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Autore: Isara_94    27/05/2017    5 recensioni
La vita di John Watson è al servizio dell'Impero Britannico. Una notte incontra per caso uno strano pirata e lo arresta. Il famigerato capitano pirata Sherlock Holmes, invece, lo trascina nel suo mondo fatto di tesori, avventura e leggende.
John comincia a dubitare: è lui ad aver catturato capitan Holmes, oppure il contrario?
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Giornale di bordo:
29 gennaio
Vento sud-sud ovest
Niente da segnalare, navigazione tranquilla e vento costante. Continuo a stupirmi del mite inverno caraibico, della mancanza di nebbia e del freddo che dovrebbe caratterizzare questa stagione.
Per contro, non mi stupisco affatto che le provviste per la seconda volta siano finite prima di quanto previsto. Il cuoco riferisce oggi di non aver più mele da distribuire e di aver dovuto ridurre la razione d’acqua per poterla conservare fino al porto più vicino. Contro ogni aspettativa, conoscendo la passione generale qui a bordo per rum e birra i cui barili non sono stati toccati, sembrano essere le sole cose mancanti. Nessuno entra o esce dalla stiva senza la chiave del lucchetto che ho imposto dopo il primo episodio, ma i viveri continuano a diminuire. Sospetto del quartiermastro, l’unico oltre al cuoco e al sottoscritto ad avere le chiavi, credo stia spendendo solo parte della somma destinata all’acquisto dei viveri e s’intaschi la differenza. Sorveglierò meglio le operazioni di carico per scoprire se effettivamente ciò di cui abbiamo bisogno manca perché a bordo non è mai arrivato o perché qualcuno fa man bassa nella stiva.
In mezza giornata di navigazione, a Dio piacendo, raggiungeremo Santo Domingo e faremo sosta in porto per la notte. Non c soffermeremo oltre, ultimati i rifornimenti  riprenderemo il largo prima possibile. Concessa la libera uscita all’equipaggio, sperando nella buona creanza di non causare problemi mentre sostiamo in una colonia spagnola. Una buona idea sarebbe dimezzare quel che possono spendere in alcol e donne, ma per ora meglio limitare gli scontenti e suggerire la cautela di non portare niente di troppo riconoscibile.
 
 .:O:.


Era l’ultima volta che dava retta a Mike Stamford e si fidava del suo istinto. Era evidente che avevano due concetti molto diversi di “locanda rispettabile”.
E una nella zona della città bassa nei pressi del porto che aveva tutta l’aria d’esser stata costruita con tavole e assi provenienti da vecchie navi smantellate e i cui avventori potevano essere uditi dalla ragguardevole distanza di circa cinque metri da entrambi gli ingressi della strada, sicuramente non lo era.
John aguzzò la vista, cercando un tavolo libero. Impresa più difficile di quanto poteva sembrare, la locanda era affollata e non era affatto semplice farsi strada nella penombra fumosa appena schiarita dalle lampade e dalle candele sparse un po’ ovunque per far luce. Dappertutto gente che beveva, fumava, giocava a carte, dadi e praticamente qualunque gioco in cui fosse possibile perder soldi. Evidentemente il gioco d’azzardo era ben tollerato lì, a dispetto dei divieti cittadini. Il tintinnio delle monete che gettate sui tavoli e passate di mano in mano però non era l’unica cosa a esser tollerata. Bastava sapere dove guardare per scoprire che c’erano pezzi da otto, ghinee, corone, luigi e altre monete di varia provenienza che finivano discretamente nelle scollature più o meno generose di parecchie donne.
Ci voleva poco per distinguere le cameriere da quelle che esercitavano tutt’altro mestiere. C’erano quelle non più giovanissime che compensavano con l’esperienza, c’erano quelle avvenenti che non erano per le tasche di tutti, quelle più sfacciate che nel sedersi sulle gambe di qualcuno tiravano sapientemente su le gonne facendo intravedere una gamba e magari pure il fiocco della giarrettiera che teneva su le calze appena al di sopra del ginocchio… tutte accomunate dagli abiti colorati con le spalle lasciate volutamente scoperte e i bustini coi lacci allentati appena quel tanto che bastava a far vedere il corsetto e tutto quel che conteneva, le acconciature e il trucco mezzi sfatti dalla foga dei clienti e rifatti di fretta.
Mike sorrise da sopra il suo boccale, con fare complice, suggerendo che potevano ben investire un paio di sterline e fermarsi per la notte.
