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Autore: Ninotchka7    01/06/2017    2 recensioni
"Le mani di Mida erano d'oro, ma non erano in grado di renderla felice. Ogni giorno della sua vita, Mida lo passava in lacrime. Soffriva per se stessa, per la sua esistenza vuota, ma poi, rendendosi conto che nel mondo c'era chi soffriva per ragioni ben più serie delle sue, quelle sorgenti che sgorgavano dai suoi occhi diventavano cascate, fiumi in piena, acquazzoni."
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa, miei eterni fanciulli, è una storia preziosa.
Una storia di pio amore, di casta generosità, della paura che tali sentimenti c’infondono. È una storia d’oro.
Ebbene, neanche tutto l’oro del mondo avrebbe eguagliato in valore il cuore della principessa Mida.
Mida viveva in una parca quanto piacevole villa di campagna. Era la consorte dell’erede al trono, e attendeva impaziente il giorno in cui sarebbe divenuta regina e avrebbe reso felice il suo popolo.
Era impossibile non rimanere estasiati dalla sua divina beltà. I lineamenti parevano esserle stati donati dalle stesse Grazie, tant’erano diafani e cesellati, e un’eleganza innata le vestiva la pelle di luce, facendola rassomigliare a una leggiadra lucciola. Ma ciò che tutti amavano della principessa erano le mani. Proprio così: le sue mani, candide, morbide e affusolate, avevano il dono di saper carezzare.
Un dono molto più raro di quanto si pensi, o fanciulli: quante volte le nostre carezze sono impacciate, furtive, o anche invadenti? Di certo son tante, molte più di quanto si suole ammettere.
Mida, invece, con il suo tocco compiva prodigi: era in grado di lambirvi la pelle come solo il calore del sole di luglio saprebbe fare, e come il sole senza pretendere nulla in cambio. Aveva il raro dono di comprendere quando il suo scavare nelle pene altrui fosse opportuno. Mida era un’anima preziosa e antica, e il suo dono era celebre a tutti.
La fanciulla amava far del bene al suo popolo. Aiutava tutti, anziani e giovinetti, infermi e carcerati, e tutti loro la ripagavano baciandole le mani, e lodandole come fossero delle sacre reliquie.
Le mani di Mida erano d’oro, ma non erano in grado di renderla felice. Ogni giorno della sua vita, Mida lo passava in lacrime. Soffriva per se stessa, per la sua esistenza vuota, ma poi, rendendosi conto che nel mondo c’era chi soffriva per ragioni ben più serie delle sue, quelle sorgenti che sgorgavano dai suoi occhi diventavano cascate, fiumi in piena, acquazzoni.
Mida pregava, pregava per Elafo, la donna che amava con tutta se stessa. Elafo dagli occhi di cervo, sottratta alla sua famiglia e costretta a far la sguattera per aiutare i poveri fratellini. E con lei molte altre fanciulle infelici, strappate all’amore e alla gioia in nome del dovere o della miseria.
Un giorno che Mida serbava in cuore la più profonda mestizia, mentre passeggiava per il bosco, un raggio di luce più intenso degli altri filtrò attraverso le fronde color della speranza. Gli occhi di Mida si persero a contemplare quell’insolita scia. Quasi per gioco, mise le mani a coppa, e un mucchietto di polvere dorata si riversò sulle sue palme. La fanciulla sgranò gli occhi, incredula dinanzi a un simile prodigio, e una flebile parvenza di gioia le scivolò nel cuore.
Un improvviso rumore di passi caracollanti la colse nel pieno del suo stupore. Mida si voltò, e un’anziana donna avvolta in un lurido mantello le si avvicinò. Dal suo volto, intessuto di antichi ricami, spiccavano due occhi talmente chiari alla luce del sole da sembrare ciechi.
«Buon dio!» la donna fermò il passo. «Mi pare di scorgere qualcuno».
«Sì, signora cara»
«Riconosco la tua soave voce!» Il sorriso della vecchina si stirò in una curva felice. «Se il tuo nome è Mida, com’io penso, possa la felicità scuotere questo cuore cadente!»
«Voi lo dite, signora cara: costei è proprio Mida»
La donna giunse le mani. «Quale grazia mi è data quest’oggi, quale grazia! O buon Padre, dicono che le tue carezze siano preziose più dell’oro zecchino: come vorrei ricever da te una simile benedizione…»
            Mida sollevò i polpastrelli, velati di polvere dorata, e li passò con infinita delicatezza sulla gota merlettata della donna, e poi sulle palpebre chiuse, inebriate da un simile tatto.
