combattuto una guerra,” gli ricordò Tadashi. “Tu sei nato durante quella guerra e Koushi ti ha tenuto al sicuro. Avere la possibilità di avere bambini non rende deboli,” lo disse un po’ troppo freddamente.
Shouyou, però, non ci fece caso. Scosse la testa e si alzò in piedi.
“Dove vai?” Domandò Tadashi.
Il Principe dei Corvi aprì i vetri della finestra. “Non mi è successo niente,” concluse. “Sono quello che sono, basta avere paura. Non ho bisogno di essere messo da parte.”
Tadashi si alzò in piedi. “Tobio ha ordinato che…”
“Per Tobio non è cambiato niente,” Shouyou sorrise lanciando un’occhiata all’altro da sopra la spalla. “Allora, non è cambiato niente nemmeno per me.”
 
 
***
 
 
Tsutomu si gettò all’ombra dell’unico albero nelle vicinanze come se avesse compiuto un’impresa estenuante.
“Che tu sia dannato, Tobio…” Sibilò tra i denti coprendosi il viso con un braccio.
Satori ridacchiò raggiungendo il suo Principe. “Sai fingere così bene,” commentò.
Tsutomu lo guardò con rabbia. “Io non fingo!”
“Ma smettila!” Il Cavaliere si mise a sedere sull’erba. “Sei stato addestrato a Shiratorizawa, Tsutomu! Ti abbiamo cresciuto perché tu divenga non solo Re dell’Aquila ma anche Primo Cavaliere del tuo Regno. Hai tredici anni e le mani massacrate da ora di allenamento con la spada. Non sei uno sfaticato, quindi smettila di fingere!”
“La spada è un’arte nobile!” Replicò Tsutomu con rabbia, poi indicò il campo di grano di fronte a loro. “Questo… Questo è… Ah!” Puntò gli occhi chiari sul giovane con i capelli neri in disparte da tutti gli altri. “Guardalo! Guardalo! Riesce a far sembrare epico anche questo!”
Satori alzò gli occhi al cielo. “Un giorno capirò la vera ragione per cui lo odi tanto,” sospirò. “Anche se il mistero più grande qui è come mai lui non odi te.”
“C’è bisogno di chiederlo?”
Il Cavaliere guardò il ragazzino. “Non puoi odiare qualcuno perché è migliore di te, Tsutomu,” gli disse. “È una perdita di tempo. Specie quando hai tredici anni e tutta la vita davanti per dimostrare chi sei…”
“Una sconfitta,” disse Tsutomu con rabbia. “Tredici anni e ho già sulle spalle una fottuta sconfitta. Tobio ha solo un anno più di me e ha vinto una guerra contro i popoli del Nord al fianco di suo padre, ha accecato un drago ad undici anni e non devo ricordarti che cosa è successo poche settimane fa!”
Satori annuì. “Bravo, continua a biasimare altri per le tue debolezze.”
Il Principe dell’Aquila guardò il Cavaliere scandalizzato. “Io non…”
“Uno non diventa il Re dell’Aquila per diritto divino,” ammise Satori.
“No, lo diventerò per diritto di nascita, infatti.”
“Non basterà, Tsutomu.”
“Sono un perdente e tu giri il coltello nella piaga?”
“Sei un perdente solo se decidi di esserlo,” rispose Satori chinandosi verso di lui. “E tu, ragazzo mio, non puoi permettertelo. Smettila di odiare un rivale per le sue vittorie, non farai altro che regalargliene un’altra.”
Tsutomu non riuscì a replicare con arroganza. Non in quel momento. “E che cosa dovrei fare?”
Satori sorrise soddisfatto. “Sii furbo,” disse. “Sconfiggilo ma non in campo aperto.”
Tsutomu inarcò un sopracciglio. “Attaccare alle spalle è codardo.”
“Tuo padre si è intrufolato nel campo del primo nemico che ha dovuto combattere e lo ha decapitato nel sonno,” disse il Cavaliere. “Sei nato per essere potente, Tsutomu. L’onore è un lusso che non puoi permetterti.”
Tsutomu parve ancor più confuso. “Mio padre sostiene che l’onore sia indispensabile per un Re. È per questo che prova stima per il Primo Cavaliere di Seijou.”
Satori rise sonoramente.
“Che c’è di tanto divertente?” Domandò il Principe dell’Aquila.
“Un giorno ti racconterò la verità su tuo padre e Hajime ed allora capirai il motivo della stima di cui parli.”
“Mio padre stima anche Tobio,” ammise Tsutomu tornando a guardare il Principe Demone che lavorava in quel campo di grano come un semplice contadino e lo faceva senza vergognarsene, senza lamentarsene. “Forse, lo stima più di me…”
Satori sbuffò. “Evitami la lagna del ragazzino che dubita dall’amore del padre.”
“L’amore e la stima sono due cose differenti.”
“Tuo padre teme Tobio,” replicò il Cavaliere. “Diverrà Re della metà dei Regni liberi, dopotutto. Non lo si può evitare…”
Il Principe dell’Aquila strinse le labbra. “Il timore di un Re vale più di qualsiasi rispetto.” Sbuffò e si alzò in piedi. Satori si voltò a guardarlo. “Dove vai?”
“Da qualche parte!” Rispose Tsutomu bruscamente. “Di sicuro non me ne starò qui ad ubbidire agli ordini del Principe Demone.”
Satori non provò a fermarlo: conosceva una guerra persa quando la vedeva. Si distese sull’erba guardando la verde chioma dell’albero sopra di sé. “Questo non è molto furbo, Tsutomu…” Sorrise. “Però, è ribelle… E un ribelle può essere più forte di un Re.”


 
***
 
 
Tobio appoggiò la falce a terra passandosi una mano tra i capelli corvini umidi di sudore.
Arrotolò di nuovo le maniche della tunica sopra i gomiti e fece per riprendere il suo attrezzo tra le mani.
“Dobbiamo parlarne…”
Sollevò gli occhi blu ed incontrò quelli dorati e perennemente annoiati del Cavaliere del Principe dei Corvi. In quel particolare momento, però, c’era qualcosa di nuovo sul viso di Kei. Tobio ghignò. “Preoccupato, Cavaliere?”
Kei fece una smorfia. “Tadashi è quello preoccupato, io mi limito a fare ciò che è indispensabile per adempiere al mio dovere.”
“Conosci Shouyou da molto più tempo di me. Tutto quello che c’è da sapere lo sai già.”
Kei affondò la punta della sua zappa nella terra ed appoggiò il mento sull’estremità di legno. “Vogliamo fingere che non sia successo niente?”
Tobio lo guardò. “Perché? Che cosa è successo?”
Il Cavaliere sbuffò. “Cerco di fatelo capire con un semplice esempio: se fossi nato femmina o come il mio Principe, i tuoi genitori non sarebbero così felici di lasciarti andare in giro come ti pare.”
Fu il turno del Principe Demone di sbuffare. “È con me tutto il tempo che tu quell’altro non lo avete sotto gli occhi.”
“Oh, quanto mi sento rassicurato!” Esclamò Kei con sarcasmo.
Tobio lo guardò storto. “Non gli accadrà niente fin tanto che è sotto la mia protezione.”
Il Cavaliere annuì. “Di questo non dubito, mio malgrado,” disse. “Ma puoi proteggerlo anche da te stesso?”
“Dimmi quello che vuoi dirmi e torna al lavoro, bastardo,” tagliò corto Tobio a voce abbastanza bassa perché nessun altro potesse udirli. Non era sicuro lasciare che quegli idioti di Tetsuro e Koutaro venissero a conoscenza dell’ultimo segreto di Shouyou. Alla prima battuta volgare si sarebbe sentito in dovere di decapitare qualcuno, altrimenti. La cosa positiva era che né Kenma né Keiji avrebbero mosso un dito per fermarlo.
Kei sospirò. “Non so cosa funziona questa cosa,” ammise. “Questa seconda natura di Shouyou.”
“Oh, tu che ammetti di non sapere qualcosa!”
“So cosa raccontano, però, Principe Demone,” insistette il Cavaliere molto seriamente. “E, pur con la vostra discutibile intelligente, so che lo sapete anche voi…”
Tobio sospirò. “Avete un sovrano Omega ed ancora credete alle storie?”
“Nessuno pone domande al Re su quello che succede nella sua camera da letto, ovviamente.”
“Ti dirò come agiremo,” disse Tobio guardandolo dritto negli occhi. “Tu ed il tuo amico smetterete di farne un dramma. Al resto penso io.”
Kei inarcò le sopracciglia. “Con tutto il rispetto…”
“Gli Omega non sono demoni tentatori che se ne vanno in giro a fare a pezzi la lucidità a l’autocontrollo degli uomini,” disse il Principe Demone con fermezza. “Hanno una reazione fisica solo quando provano attrazione esattamente come me e te,” fece una pausa. “Solo in modo diverso…” Riprese la sua falce e tornò a lavorare.
Kei, però, rimase a guardarlo ancora per un istante. “Era con te quando gli è successo…”
Tobio si bloccò a tenne gli occhi blu fissi sulle spighe dorate. Si umettò le labbra, poi scosse la testa. “Torna al lavoro, Kei.” Lui stesso, però, non lo fece ancora per molto. Un gracchiare proveniente dal cielo lo costrinse a sollevare lo sguardo. Per un attimo, guardò il Cavaliere vicino a lui ma Kei non sembrava aver udito nulla di strano.
Il verso si ripeté e Tobio sollevò lo sguardo verso il cielo.
Il Corvo volò sopra la sua testa tanto velocemente che fu difficile distinguere la piccola figura nera. Tornò indietro ed il Principe Demone sgranò gli occhi. “Ma che diavolo…”
Kei lo guardò. “Io non ho detto niente.”
Tobio, però, nemmeno rispose al suo sguardo. Lasciò cadere la falce a terra e prese a correre tra le spighe di grano con lo sguardo sollevato verso il cielo. Notò che il Corvo aveva rallentato l’andatura per permettergli di seguirlo.
Sentì gli occhi degli altri su di sé e qualcuno pronunciò il suo nome ma non si fermò per scoprire chi. Risalì la collina e per poco non inciampò sul Cavaliere di Shiratorizawa che aveva accompagnato Tsutomu. La sua cavalla bianca era sul lato opposto all’ombra del grande albero.
Salì in sella con un movimento rapido e lanciò il suo destriero al galoppo.
Il Corvo prese a volare più velocemente verso il boschetto che confinava con i campi di grano.
Tobio venne accecato dal sole e fu costretto ad abbassare gli occhi per vedere dove stava cavalcando. Tirò le redini della sua cavalla e rallentò l’andatura. Quando alzò di nuovo il viso, il Corvo era sparito.
“Buona, buona…” Mormorò Tobio passando le dita sulla criniera bianca del suo destriero. Si guardò intorno ma non vide nulla, solo un mare di spighe dorate. “Ma che diavolo…?”
Non vide il Corvo sollevarsi dal grano alle sue spalle. I suoi sensi di cacciatore percepirono solo un lieve spostamento d’aria dovuto al battito delle ali. Voltò gli occhi blu ma riuscì solo a vedere delle piume nere, prima che gli artigli del Corvo affondassero nella sua spalla.
 
