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Autore: usotsuki_pierrot    30/05/2017    1 recensioni
Kagami è appena partito per l'America, poco prima dell'inizio della famigerata Winter Cup, lasciando per qualche giorno Yuki immersa nei suoi pensieri, nelle sue paure e nell'attesa del suo ritorno.
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Il tabellone con affissi gli orari di partenza e arrivo spiccava appeso al soffitto dell'edificio.
Le pupille della ragazza studiarono con un minimo di riluttanza e rassegnazione ogni parola, ogni città, ogni numero esposto, fino a soffermarsi su una particolare destinazione, quella che avrebbe voluto evitare di vedere fino all'ultimo, quella verso la quale Kagami era diretto: Los Angeles
(primo capitolo).
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Gli occhi neri della bambina si illuminarono. Non aveva mai visto nulla di simile, e si chiese come avesse fatto a non notarla prima, dato che non aveva mai percorso altre se non quella strada. Probabilmente la causa era riconducibile al suo mantenere sempre gli occhi fissi a terra, tranne alcune rare volte in cui Kagami riusciva a distrarla (secondo capitolo).
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«Non era certo il bentornato che speravo di darti...».
La voce della ragazza risuonò nella stanza che fungeva da infermeria mentre, con una mano, ripuliva la guancia del rosso con un fazzoletto intriso con del disinfettante
(terzo capitolo).
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Seijuro Akashi, Taiga Kagami
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Eccoci...». A quella semplice frase di Kagami, detta in un tono intriso di agitazione ed una punta di malinconia, ma soprattutto di determinazione, Yuki alzò gli occhi neri dal pavimento lucido dell'aeroporto. Il tabellone con affissi gli orari di partenza e arrivo spiccava appeso al soffitto dell'edificio.
Le pupille della ragazza studiarono con un minimo di riluttanza e rassegnazione ogni parola, ogni città, ogni numero esposto, fino a soffermarsi su una particolare destinazione, quella che avrebbe voluto evitare di vedere fino all'ultimo, quella verso la quale Kagami era diretto: Los Angeles.
Erano quasi le dieci ormai, e intorno a loro decine e decine di uomini e donne camminavano, alcuni addirittura correvano, con valige di ogni colore e dimensione al seguito, molti da soli o con amici, altri con la famiglia, compresi bambini grandi e piccini.
Tuttavia, nonostante la folla di persone che si accingevano ad imbarcarsi o ad aspettare pazientemente il proprio volo fosse a tratti insistente e soffocante, Yuki sembrava non porvi l'attenzione che normalmente avrebbe riservato ad un tale via vai di individui. Solitamente avrebbe osservato ciascuna figura intenta a passarle accanto o di fronte; avrebbe posato lo sguardo sul viso di ognuno, sarebbe rimasta alcuni secondi ad analizzarlo per poi posare ancora una volta gli occhi a terra, focalizzandosi sulle linee che delimitavano le grandi piastrelle chiare e facendo attenzione a calpestare per bene quelle che non aveva potuto evitare.
Non era la prima volta che vedeva Kagami partire, e forse era proprio quel dettaglio a distrarla e a sommergerle la mente di pensieri, parole, ricordi. L'America, che il ragazzo tanto amava, non era così vicino come aveva cercato invano negli anni di convincersi a credere. Dopotutto non appena fosse salito su quell'aereo e fosse arrivato in una delle più grandi città degli Stati Uniti, ben dieci ore di volo (o anche più) li avrebbero separati, e questo pensiero altro non faceva che rendere la corvina più nervosa del rosso stesso.
La prima volta avevano all'incirca otto o nove anni al massimo, e l'unica emozione che l'aveva totalmente sopraffatta nel fatidico momento della partenza era stata un'enorme tristezza. Quel giorno, la situazione era differente.
Era consapevole che il più alto sarebbe stato via solo qualche giorno e non interi anni com'era successo tempo prima, ma non riusciva a non immaginarsi cosa avrebbe fatto, lei, nel frattempo. Quando era con Kagami si sentiva quasi tranquilla, i suoi rituali sembravano assillarla ma non troppo, e quando parlavano o rimanevano semplicemente insieme la sua mente si calmava; tanto che da piccola, fino al primo viaggio di lui, era arrivata a credere che fosse una specie di mago capace di mettere a tacere i suoi pensieri e di scacciarli.