            Quando la fanciulla ritrasse la mano, gli occhi della vecchia si velarono di un dorato vivo e splendente. «O misericordia divina! Adesso ti vedo davvero!»
            Mida era incredula: «Cosa ho mai fatto?»
            «Le tue carezze, più preziose dell’oro, mi hanno ridato la vista. O cara, come posso sdebitarmi, se non porgendoti uno dei miei incantesimi? Coraggio: domanda ciò che vuoi, realizzerò un tuo desiderio».
            Mida rispose, senza neanche pensarci: «Desidero poter aiutare coloro che soffrono…»
            La donna annuì, commossa da tanta generosità. Strinse tra le scheletriche dita i polsi di Mida, e soffiò il suo caldo alito sulle candide palme. «Va’, e possa il tuo tocco recar gioia a ogni uomo!»
            Mida, scossa da quanto appena accaduto, si rimirò le mani, come se fino ad allora non le fossero appartenute. «Ma cosa…?» domandò poi al vento: la vecchina era sparita nel nulla.
La fanciulla  non sapeva come avrebbe reso felici gli altri, lei che tanto compieva e altrettanto sapeva di non poter compiere.
            Il sole era ormai alto sopra il suo capo. Chissà se a quell’ora l’amata Elafo aveva terminato le sue faccende. Cominciò a correre, e nella paura di non inciampare sollevò appena l’orlo della veste.
            Un freddo improvviso le sfiorò le gambe, e sotto il suo tocco la gonna si inspessì, tingendosi di un caldo scintillio. Mida trattenne il fiato, terrorizzata all’idea di essere stata lei a trasformare il drappeggio di cotone del suo abito in oro. Fu tanta la paura che incespicò, fino a posarsi contro un albero. Ma esattamente dove le sue dita avevano trovato sostegno, la corteccia diventò gelida come il ghiaccio, ma brillante come il sole. L’intero tronco si tinse poi di luce, e le foglie, un secondo prima scosse dal vento, si irrigidirono in scaglie dorate.
            Mida era esterrefatta: aveva il potere di tramutare in oro ciò che toccava! Il primo pensiero fu per il suo popolo, che finalmente avrebbe reso felice. Avrebbe dato a tutti di che comprare il pane, avrebbe riscattato gli innocenti e pagato i dottori più capaci perché curassero gli infermi. Avrebbe fatto tanto di quel bene agli altri, che anche il suo cuore ne avrebbe gioito per l’eternità.
            Mida percorse di gran lena gli ombrosi sentieri del bosco, e giunse ansimante nei pressi del villaggio più vicino. Le casette in legno e paglia si stagliavano nella piana brulla, allietata solo dai profumi del bosco condotti lì dal vento e dalle grida giocose dei giovinetti.
            «O fanciulli», gli occhi di Mida si velarono di una patina commossa. Quei bambini, che nonostante la miseria che svuotava sempre più i loro gracili corpi, continuavano a nutrire speranza nei petti ancora giovani. La principessa irruppe tra di loro esclamando: «Presto: portatemi qualsiasi oggetto di scarso valore abbiate in casa, e lo trasformerò in oro!»
            I bambini, dapprima increduli, ma poi spronati dalla loro ingenua fiducia, si allontanarono da Mida, lasciandola in compagnia degli sguardi adulti.
            «Oh, ma lei è la principessa!» esclamò una gioviale paesana con un cesto di vimini sul capo.
            «È proprio lei!» una ragazza nel fiore degli anni, ma dal viso deturpato da macchie rosse, si avvicinò a Mida supplicante. La seguirono un uomo canuto dal passo incerto, e una signora rubiconda con un poppante stretto al seno.
            La gioia della principessa dinanzi all’affetto dei paesani s’incrinò come un fuscello spezzato dal vento, e una scintilla buia le si accese dentro.
            La giovane dal volto tumefatto si prostrò a terra, strisciando le ginocchia sul selciato, le mani già protese verso quelle di Mida. «Una carezza…» supplicò.
            Altra gente si avvicinò, e Mida si sentì venir meno. Alzò le mani. «No, no, statemi lontano!» li invitò cercando di mantenere la calma. «Chi mi toccherà verrà tramutato in una statua d’oro!»
            I volti dei presenti, turbati dall’insolito rifiuto della principessa, si tinsero di sgomento e delusione. Ma ciò non bastò a fermarli.
            «Una carezza al mio bambino, la prego!» La madre sollevò il neonato verso la fanciulla, che si vide costretta a retrocedere. Proprio dietro di lei, un ragazzo smilzo e dai vestiti logori sembrava pretendere le sue attenzioni.
