II.
Il caso delle
sette sterline
-
Sette... sterline? - fece
stupito Holmes.
- E quattro penny, per essere
precisi - puntualizzò Neareby.
Quello che seguì fu in assoluto
una delle scene più strane (e divertenti) che siano mai
accadute al 221B di
Baker Street in mia presenza. Non potrò mai scordare la
repentina
trasformazione di Holmes: la sua pazienza, già messa a dura
prova da
quell'uomo, raggiunse infine il proprio limite e nemmeno la sua mente
fredda e
analitica poté porre un freno alla sua reazione furibonda.
Sherlock Holmes
pareva infine essersi stancato di quello scocciatore, e per la prima e
unica
volta in tanti anni di collaborazione lo vidi avvampare dall'ira: il
suo viso,
di norma pallido e rilassato, assunse in pochi attimi un colore rosso
vivo,
mentre i muscoli del suo collo si irrigidirono lasciando scoperta e
bene in
evidenza una vena che pulsava. E fu così che Sherlock Holmes
si ritrovò sul
punto di dare di matto.
Nonostante quello fosse
oggettivamente uno spettacolo spaventoso, riuscii a trattenere a stento
le
risate. Quel tale forse non se n'era reso conto, ma stava arrecando al
mio
amico la più terribile delle offese: gli stava chiedendo,
anche con
inappropriata insistenza, di risolvere un problema assolutamente banale
e
ordinario, per di più dopo essere venuto a disturbare la
quiete di Baker Street
non una ma ben due volte e aver inoltre dato sfoggio di un'arroganza
che
avrebbe fatto invidia al più spocchioso dei giovani nobili
della mia
generazione.
In quel momento Holmes sembrava
una tigre pronta a saltare addosso alla sua preda, che in questo caso
non era
un criminale incallito ma semplicemente un borghesuccio taccagno e
pieno di sé.
Senza volerlo mi ritrovai a sogghignare, mentre Dawson e la signora
Hudson
osservavano stupiti Holmes: probabilmente era la prima volta che lo
vedevano
così, e per questo ne erano rimasti molto impressionati.
- Allora, signor Holmes? Mi
aiuterà? - lo incalzò Neareby, non rendendosi
conto del guaio in cui si era appena
cacciato.
Qualcuno, leggendo queste righe,
potrebbe pensare che la reazione del mio amico sia stata esagerata se
non
addirittura spropositata, ma posso assicurare che non fu affatto
così. Dal suo
punto di vista infatti era un affronto imperdonabile quello di
sottoporgli dei
problemi così semplici da essere solo delle perdite di
tempo; inoltre il signor
Neareby non aveva usato né le migliori argomentazioni e
nemmeno delle belle
maniere al fine di ottenere l'aiuto di Holmes, e ciò
dimostra che quell'uomo
non era del tutto esente da colpe.
A proposito di quel tipo... Dopo
aver parlato, Nicholas Neareby se ne restò immobile ad
osservare
impazientemente Holmes, in attesa di qualche sua reazione. Reazione che
non
avrebbe tardato ad arrivare se io e Dawson non avessimo trattenuto
Holmes dai
suoi improvvisi istinti omicidi. Mi ero sì divertito ad
osservarlo offendersi,
ma subito dopo mi ero reso conto che il mio amico non avrebbe esitato
ad usare
le maniere forti contro quel povero sciocco per vendicare il torto da
lui
subito. Io e il valletto ci affrettammo quindi ad avvicinarci a lui e,
pur
dolcemente e in modo discreto, lo trattenemmo dall'avanzare per dare
sfogo alla
sua rabbia.
Il nostro intervento fu quanto
mai provvidenziale. Al nostro tocco infatti Holmes parve accorgersi di
ciò che
stava per fare, e dopo pochi attimi riuscì a tornare in
sé. Si fermò, fece un
profondo respiro ad occhi chiusi per tranquillizzarsi e poi,
schiarendosi la
voce, si rivolse al suo interlocutore. I suoi occhi tuttavia ancora
fiammeggiavano per l'ira e l'unico a non accorgersene pareva essere
proprio
Nicholas Neareby, il quale probabilmente non si era nemmeno reso conto
delle precedenti
intenzioni del mio amico.