 
***
 
 
Kaname sbattè le palpebre un paio di volte. “Temo di non capire…”
Issei e Takahiro presero entrambi un respiro profondo. Un sorriso amichevole ma inquietante illuminava i loro volti.
Seduto accanto all’uomo che era stato il suo Re, Futakuchi lanciò un’occhiata a Shigeru che sembrava essere lì completamente contro voglia. Di fatto, il Cavaliere di Seijou alzò entrambe le mani. “Non guardare me,” disse. Al suo fianco, Kentare emise un verso animalesco a bassa voce che non aiutò a rendere più chiara la situazione.
“Voi volete,” disse Kaname nel tentativo di capirci qualcosa, “che ce ne andiamo tutti nelle campagne di Seijou, dal Principe Tobio per lasciare il Castello Nero completamente incustodito?”
Takahiro fece una smorfia. “Detto così, sembra che stiamo organizzando un colpo di stato.”
“È proprio quello che sembra,” sottolineò Futakuchi.
Issei si grattò il retro del collo. “Non siamo tanto annoiati da metterci ad organizzare colpi di stato. Troppo pigri per il nostro bene.”
Futakuchi li guardò entrambi con aria disgustata. “Mio signore, questi due sono completamente idioti.”
Kaname, però, posò una mano sul suo braccio invitandolo ad essere paziente. “Perdonate, Cavalieri, vorrei capire ma temo che dovrete essere più chiari perché io ci riesca.”
Issei e Takahiro si guardarono: l’educazione di quel Re sconfitto li metteva sempre a disagio, in un modo o nell’altro. Forse, perché era l’unico in quella corte che aveva contribuito a far cadere.
“Per farla breve,” disse Takahiro. “Vorremmo che tutti… O quasi, ce ne andassimo dal Castello Nero per lasciare il nostro beneamato Primo Cavaliere da solo nelle grinfie del Re Demone.”
Futakuchi inarcò le sopracciglia. “Bene, non è un colpo di stato. È solo un tradimento degno di questo nome.”
Issei scosse la testa. “Lo faccia per il suo bene.”
“Nessuno rimane da solo con il Re Demone per il proprio bene!” Sbottò l’uomo che era stato Generale dell’esercito di Dateko.
Takahiro scrollò le spalle. “Hajime ha sempre avuto gusti difficili…”
Kaname, però, stava cercando di capirli davvero. “Si sono riavvicinati?” Domandò.
Futakuchi lo guardò con gli occhi sgranati. “Mio signore…”
“Diciamo che vogliamo togliere a Hajime ogni possibilità di parlare con qualcuno che non sia Tooru,” concluse Takahiro. “E vedere cosa succede…”
Futakuchi sbuffò esasperato. “Ho sentito abbastanza sciocchezze per una sola giornata.”
Kaname, però, non gli diede ascolto. “Se non volete sbilanciarvi, vi capisco ma, rispondetemi, è successo qualcosa tra Hajime e Tooru durante l’estate, vero?”
Issei scrollò le spalle. “Questo piccolo piano diabolico è per far luce sulla questione.”
Kaname annuì. “Capisco…”
Futakuchi appoggiò una mano sul tavolo e si chinò verso il suo Re. “Non vorrà davvero dare ascolto al delirio di questi due!”
Il suo signore lo guardò con un sorriso paziente. “Capisco il tuo rancore, Kenji, davvero,” disse. “Tuttavia, se il Primo Cavaliere si riavvicina al Re Demone sarà solo una cosa positiva per noi…”
“In che modo?” Domandò Futakuchi. “Il nostro Regno non ci verrà mai restituito, mio Re. Lo sapete bene!”
Kaname si fece immediatamente serio. Si alzò in piedi. Non era alto, non quanto il suo Generale, comunque, ma Takahiro ed Issei videro l’espressione sul viso di Futakuchi cambiare drasticamente.
“La caduta di Dateko non è colpa di Tooru o Hajime,” disse Kaname con una dignità degna di un grande Re. “I Re conquistano altri Regni dall’alba dei tempi. Era solo questione di tempo… Se non fosse stato Tooru, sarebbe avvenuto per mano di Wakatoshi.”
Futakuchi scosse la testa. “Mio signore, non dovete…”
“Non è nemmeno colpa tua, Kenji,” aggiunse Kaname. “Né tua né di tutti gli altri ragazzi. Il Re di Dateko ero io e non sono stato abbastanza forte da proteggervi. Mentre i Regni accanto al nostro crescevano in potenza mi sono limitato a chiudermi dentro le nostre leggendarie mura e sperare che questo bastasse. Un Re non dovrebbe limitarsi a sperare. Un Re ha troppo da perdere per potersi permettere di rimanere sulla difensiva. Dateko è caduta per la mia debolezza ma Tooru avrebbe potuto farci molto di peggio e nessuno avrebbe mosso un dito perché sarebbe stato un suo diritto. Wakatoshi non sarebbe mai stato altrettanto magnanimo…”
Futakuchi strinse i pugni ma non si permise di aggiungere nulla.
L’atmosfera si era fatta talmente tesa che nemmeno Issei e Takahiro sapevano più come spezzare il silenzio.
Per loro fortuna, fu proprio un Cavaliere di Dateko a salvarli da quell’imbarazzante situazione.
“A me piace la campagna,” proclamò Aone dal nulla.
Tutti i presenti lo guardarono. Futakuchi aveva l’espressione di chi aveva appena visto un fantasma, mentre Kaname sorrideva.
Issei e Takahiro si scambiarono un sorriso vittorioso e quest’ultimo batté le mani con fare esultate. “È deciso, allora!”
 
