Anime & Manga > Haikyu!!
Segui la storia  |       
Autore: l y r a _    26/05/2017    2 recensioni
Il secondo anno di liceo di Tooru Oikawa è un gran macello. Lo dice Hajime Iwaizumi, il suo migliore amico da una vita, e precisa che lo sarebbe stato un po’ meno se non avessero incontrato Sakurai e subìto tutte le sue complicazioni patologiche.
Il primo anno di liceo di Megumi Sakurai è un fallimento annunciato e lei è arrogante, ambiziosa e ha scrupoli quanti gli spiccioli nel suo portafogli: nessuno. Lo dice tutta Sendai ed è tutta la verità.
-
[Oikawa/OC | UshiShira | Accenni OC/Ushijima | Perpetrato reato di canon/OC ]
Genere: Generale, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Kenjiro Shirabu, Nuovo personaggio, Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Prologo

Cicale di luglio

Di quella sera di luglio, Wakatoshi conservava il ricordo gelosamente. Ricordava l’arsura insopportabile di mezza estate, il suolo che scottava anche se il sole era già tramontato da un bel pezzo, il frinire ritmico delle cicale che riecheggiava nell’orto di sua nonna. Ogni piccolo e insignificante dettaglio di quel giorno era scolpito accuratamente nella sua memoria, perciò non aveva nemmeno dimenticato l’angoscia che regnava padrona nel suo petto, né tantomeno il pianto a dirotto in cui era scoppiato quando aveva sentito i propri genitori litigare per l’ennesima volta.

Mai, nemmeno per un istante, aveva avuto il sospetto che suo padre avrebbe lasciato il Giappone, eppure – a ripensarci dopo undici anni – i segnali erano stati piuttosto chiari. Forse però non abbastanza per un bambino di appena sei anni.

Quando suo padre sarebbe partito per gli Stati Uniti, chi lo avrebbe incitato dai bordi del campo? Chi avrebbe ammirato i suoi successi? Di chi sarebbe stato il campione? Con chi avrebbe continuato a giocare a pallavolo? Non curandosi delle lacrime che gli rigavano il viso, dei singhiozzi che gli scuotevano le spalle, rimproverava suo padre di averlo iniziato al suo mondo e poi di averlo lasciato nel mezzo di un bosco troppo lontano dal sentiero. Precisamente, anche a distanza di anni, non avrebbe saputo dire se quel sentimento negativo che provava fosse solo tristezza o anche rabbia, ma nel momento in cui non riusciva più a vedere una via d’uscita, il signor Utsui era riapparso sulla soglia dell’orticello tenendo per mano una figura minuta che Wakatoshi conosceva bene. Si trattava della figlia maggiore dei vicini, l’unica compagna di giochi che potesse dichiarare di avere, complice la totale desolazione della zona rurale in cui abitavano, che distava dal paese almeno sei chilometri. Era una bambina chiacchierona ed affettuosa, spesso anche piuttosto invadente, ma tutto sommato la sua compagnia non gli era mai risultata sgradevole. Per qualche motivo la piccola vicina di casa trovava il suo nome troppo lungo e difficile da pronunciare, perciò aveva sviluppato l’abitudine di riferirsi a lui come “Waka-nii” e lui non aveva mai avuto niente da obiettare.

Appena lo ebbe scorto, la piccola Megumi era corsa a stringerlo in uno dei suoi abbracci goffi ma calorosi. Profumava della crostata di lamponi che la signora Sakurai preparava ogni domenica ed aveva le braccia e la nuca arrossate a causa del sole che aveva preso giocando nelle campagne per tutto il pomeriggio. Le lentiggini che le costellavano numerose il viso e le spalle erano un altro raro dono del sole, che – con sommo disappunto dell’interessata – non avrebbe mai perso completamente neppure quando sarebbe diventata la giovane donna che era ora.

«Non devi più piangere, Waka-nii.» lo aveva rassicurato porgendogli il fazzoletto che sua madre le metteva ogni mattina nella tasca della salopette «Tuo papà dice che mi insegna, così quando va via puoi giocare con me a …» la bimba si era interrotta, corrugando le sopracciglia e gonfiando le guance in una buffa espressione pensosa. «Com’è che si chiama? L’ho scordato … »

«Pallavolo.» le era venuto in aiuto l’amico.

«Palavollo.» si era sforzata di ripetere Megumi, strappandogli il primo sorriso della giornata. «Cosa ho detto che non va?» lo aveva poi incalzato arricciando il naso indispettita.

«Megumi-chan, si dice pallavolo, non palavollo.» aveva spiegato asciugandosi le lacrime col fazzoletto che lei le aveva offerto.

«Palpalavpalavv … Insomma, Waka-nii! Quello! E poi vengo a tutte le tue partite, sai? Faccio sempre il tifo per te! Dove vai tu, vado io … così non sei mai solo! Capito?»

Era così che quel boccone da amaro si era gradualmente addolcito. Come se, in qualche modo, l’intervento subitaneo di quella vivace ed indiscreta vicina di casa avesse fatto sì che il peso che gli opprimeva il cuore fosse ripartito in due parti uguali e di una si fosse fatta carico personalmente lei. Si trattava di una promessa fra bambini, ma col senno di poi, nessuno dei due l’avrebbe mai dimenticata.

«Posso insegnarti anche io!» si era proposto correndo a recuperare il pallone impolverato che giaceva abbandonato fra le angurie della nonna «Vuoi provare?» le domandò in uno scoppio di rinnovato entusiasmo.

«Adesso?» aveva domandato incerta l’amica.

Quella sera di luglio, mentre impazzava il canto delle cicale, per merito esclusivamente suo aveva mosso i suoi primi passi quella che sarebbe diventata la terribile Megumi Sakurai.

E sì, lo Wakatoshi lo raccontava sempre a tutti che la sua storica amica aveva iniziato a giocare a pallavolo prima ancora di saperne pronunciare correttamente il nome, ne andava particolarmente fiero.