- Molto bene - si schiarì la voce
Holmes, guardando assai male il suo nuovo cliente - Ho ascoltato la sua
storia
e ho deciso di occuparmi del suo caso.
- Bé, mi sembra anche il minimo
dopo che sono stato trattato così sgarbatamente da quella
donna! - replicò
Neareby alludendo alla signora Hudson.
Holmes necessitò di tutto il suo
sangue freddo - e della presenza mia e di Dawson - per non ricadere
nella
tentazione di arrecare del male fisico a quell'arrogante. Anche se, lo
confesso, a quel punto l'uomo mi era venuto in antipatia e sarei stato
ben
contento se il mio amico gli avesse dato una lezione. Era sconcertante
come quel
tipo non si fosse ancora reso conto di star offendendo terribilmente
Holmes, ed
ero sicuro che in ogni caso il mio amico non si sarebbe affatto
dimenticato di
quest'affronto.
- Mi lasci farle qualche domanda,
signor Neareby. - disse Holmes con una vena che gli pulsava (stavolta
nella
tempia) per la frustrazione.
- Va bene, sentiamo. - fece
l'altro, scocciato.
Holmes ebbe bisogno di un altro
respiro calmifico per potersi definire in condizione di lavorare, e un
momento
dopo cominciò con le domande.
- Dov'è avvenuta esattamente
l'aggressione? - chiese.
- Non ricordo bene - rispose
Neareby seccato - Forse mi trovavo davanti al 225, più o
meno. Non sono sicuro.
- Che aspetto avevano i due che
l'hanno aggredita?
- Purtroppo l'alcool non mi
faceva vedere con chiarezza, e ricordo poco più che due
indistinte sagome nere.
- Con cosa l'hanno colpita alla
testa?
- Non lo so proprio! - sbottò a
quel punto l'uomo - Ma doveva essere un oggetto assai grosso
perché stamattina,
quando mi sono specchiato, ho visto il mio capo tutto tumefatto.
Per dimostrare che ciò che diceva
era vero si tolse il cappello e ci mostrò la testa. Nella
punta, dove i capelli
erano più radi o del tutto assenti, c'era un enorme livido
tondo e blu scuro
con un paio di piccoli bernoccoli a contornarlo.
- E' tornato a casa sua ieri sera
dopo l'agguato? - chiese a quel punto Holmes.
- Ma che c'entra? - replicò
Neareby irritato mentre si rimetteva il cappello.
- E' tornato a casa sua oppure
no? - chiese ancora Holmes quasi gridando, seccato per il comportamento
del suo
cliente.
- No - rispose quello infine -
Avevo paura che mi aggredissero di nuovo e così sono andato
a dormire da un
amico che abita qui vicino.
- Quindi lei non ha ancora
rivisto sua moglie?
- Si può sapere cosa ci incastra
mia moglie con questa storia?!? - esclamò scandalizzato
Neareby - Che razza di
domande mi sta facendo?
Un'occhiataccia di Holmes lo
spinse tuttavia a lasciar perdere con le sue rimostranze, e piuttosto
decise di
rispondere a ciò che gli veniva chiesto.
- No. - ammise - Questa mattina,
dopo essermi dato una sistemata, sono venuto direttamente qui da lei.
E' da
ieri mattina che non metto più piede in casa mia.
- Molto bene - disse Holmes -
Torni questa sera e vedrò cosa posso fare per lei.
Nicholas Neareby parve
esterrefatto.
- Ma... - balbettò - Perché
stasera?
Holmes non rispose e lo ignorò.
- Perché non si mette al lavoro
subito? - lo incalzò Neareby - Questo è un affare
della massima importanza!
- Buongiorno signore, a stasera.
- gli rispose cordialmente Holmes, voltandosi poi per salire le scale
che
conducevano al suo appartamento.
- Torni qua! - gridò Neareby
mentre tentava di raggiungerlo.
Ma quando Sherlock Holmes
congedava qualcuno non c'era possibilità alcuna di ottenere
più tempo con lui.
Mentre Dawson si occupava di trattenerlo e di riportarlo fuori, io
seguii
Holmes ed entrambi tornammo nel nostro appartamento. Appena rientrato,
il mio
amico si mise imbronciato sulla sua poltrona e prese a fumare la pipa.