Come se non bastasse la Winter Cup era alle porte, e più pensava, più rifletteva sulle partite che avrebbero dovuto affrontare, più l'unica persona su cui riusciva a focalizzarsi era Akashi Seijuro.
Un paio di volte la corvina fu addirittura sul punto di dire a Kagami quanto avesse scelto il momento peggiore per andarsene, ma ogni volta si ritrovò a ripetersi quanto fosse egoista.
"Sta partendo per migliorarsi, per dare una mano alla squadra", era diventata la frase di rito. "Akashi e tutto il resto possono anche aspettare a darti problemi".
La voce femminile dell'altoparlante iniziò a parlare, avvisando Kagami e gli altri futuri passeggeri a recarsi al gate numero 5, e risvegliandola.
«È il mio...». Il rosso rimase qualche istante ad osservare il tabellone scuro e strinse il pugno intorno alla fascia del borsone che aveva a tracolla.
Yuki si voltò a guardarlo tenendo la testa un po' bassa: aveva la stessa espressione felice ed emozionata di quel bambino di otto anni che conosceva bene. Un piccolo sorriso le comparve sul viso, come se quello sguardo così determinato fosse sufficiente a tranquillizzarla, senza nemmeno saperlo.
«Dovresti cominciare ad andare..!». La corvina si morse il labbro. La voce le era uscita fin troppo tremolante per essere convincente.
«Sei sicura di non voler venire anche tu? Sono sicuro che Alex ti piacerebbe, e che tu piaceresti a lei!».
Un sorriso incerto donò all'espressione della ragazza un che di malinconico.
«Stai tranquillo, Kagami... Devo occuparmi della Seirin in tua assenza, e aiutare Riko-san a prepararli prima che torni in Giappone! Tra l'altro, non ti sembra un po' tardi per rimuginarci su? Non ho nemmeno preso il biglietto!».
Il rosso mise il broncio borbottando e distogliendo lo sguardo da quello della più bassa.
«Ti metterei in valigia, sono sicuro che ci staresti benissimo...».
La corvina scoppiò in una piccola risata, dopo qualche attimo di silenzio.
«Non era una battuta, è vero!», esclamò Kagami, senza trattenere un sorriso.
Gli altoparlanti trasmisero nuovamente la voce femminile, che ripeté per la seconda volta l'avviso di poco prima.
La ragazza abbassò lo sguardo con le labbra curvate lievemente all'insù ma gli occhi lucidi. Prese a torturarsi le dita, non sapendo bene cosa dire o fare. Non aveva il coraggio né la forza di guardarlo negli occhi, e al contempo era certa che se non l'avesse salutato nel modo migliore se ne sarebbe pentita amaramente i giorni successivi. Lo sguardo del giocatore si posò su di lei.
Ci furono secondi di silenzio, quel tipico silenzio che precede la tempesta.
Kagami lasciò andare la valigia, che fortunatamente rimase in piedi, e circondò le spalle della ragazza, che si ritrovò in pochi istanti con il viso nella sua maglia.
Non appena riuscì a realizzare quanto appena accaduto, e che quella semi-oscurità in cui era caduta era stata causata dall'abbraccio del più alto, la vista della corvina le si appannò sempre più, offuscata dalle lacrime che minacciavano di uscire da un momento all'altro. Portò le braccia intorno al corpo del ragazzo, strofinando il volto nel tessuto scuro, abbassando le palpebre nell'istante in cui sentì il peso della mano di lui sulla sua testa.
Le dita del rosso si infilarono tra i folti capelli neri, e presero ad accarezzare la chioma scura e mossa, mentre il braccio che ancora le cingeva le spalle la stringeva di più a lui.
«Tornerò presto, più forte di adesso... Te lo prometto», disse in un sussurro, quasi come se quello fosse stato un segreto tra loro due. Yuki annuì, e dopo qualche secondo si separò a malincuore dal corpo del più alto.
La ragazza tentò di offrire all'amico il sorriso più naturale possibile, mentre le pupille si fissavano nelle sue in un disperato tentativo di trasmettergli ciò che non era in grado di proferire a parole.
«Ti aspetto a casa, Taiga...».


"Ce la farò".
"Non sarà così difficile".
"Dopotutto è anche iniziato il campo di allenamento, siamo tutti insieme".
