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Autore: amimy    10/06/2009    1 recensioni
Dal capitolo "Prisoner":Osservai i miei stessi occhi fissare con incontenibile bramosia quella che era stata la valle degli Hork Bajir liberi. Esultai fra me e me, anche se sapevo bene che l’ospite tutt’altro che desiderato nel cervello mi avrebbe sentita. Anzi no, desideravo mi sentisse. Lo sapevo che se ne sarebbero andati! Non ti avrebbero mai reso il gioco facile, disgustoso Yeerk. Ti troveranno, mi libereranno e ti prenderanno a calci in quel tuo didietro melmoso. E io li aiuterò. pensai, sprezzante. Quanto avrei voluto poter mettere le mani nella mia stessa testa e strappare a forza quel lumacone viscido che mi si era avviluppato attorno al cervello. Anche a costo di morire. Sarebbe stato meglio uccidermi con le mie stesse mani piuttosto che ricordare il mio clamoroso fallimento, costantemente segnalato da quella presenza dentro di me. Sarebbe stato meglio dell’andare avanti a ricordare all’infinito il giorno in cui io, la temeraria e spietata Rachel, ero diventata una Controller.
-AU ambientata prima del volume"L'esilio", prima che gli Yeerk scoprissero le identità dei ragazzi.
Genere: Romantico, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Alternate Universe (AU), What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Alcune precisazioni:questa storia è ambientata prima del volume “l’esilio”. Gli Yeerk non hanno ancora scoperto l’identità degli Animorph, Tom non ha ancora ottenuto il cubo della metamorfosi. Genitori e parenti dei ragazzi non sanno ancora nulla, nessuno degli Animorph si è ancora trasferito nella valle degli Hork-Bajir. E’ una storia alternativa, un altro modo in cui gli Yeerk avrebbero potuto scoprire l’identità dei ragazzi. L’immagine sotto il titolo è una foto di Brooke Nevin, l’attrice che nel telefilm interpeta Rachel(già,undici anni fa c’era davvero il telefilm sugli Animorph. Io l’ho visto l’anno scorso in inglese, anche se, ovviamente, i libri sono molto meglio. ). Spero la mia strana storia vi piaccia, e spero davvero commenterete. Questa storia senza di voi non andrà avanti, ve lo dico...insomma, io scrivo per VOI...
Ormai sono diventata una presenza costante in questa sezione, questa è già la mia terza storia su questi libri…Ammetto che Rachel non mi è mai piaciuta molto, perciò spero di non averla fatta eccessivamente OOC…Inoltre ho cercato di tenere uno stile di scrittura più simile possibile a quello dei libri, ma non so se ci sono riuscita...


The beginning of the end
Rachel

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Vi farò mangiare la polvere! Yu-uh! urlai, stringendo le ali al corpo, prima di lanciarmi in una picchiata vertiginosa.
La polvere? Non credevo che voi umani ingeriste anche questo tipo di sostanze, poiché Marco mi aveva espressamente vietato di introdurre polvere e simili delizie nel mio organismo. Però, temo che a questa altitudine non vi siano sufficienti particelle di polvere da poterle gustare, nella vostra atmosfera. Inoltre…
Oh, chiudi il becco, Ax-man
. Marco, naturalmente.
Ah, è sempre un tale piacere vedervi andare così d’amore d’accordo li schernii io, melliflua. Se avessi avuto una bocca, avrei rivolto un sorriso sarcastico ad entrambi. Quella sera ero di buon umore. Anzi no, ero euforica. Cosa c’è di meglio di una bella battaglia nella quale gli avversari sono in netta maggioranza numerica, per tirarsi su il morale? Considerando, poi, che la nostra era stata una vittoria schiacciante e rapida, quasi immediata. Quasi troppo semplice, costatai con una punta di fastidio.
Il suolo si avvicinava rapidamente. Scorsi con la coda dell’occhio delle sagome in veloce avvicinamento dietro di me. Veloci, sì, ma non quanto me. Il vento s’inerpicava su per il mio corpo, sibilava attraverso le mie piume, diventava un tuono costante nelle mie acute orecchie d’aquila. Volare non è come cadere. Neppure la più vertiginosa, spericolata, folle picchiata può essere minimamente paragonata ad una caduta. Volare è…controllo. Controllo del proprio corpo aerodinamico, del terreno sottostante, persino del cielo stesso. Un altro fattore che alimentava il mio buon umore.