Io mi
sedetti di fronte a lui e stetti in silenzio, preferendo non
disturbarlo: avevo
già potuto constatare quanto fosse pericoloso l'avere contro
Sherlock Holmes, e
avrei cercato per quanto mi era possibile di non farlo alterare. Mi ero
tuttavia ripromesso di non perderlo di vista: era mio dovere di medico
impedire
che Holmes, per il nervosismo causatogli da Neareby, riprendesse a fare
uso di
droghe.
Fu proprio per questo che, quando
poco dopo egli cominciò a ridere sommessamente, mi sorpresi
e mi inquietai
alquanto. Era rarissimo sentire Holmes ridere, e nonostante sapessi del
suo
corrente stato affatto tranquillo mi preoccupai lo stesso per lui. Era
stato
forse abbastanza lesto da assumere qualcosa mentre mi ero distratto per
un
attimo? Non lo sapevo, e la mia curiosità medica mi spinse
immediatamente ad
indagare.
- Che è successo, Holmes? - gli
chiesi.
- Nulla, nulla... - mi rispose
lui, sempre ridacchiando.
Quel suo strano atteggiamento mi
aveva reso nervoso, ma cercai di non darlo a vedere incalzandolo con le
mie
domande.
- Come va il caso? - feci - E'
già arrivato alla soluzione?
- Ovvio. - rispose Holmes, sempre
sorridendo - Sapevo già tutto prima di finire il colloquio
col signor Neareby.
Era un problema molto banale, e anche un dilettante ci sarebbe arrivato
in
breve tempo.
- Quindi sa già chi sono i
colpevoli del furto?
- Sì.
Il sorriso di Holmes si fece
impercettibilmente più largo.
- E allora perché avete detto a
Neareby di tornare stasera? - chiesi allora, confuso - Non sarebbe
stato meglio
dirgli i nomi dei colpevoli così che potesse andare dalla
polizia a sporgere
denuncia? Almeno ci saremmo definitivamente tolti dai piedi quello
scocciatore!
- Non ha tutti i torti, mio caro
Watson - mi rispose Holmes - Ma ho i miei motivi per non aver agito
come ha
detto lei. E poi, anche se gli avessi detto i nomi dei colpevoli,
quell'uomo
avrebbe solamente avuto ancora più guai.
- In che senso? - chiesi,
incuriosito.
- Non c'è fretta, Watson, non c'è
fretta. - fece pacatamente Holmes - Tutto a suo tempo.
A quel punto aveva finito di
fumare la pipa, e così si alzò.
- Vede - continuò - Visto il
comportamento così sgarbato del mio illustre
cliente, ho deciso di
divertirmi un po' con lui.
Si mise gli abiti pesanti e il
cappello per uscire nella fresca aria del mattino, e mentre si avviava
verso la
porta prese con sé il suo frustino.
- Caro Watson, posso assicurarle
che prima di domani lei avrà abbastanza materiale da
scrivere un bel resoconto
e, perché no, anche per farci due risate su.
Detto questo uscì e non tornò se
non dopo un paio d'ore, poco prima di pranzo. Sembrava molto contento e
soddisfatto del suo operato a giudicare dal sorrisetto che ancora non
gli aveva
abbandonato la faccia.
- Vuole sapere com'è andata,
Watson? - mi fece - Bene, molto bene. Mi perdoni se non l'ho portata
con me, ma
volevo essere io il solo a godermi un certo spettacolo. Non si
preoccupi però,
presto anche lei riderà insieme a me: le dico già
che oggi ci aspettano alcune
visite. Nel frattempo perché non mangiamo? Sento
già il profumo dello stufato
della signora Hudson.
Pranzammo e trascorremmo alcune
ore a discutere serenamente di musica, e come aveva predetto il mio
amico
ricevemmo alcuni ospiti nel nostro appartamento. Erano più o
meno le cinque
quando sia io che Holmes udimmo distintamente dei rumori provenire dal
piano di
sotto: si trattava di un rapido scalpiccio di piedi, come se qualcuno
avesse
salito di corsa le scale, e così ci interrompemmo per vedere
cosa sarebbe
accaduto di lì a poco.
