Crossover
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Autore: Registe    24/05/2017    4 recensioni
Tredici guardiani. Tredici custodi del sapere.
Da sempre lo scopo dell'Organizzazione è proteggere e difendere il Castello dell'Oblio ed i suoi segreti dalle minacce di chi vorrebbe impadronirsene. Ma il Superiore ignora che il pericolo più grande si annida proprio tra quelle mura immacolate.
Questa storia può essere letta come un racconto autonomo o come prologo della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
[fandom principale Kingdom Hearts; nelle storie successive lo spettro si allargherà notevolmente]
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anime/Manga, Videogiochi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 5 - Vexen





Saïx





Qualsiasi oggetto di un certo interesse ritrovato dai membri dell’Organizzazione X esplorando i mondi prima o poi finiva nel laboratorio di Vexen. Glielo consegnavano titubanti, con l’aria di chi teme che qualcosa possa esplodergli tra le mani, poi facevano un passo indietro e lo spiavano di sottecchi mentre analizzava, sondava e interpretava. Attendevano in silenzio che lo scienziato compisse il miracolo, squarciando il velo dell’ignoranza dalle loro menti inferiori.
A volte, soprattutto quando era il Superiore a mettersi in viaggio, invece di artefatti magici o congegni tecnologici gli riportavano persone. Quasi sempre in pessime condizioni, quasi sempre rimasugli della società a cui Xemnas sperava di donare nuova vita e scopo al servizio della sua gloriosa Organizzazione. Dopo tutti quegli anni, Vexen non aveva ancora capito se il Superiore agisse per autentica bontà d’animo o semplicemente per il compiacimento di rivestire il ruolo del magnanimo salvatore. Forse entrambe le cose erano vere.
“Possiamo escludere con certezza la presenza di danni cerebrali.”
Il suo verdetto si guadagnò un cenno di approvazione da parte del n. I. Non era stato facile convincere il ragazzino portato dal n. VIII che i macchinari per la risonanza magnetica e la tomografia non fossero congegni di tortura partoriti dalla mente del diavolo, ma un paio di parole gentili da parte del Superiore avevano fatto il miracolo. Sora – questo il nome del nuovo arrivato – era imbevuto di pregiudizi religiosi come ogni contadinotto del suo mondo, addestrato dal clero parassita a temere qualsiasi segno di novità e progresso alla stregua di mali incurabili. Quanto ai macchinari, Vexen li aveva prelevati su mondi più avanzati, pianeti in cui esistevano ospedali veri e dove alla medicina e alla scienza venivano tributati gli onori e il rispetto che meritavano.
“Ti lascio questo unguento” fece scivolare un piccolo flacone di vetro nelle mani del ragazzino, il cui sguardo rimaneva ostinatamente fisso sul pavimento. “Applicalo sui lividi ogni sera e in pochi giorni spariranno. Terrà a bada anche il dolore.”
“Ehi, un po’ di quella roba farebbe comodo anche a me.”
“Il tuo turno verrà a tempo debito, n. VIII.”
Il ringhio basso di Saïx era un suono che a Vexen decisamente non piaceva sentire all’interno del suo laboratorio. Allo stesso modo lo infastidiva la presenza di Axel, beatamente spaparanzato con i piedi su una sedia neanche fosse in quel buco sudicio che si ostinava a chiamare “stanza da letto”. Zexion diceva sempre che l’odore del n. VIII era uno dei più pesanti all’interno del Castello dell’Oblio. A quanto pareva Axel considerava il suo status di elementale del fuoco come una scusa per non lavarsi.
“Ti pregherei di non usare la mia sedia come poggiapiedi n. VIII, se vuoi che mi decida a dare un’occhiata a quel polso.”
Axel sbuffò, ma il dolore e la presenza combinata di Saïx e del Superiore ebbero la meglio sul suo atteggiamento irriverente, e si avvicinò obbediente per lasciarsi visitare.
Questione di una manciata di secondi. Gli avessero almeno portato un caso medico interessante per ripagarlo del disturbo. Figuriamoci se poteva contare su tanta fortuna.
“Slogato, ma non rotto. Sopravvivrai.”
“Grazie n. IV. La tua competenza è preziosa come sempre.” Il Superiore si era tenuto in disparte fino a quel momento, lasciandolo lavorare con calma, ma ora si avvicinava con una tazza di tisana calda tra le mani. La porse al giovane Sora con un sorriso rassicurante, poi tornò a rivolgersi a Vexen: “Ti chiedo scusa anche a nome del n. VII e del n. VIII per aver disturbato il tuo lavoro a causa del loro comportamento irresponsabile.”