            «Principessa!»
            L’urlo dei fanciulli tranquillizzò Mida. «Venite qui, presto!» Poco lontano, un garzone sorreggeva tra le mani stoviglie, cocci di legno, pezzi di stoffa e oggetti di scarso valore. Riuscì a farsi largo con facilità tra la folla confusa, e la principessa prese tra le dita il coccio di un vaso.
            D’un tratto la ceramica rossiccia assunse una sfumatura dorata. Mida sollevò il prezioso frammento e lo mostrò ai presenti. «Da adesso in poi, è vero, non potrò più concedervi il dono delle mie carezze. Ma siate gioiosi come io lo sono, e rallegratevi: con questo mio dono non soffrirete più la fame».
            Il pianto improvviso di un bambino esplose con la violenza di un tuono, ma fu subito coperto da urla di giubilo.
«Viva la principessa!»
Un grido festante dopo l’altro, e l’euforia si espanse sulla folla come una macchia d’olio. Chi prima chi dopo, ognuno portò al cospetto della principessa qualsiasi tipo di oggetto perché ella lo convertisse in oro puro. Il cuore della fanciulla traboccava di gioia all’idea di tutto il bene che stava facendo. Le sue dita parevano teneri ramoscelli, e gli oggetti che esse toccavano, se avessero potuto parlare, ne avrebbero lodato l’angelico tocco.
Ma qualcosa premeva in petto alla fanciulla, come la molesta spina di una rosa scarlatta. Ogni qualvolta che qualcuno faceva un passo di troppo, Mida si irrigidiva nella paura di toccarlo anche solo accidentalmente. Allora prendeva gli oggetti con le punte dei polpastrelli, con la precisione di uno scrupoloso chirurgo.
Passarono le ore, e man mano che gli occhi di Mida si riempivano della vista di tanto oro, una consapevolezza sempre più opprimente si faceva largo a piccoli morsi tra le carni della sua mente. E il dolore di non poter carezzare nessuna di quelle affettuose guance che, sorridendo, s’infossavano dinanzi all’immenso prodigio, mise radici nel suo petto allo stesso modo con cui la paura di toccarli stava facendo nelle sue viscere.
Tuttavia, simili sentori erano così profondi in lei da celarsi indisturbati negli abissi della gioia. E l’animo di Mida, lavato dalle lacrime festose del suo popolo, pareva tanto leggero da innalzarsi fino all’ultimo dei cieli.
«Che il Signore vi custodisca», furono le parole accorate della giovane malata.
«Benedetta fanciulla…» mormorò commosso il vecchietto zoppo.
Le ore passarono, e per Mida arrivò il momento di incamminarsi alla volta della sua villa. Nell’attraversare il bosco, intonò canzonette d’amore, e saltellò in preda a una subdola euforia. Fremeva al pensiero di come avrebbe reagito l’amata Elafo, quando le avrebbe raccontato ogni cosa, e le avrebbe dato prova del suo potere donandole un fiore d’oro.
Giunta finalmente a casa, i giardini del castello l’avvolsero con profumi floreali, mentre sprazzi colorati rallegravano la monotonia di quel verde che, speranzoso, le brillava dentro.
Laggiù, gli occhi da cervo della cara Elafo, poggiata allo stipite socchiuso, attendevano impazienti.
            «Son tornata!» esultò Mida.
            Le labbra della servetta si aprirono sul più dolce e innocente dei sorrisi, ed ella accorse a dare il benvenuto alla padrona. «O amata!»
            In un istante, quella tela di gioia che aveva avvolto il cuore di Mida fino ad allora si strappò, mettendo a nudo una folle paura.
«Stammi alla larga!» urlò la principessa indietreggiando e sollevando le mani.
            Lo sguardo di Elafo si macchiò di sgomento, che celò presto sotto un velo di ilarità. «Per favore, non scherzare: mi metti tanta paura, certe volte». La ragazza si avvicinò festante, tendendo le mani verso l’amata.
            Mida indietreggiò ancora, la bocca schiusa in una smorfia terrorizzata. «Non farlo!» ribadì.
            Elafo notò la veste dorata della principessa e solo allora si fermò. «Cos’è accaduto?!»
            Mida guardò la sua gonna dorata, e il pensiero di quanto di buono aveva fatto fino ad allora tentò di mischiarsi alla paura. «Posso trasformare in oro tutto ciò che tocco», balbettò stirando le labbra in un sorriso forzato.