Detto fatto: dopo alcuni istanti
la nostra porta si spalancò e ricevemmo la prima visita. E,
a dire il vero, il
nostro visitatore era piuttosto singolare: più che vestiti
portava addosso
degli stracci sgualciti, era minuscolo di statura - poco più
alto del pigmeo
che una volta aveva quasi ucciso me ed Holmes - e aveva una faccetta
glabra ma
vispa e dall'espressione furbetta. In altre parole si trattava di uno
dei
cosiddetti "Irregolari" di Baker Street, un bambino che tuttavia non
avevo mai visto o a cui comunque non avevo mai fatto caso.
- Eccolo, signor Holmes! - gridò
appena fu entrato - L'ho ritrovato!
Detto questo si piegò in due, e
tutto sudato cominciò ad ansimare e a tirare lunghi respiri.
Sembrava essere
appena rientrato da una lunga ed estenuante corsa, e da com'era
imbrattato di
polvere non faticai a crederlo possibile. In mano teneva un oggetto che
a prima
vista non riconobbi. Sembrava piccolo e peloso; forse era un animale
morto o
un'altra cosa sgradevole che io non avrei mai toccato per nulla al
mondo.
- Sono contento di ciò, Timmy -
rispose Sherlock Holmes, prendendoglielo senza mostrare la mia stessa
ripugnanza.
- Ho dovuto... girare... per
tutta Fulham... per ritrovarlo... - ansimò il bambino - Non
è stato... per
niente... facile...
- Non ne dubito - replicò il mio
amico - Almeno adesso hai imparato a non dar via immediatamente tutto
ciò che ti
passa tra le mani. Vieni qui, giovane Tipps, eccoti uno scellino per il
disturbo.
- Grazie, signor Holmes! -
esclamò il bambino, tornato improvvisamente pimpante mentre
prendeva la
monetina dalle mani di Holmes - Grazie di cuore!
- Ringrazia la tua fortuna
piuttosto. Ora va, e ricordati di questa preziosa esperienza!
E così, esattamente com'era
entrato, il ragazzino se ne corse fuori come una furia lasciandoci
soli. Ero
rimasto molto sorpreso da quell'ingresso e da quell'uscita
così repentini, e
non potei fare a meno di guardare Holmes e l'oggetto che teneva in mano
con
aria interrogativa. Osservandolo più da vicino mi parve di
riconoscerlo: si
trattava di un portafogli di pelle di qualità assai scadente.
- Esatto, è proprio quello che
crede - mi confermò il mio amico - E' il portafoglio perso
da Nicholas Neareby.
E quello che avete appena visto uscire era uno dei colpevoli della
"brutale" aggressione ai suoi danni.
- Cosa? - esclamai stupefatto -
Quel bambino?
- Esatto, proprio quel bambino -
fece Holmes - Sembra difficile da credere, vero? Così
minuto, così mingherlino.
Ma attenzione: anche così agile, così svelto di
mano. Non bisogna mai giudicare
dalle apparenze.
Restai a bocca aperta: l'idea che
un ragazzino così piccolo come Timmy Tipps fosse riuscito a
derubare e anche a
fare del male ad un individuo come Nicholas Neareby, un tipo non grande
e
grosso ma pur sempre un gigante se confrontato a quel bambino, era a
dir poco
sconvolgente. Holmes notò la mia espressione stupefatta e
sorrise.
- Vedo che ancora la dinamica dei
fatti non le è chiara. - constatò - Allora vuol
dire che sarò costretto ad
esporgliela. Lei, Watson, sa bene quanto io odi i problemi banali, e in
circostanze normali avrei rifiutato di occuparmi di questo caso senza
pensarci
due volte. Ma dato il comportamento tenuto dal mio cliente ho preso la
decisione di andare fino in fondo a questa storia unicamente per sfizio
personale, sfizio che credo a breve anche lei sentirà come
suo.
- Come le ho già detto, avevo
capito quanto era capitato al signor Neareby solamente dal colloquio
che ho
avuto con lui giù di sotto. Ho intuito l'identità
dei due delinquenti quasi
immediatamente, ma per non confonderla andrò per gradi.
Suppongo che anche lei,
dottore, abbia notato la particolare forma della tumefazione sulla
testa del
mio cliente.