Tanto farai lo stesso la prossima volta. E quella dopo ancora.
“Nessun disturbo, Superiore.”
Sapeva cosa sarebbe successo adesso. Le parole di Xemnas erano il preludio a una paternale che Vexen aveva fiutato nell’aria nel momento stesso in cui il gruppetto di visitatori indesiderati aveva messo piede nel laboratorio. Il Superiore non scherzava quando affermava di sentirsi un padre per gli altri membri della sua Organizzazione – anche se i nove decimi di loro erano adulti e vaccinati, anche se un paio, tra cui lo stesso Vexen, erano più anziani di lui. E proprio alla maniera di un padre decretava le regole ferree della propria casa, distribuendo premi ai figli diligenti e punizioni a chi disobbediva. Andava detto che Xemnas non era un despota e le punizioni non erano in fondo nulla di terribile: lunghe paternali come quella in arrivo e occasionali turni extra in cucina, in lavanderia o alle pulizie. Ma era il concetto stesso di dover danzare ai capricci di quell’uomo a far digrignare a Vexen i denti per la rabbia. Se non fosse stato per la conoscenza e i poteri che il Castello dell’Oblio gli offriva avrebbe fatto i bagagli, preso Zexion per mano e detto addio all’Organizzazione già da un pezzo.
“E devo le mie più profonde scuse anche a te, Sora. Hai la mia parola che un incidente così increscioso non si verificherà mai più finché la mia parola avrà valore in questo Castello. Nessun membro dell’Organizzazione X alzerà più la mano contro di te, te lo prometto.”
Il lato positivo della faccenda era godere della vista del n. VII, il possente licantropo Saïx, che si faceva piccolo come un cucciolo bastonato di fronte ai rimproveri del padrone. Le spalle curve, lo sguardo contrito da bambino colto sul fatto a rubare la marmellata: mancavano solo un paio di orecchie afflosciate sulla testa e la coda a penzoloni, e il quadro sarebbe stato perfetto.
“Mi rincresce di aver infranto la sua fiducia, Superiore. Le giuro che non accadrà più. Sono costernato.”
“Non è per la mia fiducia che devi dispiacerti, Saïx.” Il n. I manteneva un tono pacato anche nei rimproveri: raramente alzava la voce, preferendo invece assumere il contegno di un maestro paziente la cui missione della vita è far capire al suo allievo dove, come e perché ha sbagliato. Non per aggredirlo o deriderlo, ma soltanto per migliorarlo e farlo crescere. In qualche modo era ancora più irritante di una sfuriata furibonda.
“Devi dispiacerti per aver causato dolore e paura a questo povero ragazzo, che non aveva fatto nulla per meritarselo. Avresti potuto fargli del male.”
“Se lei lo desidera gli chiederò perdono, Superiore.”
“Non mi aspetto di meno da te, Saïx. Ho fiducia in te, so che la tua intenzione di trascendere i tuoi istinti è sincera. E so che ce la farai, perché il sostegno della nostra famiglia non verrà mai a mancarti.”
Parole, parole al vento. Di tutte le iniziative caritatevoli di Xemnas quella di accogliere un licantropo sotto il tetto dell’Organizzazione era stata senza dubbio la più folle, insensata e pericolosa. Per quanto si sforzasse di comportarsi come un umano, il n. VII era e restava una creatura della famiglia demoniaca. La natura della bestia era troppo profonda, troppo radicata in lui perché potesse semplicemente disfarsene come di un abito sporco. Per quelli della sua specie gli umani erano prede su cui sfogare il loro istinto di cacciatori, carne fresca per nutrire il branco. L’unica condizione a cui Vexen avrebbe accettato uno di loro nel Castello era ben sedato all’interno di una gabbia solida e sorvegliato a vista giorno e notte. Studiare la fisiologia di un licantropo sarebbe stato prezioso per comprendere i segreti della lunga vita della famiglia demoniaca, della sua forza e resistenza sovrumane.
Il polso gonfio e pieno di ematomi del n. VIII la diceva lunga sulla pericolosità di quell’animale. Axel poteva dirsi fortunato ad avere il braccio e tutte le dita ancora attaccati al corpo. Nei mesi immediatamente successivi all’ingresso di Saïx nell’Organizzazione Vexen aveva trascorso notti insonni al pensiero che un “incidente” simile potesse accadere a Zexion. Superiore o no, in quel caso niente e nessuno gli avrebbe impedito di aprire la bestia in due e rovesciare le sue interiora sul tavolo del laboratorio. Doveva solo provarci.