Essere un modesto capitano di Marina significava che per la maggior parte del tempo John Hamish Watson, le donne, se le poteva unicamente sognare. Non aveva i gradi né i natali altolocati per permettersi di fare come alcuni nobili ufficiali che facevano travestire da uomini le loro amanti per portarsele dietro durante i viaggi all’insaputa di ammiragli e mogli. Loro se la cavavano con una ramanzina, per lui la cosa poteva tradursi facilmente in un congedo con disonore. Non esattamente il modo in cui sperava di finire la sua carriera.
Bevve un sorso di birra, decidendo se valesse la pena di dare ascolto al compare e dare un senso alla serata. Il guaio di esser stato prima medico che soldato, era che bastavano pochi sintomi all’apparenza innocui per fargli passare per sempre la voglia di andare a letto con una donna. Poteva essere la più bella delle ragazze del posto, poteva pure decidere di regalargli una nottata che non si sarebbe mai scordato, ma una volta che il suo occhio clinico trovava qualcosa di sospetto, lui ci tirava su una bella croce e perdeva ogni interesse. Con ovvi risultati quand’era ora di tornare a bordo: mentre tutto l’equipaggio pareva più sereno e meno litigioso, lui spesso e volentieri aveva la luna storta e la pazienza ai minimi storici avendo dovuto arrangiarsi da sé.
Notò una bella donna che portava fra i capelli scuri due rose rosse e sottili labbra ripassate con un rossetto color sangue che avanzava sicura tra tavoli e sedie tenendo ben in alto due boccali per tenerli fuori dalla portata di ubriachi e squattrinati che avrebbero potuto impossessarsene. Aveva una gonna rossa dall’orlo leggermente sbiadito, una camicetta un po’ ingiallita dalle maniche larghe, il corsetto in bella vista alla maniera delle popolane del posto e più gioielli di quanti ne avesse mai visti indosso a una delle sue colleghe: cerchi d’oro ai lobi, braccialetti rigidi che tintinnavano ai polsi e una collana di grani neri il cui pendente spariva nella scollatura. Si vide restituire un sorrisetto e il non aver notato niente che indicasse qualche malattia comune a quelle del mestiere lo tentò parecchio, anche se tutto in lei dichiarava apertamente che la sua compagnia costava più di quanto John poteva permettersi di spendere.
Il bel sogno durò poco, prima che potesse davvero considerare di metter mano a tutti i risparmi che aveva per portarsela in una delle camere del piano superiore, notò che il suo sorriso non era un gesto di complicità… no, decisamente pareva più un dispetto. Gli passò accanto senza più degnarlo di uno sguardo andando a sedersi con un giovane dai ricci ribelli che giocava un paio di tavoli più in là, che non parve gradire molto di averla seduta in grembo ma che nonostante tutto continuò a sopportarla senza scacciarla mentre lei gli sussurrava qualcosa all’orecchio.
John si fece curioso. Non tanto per il due di picche, era evidente che non c’era gara con quel tipo. Era attraente e il non essere zoppi sicuramente veniva in aiuto quando si cercava di conquistare una donna. Piuttosto lo interessò perché pareva una presenza anomala in un posto come quello. Prese a osservarlo con la coda dell’occhio, discretamente e senza voltarsi.
A prima vista non aveva nulla di diverso dagli altri avventori. Abiti scoloriti, abbinati senza un criterio preciso, camicia dai lacci allentati contro il caldo e un cappotto scuro di filato grosso infeltrito dalla pioggia e dalla salsedine dai bottoni di metallo opaco gettato sullo schienale della sedia. I suoi stivali di buona fattura erano consumati, ma risuolati di recente. Un grande cappello dalla tesa larga stava gettato con noncuranza da una parte, ornato da alcune piume infilate nella fibbia del cinturino. E fra i ricci era annodata un’altra nota stonata come gli stivali costosi: una bandana ricavata da una sciarpa in tessuto morbido di un polveroso blu zaffiro.
Un genere di abbigliamento che aveva visto spesso indosso ad alcuni dei “navigatori” della zona. Di quelli che spesso e volentieri finivano coi piedi penzoloni in una botola e un cappio al collo, per intendersi…
Stranamente però questo era bianco come un cencio. Non si era mai sentito di un poco di buono come un pirata con il colorito di quegli annoiati aristocratici che non avevano nulla da fare.
-Vedi quel che vedo io?- domandò accennando al tavolo alla sua destra.
