Ecco i vostri versi sciolti,
la vostra metrica inesistente,
e puttanai di merdate:
Guardo il sole tramontare
ti stringo la mano
e ci amiamo.
(Vuoi questo, eh?
Sì…dai, prendilo tutto,
lo so che ti piace).
Ehi, guardami:
sono anch’io un fottutissimo poeta…
…fottutissimissimissimissimissimo issimo issimissimo poeta.
Io ti adoro, ti leggo pure:
ma lo sai che
ti odio,
tra me e me,
tra una bestemmia e uno sputo?
Mi piace ciò che scrivo
ma non mi piace più nel momento
in cui non piace agli altri;
non ha riscontri, critiche.
Chi mi devo fingere
per piacervi?
Vi prego, mi basta un sussurro,
un sì
merdosissimi poeti,
…un briciolo di approvazione…
N.d.A:
Questa “poesia” è più che altro uno sfogo: credo che ognuno di noi voglia, nel profondo, che i suoi scritti siano meglio di quelli degli altri. E quindi effettua un serio lavoro critico sulle opere altrui, sminuendole al fine di valorizzare le proprie. Quando però non riceve la conferma che le sue poesie - o più in generale i lavori artistici, ma più largamente ancora qualsiasi cosa nella vita - non sono al primo posto tra le preferenze degli altri (mio dio, quanto ci - mi - importa del giudizio esterno!), lo sconforto è enorme. Si tende allora ad imitare lo stile e le tematiche che riscontrano maggior successo tra il pubblico, annullandosi nella banalità di scritture commerciali.
Mi piace quello che scrivo, ma a volte è difficile crederci: del resto sono umana, e il bisogno di approvazione è più forte di ogni illusione che m’impongo.