 
***
 
 
Quello che accadde quel giorno, Tobio non sarebbe riuscito a descriverlo nemmeno a distanza di anni. Non lo sapeva ancora, ma lo avrebbe fatto innumerevoli altre volte e di quelle avrebbe saputo raccontare qualcosa… Dare un’idea di quello che da sempre era il sogno dell’umanità.
La prima volta che volò, però, Tobio non avrebbe mai potuto dimenticarla.
La caduta in acqua fu scioccante.
Fu come risvegliarsi da un sogno di soprassalto ma non riuscire a respirare.
Sgranò gli occhi blu agitandosi come se non sapesse nuotare. Solo quando due piccole mani gli strinsero le braccia e cercarono di tirarlo su recuperò il controllo di sé abbastanza per muovere le gambe come doveva per tornare in superficie.
Ingoiò aria come un naufrago tossendo dopo ogni respiro profondo.
Quelle piccole dita calde lo stringevano ancora. “Tobio?”
I capelli bagnati gli erano ricaduti davanti agli occhi ma quelli di Shouyou erano grandi e luminosi come sempre, solo un po’ preoccuparti. Lo lasciò andare solo per tirargli indietro la frangia corvina e guardarlo meglio. “Ehi,” riprovò Shouyou gentilmente. “Tobio, parlami!” Gli prese il viso tra le mani. “Perché non ti muovevi? Sai nuotare, no? Mi hai spaventato!”
Tobio lo guardava, lo ascoltava ma non riusciva a rispondergli. Il petto gli doleva ancora per la mancanza d’aria e la testa di girava ma non si sentiva male.
Shouyou gli prese il viso tra le mani. “Tobio…”
Si fece più vicino ed i loro corpi si toccarono. Il Principe Demone si accorse solo allora che non avevano più i vestiti addosso ma non aveva voglia di essere arrabbiato per quello. Sì, per la prima volta dopo tanto, tantissimo tempo, Tobio non sentiva alcuna rabbia divorarlo dentro.
Scoppiò a ridere.
Un suono strano, quasi estraneo, come se quella non fosse nemmeno la sua voce.
Tobio rise, rise… E si sentì improvvisamente libero.
“Tobio,” Shouyou gli passò di nuovo una mano tra i capelli.
Gli occhi blu tornarono su quelli d’ambra. Sorrideva ancora. “Mi gira la testa,” disse. “Mi viene da vomitare…”
Shouyou rise. Un suono leggero, cristallino. “Lo so,” disse. “Le prime volte può capitare. Vieni, ti aiuto.”
Lo spinse verso il bordo roccioso del laghetto. Tobio si guardò intorno e realizzò che erano precipitati nell’acqua delle cascate dei suoi genitori. Si appoggiò alla parete fredda ed umida chiudendo gli occhi.
“Prendi respiri profondi lentamente,” lo istruì Shouyou gentilmente. “Il senso di vertigine passerà presto. Col tempo non accadrà più, promesso.”
Tobio riaprì gli occhi guardandolo come un bambino smarrito. “Ho volato?”
Il sorriso di Shouyou si fece ancor più luminoso mentre annuiva. “Solo per pochi istanti ma, sì, stavamo volando… Poi ho avuto paura di perderti e ho tentato un atterraggio di emergenza.”
Tobio prese un altro gran respiro ed ingoiò a vuoto. “Come ci sei riuscito?”
“Non lo so,” ammise Shouyou. “Volevo solo giocare. Prenderti un po’ in giro e poi ho pensato di… Provarci,” scrollò le spalle. “Te l’ho detto che dovevamo fare a modo mio.”
Tobio annuì distrattamente, ancora stordito. Un ciuffo di capelli corvini gli ricadde davanti agli occhi e fece per scostarlo ma la piccola mano di Shouyou fu più veloce. Lo lasciò fare studiando in silenzio la sua espressione: lo fissava con interesse, quasi incanto.
“Che cosa c’è?” Domandò Tobio.
“La rabbia non c’è più,” notò Shouyou con dolcezza. “In questo preciso instate, non sei arrabbiato col mondo.”
Tobio corrugò la fronte e fece per dire qualcosa.
“No,” Shouyou premette l’indice contro le sue labbra. “Non ci pensare, adesso. Non è importante, ora.”
Il Principe Demone annuì. Non era difficile: tutte le ragioni per cui era stato arrabbiato con se stesso e col mondo, sembravano essere scivolate in un angolo oscuro della sua mente, abbastanza lontani perché non potessero toccarlo.
L’aria s’impregnò di un dolce profumo. Tobio si fece rigido, abbassò lo sguardo. Vide Shouyou umettarsi le labbra e lo sentì allontanarsi da lui. “Fermo, Shouyou…” Gli circondò la vita con un braccio impedendogli di fare un passo ancora.
Shouyou gli premette le mani contro il petto scuotendo la testa. “Tobio,” accennò un sorriso forzato. “Questo non sei tu, sono io che… Sono io…”
“È questo quello che credi dei tuoi genitori?” Domandò il Principe Demone.
Shouyou strinse le labbra per un istante. “No, ma…”
Tobio ghignò. “Forse, sei la reincarnazione del Principe Corvo e puoi anche credere che il tuo profumo abbia la facoltà di rendere un uomo un completo folle,” disse facendo scivolare una mano sul retro del collo del piccolo Principe sfiorando i capelli morbidi sulla nuca. “Ma io non sono un uomo, Shouyou. Sono un Demone. Sono il Re Demone. Puoi giocare con me quanto vuoi... Non ti lascerò mai vincere.”
I loro nasi si sfioravano, i loro respiri si confondevano.
Shouyou sorrise. Era sicuro, arrogante, luminoso.
Non provò più ad allontanarsi ed il Principe Demone non fece nulla per scostarlo da sé.
Fu il rumore di un ramo spezzato a riportarli alla realtà.
Shouyou si voltò per primo ma Tobio lo costrinse dietro di sé, contro la parete rocciosa.
Lo stato d’allerta finì nel momento in cui gli occhi blu del Principe Demone incontrarono quelli chiari di un altro erede al trono che conosceva bene. Sbuffò. “Tsutomu…”
Il Principe dell’Aquila se ne rimase immobile, atterrito.
“Perché non sei nei campi?” Domandò Tobio.
Tsutomu non parlava e lo guardava come se gli fossero spuntate di colpo le corna. Per un attimo, Tobio pensò che sarebbe stato divertente considerando che aveva appena dichiarato di essere un Demone, poi, però, una piccola mano gli afferrò il braccio con urgenza. Si voltò e quello che vide sul viso di Shouyou fu orribile: gli occhi d’ambra erano grandi, pieni di terrore.
Tobio fece per chiedergli che cosa non andava, poi comprese. Anche i suoi occhi si erano fatti enormi quando tornò a guardare l’erede al trono di Shiratorizawa. “Da quanto tempo sei lì?” Domandò.
Tsutomu appoggiò la schiena al tronco di un albero e strinse le labbra. Tobio si portò al centro del laghetto. “Parla!” Tuonò “Da quanto tempo sei lì?”
Shouyou si fece piccolo piccolo contro la parete di roccia e s’immerse nell’acqua fino alle spalle.
Il Principe dell’Aquila li fissava come pietrificato. “È stato lui…” Disse con voce tremante guardando il piccolo Principe dei Corvi. “Quella notte al Castello Nero, mentre la torre cadeva…”
Shouyou si strinse le braccia intorno al corpo, un nodo gli stringeva la gola.
“Tsutomu, guarda me!” Sbottò Tobio con rabbia. “Guarda me e dimmi quello che hai visto e sentito!”
Il Principe dell’Aquila portò gli occhi chiari sul viso del Principe Demone. “Che cos’è?” Domandò. “È come mio padre? Lui è un…”
“Non osare dire una parola di più!” Lo interruppe Tobio con rabbia.
Tsutomu sobbalzò. Non sarebbe andato da nessuno parte.
Tobio si voltò porgendo una mano al piccolo Principe tremante quasi del tutto immerso nell’acqua. “Shouyou, vieni qui…”
Gli occhi d’ambra erano grandi, pieni di lacrime.
“Andrà tutto bene,” aggiunse Tobio con fermezza. “Andrà tutto bene, te lo prometto. Fidati di me.”
Furono quelle ultime tre parole a spingere Shouyou a reagire. Ingoiò a vuoto, poi si fece più vicino fino ad afferrare la mano del Principe Demone. I suoi occhi incrociarono per un istante quelli ancora spaventati di Tsutomu ma li abbassò l’istante seguente.
“Bene,” disse Tobio trafiggendo il Principe dell’Aquila con lo sguardo. “Ora togliti la tunica ed i pantaloni…”
 