Si, queste erano le parole che Yuki si era detta fra sé e sé una volta di ritorno dall'aeroporto. Vedere Kagami allontanarsi con la valigia in una mano e il borsone in spalla era stato difficile, più di quanto si aspettasse, ma ancora più complicato era stato trattenere le lacrime. Gli occhi avevano iniziato a pizzicare già al richiamo della voce robotica dell'altoparlante, e il rosso non le aveva di certo facilitato l'impresa nel momento in cui aveva deciso di abbracciarla in quel modo. Non che le fosse dispiaciuto, anzi, ma la maglietta scura del giocatore aveva ad un certo punto rischiato davvero di fare una brutta fine per colpa del pianto in cui aveva minacciato di scoppiare.
Uscita dalla struttura imponente e dirigendosi verso il campo in cui avrebbero vissuto alcuni giorni per allenarsi, la corvina aveva alzato gli occhi al cielo, seguendo per qualche passo lo scorrere lento e dolce delle poche nuvole che macchiavano la distesa azzurra.
Aveva poi introdotto la mano nello zainetto per estrarvi il cellulare e le cuffiette. Aveva infilato queste ultime nelle orecchie e, cominciando a camminare sul marciapiede, scelse la canzone più adatta per quel momento.
Strinse il cellulare nel palmo della mano, sistemandole poi entrambe nelle tasche della felpa, e proseguì a passo svelto verso la sua destinazione.
Mai come in quell'istante aveva ringraziato se stessa per non aver accettato l'invito di Riko che, preoccupata, le aveva proposto di tornare a casa insieme a lei e al padre, in macchina, prima che si recasse all'aeroporto con Kagami. Era stato un gesto gentile, che Yuki non si sarebbe aspettata (tanto meno sarebbe riuscita a rimanere impassibile di fronte all'espressione allarmata del coach della Seirin), ma in cuor suo era consapevole della necessità di rimanere sola che avrebbe sentito dopo la partenza del migliore amico.
Stare con qualcuno l'avrebbe... messa a disagio. Costretta a dire qualcosa ogni munto per smorzare l'atmosfera e dimostrarsi allegra e tranquilla (più per non incombere in situazioni imbarazzanti che per altro), quando lei stessa sapeva di non essere né l'una né l'altra.


«Yuki, sei tornata!».
Fu proprio la voce di Riko ad accogliere la ragazza, sulla soglia della porta. La corvina annuì, sorridendo, ancora intenta a riporre le cuffie nello zainetto. Si era fatto buio senza che nemmeno se ne accorgesse, tuttavia era contenta di aver passato la giornata da sola. Nonostante infatti la sua prima destinazione fosse stata quella, durante il tragitto aveva rallentato il passo e deciso che, dopotutto, di fretta per quel giorno non ne aveva. Aveva pranzato, fatto un giro con la musica nelle orecchie, comprato qualcosa di veloce per cena e infine si era diretta verso la sua meta iniziale. Il tutto intervallato dai messaggi di Kagami, che di tanto in tanto si prendeva la briga di descriverle il viaggio.
«Scusate il ritardo!», rispose, guadagnandosi una brutta occhiata e un broncetto infastidito del coach.
«Non devi assolutamente scusarti! Vieni dentro piuttosto, sarai stanca!».
La castana si scostò dalla porta quel tanto che permise alla più piccola di entrare, mentre ancora armeggiava con lo zaino.
«Com'è andata con Kagami..?». Il tono di Riko si era fatto basso, quasi dolce e decisamente preoccupato.
Yuki rivolse un tenero sorriso alla maggiore, per rassicurarla.
«Tutto bene! Era tranquillo, credo sia stia anche divertend-».
«E tu come stai?». Quella domanda spiazzò la più giovane, che per un attimo si bloccò completamente, con lo zaino in mano.
«Voglio dire, è stato molto difficile o..?».
«Non ti devi preoccupare, senpai... Dopotutto Kagami era così contento di partire, che il resto non conta!».
La castana rimase zitta ad osservare la compagna di squadra, che era dal canto suo intenta a togliersi le scarpe.
«Posso andare a fare il bagno?».
L'interpellata scosse un poco la testa per risvegliarsi dai suoi pensieri, e con un piccolo sorriso annuì.