 

Capitolo 1

Perdere occasioni

Wakatoshi a volte si chiedeva quanto di quella bambina fosse rimasto tale. Alle volte il modo di gonfiare le guance, meno cariche di lentiggini rispetto a qualche anno prima, quando qualcosa suscitava il suo disappunto gli suggeriva che fosse rimasta sempre la ragazzina che ruzzolava e si sbucciava le ginocchia quando giocavano ad acchiapparello fino al tramonto, curandosi ben poco dei rimproveri che la signora Sakurai strillava dalla finestra della cucina. Era rimasta vivace e affettuosa, ma solo con lui. Fuori dal loro piccolo microcosmo quasi familiare, le cose avevano preso una piega del tutto diversa. Alle elementari prima e alle medie poi, Megumi non si era fatta molti amici: si ostinava a passere con lui tutto il suo tempo libero e non ammetteva altri nella sua vita. Di certo aveva ottemperato alla sua promessa, ma non c’era nessun altro che reputasse alla propria altezza. Il suo carattere era gradualmente peggiorato, così che dalla bambina dolce e affezionata che era stata si era tramutata con il resto del mondo in una strega snob e senza cuore. E senza cuore lo era soprattutto in campo, tant’è che le sue avversarie ai tempi dei tornei delle scuole medie la temevano più di ogni altra disgrazia. Megumi si era ben presto resa conto di amare lo sport che aveva abbracciato per merito suo e si era scoperta in esso straordinariamente dotata. Del resto, madre natura era stata piuttosto generosa: crescendo e allenandosi aveva messo su una costituzione resistente e robusta, molto diversa dalla silhouette delicata delle sue coetanee, e c’era perfino stato un periodo fra i dodici e i tredici anni in cui era stata qualche centimetro più alta di lui. Tutto questo l’aveva resa l’ottima schiacciatrice che era. Peccato – davvero – per il carattere. Wakatoshi era certo che a corromperla fosse stata l’eccessiva ambizione, che ne aveva esacerbato l’aggressività e la tendenza a sentirsi continuamente messa alla prova dal mondo. Se non l’avesse conosciuta quando era ancora quella bambina, probabilmente le sarebbe stato alla larga come facevano tutti.

«Se Kurihara l’anno prossimo diventa capitano, ti giuro … lascio la squadra!»

«Gli allenamenti sono iniziati da nemmeno una settimana, Megumi-chan …»

La ragazza serrò le labbra e accelerò il ritmo di corsa lasciandoselo silenziosamente alle spalle. Lui la raggiunse in una manciata di falcate. «Non puoi risolvere sempre qualsiasi cosa mettendola sul piano della competizione. Senza contare che se poi ne esci sconfitta ti arrabbi comunque, perciò non arrivi a nessuna soluzione.»

«Mi stai facendo la predica, Waka-nii

«Mi sto solo preoccupando per te, non fare la permalosa con me.»

«Non sono permalosa!» poi si corresse dopo aver intercettato il suo sguardo di biasimo «D’accordo, forse lo sono un pochino, ma Kurihara è oggettivamente penosa. L’unica nota positiva dell’anno scorso era che si fosse diplomata, pensa che gioia ritrovarla nel club del liceo come palleggiatrice titolare! Titolare! Waka-nii, non so se ci siamo capiti, farebbe fallo di doppia anche in bagher!»

«Non è possibile fare doppia in bagher, piuttosto la palla cade a terra …» considerò.

«Waka-nii, è un modo di dire!»

«È un modo di dire pallavolisticamente senza senso.»

«Pallavolisticamente Kurihara alza da schifo. Non sono riuscita a schiacciare niente!»

«Dovresti darle il tempo di abituarsi a te … » le suggerì.

«E se la tira da morire!» continuò l’amica ignorandolo.

«Da quale pulpito … »

«Non me la tiro quanto Kurihara!»

«Certamente, chi oserebbe contraddirti?»

«E anche se lo facessi, ne avrei tutto il diritto, d’accordo? A differenza sua io sono eccezionale! Lei è di una mediocrità spiazzante, lo sanno tutti che è titolare solo perché è la nipote del preside …»

Wakatoshi tirò appena l’estremità della coda di cavallo dell’amica, proprio mentre varcavano sfrecciando il cancello dell’Accademia, di ritorno dalla loro sessione di jogging pomeridiana, che precedeva gli allenamenti ufficiali dei rispettivi club. Si guardò intorno frettolosamente prima di rimbrottarla a bassa voce: «Non devi fare certe affermazioni qui vicino … se ti becchi un’altra sospensione non ho alcuna intenzione di coprirti di nuovo con i tuoi genitori … »

Wakatoshi si riferiva ad un episodio scomodo accaduto due anni prima, quando era venuta alle mani con un compagno di classe che aveva manomesso la tabella delle rotazioni per la pulizia della loro aula, costringendo Megumi a ripulire i bagni per due volte nella stessa settimana al suo posto. La ragazzina, che non poteva permettersi di sottrarre tempo al club, essendo sempre più vicino il torneo primaverile, appena scoperto il misfatto, si era precipitata nel campetto di calcio e gliele aveva suonate di santa ragione, buscandosi una sospensione di tre giorni. Avrebbe poi dovuto sopportare a casa ramanzine e punizioni ben più gravose se Wakatoshi non avesse raccontato ai suoi genitori una versione più edulcorata dell’accaduto, inventandosi che Megumi aveva reagito soltanto dopo che il ragazzo l’aveva aggredita verbalmente.

La schiacciatrice rallentò la corsa fino a fermarsi a pochi passi dal campo scoperto. L’amico fece altrettanto. La rete non era ancora stata montata, ma a breve – approfittando delle temperature crescenti della sempre più vicina stagione estiva – sarebbero iniziate le faide fra i club maschile e femminile di pallavolo per stabilire l’egemonia su quello spazio di allenamento privilegiato. Megumi intrecciò le mani dietro la schiena e gli si avvicinò pericolosamente.

«Sei sempre così carino quando ti preoccupi per me.» gli sussurrò in un orecchio. Ci avrebbe messo la mano sul fuoco che sorridesse sorniona. Con disinvoltura si scansò dalla sua portata, secondo una pratica ormai assodata per via della sua frequenza. Megumi alzò gli occhi al cielo, spazientita.