 
***
 
 
Hajime venne svegliato da un getto d’acqua rovesciato direttamente sopra la sua testa.
Scattò in avanti prendendo a tossire violentemente.
Da qualche parte nella stanza, Tooru rideva.
“Maledetto idiota!” Lo apostrofò con rabbia passandosi una mano sul viso. Delle dita gentile s’infilarono tra i suoi capelli tirandoli all’indietro. Sollevò le palpebre e due grandi occhi scuri lo accolsero.
“Ti sei addormentato mentre facevi il bagno,” disse Tooru incrociando le braccia sul bordo della vasca. “Non ho resistito,” aggiunse con un’espressione infantile.
Hajime s’imbronciò. “Non crescerai mai, Tooru…”
“Certe volte vorrei non averlo fatto davvero,” ammise il Re con un sorriso nostalgico. “Restare per sempre ad una singola stagione della mia vita.”
Hajime sospirò. “Sei troppo giovane per cominciare a fare questi discorsi.”
“Nostro figlio, però, ha quasi quindici anni,” disse Tooru guardandolo dritto negli occhi. “È terribilmente vicino all’età a cui vorrei tornare.”
Il Cavaliere inarcò un sopracciglio. “Vuoi combattere di nuovo contro Shiratorizawa, per caso? Ti manca così tanto il campo di battaglia?”
Tooru scosse la testa. “No, mi manca tutto quello che è venuto subito dopo. Mi mancano le stagioni in cui Tobio era ancora abbastanza piccolo da incantarsi per qualsiasi cosa gli facevamo fare o per qualunque cosa gli raccontavamo.”
Suo malgrado, anche Hajime sorrise. “Ricordi come si arrabbiava quando pretendeva di giocare con la mia spada e noi glielo impedivamo?”
Tooru ridacchiò. “Sì, poi è passato a fare tentativi col mio arco… Quanto rimase deluso l’anno in cui promettemmo di regalargli un’arma per il suo quinto compleanno e tu arrivasti con una spada di legno!”
“Ogni volta che fa una smorfia storce sempre quella dannata bocca in un modo che… In un modo che…” Hajime s’interruppe, si umettò le labbra e poi sospirò. “Puoi passarmi un asciugamano? Quest’acqua è gelida!”
Tooru si alzò in piedi. “Ci hai dormito dentro, ti ricordo.”
“Ah… E non sai quanto vorrei dormire ancora…”
Il Re Demone appoggiò l’asciugamano sul bordo della vasca. “La servitù ha finito di là,” disse. “Ti aspetto in camera. Ci sono le lenzuola pulite sul letto, puoi riposarti quanto vuoi.”
“Uhm… Uhm…” Fu la pigra risposta del Primo Cavaliere. Afferrò l’asciugamano e fece per alzarsi in piedi. Un pensiero molesto lo fermò. “Tooru…” Chiamò. “Mi hai appena invitato a…?”
La porta del bagno si richiuse prima che ebbe finito di parlare.
 
 
***
 
 
Se Tsutomu non fosse stato travolto da tutto quel caos emotivo, si sarebbe sentito profondamente e terribilmente umiliato.
Tobio e Shouyou camminavano davanti a lui: il primo con i suoi pantaloni addosso ed il secondo con la sua tunica. Non parlava, il Principe dell’Aquila. Non sapeva cosa dire ed anche se lo avesse saputo, non avrebbe avuto la minima idea di come dirlo.
Tuttavia, quel silenzio stava cominciando ad essere un po’ troppo pesante.
“Cosa di quello che ho udito è un segreto?” Domandò.
Gli altri due smisero di camminare e si voltarono a guardarlo. Lo sguardo di Shouyou non lo preoccupava ma se Tobio avesse avuto una spada con sé non avrebbe esitato ad usarla contro di lui, glielo si leggeva in faccia. “Secondo te?” Domandò il Principe Demone.
Tsutomu ingoiò a vuoto. “Tutto… Deduco…” Rispose. “Dalla prima all’ultima parola…”
Tobio annuì due volte. “Allora non sei un idiota come sembri.”
Il Principe dell’Aquila sgranò gli occhi. “Come ti permetti?!” Fece un passo in avanti e non si sarebbe fatto problemi a passare alle mani se l’altro gli avesse dato una buona ragione per farlo.
“Tobio,” Shouyou si parò davanti al Principe Demone. “Non è così che risolveremo la situazione…”
“Esattamente,” s’intromise Tsutomu. “Che cosa c’è da risolvere? Nessuno qui ha commesso un crimine!” Esclamò incrociando le braccia contro il petto. “A meno che qualcuno non abbia privato dell’onore qualcun altro senza il consenso del Re, suo padre…”
Le guance di Shouyou divennero color porpora ed abbassò lo sguardo serrando i denti sul labbro inferiore. Tobio lo spinse dietro di lui. “Tu non hai idea di quanto sia lunga la lista delle ragioni per cui vorrei spaccarti la faccia in questo momento,” sibilò con rabbia.
Tsutomu ghignò. “Davvero?” Domandò con tono di sfida. “Improvvisamente sono una minaccia per te, Tobio? Questo vostro amore segreto deve essere davvero scomodo per qualcuno… Forse, per il Re Demone.”
“Racconta quello che hai visto al Re Demone e tutto quello che riceverai in cambio sarà un invito ufficiale alle mie nozze,” replicò Tobio con sarcasmo.
Il Principe dell’Aquila strinse i pugni nel vedere l’effettiva inefficienza della sua minaccia. “È il suo potere il problema, allora?”
Tobio lo afferrò per le spalle e lo spinse contro rabbia contro il tronco dell’albero più vicino.
“Tobio!” Urlò Shouyou.
“Tu prova anche solo ad accennare a quanto hai udito o visto a quella cascata e sta pur certo che la fama di tuo padre non potrà nulla per fermarmi,” disse il Principe Demone con tono gelido.
“Non puoi toccarmi senza rischiare di scatenare una guerra,” ribatté Tsutomu.
“Tu osa dire o fare qualcosa che possa mettere a repentaglio l’incolumità del Principe dei Corvi e la guerra con cui mi minacci sarà la spada con cui taglierò la tua testa, Principe dell’Aquila.”
“Tobio!” Shouyou afferrò il Principe Demone per un polso e lo costrinse a voltarsi. “Basta così…” Disse con rabbia, gli occhi lucidi di lacrime. “Voglio andare a casa…”
Tobio si liberò dalla stretta dell’altro con uno strattone. “Prima voglio assicurarmi che…”
“Ha capito!” Esclamò Shouyou costringendosi a guardare Tsutomu negli occhi. “Sei custode di un segreto, Principe dell’Aquila,” disse con voce un poco tremante. “Giura che rispetterai questo patto.”
Tsutomu inarcò le sopracciglia. “Non c’è nessun patto tra me ed il Principe Demone. Non gli devo niente e lui non ha niente per comprarsi la mia parola!”
“Io sì, però,” ribatté Shouyou con orgoglio. “Mi devi la tua vita, Tsutomu. È una cosa che tu e Tobio avete in comune: quella notte sareste morti entrambi se non fossi stato lì. Quindi, questo giuramento ti lega a me.”
Non c’era più tanta arroganza sul viso del Principe dell’Aquila. Senso di colpa, forse. Vergogna.
“La tua vita per il tuo silenzio,” disse Tobio per sottolineare il concetto. “Fino alla fine dei tuoi giorni.”
Tsutomu strinse le labbra per un istante. “Mi dispiace,” disse e lo fece rivolgendosi esclusivamente a Shouyou. “Hai ragione, ti devo la mia vita,” annuì, “giuro che custodirò il tuo segreto fino al mio ultimo respiro, Principe dei Corvi.”
Nonostante gli occhi lucidi, Shouyou accennò un sorriso gentile.
Tobio sbuffò. “Meno poetico ed avrebbe afferrato il concetto lo stesso, Tsutomu.”
“Altezza…”
I tre Principi si voltarono in contemporanea.
A chi il Mago si stesse rivolgendo, non lo seppero mai ma i suoi occhi felini li squadrarono uno ad uno con la stessa espressione pregna di disagio. “Vi stavamo cercando…” Concluse Kenma.
 
 
***
 
 
“Davvero nessuno è venuto a cercarmi?” Domandò Hajime affondando il viso nel cuscino che un tempo era stato suo.
“Issei e Takahiro sono responsabili per l’intruglio che hai bevuto questa mattina,” disse Tooru seduto alla sua scrivania, vicino alla portafinestra.
Hajime lo guardò. “Issei e Takahiro sanno che sono qui.”
“Ho sottolineato che non ti ho rapito,” aggiunse Tooru con un sorriso furbetto. “Non si presenteranno alla porta battendovi contro i pugni come se dovessero assediare una fortezza.”
“Qualche volta penso che a loro manchi,” ammise Hajime. “La battaglia, le grandi imprese…”
Tooru ridacchiò continuando a far vagare lo sguardo sulle carte sotto i suoi occhi. “Hai guidato una generazione che verrà ricordata nelle grandi storie per sempre, Hajime. Dovresti esserne orgoglioso.”
“Non sento di aver compiuto grandi imprese,” ammise il Primo Cavaliere. “Almeno, non quelle che tutti definiscono tali…”
Tooru gli lanciò un’occhiata veloce. “Hai preso a pugni il Re dell’Aquila…”
“Grande soddisfazione quella!”
Il Re Demone s’imbronciò. “Davvero?” Domandò. “Quella è l’unica soddisfazione che ti ricordi di quel giorno?”
Hajime accennò un sorriso distendendosi sulla schiena. “Con te… È stato meglio dopo.”
Tooru sgranò gli occhi scuri e lo guardò scandalizzato. “Come sarebbe a dire? Pensavo che morissi di desiderio per me!”
“Oh, sì!” Confermò Hajime. “Devo ricordarti che, folle per la gelosia, sono scappato dal Castello Nero pur di non vederti con lui?”
“E allora?” Domandò Tooru abbandonandosi contro l’alto schienale della sua sedia. “Hai appena detto che…”
“Ero terrorizzato,” confessò Hajime fissando il soffitto. “Le ragazze con cui ero stato sapevano cosa fare meglio di me e non m’importava… Tu…” Sentì uno strano calore alle guance e sbuffò frustrato. “Tu eri tu, Tooru. Dovevo essere perfetto per te. Tutto doveva esserlo e se non potevo renderlo tale…”
“Lo hai fatto.”
Il Primo Cavaliere cercò gli occhi scuri del Re.
Tooru lo guardava un po’ incantato ed un po’ malinconico. “L’hai fatto, davvero,” annuì. “Avevo un labbro spaccato, uno zigomo gonfio ed avevo appena buttato via l’occasione politica della mia vita ma…” Sospirò. “Quella notte è stata perfetta.”
Hajime decise di non mostrare alcun segno di soddisfazione: meglio rimanere sulla difensiva con il il Re Demone.
“E non dirmi che, la mattina seguente, uscire dalla mia camera per andare a prendere a pugni Wakatoshi non ha contribuito enormemente alla tua soddisfazione.”
“Forse…”
“Bugiardo.”
“Quella seconda notte insieme ero molto più rilassato, però,” ammise Hajime. “La notte in cui hai scelto il nome per quel figlio che non avevamo ancora.”
“Tu me lo hai suggerito,” gli ricordò Tooru.
“Hai chiesto di conoscere il nome di mio padre e te l’ho detto.”
“Chissà come Tobio e Shouyou sceglieranno il nome del loro bambino,” si chiese Tooru con aria sognante.
Hajime alzò gli occhi al cielo. “Tooru, non ricominciare…”
“Va bene, allora prova a dirmi che Tobio si comporta con Shouyou come con chiunque altro.”
“Su questo hai ragione, però…”
“Però, dico che Shouyou e Tobio avranno una bambina.”
“Perfetto, Tooru, sei ufficialmente fuori di testa.” Hajime si alzò dal letto a fatica. “Trovo qualcuno che ci porti la cena…”
“Ma ci pensi?” Il Re Demone guardò fuori dalla portafinestra al suo fianco. “Sarebbe una bella novità per tutti noi, no? Una bella Principessa con un sorriso luminoso e con gli occhi blu…”
 