-Se ti riferisci alla signora, come sempre hai buon gusto- considerò Mike, approfittando per rifarsi gli occhi –D’altronde che altro aspettarsi da Three Continents Watson-
John sbuffò irritato dalla menzione del soprannome che gli avevano affibbiato i suoi commilitoni. Aveva avuto la sua buona quota di amanti negli anni, ma ora aveva intenzione di discutere di cose più serie di quante tacche aveva il suo letto.
-Non la donna, quello che sta cercando di spennare- sibilò, resistendo alla voglia di apostrofare malamente il compare.
-Beh direi che se pensa di riuscirci con il rum, le sta andando male…- ridacchiò.
Vero, nonostante lei gli avesse portato da bere cercando di convincerlo, quello pareva non aver toccato il suo boccale preferendo continuare qualunque gioco stesse portando avanti. Doveva essere bravo, dal suo tavolo partiva un andirivieni di gente che arrivava baldanzosa e se ne andava infuriata dopo aver perso quel che aveva scommesso.
-E non noti altro?-
Stamford parve intendere la notevole differenza fra loro, dandosi un’aggiustata agli occhiali. Perfino lui, che non trascorreva troppo tempo al sole, aveva un colorito più roseo. Azzardò che potesse essere affetto da tisi, vedendolo così pallido e magro, e che nel caso fosse meglio evitare ogni contatto.
John invece aveva tutt’altra diagnosi –Sospetto un malanno più grave, amico mio… questo è un evidente caso di nobiltà!- disse, ridacchiando insieme all’amico.
Anche se questo era il primo che aveva la bella idea di mascherarsi a quel modo per non essere troppo appariscente, ne aveva già visti di casi del genere. Ricchi rampolli che fuggivano di casa e dalle scelte che il padre faceva al posto loro senza avere la minima idea di come fosse il mondo, quello vero che non aveva nulla da spartire con quello dorato e pieno di comodità in cui erano nati e cresciuti. Chi scappava da un matrimonio combinato, chi non aveva intenzione di succedere al padre, chi non aveva voglia di farsi monaco o servire nell’esercito in quanto figlio cadetto… finivano tutti col mettersi nei guai prima o dopo. La cosa migliore da fare era prenderli e riportali dritti da dove erano venuti. Il più delle volte solo per guadagnarsi ogni genere di improperi da parte del fuggiasco e nulla più, ma raramente anche vedendosi ricompensare da genitori felici di riavere il poveretto nelle loro grinfie.
Finì la birra in un sorso accordandosi con Mike di rivedersi direttamente alla nave, non volendo assolutamente perdere la possibilità di andarsene con la prima marea. Il compare avrebbe avuto il suo bel daffare a trovare qualcuno disposto a cedere la sua cabina a un inatteso, viziatissimo passeggero.
Restò un po’ interdetto trovandosi davanti non un mazzo di carte, non dadi ma una damiera su cui il giovane stava riordinando i pezzi per cominciare un’altra partita. Con la galanteria di concedere allo sfidante i pezzi neri, necessari per cominciare secondo l’uso inglese.
Dal suo lato, accanto al rum intonso, alcune monete che la sua avvenente compagna riordinava in una piccola pila forse per tenerne il conto.
Per un attimo le sue mani bianche e affusolate, le dita da artista ornate da alcuni anelli, lo distrassero col pensiero di quanto potessero essere morbide. Difficilmente avrebbe creduto che quel tipo avesse mai fatto un qualche lavoro tale da rovinarsele, rendendole ruvide come le sue.
-Ebbene?- volle sapere una voce bassa e profonda, guastata però da una punta d’impazienza.
-Non credevo si potesse scommettere a dama-
-Preferisco scommettere sull’abilità piuttosto che sul caso- rispose tranquillo il moro, invitandolo a prendere posto. Alla vista della piccola somma puntata sogghignò –…anche se voi sembrate avere davvero poca stima della vostra-
John distolse lo sguardo dalle sue pedine, specchiandosi in occhi curiosamente a mandorla e di un colore indefinito che pareva variare dall’azzurro al verde a seconda della luce. Dio doveva essere stato parecchio indeciso a suo tempo se aveva finito col non decidere per uno in particolare. Il sarcasmo della voce era inesistente lì, rimpiazzato solo da un’apparente gran curiosità. Quasi stesse cercando di leggere qualcosa che gli stava sfuggendo.