- Sì - risposi io - Era enorme e,
cosa strana da dire, perfettamente circolare.
- Esatto. Neareby aveva
dichiarato di essere stato colpito alla testa da dietro, ma quale
oggetto
contundente avrebbe mai potuto lasciare un segno del genere?
- Non ne ho la minima idea.
- Avanti, ripensi a quando gli
chiesi di sua moglie.
- Non vedo come le due cose
possano essere collegate.
- Caro Watson, lei deve cercare
di immedesimarsi nei panni della signora Neareby. Se dopo una dura
giornata di
ancor più duro lavoro lei non vedesse rientrare suo marito e
poi venisse a
sapere che egli ha guadagnato una grossa somma che in quel momento sta
sperperando in un pub di dubbio gusto per ubriacarsi, come reagirebbe?
- Bé, indubbiamente male.
- Esatto! Quindi la reazione di
Joanne Neareby è stata perfettamente comprensibile.
- Cosa? - replicai incredulo -
Vuole dire che è stata sua moglie ad aggredirlo?
- Proprio così. Vede Watson,
Boston Street e Marylebone non sono poi zone così lontane
tra loro, e le
notizie dall'una all'altra viaggiano in fretta. Una volta saputo che il
marito
stava facendo allegramente baldoria la signora si è
infuriata e ha deciso di
andare a dare una bella lezione al suo uomo. E per farlo si
è armata dell'unico
strumento da lavoro che aveva a portata di mano in quel momento, ovvero
una
comune padella da cucina.
- Come ha detto?!?
- Ha sentito bene, una padella.
Ci pensi: superficie estesa, metallo sottile e per questo flessibile e
malleabile, facile da maneggiare; cosa c'era di meglio? E ora pensi al
livido
di Neareby: grosso, rotondo, dal colore uniforme. Capisce cosa intendo?
- Neareby è stato colpito da una
padella in testa! - replicai, figurandomi mentalmente la scena e
sorridendo al
pensiero.
- E' andata proprio così - continuò
Holmes - Disgraziatamente per il mio cliente sua moglie l'ha colto qui
in Baker
Street e non ha esitato a dargli addosso. Ed è qui che
è sopraggiunto Timmy
Tipps. Baker Street rientra nella sua zona di caccia, e i poveri
sprovveduti
che non mettono al sicuro il proprio portafoglio si ritroveranno
sicuramente
senza di esso una volta passati di qui.
- Ecco com'è andata: Timmy Tipps,
sempre in agguato per avventarsi sulle sue vittime, ha notato del
trambusto e
ha subito pensato che potesse essere una buona occasione per lui. Si
è così
approssimato al signor Neareby e gli ha sfilato il portafoglio dai
pantaloni,
lo stesso portafoglio che adesso lei vede nella mia mano sinistra.
- Ma le forme evanescenti? - gli
chiesi - Neareby ha detto di aver preso a pugni i suoi aggressori e di
averli
visti essere trapassati dai fendenti senza che subissero il minimo
danno.
- Oh, questo è facilmente
spiegabile - replicò Holmes - I fumi dell'alcol possono
distorcere i sensi e la
percezione di un uomo facendogli vedere cose sì
strabilianti, ma assolutamente
false. Neareby non ha trapassato nessuno con i suoi pugni: Timmy Tipps
era
semplicemente troppo basso per essere colpito, mentre sua moglie
dev'essersi
scansata. Il cervello di Neareby doveva essere tuttavia troppo
stravolto per
percepire distintamente la realtà che lo circondava, ed
è così che è nata
questa storia dei fantasmi.
- Vede, Watson, è strabiliante
ciò che la mente dell'uomo è in grado di
inventarsi pur di giustificare quello
che vede. E' come un immenso dono: senza di esso dove sarebbe la
fantasia? Ma,
come ha potuto constatare anche lei, nelle mani di Nicholas Neareby
questa
grande capacità si è trasformata in un inutile
spreco.
Holmes si interruppe, concludendo
l'ultima frase in tono amareggiato. Potevo ben capire il motivo della
sua
delusione: una mente vivace in una testa ottusa era di certo il
peggiore dei
mali. Prima di riprendere a parlare il mio amico accese la sua pipa e
ne trasse
un paio di profonde boccate, come per rilassarsi.