 
***
 
 
Quando Tobio smise di parlare, Kenma si umettò le labbra. “Non parlerà, dunque?”
Shouyou sospirò. “L’ha giurato…”
“Non essere così ingenuo, stupido!” Esclamò Tobio allontanandosi dalla finestra e prendendo a vagare per la stanza. Tutti erano nel cortile per consumare la cena insieme e non c’era pericolo che qualcuno li udisse.
“Mi è sembrato sincero,” insistette Shouyou. “Sfiderebbe te per qualsiasi cosa, Tobio! Sei il suo diretto rivale, dopotutto.”
“È un’informazione pericolosa nelle mani della persona sbagliata,” disse Kenma con voce quieta ma scura, come se stesse riflettendo su come agire.
Seduto sul letto, Shouyou si strinse le ginocchia al petto. “Tsutomu era sincero, Tobio,” insistette. “Io e lui abbiamo tante cose in comune. Non credo che spingerlo via sia la soluzione giusta. Noi… C’è qualcosa nel nostro potere che si somiglia, in un certo senso.”
Kenma sollevò immediatamente lo sguardo sul Principe dei Corvi. “No, mio Principe,” disse. “Non avvicinate l’erede di Shiratorizawa. Non è sicuro.”
“Ed in che modo tenerlo a distanza potrebbe aiutarci?” Domandò Shouyou.
Il Mago prese un respiro profondo. “Il sangue dell’Aquila è pericoloso, Vostra Altezza,” insistette. “Il vostro segreto nelle mani di uno di loro è qualcosa che non avevo previsto ma dovete restare lontano da Tsutomu, capite? Forse, avete ragione ed il patto che vi lega sarà abbastanza per tenervi al sicuro ma…”
“Ha parlato di suo padre!” Insistette Shouyou. “Ha detto che è… Come me? È possibile che il Re dell’Aquila sia come me?” Domandò guardando Tobio.
“Tooru mi ha raccontato qualcosa del genere, una volta,” ammise Tobio. “Le sue storie con Wakatoshi sono sempre state confuse ma puoi parlare con chiunque abbia combattuto la guerra contro Shiratorizawa e saranno pronti a giurarti che l’esercito dell’Aquila si muoveva come se volasse.”
“Non è importante, ora,” disse Kenma. “Shouyou, anche se Tsutomu può comprendere il tuo potere, questo non lo rende un alleato sicuro. Lo capisci?”
No, Shouyou non capiva. “È alleato di Seijou, no?”
Il Mago si avvicinò al letto. “I giochi di poteri tra Re e Principi sono molto più complessi di così,” disse con pazienza. “Nostro malgrado, Tooru ha creato ciò che di più vicino ci sia ad un equilibrio stabile ma non mancano le personalità forti in grado di ribaltarlo.”
Shouyou sorrise nervosamente. “Perché l’equilibrio dei Regni liberi dovrebbe essere ribaltato per me?” Domandò. “Non ha senso. Sono l’erede al trono del Regno più piccolo e meno potente nelle vicinanze. Il mio valore politico è quasi nullo. Mio padre voleva darmi in sposo al mio Cavaliere piuttosto che provare a propormi per qualche matrimonio politico o che so io…”
“Kenma,” Tobio guardò il Mago con fare sospettoso. “Che cosa ci stai nascondendo?”
“Mio Principe,” disse Kenma con pazienza. “Immagino possiate immaginare quale sia il primo desiderio di un Re con un grande potere nel sangue.”
Tobio scrollò le spalle. “Mio padre possiede l’arte della spada,” disse. “Si è preoccupato di passarmi quella.”
Kenma annuì. “Tsutomu è figlio di due creature magiche ma il suo potere non è forte come Wakatoshi sperava o, forse, non lo ha ancora scatenato.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “E tutto questo che cosa avrebbe a che fare con me?”
Kenma tornò a guardarlo. “Vostro padre non aveva ragione di rinchiudervi in una gabbia dorata, piccolo Principe,” disse. “Tuttavia, i suoi timori erano fondati. Dite di essere un Principe senza valore politico ma portate nel sangue un potere che vale più di qualsiasi dote matrimoniale.”
Shouyou aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “Bam-Bambini?” Domandò con vocetta stridula. “Stiamo parlando di bambini?”
Tobio pareva preso di sorpresa quanto lui. “Kenma, stai cercando di dirmi che Shouyou deve astenersi dal sollecitare l’interesse di Tsutomu anche per solo per ragioni amichevoli perché se, disgraziatamente, la notizia del suo potere arriva alle orecchie di Wakatoshi, a qualcuno potrebbe venir voglia di organizzare un matrimonio?”
Shouyou lasciò andare un lamento prendendosi il viso tra le mani. “Che imbarazzo…”
“Ovunque vai, sei destinato ad un matrimonio, Shouyou,” disse Tobio con un ghignetto.
“Non esserne così divertito!” Esclamò il piccolo Principe.
“Non è uno scherzo,” insistette Kenma. “Wakatoshi potrebbe costringerti ad un matrimonio con suo figlio in modo che il potere di entrambe le vostre stirpi scorra nel sangue di un erede comune.”
Shouyou sbuffò saltando giù dal letto. “È troppo chiedere che mi venga concesso il tempo di scegliere chi sposare?” Domandò attraversando la stanza con ampi passi fino ad arrivare davanti alla finestra. Nel cortile interno, gli altri Cavaliere stavano mangiando, bevendo e festeggiando la fine di un’altra giornata produttiva passata nei campi.
Era una felicità semplice, genuina.
Shouyou li invidiava particolarmente in quel momento. “Vorrei solo…”  Si voltò verso Tobio e quegli occhi blu ricambiarono il suo sguardo confusi ma non aggiunse altra parola.
“Scegliere è il potere che stiamo cercando di concedere ad entrambi,” disse Kenma.
Il Principe Demone lo fissò sospettoso. “Che vuoi dire?”
Il Mago si umettò le labbra. Forse, stava agendo in preda al panico, spinto dalla paura di vedere le immagini dei suoi peggiori incubi divenire realtà. Era sempre stato lucido e razionale nel suo agire, il Mago della corte di Nekoma e, forse, era stato semplice accettare le visioni di morte di due fanciulli ancora in fasce. Quegli stessi fanciulli, però, ora erano lì davanti a lui. Creature con un destino troppo grande e complesso per il loro bene.
E Shouyou chiedeva solo di poter scegliere.
Sì, Shouyou chiedeva di scegliere come Tobio gli aveva chiesto di capire.
Gli sarebbe bastato raccontare una sola storia per realizzare entrambi quei desideri.
Kenma allungò una mano e la posò sulla spalla di Tobio, poi porse l’altra a Shouyou invitandolo ad afferrarla. “Miei Principi,” disse gentilmente. “Ho bisogno che ascoltiate le parole che sto per dirvi con molta attenzione.” Guardò il fanciullo dai capelli corvini. “Ti avevo detto che al tuo ritorno, i tuoi genitori ti avrebbero dato tutte le risposte che stavi cercando e tu, Tobio, mi hai chiesto se saresti stato pronto ad accettarle.”
Il Principe Demone annuì.
Kenma prese un respiro profondo: Tooru non lo avrebbe mai perdonato per quello che stava per fare ma il Principe dell’Aquila sapeva troppo ed il giuramento che aveva fatto a Shouyou poteva essere stato sincero ma erano fragili le condizioni su cui si reggeva… Troppo fragili.
“Vi prego, miei Principi, ascoltate questa storia fino alla fine…”
 