L’espressione cupa del n. VIII lasciava intendere che anche lui la pensava così. Per distrarsi dal sermone del Superiore che proseguiva a ruota libera lo scienziato si concentrò sulla medicazione, applicando una benda elastica per tenere fermo il polso slogato e somministrando un antidolorifico che il n. VIII trangugiò con avidità insieme a tre bicchieri d’acqua. In casi normali avrebbe applicato anche del ghiaccio, ma un rimedio del genere poteva solo causare ulteriori danni a un elementale del fuoco come Axel. Si sarebbe fatto bastare gli antidolorifici.
Quando tornò a prestare ascolto al ronzio di sottofondo si accorse che il Superiore era passato a parlare proprio del n. VIII.
“… gesto molto coraggioso. Il giovane Sora è salvo solo grazie a te. Sono azioni come questa che mi rendono ogni giorno orgoglioso dei miei figli.”
“Grazie, Superiore” borbottò Axel con un sorriso tirato che non raggiunse gli occhi verdi.
“Ti chiedo solo di prestare più attenzione la prossima volta, e di rivolgerti ai tuoi superiori prima di portare persone nuove al Castello. A causa della tua dimenticanza adesso siamo costretti a tenere il giovane Sora con noi per un po’, allontanandolo dal suo tempio.”
Persino questa affermazione non suscitò altro che un lieve tremito nelle spalle del ragazzo. Il Superiore doveva già avergli spiegato la situazione, ingarbugliandogli quel poco di cervello ancora non intaccato dai preti con i suoi sorrisi da padre benevolo e le sue chiacchiere intrise di melassa sull’importanza di proteggere la propria famiglia.
Sora era ancora seduto sul bordo del lettino, la tazza ormai vuota sempre stretta tra le dita. Vexen lo aveva colto varie volte intento a fissare gli oggetti del laboratorio con uno sguardo incantato che affiorava sempre più intenso oltre la cortina di paure e pregiudizi. Ai suoi occhi infantili le provette e i flaconi di erbe dovevano apparire come le pozioni di uno stregone in grado di imbottigliare la fama e distillare la gloria, e le macchine lo catturavano seducenti con il loro scintillio metallico, parlandogli in lingue sconosciute di enigmi oltre la portata dell’umana comprensione.
“Perché, Superiore?”
Come al solito il n. VIII era troppo tardo per arrivarci da solo.
“Perché non possiamo essere sicuri che non andrà a spiattellare tutto di noi ai preti, ecco perché” taglio corto Vexen nella speranza di evitare l’ennesimo sermone del Superiore. Non ebbe fortuna.
“Ma sarà una sistemazione temporanea. Sarai libero di andartene una volta che tra di noi si sarà stabilito un rapporto di fiducia, Sora. Oppure continuerai a vivere qui, se lo desideri. Saremo felici di fare del Castello dell’Oblio la tua nuova casa. Per tutto il tempo che starai con noi farai parte della nostra famiglia e verrai trattato come un membro dell’Organizzazione. Non ti mancherà nulla e sarai sempre protetto da chi vorrà farti del male.”
Per la prima volta il ragazzino fece udire la sua voce tremolante all’interno del laboratorio: “La ringrazio, Superiore.”
Vexen lo compatì: l’amara verità era che Sora non aveva alcuna possibilità di scegliere il proprio destino. Da quel giorno in poi sarebbe stato prigioniero in una gabbia dorata.
“Ma Superiore… con tutto il rispetto… non so quanto sia giusto obbligare il ragazzo a restare qui se non lo desidera… “
A Vexen parve quasi di udire i denti di Saïx stridere tra loro come le lame di una tagliola. Il licantropo considerava un affronto personale ogni minima contraddizione all’opinione del Superiore, e probabilmente sarebbe di nuovo saltato alla gola del n. VIII senza il balsamo calmante della presenza di Xemnas. Il n. I era l’unico membro dell’Organizzazione a reggere davvero nelle sue mani il guinzaglio della bestia. Nei suoi confronti Saïx nutriva una venerazione quasi sconfinata.
“Conto proprio su di voi, figli miei, per far sentire il vostro nuovo fratello a casa e al sicuro. Sono sicuro che si affezionerà a voi ancora prima che ve ne rendiate conto.”
Fu allora che l’idea prese forma nel cervello di Vexen. Una soluzione pratica ed efficiente che avrebbe accontentato tutti: nessun rischio per la segretezza dell’Organizzazione, nessun ragazzino segretato contro la sua volontà tra le mura bianche del Castello dell’Oblio. Semplice e geniale come solo le sue idee sapevano essere.