Si sforzò di pensare a una risposta intelligente, muovendo in avanti.
-E perché perdere subito tutto quando posso avere un secondo tentativo?-
Quello annuì –Ah… dunque solo prudente- concluse. Tolse dai suoi denari due pezzi da otto, usandoli per ricompensare la donna della sua compagnia e salutandola quasi la conoscesse bene.
Diverse mosse più tardi, John comprese di aver quasi sicuramente perso i suoi soldi. Il privilegio di poter cominciare per primo non gli aveva dato alcun vantaggio: l’altro aveva già una sua strategia e sapeva aggiustarla in una manciata di secondi se il caso lo richiedeva. Era al tempo stesso la partita più frustrante e divertente che gli fosse mai capitato di giocare.
-Moschetto o scheggia d’artiglieria?- domandò a un tratto il moro, scostando parte dei ricci che continuavano a scivolargli sugli occhi.
Quel gesto mise involontariamente in mostra i suoi lobi forati. Al sinistro aveva un semplice cerchietto d’oro e una perla nera, al destro invece uno degli orecchini più insoliti che gli fosse capitato di vedere. John si ritrovò dopo a riconoscerlo come un gemello prezioso, di quelli che pochissimi privilegiati usavano per chiudere i polsini delle camicie, in cui era incastonato un piccolo diamante abilmente adattato per il suo nuovo uso. Del pezzo che completava il paio nessuna traccia.
-Che avete…?- John lasciò perdere la risposta.
Non era importante che andava dicendo quello strano tipo, aveva appena visto qualcosa che gli aveva fatto riconsiderare i suoi piani. Sicuramente non ci sarebbe stato bisogno di discutere su chi dovesse privarsi della cabina, quando se lo sarebbe portato a bordo per accompagnarlo fino a Port Royal.
Il polsino liso era scivolato giù, troppo largo per quel polso sottile, rivelando che la sua pelle non era tutta immacolata. Un sacco d’inchiostro, tatuaggi, che strisciavano su lungo il braccio a mo’ di manica particolarmente artistica. Qualcuno in toni di nero, con le linee spesse e soggetti semplici, alcune lettere che dovevano formare una qualche frase, qualcuno elaborato e così colorato da sembrar dipinto da un pittore, di gusto tipicamente orientale. E in mezzo a quel curioso diario di viaggio, qualcosa di molto meno gradevole alla vista: una vecchia ustione. Raggrinzita, dai contorni netti, inflitta deliberatamente per lasciare un segno indelebile e impossibile da nascondere. Una “P”.
John sapeva quanti erano i pirati marchiati a quella maniera, così pochi da potersi contare sulle dita. Perché pochi erano stati in grado di pestare così platealmente i piedi alla Compagnia delle Indie da meritarsi di esser marchiati col fuoco. Una precauzione che veniva adottata alla prima cattura, così da poterli riconoscere nel caso neanche troppo remoto in cui fossero stati in grado di sfuggire alla custodia. Perché sebbene ognuno aveva i suoi metodi e usi, tutti erano accomunati dall’essere maestri della fuga. Cercare di catturare quella congrega era un’impresa fruttuosa quanto provare a pescare anguille a mani nude.
Il pirata, perché quello era, non si scompose. Tutt’altro pareva troppo calmo per esser appena stato riconosciuto.
-Non mi era ancora capitato di giocare con un capitano della Marina di Sua Maestà…- sorrise, muovendo uno dei suoi pezzi forse sperando di poter continuare la partita –Pensavo dessero il benservito a quelli rimasti feriti. Ad ogni modo potete anche smettere di considerare quale promozione potreste avere se mi consegnaste al governatore di Port Royal, finiremo di giocare e ci saluteremo da buoni amici-
-Sembri molto sicuro-
-Lo sono- il pirata fece un cenno alla donna che ora girava fra i tavoli fermandosi ogni tanto per dir qualcosa agli uomini seduti lì, che immediatamente si voltavano nella loro direzione –Vuoi davvero correre il rischio di arrestarmi dichiarandoti un fedele suddito di Sua Maestà d’Inghilterra? Sembri intelligente, fai bene i conti-
John sbirciò alcune facce poco rassicuranti. Sicuramente c’era ben più di un pirata lì, e quelli che avevano le mani su lame e pistole attendendo il momento per capire se sfoderarle o meno non erano animati da chissà quale spirito altruistico: dovevano essere i suoi degni compari.
   
 
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