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Autore: Damnatio_memoriae    01/06/2017    6 recensioni
Andrea è una studentessa che ama scrivere.
Vittoria è una studentessa che ama leggere.
Sembra già tutto preparato a tavolino e lo sarebbe ancora di più se entrambe si rendessero conto di chi è la persona che hanno vicino. Ma fraintendersi è facile, troppo facile, e le parole possono far male, soprattutto quelle scritte. Sono gli opposti che si attraggono o i simili che si pigliano?
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
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On my own
 
Capitolo I
 
There’s gotta be another way out
I’ve been stuck in a cage with my doubt
I’ve tried forever getting out on my own
 

Da lontano Noemi osservò Sasha venirle incontro. Procedeva a passi spediti, battendo i piedi a terra come un maresciallo, i capelli rossi spettinati, la bocca ridotta ad una linea dura, gli occhi infuocati. Era arrabbiata, furiosa, delusa e adesso che anche il suo amico sapeva della loro relazione clandestina si sentiva messa a nudo, scoperta, senza più la possibilità di nascondersi dietro alcuna bugia. Poteva solamente sperare che Luca le volesse ancora bene al punto da non andare a spifferare il suo segreto a qualcun altro.
Sasha si arrestò a pochi passi da lei. Allungò le braccia, stringendo le sue spalle in una morsa ferrea, scuotendola. «Che cazzo ti è saltato in mente?!» le urlò sul viso.
Noemi, questa volta, mantenne il suo sguardo. «Mi avevi promesso che glielo avresti detto!».
«L’avrei fatto!».
«No, non è vero!» la spintonò via «Non credo più ad una sola parola di quello che dici!».
«La cosa vale anche per me!».
Noemi si strinse nelle spalle nel tentativo di smettere di tremare o, quantomeno, di non farlo vedere a Sasha. «Mi avevi assicurato che non c’era mai stato nulla tra di voi…».
«È solo un amico».
«Bhe, lui non la pensa così, me lo ha fatto capire molto chiaramente!».
«E quindi hai pensato bene di aprire la bocca e raccontagli qualsiasi cosa?».
«Non ho avuto altra scelta» ribattè un po’ meno convinta, asciugandosi con le dita una lacrima prima che le sfuggisse dall’occhio.
«Tutte stronzate» la liquidò Sasha, passandosi una mano tra i capelli.
«Mi ha messa alle strette!».
«Oh, ma per favore!».
Noemi si morse le labbra. «Hai sempre creduto più a lui che a me…».
«E continuerò a farlo! È il mio migliore amico, siamo cresciuti insieme, mi è stato vicino nei momenti più difficili, momenti di cui tu non conosci nemmeno l’esistenza».
«È stata una tua scelta escludermi Sasha, non mia».
«E ho fatto bene, direi. Sei solo una stupida che è entrata a gamba tesa nella mia vita senza permesso e in meno di un anno me l’ha rovinata. Non voglio più vederti Noemi. Per me hai smesso di esistere».
 