Peccato che da quando Vexen avesse memoria i suoi lampi di genio finivano sempre per infrangersi contro il muro granitico dell’ignoranza di chi lo circondava. Ma uno scienziato non sarebbe uno scienziato se si lasciasse abbattere da una serie di esperimenti falliti.
Determinato a far valere il suo punto di vista, Vexen chiese e ottenne dal Superiore il permesso di parlargli in privato. Si ritirarono in un angolo del laboratorio, protetti dagli sguardi indiscreti dei n. VII e VIII da uno scaffale che arrivava a sfiorare il soffitto con il suo carico di testi scientifici provenienti da tutti i mondi.
Fin dal primissimo momento gli fu chiaro di essersi imbarcato nell’ennesima crociata senza speranza. Nubi di tempesta si addensarono sulla fronte corrucciata di Xemnas non appena le fatidiche parole “Stanze della Memoria” attraversarono come un brivido lo spazio tra di loro.
“Credo di sapere dove porterà questa discussione, n. IV. E devo informarti che la mia risposta non è cambiata.”
“La prego Superiore, mi lasci almeno esporre la mia proposta. Non siamo costretti a rapire un ragazzino per assicurarci il suo silenzio. Possiamo semplicemente fargli dimenticare la nostra esistenza e tutto ciò che ci riguarda. Persino l’incontro con i banditi, se lei lo desidera. Con le Stanze della Memoria è possibile. La procedura non è invasiva né dolorosa, ed è totalmente priva di effetti collaterali. Ho studiato a lungo il funzionamento delle Stanze, almeno nella componente teorica, e non ho alcun dubbio che se lei acconsentisse ad aprirle sarei perfettamente in grado di… “
“Vexen.”
Quanto avrebbe voluto trasformarsi in licantropo solo per un istante e azzannare la mano carica di paternalismo che il n. I gli aveva posato sulla spalla. Invece rimase rigido come una statua di sale, i pugni serrati e una lunga sequela di maledizioni che gli rimbalzava furiosa tra le pareti del cranio.
“Certi pensieri è meglio dimenticarli. Ne abbiamo già parlato. Sei la persona più brillante che io abbia mai incontrato, ma alcune conoscenze sono pericolose persino per te. Manovrare a piacimento i ricordi delle persone è intraprendere una via oscura, e io non permetterò a nessuno dei miei figli di perdersi nelle tenebre. I miei nobili antenati hanno sigillato le Stanze per una ragione. Esistono infiniti campi del sapere in cui la tua abilità può misurarsi senza il bisogno di disturbare ciò che la loro saggezza ha ritenuto opportuno celare agli occhi del mondo.”
Vexen non riuscì a impedire a una sfumatura velenosa di impadronirsi della sua voce: “Invece tenere prigioniero Sora sarebbe un’azione giusta e santa.”
Un’ombra di tristezza velò lo sguardo d’ambra del Superiore: “È un male necessario. Ma non è detto che non si trasformi in un ulteriore stimolo di unità e armonia per la nostra famiglia.”
Lei è pazzo.
Un giorno non sarebbe più riuscito a trattenere dentro di sé quella verità. Un giorno avrebbe finito per sputargliela in faccia insieme a tutto il suo disprezzo. Gliela avrebbe fatta pagare per ogni affronto e umiliazione. Un giorno…
Chiuse gli occhi, consapevole della sconfitta. Per l’ennesima volta si rassegnò a mandare giù l’amaro boccone.
Il Superiore gli strinse ancora la spalla in quello che secondo lui era un gesto di incoraggiamento, poi finalmente lo lasciò andare, ritornando al centro del laboratorio per farsi udire da tutti:
“Riposa ancora per un po’, giovane Sora. Il n. IV e il n. VIII veglieranno su di te. Ci rivedremo tutti tra due ore nella sala riunioni per la presentazione dei nuovi membri della nostra famiglia.”
Vexen non aveva ancora incontrato i due nuovi agnellini smarriti che il n. I aveva recuperato nell’ultimo viaggio, ma sapeva che Zexion e Lexaeus avevano ricevuto l’ordine di accompagnarli nella sala da pranzo per farli rifocillare prima della presentazione ufficiale. Non che nutrisse particolare curiosità di conoscerli: dopo l’arrivo del n. VIII, la sua fiducia nelle capacità del Superiore di selezionare i membri dell’Organizzazione era colata definitivamente a picco.
“Questo è un grande momento per la nostra famiglia.” Xemnas fece scorrere lo sguardo su tutti loro, il petto straripante d’orgoglio neanche avesse compiuto l’impresa del secolo.
“Mai prima d’ora si erano uniti a noi ben tre nuovi membri nello stesso giorno.”
  
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