La foresta mi veniva incontro a velocità impensabile. Le chiome degli alberi erano una macchia color pece che correva verso di me, ma senza mai diventare indistinta ai miei meravigliosi occhi. Ancora dieci metri. Cinque. Due…rasentai la cima di una grossa quercia che svettava verso l’altro, e aprii le ali. Il contraccolpo mi sbalzò indietro di qualche centimetro, ma non smisi di volare: in un istante riacquistai l’equilibrio, e ripresi quota.
Ma quanto sei folle? domandò Marco, udendo il mio grido di gioia. Abbastanza da parlarti ancora replicai, tagliente.
Mi alzai ancora, osservando la scena dall’alto. Cinque uccelli rapaci stavano sfidando la gravità con altrettante picchiate, esattamente come avevo fatto io. Ma per qualche strana ragione, notai che nessuno arrivava tanto vicino quanto me alle piante. Forse perché loro non erano “folli”?
Uno di loro risalì con maestria, volando elegantemente verso di me. Era difficile a dirsi con il buio che ci avvolgeva, ma avrei scommesso che le penne della sua coda erano color ruggine. Indovinato.
Una bella serata per volare, vero? mi domandò Tobias, iniziando a volarmi placidamente intorno. Era molto a più agio di tutti noi nel cielo. Ovviamente. Dopotutto, l’aria era la sua casa, il suo mondo. Vi passava molto più tempo di chiunque altro.
Sì, davvero una bella serata. risposi. Certo, volare la notte era faticoso, ma vi erano dei vantaggi:nessuno avrebbe potuto vedere nell’oscurità sei grandi uccelli da preda che si rincorrevano e si svagavano, e perciò nessuno si sarebbe insospettito o ci avrebbe sparato contro. Probabilmente.
Ragazzi, io lo sapete che detesto fare il guastafeste, ma non credete che forse sia ora di tornarcene a casa? Domani ho un orribile test di matematica, e con la Robbinette che continua a ronzare intorno a mio padre dubito che potrei passarla liscia se prendessi una F. Brontolò Marco, spalancando le ali e raggiungendomi. Anche Cassie, Ax e Jake si avvicinarono.
Mi odierò per ciò che sto per dire, ma Marco ha ragione. Domani ho il compito di fisica, e dubito che la mia professoressa mi crederebbe se le dicessi che non ho studiato perché ho passato la notte a volare. confermai, scoccando un’occhiataccia a Marco. Perché doveva sempre centrare in pieno l’obiettivo?
Anche gli altri, tranne Ax e Tobias che non avevano particolari impegni per la giornata seguente, si trovarono d’accordo.
Bene allora, ci vediamo domani alla fattoria di Cassie. Prima, come sempre, se ottenete qualunque utile informazione. esclamò Jake, congedandoci. Poi si alzò nel cielo e scomparve all’orizzonte, immergendosi nella coltre di nubi leggere. Cassie lo seguì, poi anche Marco. Ax borbottò qualcosa su un programma di cucina da vedere sulla televisione che Marco gli aveva prestato, e sparì anche lui, nelle profondità della foresta sottostante.
Tobias mi volò intorno, senza dire una parola. Toccava a me spezzare il silenzio.
Ora credo che tornerò a casa, devo studiare per quel maledetto test di fisica iniziai, incerta. Non mi capitava spesso di esitare, ma quella sera mi sentivo in soggezione; anche se non ne sapevo la ragione. Non ancora.
Vengo con te. Ti confesserò che un po’ mi mancano i cari, vecchi compiti in classe impossibili della nostra professoressa. si offrì all’istante lui, ridacchiando.
Invertimmo la rotta, dirigendoci verso la città. Le campagne, i boschi, le distese di arbusti e poi le prime case si susseguivano velocemente sotto i nostri occhi. Era faticoso sbattere continuamente le ali a bassa quota, ma necessario. Dopotutto, non volevamo allontanarci dalla città. Volevamo solo tornare a casa.
Rimanemmo in silenzio durante l’intero tragitto. Non avevamo bisogno di parole, ci bastava la nostra sintonia. Le nostre frasi fatte di emozioni invece che di concetti.
Già, Marco avrebbe di certo trovato una bella battutina pungente da fare a proposito, ne ero certa, ma gli sarebbe costato caro. E inoltre, lui non era lì con noi.
Le rare luci ancora accese della città si facevano sempre più vicine. Potevamo distinguere il suono dei clacson che suonavano, il rombo dei motori accesi delle auto, persino il ronzio dei televisori distanti.