«Dovresti trovarti un fidanzato, Megumi-chan

«Avrei potuto averlo, se non avesse respinto diciannove volte le mie dichiarazioni d’amore.»

«Allora dovresti trovarti qualcuno che non le respinga.»

«Ma io voglio te, Waka-nii!» protestò scuotendo il capo «Nessun altro!»

Uno dei rischi primari di avere un migliore (e unico?) amico del sesso opposto al proprio, era che uno dei due maturasse per l’altro sentimenti che vanno ben oltre l’amicizia. Wakatoshi, ad essere sinceri, non aveva mai pensato che quello potesse essere il caso suo e di Megumi: si conoscevano da prima di quanto la sua memoria riuscisse a rammentare ed erano sempre stati reciprocamente presenti l’una nella vita dell’altro. Dacché era sempre stato figlio unico, aveva permesso alla sua vicina di occupare il posto della sorellina minore ed aveva sempre supposto che anche per lei valesse lo stesso principio. Perciò era rimasto sorpreso alla prima delle diciannove confessioni, avvenuta all’incirca durante il suo secondo anno alle scuole medie, appena Megumi era arrivata all’accademia. Si era sentito un po’ crudele a respingerla, ma le aveva spiegato che lui intendeva il loro legame diversamente. Non sapeva se ammirare o meno la perseveranza dell’amica, che non si era arresa e gli si era dichiarata poi altre diciotto volte negli anni successivi, senza contare tutti gli agguati che gli tendeva continuamente: Megumi era convinta che col tempo lui avrebbe cambiato idea, e perciò compiva ogni sforzo affinché ciò avvenisse il prima possibile. Negli anni era diventata più asfissiante e appiccicosa, oltre che piuttosto sensibile su quella particolare questione. A nulla valevano i continui rifiuti opportunamente giustificati di Wakatoshi, lei procedeva sempre imperterrita sulla stessa strada.

«Fattela passare.» le ribadì ulteriormente.

«Stai diventando indolente anche con me Waka-nii …» osservò lei in risposta.

«Solo quando tiri fuori questa storia.»

«Anche se fosse, non è giusto che mi riservi lo stesso trattamento che riservi agli altri.»

«Sono cresciuto e anche tu sei cambiata.»

«Nel mio caso presumo in peggio, no? Conosco l’antifona … »

«Dovresti farti anche altri amici, non credi?»

«Non ti ho chiesto la predica.»

«Hai una nuova classe, un nuovo club, una stanza doppia nel dormitorio … »

«Che prego rimanga singola per tutto il resto dell’anno.»

«Stai sprecando occasioni … »

«Mettila un po’ come vuoi, io però sto bene così.» concluse, tirando su le spalle con noncuranza. «Torno al club, Dio solo sa quanto Hattori-sensei possa essere odioso quando sono in ritardo.»

«Fai del tuo meglio.» le augurò come di consueto ormai da una settimana «E … »

«Non fare stupidaggini, lo so. Ciao!» lo anticipò l’amica, scocciata.

Rimase a guardarla preoccupato finché non fu certo che fosse entrata nella palestra C. Non era nemmeno più abituato a parlare così tanto, né a rimproverare qualcuno: l’anno prima incontrare Megumi era stato particolarmente difficile, dal momento che medie e superiori erano rigidamente separate pur trovandosi nello stesso campo e che ai ragazzi delle medie non spettava un posto nei dormitori, esclusivamente riservati ai liceali. La ragazza dunque era stata costretta ad affrontare da sola ogni giorno i lunghi e scomodi viaggi di andata e ritorno fino alle campagne del villaggio di Minamisaka1, a sud di Sendai, ed aveva trascorso un anno all’insegna della quasi totale solitudine. Per quanto riguardava lui, ne aveva sentito la mancanza, ma si era comunque legato in qualche modo ad alcuni dei suoi nuovi compagni di squadra, anche se con nessuno di loro si era mai sentito in confidenza come con l’amica d’infanzia. Perfino la parlantina esuberante di Satori non riusciva a cavargli di bocca più di una manciata di parole. Proprio il bizzarro compagno di squadra era rimasto piuttosto sorpreso di vederlo conversare tranquillamente con Megumi, non aspettandosi che potesse risultare così amichevole con qualcuno. Se la ragazza ora lo accusava di essere diventato indolente anche con lei, probabilmente in quell’annetto doveva aver perso la mano.

~

Durante le lezioni Megumi proprio non riusciva a rimanere attenta. A dire la verità, non era mai stata una studentessa particolarmente diligente, le uniche lezioni che riuscivano ad entusiasmarla erano quelle di educazione fisica, per il resto si poteva dire che puntasse alla sufficienza. Lo studio alla fine dei conti non le interessava, ed era stato solo per accontentare la sua famiglia se si era arresa a farsi inserire in una classe preparatoria per l’università. Lei neanche voleva andarci all’università, mirava solo a farsi ingaggiare al più presto da qualche squadra appena uscita dal liceo, ma sua madre l’aveva costretta a studiare come una matta per concorrere all’iscrizione in quella sezione. Il risultato era che al momento si trovava circondata da un manipolo di sgobboni in competizione fra loro per la supremazia intellettuale. Conosceva appena due ragazze occhialute che erano state sue compagne alle medie, e che – come avevano fatto per i precedenti tre anni – la ignoravano senza troppi complimenti. Era bravo Wakatoshi a sciorinarle una predica sulle occasioni perse di fare amicizia con qualcuno! Lui si era lasciato circuire dal suo nuovo gruppetto di pallavolisti eccentrici, che lo adoravano come se fosse una divinità, a lei era toccata una squadra di invidiose ed una classe di studenti modello. Prendiamo ad esempio il tizio seduto al banco accanto al suo, che prendeva febbrilmente pagine e pagine fitte di appunti durante ogni singola ora di lezione, tanto che la manica destra della giacca bianca era continuamente sporca d’inchiostro: non staccava mai il naso dai libri, nemmeno durante gli intervalli. Come ci si approcciava ad un secchione del genere? Non si ricordava neanche come si chiamasse, avrebbe forse dovuto rompere il ghiaccio con un complimento? E di cosa doveva complimentarsi? “Ehi, ciao Secchione-kun, gran bel taglio di capelli! Chi è il tuo parrucchiere?” Non credeva affatto fosse la maniera giusta.