«Ti basta salire le scale e andare a destra! Sono quasi tutti pronti per andare a dormire, o almeno spero», proferì con una punta di rabbia nella voce nell'ultima parte della frase, che a quel punto sembrava più una minaccia. «Se trovi qualcuno fuori dalla sua stanza, digliene quattro da parte mia! Il riposo è fondamentale, soprattutto in vista di cosa li aspetta!».
Yuki si lasciò sfuggire una piccola risata divertita, prima di salutare la maggiore e iniziare a salire le scale.


Il rumore dell'acqua corrente e il vapore che si era formato a causa del calore occupavano il bagno in cui Yuki si era appena spogliata. Fu felice nel constatare che la stanza era più grande del previsto e che, soprattutto, era da sola. Lo era stata per tutto il giorno, ma quel po' di relax prima di andare a dormire richiedeva silenzio e tranquillità.
Si legò i capelli come meglio poté in cima alla testa per impedire che si immergessero nell'acqua, e si infilò nella vasca.
Un profondo sospiro la accompagnò mentre si sedeva sul fondo con la schiena appoggiata al bordo, e chiuse per qualche istante gli occhi scuri.
"Vedi? Non è così male".
Sollevò leggermente le palpebre, prima di ritrovarsi immersa in mille pensieri.
Di colpo, la mente la riportò a Kagami, all'immagine di lui che si allontanava, e quella del suo viso felice e soddisfatto una volta giunto a Los Angeles. Questione di poche ore ormai, suppose.
Un sorriso le si dipinse sul viso più rilassato. Già pensava a quanto sarebbe stato emozionato quando sarebbe tornato e le avrebbe raccontato ogni particolare, ogni momento, ogni sensazione provata una volta atterrato.
La corvina chiuse gli occhi, lasciandosi andare all'idea di quel giorno che all'improvviso non pareva più cosi lontano.
Ma fu costretta a riaprirli quasi immediatamente. Gli occhi neri si fissarono sulla parete di fronte a lei, in segno di sgomento. Sentì le spalle irrigidirsi e il corpo immobilizzarsi nell'istante in cui si ritrovò davanti la figura di Akashi, quando ancora le palpebre erano completamente abbassate.
Il respiro le si fece corto, si sentì come se qualcosa, un peso, le si fosse prepotentemente posato sul petto, e le impedisse di accumulare ossigeno nei polmoni. Si tirò a sedere con la schiena ritta, distaccata dal bordo della vasca che d'un tratto le era sembrata troppo fredda al contatto con la pelle.
Si posò la mano sul petto, tentando in tutti i modi di pensare a qualcos'altro che non fosse lui. Man mano che la respirazione tornava regolare, tuttavia, si arrese all'evidenza: era impossibile, in quel momento soprattutto. In quel momento in cui la sua mente stava ripercorrendo le stesse fasi della prima partenza di Kagami, all'età di otto anni circa.
Yuki scosse la testa, chiudendo gli occhi neri, e si impresse con poca forza i palmi delle mani sulle guance con una piccola smorfia.
Dopo qualche minuto passato ancora a mollo, la corvina decise che stare lì non l'avrebbe certo aiutata a non pensare, e che stare troppo a lungo in una vasca piena d'acqua calda, circondata da vapore, non le avrebbe fatto così bene.
Si rialzò, uscendo con cautela da quel piccolo paradiso, afferrò l'asciugamano che si era portata nel bagno, e vi avvolse il corpo, legandolo sul petto.

La stanza che le era stata assegnata era tutt'altro che piccola, un po' spoglia forse, ma Yuki non fu affatto dispiaciuta quando vi entrò per la prima volta.
Non che si fosse concentrata così tanto sui particolari; era così stanca che l'unica cosa che avrebbe voluto fare era prendere il cellulare, posare lo zainetto e il borsone che conteneva tutto ciò che le sarebbe servito in quei giorni in un angolo e stendersi sul letto dopo essersi vestita comoda per la notte.
Chiuse la porta, ripose l'asciugamano, e una volta in intimo iniziò a cercare il pigiama che aveva portato con sé nel borsone. Dopo aver estratto alcune maglie che risultavano d'intralcio, si accorse che c'era un capo totalmente estraneo, in mezzo ai suoi così familiari.
