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Autore: Triz    27/05/2017    1 recensioni
Torno su EFP con una raccolta di one-shots originali, completamente slegate l'una dall'altra.
Le storie di questa raccolta partecipano alla challenge Gioco dell'oca efpiano indetto su Facebook. Buona lettura!
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: La foresta di Azazel
Prompt: https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10212991768498318&set=oa.1301084179927929&type=3&theater
Numero di parole: 552
Nota: La storia partecipa al Gioco dell'Oca indetto dal gruppo Facebook Efp famiglia.

La chiamavano foresta, ma non era fatta di alberi.
La chiamavano foresta perché sì, effettivamente quegli alti pilastri di roccia ricordavano delle piante, ma non quelle rassicuranti dei giardini dei templi: assomigliavano, piuttosto, ai rovi che inghiottivano nelle loro ombre i viaggiatori delle storie raccontate ai più piccoli. Alya, in realtà, aveva sempre associato a quei pilastri le lunghe e affusolate dita di una mano che si chiudevano intorno a una mosca prima di soffocarla nella presa.
Questo paragone tornava ogni anno nella mente di Alya dai tempi della sua infanzia, quando suo fratello Pharus fu estratto a sorte dai sacerdoti per attraversare la foresta di Azazel: lo scopo di quel viaggio senza ritorno era di placare quell'antico angelo ora diventato oscuro, lasciando che sfogasse la sua ira ancestrale nei confronti degli dei sulla vittima che penetrava nella sua dimora. Di quel giorno, Alya non ricordava i pianti della madre, ma piuttosto il bacio di Pharus sulla sua fronte prima di entrare nella foresta di Azazel.
Ormai adulta, Alya si toccò il punto in cui Pharus l'aveva baciata mentre le preghiere dei sacerdoti precedevano l'estrazione della vittima: guardò verso la foresta e sperò che nessuno dei suoi sei figli dovesse mai attraversarla.

Dal punto in cui Azazel si trovava, gli uomini sembravano delle formiche.
Seduto su uno dei pilastri più alti, Azazel osservava la nuova formica entrare timorosa nel suo territorio, giocherellando con una delle ossa della donna dell'anno precedente - o forse di qualcun altro prima di lei - e meditando sul modo più doloroso per torturare il nuovo arrivato. Decise di attendere il tramonto, l'ora in cui aveva le idee migliori e che, proprio per questo, adorava: con molti di quegli insulsi umani aveva agito in questo modo.
Anche con quel giovane di ventisette anni prima - doveva chiamarsi Pharus - aveva atteso il tramonto prima di tormentarlo con la visione dei ragni che gli correvano addosso: Azazel ricordò di aver riso di cuore quando quel ragazzo era scappato urlando, ma poi...
Azazel gettò l'osso dal pilastro: ricordare quel giovane - chissà per quale motivo, poi - lo aveva messo di pessimo umore e, accarezzandosi il mento ricoperto da una ruvida barba bionda, decise di liberare la mente cominciando subito a tormentare la vittima.
Era un uomo molto vecchio, almeno per i parametri dei mortali, e Azazel fece una smorfia: certo, i vecchi avevano avuto vite molto lunghe e, pertanto, le colpe e le paure che l'angelo caduto poteva ritorcere contro di loro erano in quantità maggiore; il problema degli anziani era dato dalla loro lunga esperienza, che permetteva loro di opporre resistenza alle sue illusioni. Per questo motivo Azazel preferiva i giovani, nei quali questa capacità era ancora acerba.
Ma anche Pharus aveva resistito ai suoi miraggi, aveva pestato con i piedi scalzi la sabbia finché non si era accorto che i ragni esistevano solo nella sua testa. La risata sollevata di Pharus aveva riecheggiato tra le rocce dei pilastri e si era sostituita a quella di Azazel, che si era promesso di farlo tornare a urlare per la pazzia.
Azazel espresse un grugnito di frustrazione e si diede un pugno violento alla tempia, come se servisse a dimenticare quella vecchia umiliazione: scese con rabbia dal pilastro, deciso a farla pagare al vecchio per la risata del suo simile.
  
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