 
***
 
 
Hajime era affacciato ad una delle finestre del salotto privato del Re.
“Che cosa stai facendo?” Domandò Tooru uscendo dalla camera da letto per accomodarsi alla tavola imbandita.
Il Primo Cavaliere osservò il cortile interno del castello completamente deserto con espressione sospettosa. “C’è troppo silenzio…” Sibilò.
Tooru ridacchiò versandosi del vino. “Senza Koutaro e Tetsuro…”
“No,” Hajime si voltò avvicinandosi al tavolo a sua volta. “Non si tratta solo di questo.”
Tooru gli sorrise. “Ti aspetti un colpo di stato da parte di Takahiro ed Issei?”
“Se ci tengono a morire,” replicò il Cavaliere cominciando a mangiare.
Il Re Demone continuò a sorridere come se quella fosse una normalissima cena. “Una domanda che non ti ho ancora fatto,” disse con tono casuale. “Cosa ne pensi del piccolo Principe dei Corvi?”
Hajime scrollò le spalle. “Ammetto di non aver passato con lui abbastanza tempo per avere un giudizio.”
“Peccato…”
“Tooru, Tobio non si sposerà per l’amore di un’estate.”
“Allora ammetti che è amore.”
“È qualcosa,” disse Hajime afferrando il suo calice e prendendo un sorso di vino. “Sì, senza dubbio è qualcosa.”
Tooru sospirò. “Tu proprio non riesci ad immaginarti Tobio innamorato, vero?”
Hajime lo guardò fisso. “Tu sì?”
Il Re Demone rise. “Ho difficoltà,” ammise. “Però, mi piace giocare un po’ con la fantasia…”
“E cosa immagini?”
“Come te,” ammise Tooru. “Più bello, meno sveglio ma… Sì, come te: pronto a tutto per il bene di chi ama, anche combattere una guerra.”
Il Primo Cavaliere accennò un sorriso. “Mi vedi ancora così?”
“Oh, Hajime, sarebbe impossibile vederti in qualunque altro modo,” rispose Tooru appoggiando le spalle allo schienale della sua poltrona. “I tuoi Cavalieri ti amano. I Re che ho fatto cadere ti sono leali come se il loro nuovo sovrano fossi tu, Tobio ti guarda e vede il più grande eroe che abbia mai camminato nei Regni liberi ed io... Io ti guardo e vedo l’uomo che ha dedicato tutta la sua vita a me e che, nonostante gli abbia spezzato il cuore, continua a farlo.” Prese un altro sorso di vino portando lo sguardo al cielo scuro oltre la finestra.
Hajime continuò a guardarlo in silenzio per alcuni istanti. C’era tanto da dire. C’era sempre stato tanto da dire tra loro due, anche se spesso erano solo parole ripetute ancora, ancora, ancora…
Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo…
Quell’eco rimbalzava ancora sulle pareti di pietra di quelle stanze, insieme al suono delle loro risate di bambini, dei primi sospiri di piacere, della vocina infantile di Tobio che imparava a dire mamma e papà.
Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo…
Dov’era finita quella voce?
“Perché pensi che sarà una bambina?” Domandò Hajime di colpo.
Tooru inarcò le sopracciglia.
“Tobio,” chiarì il Cavalieri. “Perché credi che avrà una bambina? È un altro sogno di cui non mi hai parlato? Non avrai ricominciato a riflettere sulle tue visioni di quell’inverno di più di dieci anni fa quando ti sei tramutato in una…”
“No,” lo interruppe Tooru con un sorriso furbetto, poi scrollò le spalle. “È solo una fantasia anche questa.” Ammise. “O una speranza…”
 
 
***
 
 
Il silenzio che calò quando Kenma smise di parlare fu assordante.
Shouyou era seduto sul letto, Tobio era in piedi accanto a lui e l’orrore riflesso sui loro giovani visi era insopportabile da guardare.
Ecco, era fatta. Tobio aveva le sue risposte e Shouyou tutto ciò che gli serviva per scegliere liberamente chi amare. Due fiori non ancora sbocciati a cui veniva descritto il modo prematuro in cui sarebbero appassiti.
No, Tooru non lo avrebbe mai perdonato per aver fatto quello che aveva fatto e Kenma ne ebbe la conferma guardando Tobio negli occhi e vedendovi riflessa la rabbia disperata di una creatura troppo forte per il suo bene ma non abbastanza da sconfiggere il destino.
“Lasciaci, Kenma…” Fu tutto quello che il Principe Demone riuscì a dire.
Il Principe dei Corvi fissava il pavimento con espressione terribile, i grandi occhi privi della loro solita luce.
Kenma sentì la morsa del senso di colpa stringergli il cuore ma annuì e prese la via della porta senza dire niente altro: il suo compito era definitivamente concluso. Non c’erano più segreti da cui i due Principi dovessero venir protetti e non ci sarebbero stati altri incubi a tormentare la mente del Mago: cosa poteva esserci di peggio della visione della loro morte, dopotutto?
Più di quindici anni di attesa ed era tutto finito.
“Mi dispiace…” Mormorò abbassando la maniglia della porta. “Mi dispiace…” Era sincero, eppure, per la prima volta dopo tanto tempo, non c’era più nessuna catena invisibile a legarlo.
 
 
 
Il rumore della porta che si richiudeva fu peggio di quello di un colpo di cannone.
Tobio fu il primo a spezzare l’immobilità della stanza. Si mosse fino al lato opposto fermandosi di fronte alla finestra che dava sui campi di grano sul retro della tenuta. La notte era quieta e solo un soffio di vento muoveva il mare dorato che al mattino sarebbe tornato a splendere di luce riflessa come ogni giorno.
Anche per il sorriso di Shouyou sarebbe stato lo stesso?
Aveva paura di voltarsi, Tobio. Aveva paura di vedere la disperazione negli occhi dei Principe dei Corvi e sapere che, no, non era solo un brutto sogno. Al mattino, il sole sarebbe tornato a brillare ma loro sarebbero rimasti intrappolati in quell’incubo che, a loro insaputa, li aveva incatenati fin dal giorno della loro nascita.
 Shouyou ingoiò aria disperatamente e si costrinse ad alzarsi in piedi.
 “Tobio…”
Il Principe Demone continuò a fissare il cielo scuro. Era strano: non aveva visto nuvole per tutto il giorno, eppure non brillava neanche una stella.
“Tobio…”
Sentì le mani del Principe dei Corvi contro la sua schiena. Erano piccole, tremanti. Erano le mani di un fanciullo che aveva sognato da sempre di vivere grandi avventure e compiere imprese leggendarie e, da sempre, erano legate da una maledizione invisibile di cui non era mai stato a conoscenza.
Ed il Principe Demone quelle mani le aveva afferrate innumerevoli volte sotto il sole di quell’estate che stava volgendo al termine. Lo aveva sempre fatto con poca gentilezza ed ancor meno cura. Ma ora… Ora…
Allungò un braccio all’indietro.
Shouyou intrecciò le loro dita con naturalezza, come se fosse un gesto abituale. Non lo era. Era la prima volta che si toccavano così e lo stavano facendo per non crollare, per ricordare ad entrambi che non erano soli in quella maledizione e che erano ancora vivi. Per ora…
Eppure, Tobio non poté fare a meno di notare quanto fosse facile stringere le sue dita intorno alla mano del Principe dei Corvi.
Shouyou appoggiò la guancia alla sua schiena.
Non poteva fare altro che piangere.
“Tobio, ti prego…” Provò a parlare.
Non ci riuscì.
La voce gli morì in gola e l’idea che potesse tutto finire così, senza che lui potesse fare niente, lo terrorizzava più della verità che avevano appena dovuto subire. “È soltanto un sogno…”
Non era vero e lo sapeva bene. Lo sapevano entrambi.
Tobio, però, continuava a dargli le spalle, a rimanere in silenzio, ad ignorare i suoi singhiozzi e le sue preghiere. Quando parlò, infine, lo fece a bassa voce ma Shouyou trasalì come se fosse appena esploso un colpo di cannone. “Un’estate,” mormorò il Principe Demone. “Il resto della tua vita in cambio di un’estate,” si voltò e Shouyou avrebbe tanto voluto avere il potere di capire che cosa fosse quel che vedeva riflesso in quegli occhi blu. “È solo un’estate, stupido…”
Le loro dita erano ancora intrecciate.
Shouyou strinse le labbra costringendosi a rispondere a quello sguardo. Le lacrime continuavano a rigargli le guance ma i suoi occhi erano accesi, infuocati. C’era qualcosa di simile alla rabbia in fondo a quelle iridi d’ambra ma di molto, molto più pericoloso. “Non è stata solo un’estate,” replicò. “Il resto della mia vita non c’è senza questa estate.”
Tobio serrò i denti sul labbro inferiore. “Che cosa vuoi?”
Ancora la stessa storia: una domanda semplice ed una risposta più grande di loro.
Shouyou dischiuse le labbra. Tremavano. “Non lo so,” ammise. Aveva quindici anni, Tobio non li aveva nemmeno compiuti. Come potevano avere il potere di prendere una decisione tanto grande ad un’età tanto fragile, fatta d’incertezze?
Erano nati con la maledizione di essere Re, dopotutto, e potevano solo combattere o fuggire.
In entrambi i casi, il destino avrebbe avuto l’ultima parola comunque.
“So che non voglio solo un’estate,” rispose il Principe dei Corvi. La sua voce era ferma, nonostante le lacrime. “Non mi basta…”
Tobio annuì e lo fece con la compostezza e la regalità di un Re che accetta la sua condanna a morte.
”È questo che sto facendo? Si domandò Shouyou. Ti sto condannando a morte?
“Me ne voglio andare,” disse Tobio di colpo.
Shouyou sbatté le ciglia umide di lacrime con espressione smarrita. “Dove?”
“Non lo so,” ammise il Principe Demone. “Sono l’erede al trono di uno dei due Regni più potenti tra quelli liberi, mi farò venire in mente qualcosa. Aspettiamo la fine dell’estate e poi…” Il blu dei suoi occhi si riversò nell’ambra di quelli del Principe dei Corvi. “Vieni con me?”
Shouyou se ne rimase in silenzio solo per un battito di cuore ma quando guardò senza timore il futuro Re Demone a cui era destinato, fu come riprendere fiato dopo averlo trattenuto troppo a lungo. “Sì…”
 