Una felpa, rossa, decisamente più grande delle sue, spiccava tra tutti gli indumenti che aveva scelto per quei giorni, e qualche attimo di confusione più tardi Yuki si lasciò andare ad un enorme sorriso. La prese con delicatezza, senza stropicciarla, e la distese sul letto portandosi successivamente le mani sui fianchi, con le labbra ancora curvate all'insù.
“E questa, quando l'ha messa qui dentro?”.
Non appena i dettagli del capo d'abbigliamento vennero messi in evidenza dalla luce della stanza, la ragazza non tardò a riconoscerla: era a tutti gli effetti una delle felpe di Kagami. L'aveva visto indossarla innumerevoli volte, e pensava che l'avrebbe di sicuro portata con sé, in viaggio.
Si affettò ad indossare il primo pigiama che le capitò a tiro: si infilò i pantaloni, andò a lavarsi le mani, rientrò in stanza, fece lo stesso con la maglia, e dopo aver chiuso la porta della camera coprendosi rigorosamente il palmo con la manica, indossò la felpa.
Dopo aver chiuso completamente la cerniera, si guardò. Si posizionò di fronte allo specchio della stanza e osservò ancora la sua immagine riflessa.
La corvina scoppiò in una fragorosa risata nel constatare quanto effettivamente quel capo d'abbigliamento che aveva più volte visto addosso a Kagami fosse grande per lei. Le maniche erano così lunghe che pensò di aver perso le mani, riusciva a vedere chiaramente la maglia del pigiama al di sotto (dato che il collo era talmente ampio che la cerniera le arrivava a coprire a malapena il petto), e si allungava fino alle ginocchia. Alzò le braccia, guardandosi ancora, e si portò le mani al viso socchiudendo gli occhi. Poteva sentire distintamente il profumo del ragazzo, e bastarono pochi minuti affinché la riscaldasse. Forse perché nella stanza la temperatura era troppo alta, oppure perché la felpa era troppo pesante. Erano quelle ed altre le motivazioni irrilevanti a cui la corvina attribuiva la causa del rossore incombente sulle sue guance e del calore che percepiva in tutto il corpo e in special modo sul suo viso, senza nemmeno considerare l'eventualità che il vero motivo fosse il pensiero del giocatore in sé.
Si allontanò successivamente dallo specchio, per avvicinarsi al letto. Raccolse con cura tutti i vestiti che aveva sparso poco prima sulle coperte posizionandoli nell'armadio della stanza.
Prese il cellulare in mano, sedendosi e con grande felicità notò il messaggio di Kagami che la avvisava del suo arrivo nella città statunitense.
Yuki decise di chiamarlo, stanca di parlare solo attraverso uno schermo e una tastiera. Era stanca, ma avrebbe preferito sentire la sua voce un'ultima volta prima di mettersi definitivamente a dormire.
«Kagami?», chiese nell'istante in cui sentì rispondere dall'altro capo della chiamata.
«Mmh? Chi è?». Una voce femminile pose quella domanda (in inglese) che per un attimo preoccupò la ragazza.
«Mi chiamo Yuki...», rispose in tono incerto, nella lingua parlata dall'interlocutrice.
«Aaaah, Yuki!!», esclamò lei, quasi come se la conoscesse da una vita.
«Yuki?! Alex, dammi il telefono!». La voce di Kagami in lontananza tranquillizzò immediatamente la corvina, che solo in un secondo momento realizzò il nome pronunciato dal ragazzo.
«Piacere di conoscerti, Yuki!», riprese lei in giapponese, sorprendendo la più piccola.
«Taiga mi ha parlato molto di te, sai?».
«Alex, perché ti stai mettendo a parlare tu?!». Yuki rise di gusto a sentirlo mentre cercava, pelomeno così lo immaginava, di afferrare il cellulare dalle mani della donna.
«Piacere mio! Potrei parlare con Kagami?».
«Oh, ma certo, non mi ero proprio accorta che volesse parlare! Te lo passo!!».
L'ultima parte della frase pareva provenire da più lontano, segno che il dispositivo stava probabilmente tornando nelle mani del suo proprietario. In quel momento Yuki sentì un gran vociare in sottofondo, come se si trovassero in un luogo estremamente affollato.
«Yuki! Scusa, siamo ancora in aeroporto e avevo chiesto ad Alex di tenermi un attimo il telefon-».