Trascorreva dunque le ore ad anticipare con impazienza il pranzo con Wakatoshi e le attività pomeridiane del club, anche se queste ultime si erano rivelate particolarmente deludenti: il coach la rimproverava di continuo e quando si dividevano in due squadre per gli allenamenti, lei finiva sempre in quella delle riserve, insieme alle più scarse ed alle altre due ragazze del primo anno, che conosceva già dalle medie ma con le quali non aveva mai scambiato con loro parole diverse dalle formule di cortesia in campo. Fra di loro, le due non sarebbero potute essere più diverse di così.

Centottantuno centimetri di cattiveria non diluita, Mikoto Ikeda giocava come centrale dal primo anno delle medie: la leggenda metropolitana riferiva che non ci fosse scampo dalle sue iettature, decisamente più precise e venali delle sue veloci. Per il resto era altezzosa e taciturna, fidanzata da anni con Nobuhara del club di basket, quello alto due metri, dal quale trotterellava dopo ogni allenamento, non curandosi nemmeno di salutare le compagne. Oltre ad essere alta, era magra come un chiodo, e fissava sempre tutte con aria inquietante da sotto la frangia nera e liscia che ormai portava da quando la conosceva. A parte questo, di lei non si sapeva nient’altro: era sempre troppo poco presente o troppo poco loquace per rivelare qualcosa di sé.

A girarle intorno c’era Kaori Nonaka, che nessuno avrebbe mai preso per un’atleta al primo sguardo, data la stazza. Mediocre banda, per un motivo o per l’altro si era specializzata in difesa sin da quando aveva messo piede nel club delle medie, ma aveva giocato solo ed esclusivamente solo come riserva; questo ovviamente, ad opinione di Megumi, accadeva perché non si può pensare di praticare uno sport del genere se si lambisce la seconda soglia di obesità e non si intende in alcun modo mettersi a dieta. Da quando la conosceva, Nonaka era sempre stata così: oggettivamente grassa ma incurante delle implicazioni che ciò aveva in campo. L’unica differenza palpabile dalle scuole medie era che al momento si era tinta il caschetto di un biondo così acceso da sembrare giallo. Le era stato riferito che frequentava la stessa sezione di Ikeda, e lei stessa cercava palesemente di farsela amica, senza risultati apprezzabili.

Per tutta la prima settimana le matricole iscritte al club erano state solo tre. Il mercoledì della seconda, però, sulla soglia della porta apparve una figura minuta quanto appariscente. Si trattava di una ragazza ridicolmente bassa con i capelli tagliati in un eccentrico caschetto rosa cicca. Aveva un piercing sul naso e gli occhi chiari erano pesantemente contornati di eye-liner e mascara nero. Se non fosse stato per la tuta del liceo che indossava, l’avrebbe certamente presa per una ragazzina delle elementari con la fissa di apparire più adulta di quanto fosse. Perfino sua sorella Himeka era più alta di lei! Si chiese poi per quale motivo avesse due cerotti sulla faccia: uno sulla guancia sinistra e l’altro sulla fronte. Che avesse fatto a botte con qualcuno?

«Buonasera.» salutò senza tirar fuori le mani dalle tasche. Masticava maleducatamente una gomma e pareva quasi avesse voglia di litigare con qualcuno. Nell’ascoltare la sua voce, acuta come il suo aspetto mingherlino suggeriva, Megumi ebbe per un istante la sensazione di averla già incontrata.

«Buonasera!» ricambiò Inoue-san, l’attuale capitana in carica, visibilmente incuriosita dalla nuova stravagante arrivata. Miyazaki e Okamoto, le due manager che fino ad allora stavano chiacchierando dietro il carrello dei palloni, si avvicinarono all’inaspettata ospite.

«Siete il club di pallavolo?» esordì senza troppi preamboli, spiegando un foglio tutto sgualcito che Megumi riconobbe essere un modulo d’iscrizione per i club «Voglio iscrivermi.»

Inoue era piuttosto perplessa, non riusciva proprio a tener giù il sopracciglio destro che aveva la tendenza a sfuggire al suo controllo ogni volta che qualcosa non la convinceva. Mentre Kurihara non nascondeva affatto la propria faccia divertita, Nonaka e Ikeda sembravano invece sforzarsi di ricordare qualcosa, evidentemente anche loro avevano percepito la stessa familiarità che la schiacciatrice ritrovava nel volto della ragazzina.

«Oh, è … è un piacere avere una nuova iscritta!» annunciò tesa la capitana, ma si udiva chiaramente che non era poi così entusiasta come dichiarava di essere. Tutto di quella bambolina di statura ridotta urlava “Teppista!”, dunque come biasimarla?

«Quanto sei alta?» intervenne Miyazaki, piuttosto scettica sull’utilità della nuova recluta.

«Il mese scorso ero un metro e cinquantatre.»

«Oh, e … hai mai giocato a pallavolo?» riprese Inoue, con bene poca speranza di ricevere una risposta positiva.

«Da quando andavo alle elementari.» rispose quella invece a sorpresa. Si prese un po’ di tempo per gonfiare una bolla con la gomma da masticare e poi scoppiarla, come se fosse a casa sua. «Negli scorsi tre anni sono stata il libero titolare della scuola media Hanazono.»