La serva s’immobilizzò, colta da un timore senza nome e senza causa. «Oro…? Davvero…?»
«Non sei contenta? Ho già reso felice l’intero villaggio…»
Ma Elafo pareva sconvolta. «Oro…»
            Il sorriso di Mida si spalancò sui candidi denti, e li attraversò una risata al contempo dolce e malinconica. «Ero infelice, stamani, e ho trovato una scia di polvere dorata nel bosco, che mi ha ridato l’allegria. L’ho usata per guarire una vecchina cieca ed ella per ricompensa mi ha soffiato sulle mani… ».
La pelle di Elafo era scossa da sottili tremori. Gli angoli delle sue labbra si piegarono in una smorfia puerile. «Per colpa dell’oro… non mi accarezzerai più?»
            Una scheggia si ruppe nel seno di Mida, e la gioia vaga che aveva tentato di trattenervi si dissolse. «Ma perché parli così, amica mia? Ora… ora posso darti tutto l’oro che vuoi! E puoi sfamare i tuoi fratellini… E tornare a casa tua…!»
            «Non parlare così!» ringhiò la serva sbigottita, serrando i pugni. «Non mi interessano i fratellini! Non m’interessa l’oro! Non voglio vederlo! Ho paura!»
            Mida trattenne il fiato, stravolta dalla reazione dell’amata. «Che sciocca», mormorò tra sé e sé in gola. Si chinò a terra e con veemenza strappò un fiore, che si tramutò all’istante in oro puro. «Prendilo, amica mia… Ti prego, prendilo…»
            «Non voglio…!» Elafo indietreggiò terrorizzata dal prodigio, o forse da quello stesso fiore dorato. «Non lo voglio! Non lo voglio….!
            «Ti prego, prendilo, e aiuta i tuoi fratellini».
            Le spalle di Elafo erano ormai premute contro il muro, e il viso stravolto di Mida, conteso tra dolore, paura e gioia, sovrastava il suo. «Non voglio l’oro…» ansimò, «perché l’oro è pericoloso… L’oro ci acceca…! L’oro non ci dà la felicità!»
            «Come puoi credere a quel che dici?»
            «Perché fu la tua carezza a guarire la vecchina… non il tuo oro».
            Mida sgranò gli occhi, trafitta da quelle parole. «Prendilo, coraggio», sussurrò in un ultimo stanco sforzo.
Ma Elafo si lasciò andare al pianto. «Basta…»
            La principessa serrò le ciglia, stordita dalle sue stesse emozioni, e quando le riaprì, una scia dorata le irrorò le guance. Un barlume di lucidità si riaccese davanti a lei, e finalmente comprese quale fosse il prezzo da pagare per il suo dono. Quale fosse il prezzo da pagare per aiutare gli altri.
            «Elafo…» mormorò sottovoce. «Hai ragione: l’oro ci acceca…»
            Le membra della serva erano straziate dai singhiozzi, e i suoi occhi da cervo racchiudevano in sé un firmamento di stelle.
            «Elafo», insistette Mida. «Accarezzami».
            La serva deglutì. «Stai piangendo oro…»
            «Lo so», rise Mida. «Ma non ti farà del male, né te ne farò io».
            E senza dirsi null’altro, dimentiche delle proprie paure, si cinsero nel più consapevole e gioioso degli abbracci.
            Le loro guance si sfiorarono carezzandosi l’un l’altra, e le lacrime d’oro della principessa rincorsero la scia di quelle dell’amata. Mida ripensò a tutto il bene che il suo oro aveva portato, e non provò alcun pentimento per quanto accaduto. Né mai ne provò per la scelta di essere felice, nonostante la consapevolezza dei tanti pianti che avrebbero continuato a dissetare il mondo.
Questa, miei eterni fanciulli, è la mia storia. Con tutto il cuore vi invito ad amare voi stessi e a prescindere dall’altrui felicità, e solo allora comprenderete quanto più preziose dell’oro siano le vostre carezze.




Salve, gente! Ho scritto questa storia per un concorso indetto su Wattpad, il #MonthShot di Maggio di @WP_advisor. La storia, come forse avrete notato, è ispirata al mito di Re Mida (in particolare alla rivisitazione di Hawthorne). Per quanto riguarda il concorso, il tema era incentrato sulle fobie, ma sfortunatamente non sono riuscita a rispettarlo appieno. Nella speranza che quanto ho scritto sia comunque di vostro gradimento, vi invito ad esprimere le vostre opinioni senza paura (o senza fobie?).
Un saluto, e a presto!
Ninotchka
   
 
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