- E' a questo punto - riprese -
Che sono entrato in scena io. Si sarà sicuramente chiesto
dove me ne fossi
andato oggi; se così è stato ora le sto per
rispondere. Prima di tutto, sicuro
del coinvolgimento di Timmy Tipps, mi sono recato nel tugurio che usa
come tana
e l'ho convinto un po' con le parole e un po' col frustino a ritrovare
il
portafoglio di Neareby. Subito dopo sono corso in Boston Street
perché non mi
volevo perdere la scena che ero certo stesse per accadere.
- Le mie speranze non andarono
deluse. Arrivato che fui in Boston Street scorsi immediatamente una
folla di
sfaccendati radunata di fronte a quella che doveva essere casa Neareby.
Dentro
di essa doveva star accadendo il finimondo, poiché le grida
si sentivano fino
in strada. Non ebbi bisogno di chiedere informazioni perché
esse erano urlate e
ben udibili da tutti: le implorazioni di pietà del nostro
cliente e le
maledizioni e gli improperi lanciatigli da sua moglie parlavano per
loro.
- In strada la gente rideva a
crepapelle, e addirittura alcuni si stavano rotolando per terra dalle
risate.
Perfino il poliziotto che monitorava la situazione non poteva fare a
meno di
sorridere. Mi avvicinai alla folla e interrogai alcune persone, che
scoprii
essere per la maggior parte vicini di casa di coloro che nel frattempo
si stavano
scannando qualche iarda più in là. Dalle risposte
che ottenni emerse che molti
di loro la sera precedente avevano visto uscire di casa la signora
Neareby
furiosa e con una padella in mano giusto pochi minuti prima
dell'aggressione.
- A quel punto non avevo bisogno
di ulteriori dettagli e me ne sono tornato qui, ad aspettare che gli
eventi
facessero il loro corso. E se non sbaglio quello che sento dev'essere
proprio
il signor Neareby che sta salendo.
Mentre Holmes concludeva il suo
discorso c'era infatti stato un bel po' di trambusto al piano di sotto,
e pochi
attimi dopo la porta del nostro appartamento si era aperta per rivelare
un
affranto Nicholas Neareby. Egli aveva l'aria distrutta e i suoi vestiti
apparivano tutti in disordine, il cappello messo di traverso e la
giacca che
pendeva scomposta da una parte. Conoscendo la causa di quella
confusione non
potei fare a meno di ridacchiare, ma Neareby parve non accorgersene.
- Signor Holmes... - ansimò
invece, rivolto al mio amico.
- Signor Neareby! Bentornato! -
esclamò l'interpellato.
- La prego... - continuò Neareby
- Cose terribili... Io...
- Immagino, immagino - disse
Holmes sorridendo - Lei è messo piuttosto male. Sua moglie
deve proprio averla
conciata per le feste!
- C-come fa...? - balbettò
l'altro.
- Ho le mie fonti, signore -
replicò fulmineo Holmes - Vedo che lei ha passato un brutto
quarto d'ora, ma
forse ho qualcosa che sarà in grado di tirarla su di morale.
Il viso di Neareby
improvvisamente si illuminò.
- Il mio portafoglio! - esclamò -
L'ha ritrovato?
- Certamente - fece Holmes
porgendoglielo - Eccolo qua.
Neareby se lo fece quasi scappare
dalle mani per l'emozione. Il suo faccione si imporporò
assai più del normale
mentre si profondeva in inchini e salamelecchi per Holmes, e subito
dopo aprì il
portafoglio con gli occhi che luccicavano. Ciò che al suo
interno vide - anzi,
non vide - bastò per far svanire ogni traccia di gioia in
lui. Le sue guance
rosse acquistarono in breve un livore perlaceo, e cominciò a
spostare
velocemente i suoi occhi sgranati dal portafoglio al mio amico e
viceversa.
- Ma... E' vuoto! - tuonò,
esterrefatto.
- Signor Neareby, lei dovrebbe
essere più preciso quando dà delle direttive! -
lo ammonì Holmes - Stamani lei
mi ha chiesto solamente di ritrovarle il suo portafoglio; doveva
specificare
che desiderava riavere anche ciò che vi era contenuto!