Megumi fu folgorata da una consapevolezza improvvisa. L’under-16 della Shiratorizawa aveva incontrato la Hanazono sul campo solo una volta negli anni in cui Megumi frequentava le medie, ed era stato in occasione del più recente torneo interscolastico. Era stata la squadra contro la quale avevano disputato la durissima finale che le era valsa una menzione su Monthly Volleyball, che aveva descritto la partita come un serratissimo scontro a spada tratta fra l’asso della squadra favorita e l’instancabile libero della scuola Hanazono. E se lo ricordava, Megumi, il libero: una spina nel fianco alta a malapena un metro e mezzo, in apparenza gracilina ma in realtà leggera quanto bastava a scattare di punto in bianco da un lato all’altro del campo e a strisciare proprio sotto la rete per salvare la palla respinta dal muro. Saltava ovunque e difendeva la palla anche a costo di rischiare infortuni pericolosissimi; il risultato era che schiantare la palla a terra come faceva di solito le aveva richiesto almeno il triplo della fatica ed era arrivata stremata e furiosa a segnare il match point della vittoria solo dopo due set trascinatisi fino ai vantaggi. Un 3-0 che perdeva quasi tutto il suo prestigio se era la conclusione di 32-30, 30-28 e 25-9. In genere Megumi aveva un problema con tutti i libero delle squadra avversarie: li detestava con tutto il cuore, specie se continuavano a difendere bene le sue schiacciate. S’indispettiva con loro prima ancora di mettere piede in campo e provava un piacere quasi sadico nel distruggerne la difesa. Più solida era la loro ricezione, più Megumi ne era infervorata. Il povero libero della scuola media Hanazono, che aveva ridotto alle lacrime, aveva la sola colpa di essere stata obiettivamente troppo brava, perciò Megumi si era accanita su di lei con una crudeltà insaziabile finché la stanchezza aveva avuto la meglio e si erano aperte numerose falle nella sua difesa. Con soddisfazione, la schiacciatrice aveva letto negli occhi dell’irriducibile avversaria terrore e vergogna, e si era sentita quasi divina quando dopo la partita le aveva stretto la mano secondo la convenzione, senza riuscire però a guardarla in faccia.

Ad osservarla meglio, notava una certa somiglianza ma c’era qualcosa che giustificava il proprio dubbio: il caschetto rosa cicca. Il libero della scuola Hanazono, all’inizio di febbraio, portava i capelli castano chiaro raccolti sulla testa in una coda di cavallo lunga e ispida che, oscillando a destra e a sinistra mentre si muoveva per il campo, suggeriva il modo di muoversi rapido della coda di un piccolo animale selvatico. Era certa di non sbagliarsi, perché era proprio quell’acconciatura ad averla legata indissolubilmente al famoso nomignolo di …

«Scoiattolo?!» esclamò finalmente Ikeda con gli occhi sgranati «Che hai fatto ai capelli?»

Ecco, per l’appunto. Megumi la conosceva solo con il nome di “Scoiattolo” e non aveva nemmeno idea di come si chiamasse realmente. Certo era che con quel taglio ribelle ed il piercing sul naso, che prima non c’era, sembrava molto più aggressiva di quanto non fosse stata l’ultima volta che si erano incontrate. Si chiese quale fosse stato il motivo di quella improvvisa svolta punk.

«Il mio nome è Arisu Hiromi.» la corresse irritata, chiaramente stanca di sentirsi apostrofare in quella maniera. L’assonanza del suo primo nome con il corrispettivo giapponese per “scoiattolo” doveva essere un’altra delle motivazioni dietro la scelta del suo soprannome2. «Avevo voglia di cambiamenti, così la gente non avrà più motivo di continuare a chiamarmi in quel modo ridicolo, va bene? Ora posso consegnare a qualcuno questo stramaledettissimo foglio?» riprese agitando la pagina tutta spiegazzata. Miyazaki e Inoue erano sull’orlo della crisi isterica ma la prima ritirò personalmente il documento dalle mani della ragazzina, che parve soddisfatta.

Con una punta d’invidia Megumi osservò che Hiromi capitava proprio a fagiolo nel club. Inoue aveva spiegato che i due libero che fino a quel momento avevano giocato nel loro club si erano diplomate l’anno precedente, e non erano riuscite a trovarne una nuova, visto che le nuove iscritte per quell’anno erano solo tre e nessuna di loro era adatta al ruolo. Ikeda era disastrosa in difesa e ricezione, oltre che troppo alta per essere relegata a fare il libero, Nonaka – invece – era eccellente in difesa, ma troppo lenta e pesante per correre dietro la palla. Megumi non era nemmeno stata presa in considerazione, e la cosa la rendeva particolarmente felice. Era matematicamente certo che la piccoletta sarebbe finita nella rosa titolare senza dover competere con nessuno per il proprio ruolo. Non che non lo meritasse, comunque, nessuno meglio di lei avrebbe saputo dire quanto poteva essere fenomenale nel suo posto in seconda linea. Tuttavia si sentiva come sconfitta: aveva pensato che non avrebbe mai più visto Scoiattolo dopo la loro finale di fuoco, perciò si era presa la libertà di umiliarla. Ora che non solo condividevano la stessa squadra, ma lei aveva imboccato la strada privilegiata per un ruolo tutto suo, provava invidia e rabbia. Si disse che certamente invece l’altra doveva essere felice di quella situazione ribaltata e che non avrebbe perso tempo per fargliela pesare. Lo bisbigliò nell’orecchio di Inoue mentre la nuova arrivata stringeva con scarso interesse le mani delle nuove compagne di squadra e delle due manager. Le confessò anche che era possibile che fra loro due permanessero delle tensioni per via del loro ultimo incontro, e ciò suscitò uno sbuffo esasperato della senpai. «Non ti basta la guerriglia con Noriko?» le chiese stancamente.

Megumi non ebbe il tempo di giustificare le sue tensioni con Kurihara, perché proprio allora giunse il suo turno di presentarsi a Hiromi, che si piazzò dinanzi a lei scrutandola con i grandi occhi nocciola. Non sapeva affatto cosa dire, si sentiva solamente a disagio.

«Benvenuta, Hiromi-san.» si decise infine. Aveva un tono tanto goffo che scorse Kurihara soffocare una risatina dietro la mano «Sono Sakurai, forse ti ricordi di me.»

«E chi ti scorda?» replicò quella con un sorriso malinconico. Per la prima volta, Megumi si sentì dispiaciuta per qualcosa che aveva fatto. Prima di entrare in campo per quella fatidica partita, Scoiattolo non era così spenta: era energica e positiva, rivolgeva a tutti sorrisi ottimisti e raccomandazioni. Quando si era accanita su di lei, Megumi ne aveva distrutto totalmente il morale. Credeva che lo avrebbe recuperato il giorno successivo, ma evidentemente si era sbagliata. Possibile che fosse stata la sua cattiveria la causa del suo estremo cambiamento fisico e attitudinale?