E poi, eccola. Una grossa villetta squadrata, elegantemente appollaiata su un lato di una larga via. Il davanzale della mia finestra sembrava protendersi verso di noi, e noi ci posammo su di esso con un sospiro. Almeno, io sospirai.
Avevo lasciato le imposte spalancate, in previsione di un mio rientro in forma non proprio umana. Il calore e le pareti color pastello della mia camera sembravano quasi soffocanti, dopo più di un’ora a volare nel cielo sconfinato.
Posso entrare?chiese Tobias, posandosi sulla mia scrivania perfettamente ordinata.
Fa pure come se fossi a casa tua lo sgridai, sarcastica ma non pungente. Mi posai sul pavimento lucido, e inizia a invertire la metamorfosi. La metamorfosi non è graduale, né piacevole alla vista. Solo Cassie è in grado di controllarla, ma spesso alcuni animali sono semplicemente troppo orribili o troppo diversi dall’uomo per far sembrare il cambiamento armonioso. Passare da aquila a umana non era fra quelle metamorfosi disgustose. Certo, era comunque leggermente inquietante vedere un rapace ingrossarsi sul pavimento di una camera dal letto fino a raggiungere l’altezza di un’adolescente, ma mai quanto trasformarsi in mosca. O in scarafaggio.
Le ali si sciolsero, ramificandosi nelle mie braccia e poi dita umane. Le piume si dissolsero, lasciando solo la mia pelle rosa e debole, priva di difese. Gli artigli scomparvero, lasciando il posto ai miei piedi rosei. Poi anche il mio muso da aquila s’ingrossò, perso il colore candido e si rimodellò nel mio normale viso umano. I miei occhi s’indebolirono, perdendo la capacità visiva acuta dell’aquila. E fui completamente umana.
Oh esclamò in quell’istante Tobias, ancora appollaiato sulla scrivania, osservando allarmato un punto alle mie spalle. Mi voltai lentamente, con un brutto presentimento che all’improvviso mi attanagliava la mente. Un presentimento fondato.
Accanto alla porta, una minuta sagoma tremante mi osservava a bocca aperta, con i capelli biondi scompigliati e gli occhi gonfi di sonno sbarrati. Indossava un largo pigiama, i pantaloni troppo lunghi che strisciavano contro il pavimento.
Sara. Mia sorella Sara.
Avrei dovuto vedere l’acuta intelligenza sotto lo sguardo spaventato. Avrei dovuto scorgere il disgusto che deformava quasi impercettibilmente la sua bocca. Avrei dovuto notare la postura troppo eretta. Ma non mi accorsi di nulla. Un errore che in seguito si sarebbe rivelato quasi fatale.
Sara rimase immobile per un istante, la bocca spalancata in un urlo silenzioso di sorpresa. Poi mi corse incontro, dritta fra le mie braccia aperte.
Mi sentivo male. I battiti del mio cuore mi rimbmbavano nelle orecchie, più potenti che davanti ad ogni altro pericolo io avessi mai affrontato. Mi sentivo lo stomaco chiuso, come se una mano invisibile fosse rimasta premuta troppo a lungo sulla mia pancia, dandomi la nausea.
Sara si strinse a me con le sue braccia corte da bambina e io affondai il volto fra i suoi capelli soffici e biondi. Lei singhiozzò, abbracciandomi ancora più forte. Era molto più bassa di me, la punta della sua testa mi sfiorava il collo. Eppure, in quel momento sembrò infinitamente più grande, più adulta.
<< Non preoccuparti Sara, non è successo niente. Quello che hai visto è stato solo…un brutto sogno. ecco, solo un brutto sogno. >> dissi, quasi implorante. Volevo sperare che ci credesse. Volevo sperare che almeno lei rimanesse all’oscuro di tutto. che non venisse coinvolta. Un conto è esporsi volontariamente ai pericoli, anche con una folle eccitazione, un altro conto è lasciare che anche la propria famiglia rimanga imprigionata nell’orrore della guerra. Un orrore che a me forse piaceva, ma Sara non lo meritava.
<< Un…un brutto sogno? >> balbettò lei. Sì, forse ce la potevo fare. Forse potevo convincerla, forse non avevo sbagliato tutto. Forse avrei avuto modo di rimediare.
<< Esatto, un brutto sogno. Io mi sono alzata per bere un bicchier d’acqua, e ti ho vista rannicchiata contro la mia porta. >> tentai di spiegare. Forse sarebbe sembrato convincente.