 
***
 
 
Tsutomu fissava le finestre dei piani nobili della tenuta con particolare interesse.
La cena era degenerata e gli uomini che erano stati Re di Nekoma e Fukurodani avevano preso a ballare e cantare in piedi sui tavoli, mentre i giovani idioti delle loro casate davano loro corda. Tsutomu non aveva ragione di unirsi a quella follia generale. Nessuno in quel cortile era suo amico e, sebbene tutti conoscessero il suo nome, lui non era certo di ricordare quello di nemmeno la metà di quelli degli uomini che lo circondavano.
In ogni caso, erano solo due quelli che continuavano a ripetersi nella sua testa.
“A che cosa stai pensando?” Domandò Satori appoggiando al muro bianco accanto a lui.
“A niente…” Mentì Tsutomu ma lo fece con voce tanto distratta che il Cavaliere ci credette.
“Ti ho trovato in mutande in un bosco insieme a due Principi mezzi nudi a loro volta,” disse Satori. “Il Principe Demone ed il Principe dei Corvi per essere precisi…”
Il ragazzino si voltò a guardarlo storto sapendo cosa sarebbe seguito.
Satori sorrise sarcastico. “Sei precoce ragazzino.”
“Ma stai zitto!” Sbottò l’erede al trono di Shiratorizawa tornando a guardare le finestre scure. Né Tobio né Shouyou si erano più visti dopo il calar del sole e Tsutomu non aveva abbastanza confidenza con nessuno per chiedere il motivo del loro isolamento. O, forse, la risposta era la più semplice e scontata e vi si era trovato davanti quel pomeriggio.
Ripensò al modo in cui aveva visto Tobio e Shouyou toccarsi, stringersi…
“Al diavolo!” Sbottò
Satori sobbalzò per l’esclamazione improvvisa. “Non ho detto nulla.”
“Non tu!”
Il Cavaliere inarcò le sopracciglia confuso. “Allora è successo davvero qualcosa di cui non vuoi parlare?”
Tsutomu arrossì per nessuna ragione in particolare ma tanto bastò a dare al Cavaliere un’idea sbagliata.
“Moccioso…” Provò Satori con cautela. “Tu e gli altri due avete davvero…”
“No!”
“Oh, bene…” Sospirò. “Sei un po’ troppo giovane per esperienze di questo genere, comunque.”
“Non farò simili discorsi con te!”
“Arrenditi all’idea che prima o poi dovrai farli!” Esclamò Satori divertito. “Non sia mai che lasci questa incombenza a tuo padre… Potresti finire per mettere incinta qualche Principessa prima ancora dei tuoi sedici anni!”
“Oh, perché i Regni liberi pullulano di Principesse, vero?” Replicò il Principe dell’Aquila con velenoso sarcasmo.
Satori scrollò le spalle. “Ce ne è una nel Regno di Karasuno, la sorella del Principe dei Corvi…”
“Ha sette anni!”
“Ma le piacevi e solo per questo è da prendere in considerazione per il futuro!”
“Vai al diavolo anche tu, allora!” Concluse Tsutomu ma gli occhi chiari tornarono comunque sulle finestre di quella camera buia. La camera in cui Tobio e Shouyou dovevano essere insieme in quel momento.
Era davvero normale passare tutto quel tempo con un semplice amico? Condividere con lui un segreto come quello di cui era venuto a conoscenza per puro sbaglio?
Pensò al modo in cui Tobio aveva circondato la vita di Shouyou quando quest’ultimo aveva accennato ad allontanarsi da lui e pensò che aveva visto suo padre fare lo stesso con Kenjirou una volta o, forse, due…
Scrollò le spalle.
Sì, evidentemente era una cosa normale e se solo avesse avuto un amico, l’avrebbe saputo.
Dopotutto, però, era proprio questo il punto: Tsutomu non aveva amici, Tsutomu era sempre stato solo.
E così lo era stato Tobio, fino a che…
”Mi devi la tua vita.”
Shouyou gli aveva sorriso. Si era fidato della sua parola senza esitare e poi gli aveva sorriso.
Si passò una mano tra i capelli con frustrazione. “Vado a dormire…”
 