Non riuscì a smettere di chiederselo per tutto l’allenamento, risultando distratta e beccandosi continuamente i rimproveri irruenti di Hattori-sensei. Quell’uomo, che esordiva in qualità di coach della squadra solamente quell’anno, a Megumi non piaceva per niente. Il suo nome era legato ad un paio di stagioni della ormai defunta Akagi Union, una vecchia squadra che una decina di anni prima aveva disputato un paio di campionati in V.Challenge League3, in seguito, dopo una pesante squalifica per condotta offensiva, era sparito per un bel pezzo ed era poi ricomparso per allenare il loro club. Le ragazze non si erano fatte meraviglia della scelta scadente che la presidenza aveva operato per il loro club, da sempre oscurato dalla fama della sua controparte maschile, sebbene ottenesse comunque risultati lodevoli. Hattori aveva superato da un pezzo la quarantina, ma non aveva perso affatto la stazza muscolosa che aveva messo su ai tempi in cui era una discreta banda per la propria squadra e ciò, insieme all’intensità insistente con cui lo aveva sorpreso qualche volta a fissarla, la intimoriva abbastanza da farle desiderare di non essere mai ripresa da lui. Desiderio che rimaneva tale, dal momento che sembrava essere il suo bersaglio preferito.

«Sakurai, come tieni quelle mani?» la rimproverò quando atterrò dopo il muro «Vuoi che la palla ci passi attraverso? Ripeti l’esercizio! Kurihara, anche tu … così la pianti di sghignazzare.»

Era difficile eseguire il movimento corretto se continuava ad essere ipnotizzata dalla danza di Hiromi a fondo campo, che stava egregiamente ricevendo uno dopo l’altro i servizi di Hoshino senza mai mancarne alcuno. Era evidente che oltre ad essere diventata più seriosa, la piccoletta aveva anche perfezionato ulteriormente le proprie abilità, laddove Megumi credeva che fosse giunta al picco definitivo. Moriva dalla voglia di metterla personalmente alla prova, o – meglio – di mettere alla prova sé stessa contro quel prodigio della difesa, ma al contempo non riusciva a liberarsi di quel fastidioso ed inusuale senso di rimorso, che aumentava esponenzialmente quando di tanto in tanto si voltava e la nuova arrivata si faceva intenzionalmente cogliere con gli occhi fissi su di lei.

«Cosa diavolo vuole da me?» sibilò fra sé e sé mentre ricacciava alla rinfusa nel borsone tutto l’equipaggiamento sportivo. Nonaka, accanto a lei, le porse la ginocchiera che stava cercando invano da qualche minuto e lei gliela strappò di mano senza nemmeno degnarla di un ringraziamento. Poteva ascoltare Hiromi conversare con Inoue dietro di lei e le lodi che il capitano le stava tributando per il suo innegabile talento. Era verde d’invidia, ma non sapeva se provasse per il libero più rancore o rammarico e ciò contribuiva ad innervosirla ancora di più. Tutto quello che voleva fare era tornare in dormitorio alla svelta e infilarsi sotto il piumone del suo letto, in santa pace.

Ma si sa: se qualcosa sta andando male, si può star certi che peggiorerà. Ed è quello che accadde poco prima che Megumi lasciasse lo spogliatoio come stava progettando.

«Abiti giù in città, Hiromi-san?» domandò Inoue osservando perplessa il grosso borsone di Scoiattolo, ad occhio e croce lungo quanto la sua metà.

«No, abito a Tagajo4, prendo una navetta fino alla stazione degli autobus e da lì arrivo a casa con la linea Senseki. Se tutto va bene è poco più di un’oretta di viaggio.»

«Dici davvero? Perché non hai chiesto alloggio nei dormitori?»

«L’ho fatto, ma pare che siano rimasti solo posti letto in stanze doppie e per qualche motivo nessuna delle stanze segnate sull’elenco che mi hanno dato in segreteria è libera quando io busso alla porta. Per mail sono sempre tutte disponibili, ma quando mi vedono di persona cambiano idea.» spiegò facendo spallucce. Be’ – considerò Megumi – i capelli tinti, il piercing ed i cerottini sul viso di certo non incoraggiavano le inquiline ad accettarla come compagna di stanza. Se non si fosse conciata in quel modo e fosse rimasta la ragazzina allegra che era alle medie, certamente non avrebbe avuto nessun problema a trovare alloggio.

Fu allora che Inoue ebbe quello che per lei doveva essere il colpo di genio della sua nascente carriera di capitano. Prima che Megumi potesse sgattaiolare via dallo spogliatoio, la fermò prendendola per un braccio. «Sakurai-san ha un posto vuoto in stanza, non è vero?»

Un brivido di orrore percorse la schiena della ragazza, che – colta alla sprovvista – tentò di boccheggiare un paio di scuse poco credibili. «Sciocchezze!» la liquidò Inoue con un sorriso che non prometteva niente di buono «Sarete ottime compagne di stanza!»

Megumi abbassò lo sguardo su Hiromi, e fu stupita nel trovarla per niente contrariata, anzi, piuttosto entusiasta dell’idea. Doveva essere davvero disperata per guardare con favore all’idea di avere come coinquilina una persona che odiava. Chissà quante fregature aveva preso in una settimana di tentativi di trovare una stanza, ancora una volta – suo malgrado – provò compassione.

«Che ne dici Hiromi-san?» la incalzò Inoue con impazienza «Per me è un ottima occasione per creare un bel legame anche sul campo, avrete tanto tempo per conoscervi meglio!»

«Se per Sakurai-san non è un problema … »

Megumi stava per boccheggiare che, , era un problema dormire con l’unica primina a cui era toccato un posto nella rosa titolare e con la quale i trascorsi erano tutt’altro che sereni, ma Inoue fu più rapida di lei e le impedì di replicare.

«No, che non è un problema … è sempre sola soletta, ha bisogno di compagnia!»

«Non ho bisogno di … » protestò l’interessata.

«Certo che ne hai bisogno, ne abbiamo bisogno tutti.» la corresse scoccandole in tralice uno sguardo di rimprovero. Megumi fu costretta ad arrendersi alla volontà della capitana.