<< Allora non sei un uccello? >> domandò Sara, con tutta l’ingenuità che è consona ad una bambina.
<< Un uccello? No, certo che no. Devo averti davvero spaventato quell’incubo, vero? >> risi. Era una risata falsa, meccanica, forzata. Suonò senza vita, senza entusiasmo anche a me. Ma mio sorella sorrise, quasi rincuorata.
<< Allora devo tornare a letto? >> chiese lei, innocentemente. Io annuii e sorrisi. << Sì, vai a letto. Se la mamma ti scoprisse sveglia a quest’ora, si arrabbierebbe con entrambe. >>
Sara mi lasciò andare, sfilando delicatamente le sue braccia delicate dalle mie. Si voltò, spalancando la porta di legno chiaro che dava sul corridoio. << Ti voglio bene sorellona. E mi raccomando, non volare via stanotte… >> mormorò la bambina, prima di sparire oltre la soglia e chiudersi la porta alle spalle con un tonfo. “Non volare via, stanotte”… che cos’aveva voluto dire mia sorella con quelle parole, che apparivano troppo matura sulle sue labbra?
E’ meglio che io vada, Rachel. Credo che siano già successe abbastanza stranezze in questa casa, per stanotte. borbottò infine Tobias, dopo qualche lunghissimo minuto di imbarazzato silenzio. Non vi era traccia di rimprovero nella sua voce, e gliene fui davvero grata.
Lo guardai in silenzio spalancare le larghe ali, sollevarsi faticosamente dalla scrivania e volare attraverso la stanza, per poi venire inghiottito dalla fitta oscurità che regnava oltre la finestra. Meccanicamente, andai a richiudere le imposte. Non avevo una ragione valida per farlo, ma mi sentii più al sicuro. Che sciocchezza.
Lentamente, mi voltai verso il letto ancora sfatto dalla mattina precedente. Dopotutto, tra la scuola e la vita da Animorph, non rimaneva molto tempo per le faccende domestiche. Ero esausta. Lo spettro dell’enegia che la battaglia di qualche ora prima mi aveva donato era ancora nel mio corpo, ma molto più debole.
Lentamente,mi diressi verso il materasso soffice e mi accasciai sopra di esso, ancora in tenuta da metamorfosi. Non mi importava. Non mi importava più nulla. Avevo solo voglia di…sì, di prendermela con qualcuno. Di fare a pezzi il responsabile di ogni male sulla Terra. Di distruggere qualcosa di davvero grosso. Immenso.
Desideravo essere nella mia metamorfosi da grizzly, desideravo poter sbriciolare un muro con la mia metamorfosi da elefante, desideravo poter ghermire qualcuno con i miei artigli d’aquila. Era folle, ma ne avevo bisogno. Assolutamente bisogno…
E furono proprio questi pensieri ad accompagnarmi nell’oblio. Ero sfinita, sia psicologicamente che mentalmente. L’oscurità del sonno fu più che benvenuta, quando bussò ai margini della mia mente per avvolgermi fra le sue braccia d’incoscienza. Non ricordo cosa sognai. Ricordo solo distruzione, dolore, sangue, ed un’immensa, incontenibile, eccitante gioia. E ricordo cos’accadde dopo, le grida telepatiche che mi svegliarono e scossero come un fulmine a ciel sereno.
Rachel! Oddio Rachel, dove sei? Devi venire via da lì, mi capisci? Devi andartene subito! l’urlo s’insinuò nella mia mente, lontano ma tanto potente da non poter essere ignorato. E mi ridestai. Ero in un bagno di sudore, il mio body nero più stropicciato e mal messo che mai, le lenzuola intrecciate attorno alle mie membra. Ma non vi feci caso. Mi districai del groviglio di coperte e balzai a sedere, improvvisamente vigile.
Rachel, trasfmormati e vola via, subito. Gli Yeerk stanno arrivando, ce n’è un intero battaglione. Mio dio, quella è la vettura del Visser! Rachel, Sara è una Controller. Non c’è altra spiegazione, devo averli chiamati lei. Scappa, devi scappare! Aaah! le urla di Tobias mi annebbiavano il cervello, ma la sua esclamazione finale mi colpì più di ogni altra cosa. Sara. Una Controller. No, non poteva essere…no. No, no, no. E Tobias…perché aveva gridato? L’avevano colpito? Era stato colpito?

   
 
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