 
***
 
 
Le dita di Shouyou era ancora intrecciate a quelle di Tobio quando quest’ultimo lo guidò fuori passando per la porta sul retro. Erano ancora tutti nel cortile e nessuno li vide.
I campi di grano erano un’immensa distesa scura mossa dal vento estivo.
“Dove andiamo?” Domandò Shouyou camminando tra le alte spighe.
Tobio lo guardò. “Voglio farti vedere una cosa.”
Il Principe dei Corvi non chiese altro. Si lasciò guidare nel buio con fiducia, gli occhi bassi per cercare di vedere dove metteva i piedi.
Quando Tobio decise che si erano allontanati abbastanza, lo lasciò andare e si voltò. “Va bene qui…”
Shouyou si guardò intorno. “Quindi?” Domandò confuso.
“Siediti,” lo istruì Tobio accomodandosi a terra.
Il Principe dei Corvi fece lo stesso ma ancora non riusciva a capire. “Quindi?”
Tobio sbuffò. “Non ce la fai ad essere paziente?”
Shouyou gonfiò le guance si voltò dalla parte opposta. Il silenzio, però, era l’ultima cosa di cui entrambi avevano bisogno in quel momento. “Kenma ha parlato di alcune risposte che stavi cercando,” disse. “Le hai trovate adesso?”
Tobio fissò la nuca del piccolo Principe ed annuì. “Sì…”
Shouyou tornò a guardarlo. “Che genere di risposte stavi cercando?”
“Dovevo capire delle cose riguardo a me, a Tooru e a mio padre.”
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Kenma non li ha nominati quasi mai.”
“Non è stato necessario,” rispose Tobio fissando un punto nel buio di fronte a lui. “Ho capito…”
Shouyou si umettò le labbra. “Posso conoscere le domande?”
Tobio sorrise amaramente. “È la storia della rabbia che mi porto dentro, Shouyou,” disse. “Niente di più, niente di meno…”
Il Principe dei Corvi si fece più vicino. “Raccontamela…”
Tobio lo guardò. “Non ne hai abbastanza di storie per questa notte?”
Shouyou scrollò le spalle accennando un sorriso. “Già mi dovevi questa storia perché ti ho insegnato a volare…”
“Insegnato è una parola grossa per quel capitombolo nell’acqua.”
“Vuoi rimangiarti la parola?”
Il Principe Demone scosse la testa. “C’erano delle cose che non riuscivo a capire e sapere di quelle profezie riguardo al nostro destino… Diciamo che ora ho tutte le spiegazioni che mi servono.”
“Spiegazioni per cosa?”
“Per capire perché Tooru mi odia…”
Shouyou dischiuse le labbra ma qualunque cosa volesse dire la dimenticò velocemente. Restò con gli occhi fissi sul profilo di Tobio aspettando che lui si voltasse, aggiungesse qualcosa o chiarisse il punto. Non lo fece, gli occhi blu del Principe Demone continuarono a contemplare il buio di fronte a sé.
“Tobio, tu… ?”
“Hai capito benissimo,” lo interruppe Tobio. “Non porre domande inutili.”
Shouyou rimase in silenzio un istante ancora, indeciso su cosa dire, timoroso di trovare le parole sbagliate. “Ma tu sei il Principe Demone!” Esclamò, infine. “Il tuo nome è conosciuto nei Regni liberi come quello di un Re.”
“E pensi che questo basti per farsi amare?” Domandò Tobio quasi con rabbia. Gli occhi blu cercarono quelli d’ambra. “Chi mi guarda vede o un eroe o un Principe sulla strada giusta per divenire il peggiore dei tiranni. Non esiste una via di mezzo. Non l’ho creata! Non mi sono disturbato a farlo!”
Shouyou scosse appena la testa. “E perché Tooru dovrebbe odiarti per questo?” Domandò con voce smarrita. “Mio padre darebbe qualsiasi cosa per…”
“Per vederti felice?” Concluse Tobio. “Per saperti al sicuro?”
Il Principe dei Corvi non disse niente.
“Perché è questo quello che ho compreso di tuo padre, Shouyou. Ho visto un uomo pronto a tutto per la sua famiglia e la sua terra. Ho visto un Re che ha fatto della felicità e libertà del suo popolo le sue uniche ambizioni e questo può averlo reso il sovrano meno potete della sua generazione ma, di certo, gli ha permesso di essere fedele a se stesso e ai suoi ideali.”
“Tooru è un grande Re, Tobio,” disse Shouyou. “È stato il primo a sconfiggere il Re dell’Aquila, è stato l’unico che…”
“Ha messo insieme un’alleanza di Regni liberi per fermare un conquistatore fino ad allora imbattuto.” Il Principe Demone annuì sommessamente. “Sì, poi ha fatto di quell’alleanza una strategia per conquistare due Regni senza versare neanche una goccia di sangue. Geniale, eh? Come può esserlo solo un traditore…”
Shouyou abbassò lo sguardo per un istante. “È così che vedi Tooru?”
Tobio scosse la testa ed il suo viso si contrasse in una smorfia. “No…” Ammise. “Io guardavo i miei genitori e vedevo tutto quello che volevo essere. Mio padre era il tipo di Cavaliere, di guerriero che volevo diventare. Tooru era tutto il resto… Tutto quello che ho sempre voluto eguagliare, tutto quello che desideravo superare. Ho fatto di questo la mia ambizione, la mia ossessione. Tooru si allontanava da me ed io ero convinto che tutto quello che dovevo fare per guadagnarmi di nuovo la sua approvazione, la sua stima, il suo amore fosse dimostrare di essere il migliore, il più grande.”
Una pausa.
“Di recente, ho compreso che, invece, quello che tormentava Tooru era proprio il fatto lo fossi… Il Principe Demone che sono diventato, quello di cui parlano tutte le grandi storie che conosci anche tu… Quel Principe è la ragione per cui Tooru mi teme e per cui, a causa del suo orgoglio e della sua ambizione calpestati, ha finito per odiarmi.”
Shouyou non sapeva cosa dire così rimase in silenzio.
“Anni passati a cercare di dimostrare qualcosa e mi sono condannato con le mie stesse mani,” aggiunse Tobio. “Sono diventato il peggior nemico di chi volevo rendere orgoglioso. E sai qual è la parte peggiore, Shouyou? Quando l’ho capito, quando gliel’ho confessato, quando ho visto quella paura riflessa negli occhi di Tooru mentre mi guardava e lui ha compreso che non poteva più manipolarmi con la mia fame di approvazione… In quel momento, non mi sono sentito come mi ero aspettato.”
Shouyou ingoiò a vuoto. “Come credevi che ti saresti sentito?”
“Ferito,” rispose Tobio. “Tradito… Qualcosa del genere…”
“E come ti sei sentito, invece?”
I loro occhi s’incontrarono di nuovo e, nonostante il buio, Shouyou avrebbe potuto giurare di poter distinguere ogni sfumatura di blu delle iridi di Tobio.
“Forte…” Rispose il Principe Demone. “Potente…” Si umettò le labbra. “Libero…”
Shouyou sgranò gli occhi sorpreso. “Libero?”
“Sì,” Tobio annuì. “Non avevo più bisogno di dimostrare niente. Non c’era più nessuno che dovessi rendere orgoglioso di me. A quel punto della storia, c’ero solo io e quello che volevo diventare… Che voglio diventare.”
Il Principe dei Corvi trattenne il fiato per un istante. “E che cosa vuoi diventare, Tobio?”
“Il destino sembra aver già deciso per me,” replicò Tobio. “Lo stesso destino che vuole che diventi più potente di Tooru.”
Shouyou scosse la testa. Si avvicinò, s’inginocchiò di fronte al Principe Demone per impedire a quegli occhi blu di allontanarsi dai suoi. “Non pensare al destino,” disse con fermezza ma era gentile la sua voce. “Non pensare alla storia di Kenma. I suoi sogni ci hanno già condannato a morte, dopotutto.”
“E abbiamo deciso di restare insieme comunque.”
“Perché non vogliamo morire!” Esclamò Shouyou. “Non voglio nemmeno fuggire, però! Non voglio rinunciare a quello che voglio perché ho paura! Tanto varrebbe non vivere affatto! Io voglio combattere e so che lo vuoi anche tu!” Inspirò profondamente. “Perciò, non pensare al destino, non questa notte… Dimmi che cosa vuoi. Io ti ho detto che un’estate non mi basta ma tu… Tu che cosa vuoi?”
Shouyou seppe di essersi spinto troppo oltre quando l’espressione di Tobio si fece scostante. “Torniamo indietro…” Fece per alzarsi ma l’altro gli fu addosso prima che ci riuscisse.
Finirono entrambi stesi tra le spighe di grano mosse della brezza notturna.
Shouyou si fece leva sulle mani per guardare il Principe Demone dritto negli occhi. “Perché sei così?” Domandò esasperato, quasi disperato. “Io cerco di venire verso di te nella speranza che tu, almeno, ti decida a guardarmi ma più io mi apro a te, più ti allontani e mi spingi via!” Esclamò, le lacrime agli occhi. “Io mi fido di te! Ho messo la mia vita nelle tue mani ma tu non ti fidi di me nemmeno per confidarmi quello che senti!”
Tobio lo guardò con rabbia e lo spinse a terra senza sforzo. “Perché non la smetti d’investirmi con quello che senti tu, invece?” Domandò con ira. “Credi che sia facile, stupido, starmene qui a subire ogni tua emozione quando io non riesco nemmeno a dare un nome alle mie? A che cosa servirebbe dirti che non ho mai desiderato la vicinanza di nessuno ma che sono terrorizzato dalla solitudine da quando ci sei tu?”
Shouyou non aveva una risposta a quelle domande ma Tobio non le pretendeva. Era arrivato il suo turno di parlare.
“Cambierebbe qualcosa se ti confessassi che tengo le distanze da te perché spingerti via mi è più sopportabile di aspettare che tu decida di lasciarmi indietro?”
“Tobio, io non…”
“Lo farai!” Tuonò il Principe Demone. “Lo farai! Perché lo fanno tutti! Tooru l’ha fatto con i suoi alleati, poi con mio padre e, infine, con me… E tu… Anche tu sei così! Anche tu hai sogni più grandi di te! Anche tu desideri di più sempre di più! Hai la stessa luce… E mi abbaglia…” Chinò la testa. “Tu mi abbagli e non lo sopporto… Non ti sopporto…”
Shouyou rimase immobile, il respiro bloccato in gola ed il cuore velocissimo. Tobio appoggiò la fronte contro il suo petto per impedirgli di guardarlo in faccia. Le spalle gli tremavano.
“Tobio,” lo chiamò. “Tobio…”
Gli afferrò le braccia, lo spinse a sollevarsi, a guardarlo di nuovo negli occhi.
Non vide le lacrime di Tobio ma sentì le guance bagnate sotto le sue dita quando gli prese il viso tra le mani. Sarebbe stato facile per Shouyou colmare la distanza tra loro a quel punto e prendersi quel che sentiva essere suo. Lo aveva deciso il destino, dopotutto, no?
No, era solo una scusa.
Tobio lo sapeva che cosa voleva, glielo aveva suggerito in più di un modo e non sempre per sua volontà.
Adesso era il turno di Shouyou di aspettare, di essere raggiunto, desiderato. Così, se ne rimase lì, tra le spighe di grano, sotto le stelle di quella notte d’estate. Aveva occhi solo per Tobio e questo era il suo modo silenzioso di dirgli che c’era, che lo aspettava se necessario ma che non sarebbe andato da nessuna parte.
E Tobio non si sottrasse al suo sguardo nemmeno per un istante. Per fare la sua scelta impiegò un’eternità lunga un istante. Ne valse la pena.
Tutto quello che era rimasto nascosto nel cuore del Principe Demone, tutto quello che non sarebbe mai riuscito a dire a parole, lo confessò con un bacio.
E il Principe dei Corvi lo accettò.
 
 
Nessuno dei due si accorse delle lucciole che cominciarono a brillare intorno a loro, tra le spighe di grano.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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