«Vuoi vedere la stanza?» propose con riluttanza a Hiromi.

«Non è necessario ma ho urgenza di trasferirmi al più presto. Domani mattina posso già portare le mie cose? Così in giornata passo anche a comunicarlo in segreteria e a ritirare la chiave.»

«Non c’è nessun problema. È la stanza numero 178, al terzo piano.»

Mentiva: la sua stanza al momento era un disastro ed avrebbe dovuto fare le ore piccole quella notte per ripulirla di tutto il disordine che era riuscita a far accumulare in una sola settimana. Aveva gettato libri e quaderni su entrambe le scrivanie, insieme ai pesetti e agli elastici con cui si allenava ogni mattina ed ogni sera. Sul balcone, prima di uscire per le lezioni, aveva lasciato le sue scarpe da jogging, che puzzavano troppo per tenerle dentro. Sul letto che teoricamente sarebbe dovuto essere sgombro, aveva ammassato tutta la roba che aveva estratto dalla valigia, senza preoccuparsi di appendere nell’armadio nulla se non quei soli due o tre completi casual che possedeva e che non indossava mai. L’unica fortuna era che non possedesse una grande quantità di abiti e che quindi con un po’ di impegno tutto sarebbe entrato agevolmente in una sola metà dell’armadio.

«Allora è fatta!» dichiarò soddisfatta mettendosi in spalla il borsone. Controllò rapidamente l’orario sul cellulare ed abbozzò un inchino di congedo «Ora devo scappare, ci vediamo domani mattina!»

Quando Scoiattolo fu uscita dallo spogliatoio, Megumi scoccò uno sguardo di biasimo ad Inoue. La capitana fece spallucce fingendo una naturalezza innocente, che sembrava dirle “Cosa c’è? Volevo soltanto aiutarla!” Dal canto suo Megumi girò sui tacchi e si precipitò fuori dalla stanza sbattendo la porta. La sua vita da liceale era decisamente iniziata col piede sbagliato.

~

Wakatoshi osservò Megumi finire il proprio pranzo con avidità. Una spia lampeggiante sul suo cellulare, distrattamente abbandonato sul tavolo, indicava che aveva ricevuto un messaggio ma l’amica non se ne preoccupava affatto. Lui invece era piuttosto impensierito dalle occhiaie che le cerchiavano gli occhi marroni e dall’inconsueto silenzio che regnava al loro tavolo, di solito riempito dalle chiacchiere e dalle lamentele della più giovane.

«Non eri a colazione stamattina.» esordì per tentare di sondare le condizioni dell’amica.

«Già.» si limitò a replicare l’altra.

«Come mai sei così silenziosa? Hai dormito male?»

«Ho dormito due ore, fai tu.»

Megumi era sempre stata una gran dormigliona. Si addormentava in un batter d’occhio e faceva tutta una tirata di sette ore fino alla mattina successiva, anche otto se saltava il jogging mattutino. Ripeteva sempre che il sonno era una parte imprescindibile del proprio allenamento e non rinunciava per nulla al mondo. Nemmeno lo studio dell’anno prima, in previsione degli esami di ammissione alle classi propedeutiche all’università, era mai riuscito a tenerla sveglia oltre la mezzanotte, dunque doveva essere accaduto qualcosa di molto grave per toglierle il riposo.

«Ho una compagna di stanza. Ora sarai contento.» spiegò spontaneamente.

«Tu però non mi sembri contenta. Non sei riuscita a dormire per l’angoscia di dividere la camera?»

«No, non ho potuto dormire perché ho dovuto sistemare la stanza. E stamattina la tipa in questione mi ha svegliata alle sei per lasciare in camera le cose. Credo di aver dormito in classe per colpa sua, ora dovrò chiedere gli appunti a Secchione-kun

«Secchione-kun

«Un tipo seduto al banco accanto. Non leva mai la faccia dal quaderno.»

Non era molto carino indicare una persona con un soprannome simile, ma non osò farglielo notare: era già di cattivo umore senza rimproveri.

«D’accordo, hai dovuto riordinare la stanza. Ma perché lo hai fatto il giorno prima che arrivasse? Non potevi iniziare nei giorni precedenti, quando ti è arrivata la sua mail?»

«Perché» ringhiò infastidita «Non c’è stata nessuna mail. È tutta colpa di Inoue-san

«Cosa c’entra Inoue?»

«Senti, Waka-nii … tu te lo ricordi lo Scoiattolo?»

«Il libero della Hanazono?» chiese conferma l’amico «Quella che hai fatto piangere?»

«Breve storia triste: è iscritta qui, è entrata nella mia stessa squadra, sarà certamente titolare e Inoue ha arbitrariamente deciso che debba essere la mia compagna di stanza.»

Non era esattamente quello che Wakatoshi augurava all’amica: avrebbe preferito per lei una coinquilina anonima e ordinaria, con cui avrebbe potuto chiacchierare delle sciocchezze che piacevano tanto alle ragazze e con cui non si fosse sentita in competizione. Scoiattolo, visti i loro precedenti, di certo non era l’opzione più conveniente, per come stavano le cose al momento. «Com’è?» chiese alla fine.

«Sono sicura che progetta di soffocarmi nel sonno. È ovvio che prova risentimento!»

«O forse sei tu quella risentita …»

«È reciproco. E poi non so come spiegarlo … è molto cambiata dall’anno scorso, si è tinta i capelli di rosa ed ha quest’aria triste e litigiosa insieme che mi fa sentire in colpa per come l’ho trattata. Te la ricordi, no? Non era così … Ho anche pensato che abbia subito a causa mia una specie di trauma e che il suo nuovo look da teppistella sia stato un suo modo per venirne fuori. Se le cose stessero così, sarebbe più che giusto se toccasse a me sopportarla, dal momento che ho contribuito a creare il mostro. Insomma, sarebbe colpa mia se le altre ragazze sono state intimorite dalla sua apparenza e le hanno negato la disponibilità delle altre camere.»