«Ho fatto un ottimo lavoro, dovrai pur ammetterlo!», sentì, distante. Poi un sospiro da parte del ragazzo.
«Sembra simpatica!».
«Lo vedi, Taiga??», fece lei, come se stesse origliando la telefonata.
«Lascia parlare anche me!», irruppe Kagami infastidito. Yuki sapeva che si era imbronciato, lo poteva capire benissimo.
«Allora, tutto bene? Ti sei sistemata?».
«Davvero lo stai chiedendo a me?». Il tono sarcastico e sorpreso di Yuki fece borbottare Kagami.
«Com'è andato il volo, piuttosto?», chiese poi, curiosa.
«È stato fantastico, per fortuna! Mi ha ricordato la prima volta che sono venuto qui!».
«Eri così piccolo e carino allora!», di nuovo la voce della donna.
«Alex!!».
«Ha ragione, sai?», s'intromise la corvina, ridacchiando sotto i baffi.
«Sei tutto rosso, Taiga!! Che ti ha detto??». Alex era così emozionata che pareva fosse lei la turista, e non il rosso.
Kagami bofonchiò qualcosa, e Yuki si accorse di essere arrossita a sua volta.
«Taiga, per di qua!», disse ad un certo punto la più grande.
«Arrivo!», rispose lui.
«Kagami, se fai fatica possiamo parlare più tardi», intervenne Yuki.
«Mi piacerebbe dirti di no, ma c'è davvero troppa gente qui...».
«Allora ci risentiamo quando sarai più tranquillo!».
Ci fu una breve pausa.
«Che ore sono da voi?». Evidentemente si era fermato a guardare l'orologio.
«Saranno all'incirca le nove e mezza...».
«Mh...». Il rosso iniziò a pensare. «No, preferisco salutarti direttamente senza rischiare che si faccia troppo tardi per te».
«Ma lo sai che per me non è un problem-».
«Niente scuse, Yuki! Lo so che poi rimarresti alzata apposta, ti conosco! E guarda che l'ho sentito, quello sbadiglio». Effettivamente uno le era sfuggito, ma aveva fatto di tutto per non farglielo notare. E per quanto si fosse sforzata non avrebbe potuto far finta di non essere stanca dopo quella giornata così diversa dal solito. Non avrebbe voluto mentire a se stessa e soprattutto a lui.
Mise il broncio, stendendosi sul letto e posando una mano sul ventre, reggendo il cellulare con l'altra.
«D'accordo... Ma manda comunque un messaggio ogni tanto, capito? Non osare sparire nel nulla!».
Una lieve risata fece capolino attraverso lo schermo del telefono.
«Certo, mamma... Ti mando anche le foto per tranquillizzarti?», chiese con un tono sarcastico che però non irritò la corvina, anzi.
«Spiritoso! Ricordati che tra qualche giorno sarai di nuovo qui, e non avrai scampo!».
I due scoppiarono in una nuova risata, prima che il rosso ricominciasse a parlare.
«Devo andare adesso...». Una voce a metà tra l'emozionato e il malinconico, che per poco non fece scomparire il sorriso sul viso della ragazza.
«Buonanotte, Yuki», concluse poi, spazzando in parte la tristezza.
«Buonanotte, Kagami», ripeté lei, con le labbra ancora genuinamente curvate all'insù. Poco dopo, riportò il cellulare davanti al viso, terminando la chiamata a malincuore.
Allungandosi fu in grado di raggiungere con un braccio lo zainetto, frugandovi all'interno ed estraendovi poco dopo il caricatore del cellulare. Come aveva immaginato, la batteria era quasi morta; dopotutto l'aveva scarrozzato in giro per tutto il giorno dandogli tregua per un paio d'ore al massimo.
Lo inserì nella presa, attaccando lo spinotto nell'apposita fessura del dispositivo, e posò successivamente quest'ultimo sul comodino accanto al letto.
Portò le pupille a fissare per qualche minuto il soffitto chiaro della stanza, con un mezzo sorriso ancora stampato sul volto. Il polso destro si abbandonò sulla fronte della corvina, mentre la mano sinistra ancora poltriva sulla pancia.
Le palpebre si richiusero lentamente e il respiro si fece sempre più regolare e calmo, dettato dal sonno incombente e persuasivo e dal profumo della felpa.

   
 
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