Wakatoshi corrugò le sopracciglia in un’espressione di disapprovazione. Che Megumi si sentisse in colpa per qualcosa era un’inaspettata novità ma la sua solita tendenza a porsi al centro del mondo smorzava il suo timido slancio di umanità. Dubitava che lei c’entrasse qualcosa con i capelli rosa di Scoiattolo ma apprezzava che – a modo suo – si stesse pentendo di essere stata spietata con lei.

«Gli scoiattoli sono innocui, sono sicuro che le cose si sistemeranno.» concluse, dopo averci riflettuto «Potrebbe essere una buona occasione per rimediare e stabilire un rapporto pacifico.»

«Mi odia ed io odio lei, occasione persa in partenza. Ho intenzione di far finta che non esista.»

«Ti si legge in faccia che muori d’invidia.»

«Sono più brava io, ma l’unico posto che mi spetta è la panchina.»

«Non puoi mettere a confronto libero e banda. E Scoiattolo è obiettivamente in gamba. Avrai anche tu la tua occasione di stare in campo, devi solo prenderti il tempo per distinguerti dalle altre.»

«Se dovesse capitare, non me la lascerei sfuggire per nulla al mondo.» dichiarò con bruciante determinazione «Allora tutti dovranno ricredersi e riceverò il rispetto che merito.»

Forse, riconsiderò l’amico, di strada da fare ce n’era fin troppa: quella incosciente volontà di farsi strada ad ogni costo aveva rischiato di metterla nei guai negli anni precedenti, ma in qualche modo l’aveva sempre scampata. Aveva però la spiacevole sensazione che quella volta le cose per Megumi non sarebbero filate lisce come avevano fatto fino ad allora.

La loro conversazione fu interrotta dall’arrivo di un’infastidita Kurihara, che picchiettò riluttante sulla spalla di Megumi per richiamare la sua attenzione.

«Hattori-sensei vuole parlarti prima che ricomincino le lezioni. Ti aspetta nella stanza del club, faresti bene ad andarci subito, prima che cambi idea.» le riferì assottigliando gli occhi con sospetto. Sganciata la bomba, salutò solamente Wakatoshi con un inchino e si allontanò a grandi passi.

«Eccola, la mia occasione!» annunciò scoprendo i denti in un sorriso eccitato.


1 Minamisaka è una località d’invenzione.

Tecnicismi vari di una che di giapponese sa poco ma ci prova. “Scoiattolo” in giapponese si pronuncia “Risu”, che è fondamentalmente “Arisu” privato della vocale iniziale. Ci tengo a precisare che “Arisu” non contiene, a parte l’assonanza, alcun riferimento all’animale nel significato. Ciò è evidente dalla difformità dei kanji fra i due termini: “Scoiattolo” si scrive 栗鼠, Hiromi scrive invece il suo nome di battesimo usando 有栖.

3 Secondo le poche informazioni che sono riuscita a trarre dal magico mondo di internet, in Giappone ci sono due serie di campionati: A e B, ovviamente sia maschile che femminile. Il corrispettivo della nostra serie A sarebbe la V.Premium League, quello della nostra serie B la V.Challenge League. La squadra di cui faceva parte Hattori, dunque, per noi sarebbe una squadra di serie B. Non ho idea se ci siano corrispettivi anche per le serie dalla C in giù, se avete qualche notizia illuminatemi perché devo sapere.

Si tratta di una cittadina a nord di Sendai, realmente esistente. Anche il tragitto e le autolinee descritti da Hiromi sono realmente attestate.


NOTE FINALI

Se siete arrivati fin qui, significa che forse l'incipit di questa storia, con tutti i suoi difetti, vi ha incuriositi/e almeno un po' o che le avete dato un minimo di possibilità. Anche solo per questo, vi ringrazio. Pubblicare su EFP qualcosa di simile è per me uno scoglio insuperabile: sono molto critica nei confronti dei miei OC, li trovo spesso rudimentali e artificiosi, ma Megumi sta così sinceramente antipatica a me, che sono la sua creatrice, che penso che il suo pessimo carattere finisca per compensare il suo bel faccino ed il suo presunto talento in campo, perciò eccomi qui a fare un tentativo. Siate buoni, per favore, perché la pubblicazione di Wild Card è per me un po' come rimanere nuda davanti a tutti. (._.)7
Dunque, spiegare una storia è triste come dover spiegare una battuta, significa che non ha funzionato, ma mi sembra doveroso comunque aggiungere qualche delucidazione, dal momento che questo è solo il primo capitolo e capisco che ci sia molta carne al fuoco.

- Wild Card è, nelle mie intenzioni, un prequel o almeno lo è nella sua prima metà. Perciò è ambientata un anno prima di quello che al momento è il presente del canon. Questo fa sì che tutti i personaggi canon che appaiono nella storia in questa sua parte abbiano un anno in meno.
- Scoiattolo e alcune delle ragazze citate in questo capitolo non sono solo comparse. Non ho speso inutilmente parole per loro, ma sono funzionali ai fini della trama.
- L'amicizia di Sakurai con Ushijima non è un mio personale vezzo ma un plot device, che spero possa dispiegare tutte le sue potenzialità nei prossimi capitoli. A proposito di questo, Ushijima qui appare con Sakurai più affettuoso e chiacchierino che con gli altri nella serie. Ho immaginato che, se è in grado di concedere ai suoi compagni di squadra di tanto in tanto un sprazzo di un lato di sé più umano e meno distaccato, avrebbe potuto farlo molto più frequentemente con una persona che si suppone conosca da tempi immemori, il prologo - d'altronde - è qui per spiegare questo. Il suo comportamento con gli altri, ad ogni modo, in teoria non cambia. Spero che non risulti OOC, nel caso lo fosse, sono pronta ad inserire l'avvertimento. (╥_╥)
- Fra i personaggi è segnato Oikawa, mi scuso se in questo capitolo (e forse neanche nel prossimo) non fa ancora la sua comparsa. Quando lo farà, potrebbe diventare anche troppo protagonista, perciò tranquilli/e, non è un'esca! Mi sento anche in colpa a spezzare la IwaOi con un OC (ebbene sì, sono capitano di tante navi), ma volevo provare qualcosa di diverso.

Sto pubblicando questo capitolo in uno straordinario slancio di autostima. So già che me ne pentirò. Abbiate pietà.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: l y r a _