Andrea rilesse velocemente le ultime righe del romanzo che aveva scritto. Non era stato un capitolo facile e per lei, che prima di buttare giù qualche parola doveva pensarci e ripensarci, si era rivelato un lavoro più lungo del previsto. Caricò il sito in un’altra scheda internet e, dopo aver completato il login, aggiornò la sua terza storia – che andava avanti ormai da un annetto buono – inserendo il testo e il titolo.
Alzò gli occhi sull’orologio accanto alla scrivania. Erano le 7,10 di un martedì qualunque e fuori la pioggia che bagnava le strade faceva ormai capire che l’inverno stava arrivando. Afferrò qualche matita, il diario, il blocco per gli appunti – che diventava troppo spesso un blocco pieno di storie e spezzoni di dialoghi -, i libri delle lezioni. Si pulì gli occhiali dalla montatura grigia, leggermente squadrata, si sistemò sulla testa il berretto, aggiustando la frangia, e si avvolse nel giubbotto e nella sciarpa.
La fermata del pullman era già piena di studenti e più il 15 si avvicinava alla sua scuola, più il mezzo si riempiva senza che nessuno dei passeggeri scendesse. Varcò il cancello dell’istituto e aspettò il suono della campanella vicino alla scalinata, da sola. Non era difficile dividere, in mezzo a quell’ammucchiata di ragazzi, gli studenti del Classico da quelli, come lei, dell’Artistico, sia perché i primi erano rivolti verso l’entrata più a sud mentre i secondi verso quella più a nord, sia perché i capelli blu, i tatuaggi, i piercing, gli abiti di dubbio gusto, parlavano da soli.
Non c’era nulla che Andrea detestasse più dei pregiudizi, ma doveva ammettere che la differenza, ad un occhio esterno, era più che lampante. Non le stavano particolarmente simpatici quelli del Classico: tutti un po’ scontrosi, sempre un po’ con la puzza sotto il naso, sempre pronti a rimarcare la differenza fra i loro studi e quelli di qualsiasi altro istituto. E se si trattava di un artistico, poi, apriti cielo! Eppure, come ripeteva sempre la loro professoressa di Storia dell’Arte, la Cappella Sistina non era stata dipinta da Cicerone.
In lontananza Andrea intravide qualche suo compagno, ma rimase deliberatamente in disparte. Non le piaceva la sezione in cui l’avevano smistata al terzo anno, dopo che la sua classe era stata smembrata. Non credeva di essere una ragazza facile da capire, ma di certo il fatto che l’avessero tutti etichettata come il bastian contrario della situazione non aveva agevolato le cose.
Prese il cellulare dalla tasca e controllò il suo aggiornamento: 7 nuove visualizzazioni del suo capitolo, ma ancora nessuna recensione. Non che si aspettasse qualcosa di diverso: aveva attivato il messaggio automatico all’indirizzo e-mail e nessuna notifica le era arrivata.
La campanella suonò e lei prese posto nella prima fila, il banco appoggiato al muro. Sinceramente non capiva tutta quella voglia di rifugiarsi negli ultimi posti, specie contando che dalla terza fila lei non sarebbe riuscita più a vedere quello che c’era scritto alla lavagna. La vista le era calata di nuovo, ma al momento non aveva risparmi per farsi cambiare le lenti. Di questo passo sarebbe diventata davvero una talpa, come suo padre.
Durante la lezione dell’Amatuzzi, Andrea scarabocchiò qualche schizzo sul taccuino e per la prima ora si concentrò davvero nel prendere appunti, ma poi si perse a guardare il foglio bianco e le venne qualche nuova idea per la sua storia, che subito decise di mettere nero su bianco, prima di dimenticarsi. Da sotto il banco controllò anche il cellulare, mentre la professoressa era distratta a contemplare le slides sul Brunelleschi (era il Brunelleschi?). Aveva due nuove recensioni.
Un sorriso le affiorò subito sul volto. Chissà se anche lei aveva commentato…
Col pollice scorse in basso sul display, ma quando lesse i nicknames dei due profili che le avevano lasciato una recensione venne presa dalla delusione. Di Maeries90 nemmeno l’ombra.
 
Ciao! È da molto che seguo la tua storia. Che dire? Adoro Sasha, anche se mi è dispiaciuto tremendamente per Noemi. Insomma, Luca si è comportato da vero s****o, eppure Sasha se l’è presa con l’unica persona che non c’entrava nulla. Spero facciano pace al più presto, anche se sono volate delle parole davvero pesanti. Aggiorna presto!
 
Questo capitolo era leggermente più lungo degli altri e l’ho apprezzato. Hai messo davvero parecchia carne al fuoco! Non vedo l’ora che Luca si levi dalle palle, è un essere fastidioso e spero che Sasha si renda conto che è Noemi la persona più importante della sua vita, non certo quel mezzo deficiente. Scusa lo sfogo, ma odio davvero il personaggio di Luca. Buon lavoro e a presto!
 
Andrea non poteva dire di non essere contenta. Era sempre entusiasta di constatare quanto la sua storia fosse seguita e forse erano proprio tutti quei commenti positivi a spingerla a continuare a scrivere, capitolo dopo capitolo, su quelle due ragazze, Sasha e Noemi, a cui Andrea si era particolarmente affezionata. Ed era ancora più contenta di vedere come i suoi sforzi venissero ripagati: non era facile per lei scrivere dieci pagine ben fatte, corrette e non scontate, e contemporaneamente andare a scuola e studiare per le verifiche. Ma quei commenti erano davvero un toccasana. Allora, forse, a qualcuno interessava davvero quello che sentiva, quello che aveva da dire. Ad una persona in particolare.
«Professoressa!» sentì urlare dietro di sé «Della Torre sta usando il telefono!».
All’istante Andrea oscurò il display e lo gettò con poca cura sotto il banco, ma l’Amatuzzi l’aveva già scoperta e lei era davvero una pessima bugiarda.
«Ma quanti anni hai, cinque?» sibilò al suo compagno, girandosi a guardarlo.
«Chi la fa l’aspetti. Sfigata» ribattè lui, portandosi le mani dietro la testa e stiracchiandosi.
«Della Torre, Salvemini, cosa state facendo?».
«So cosa non stavo facendo» rispose il ragazzo «io non usavo il cellulare».
La donna passò lo sguardo su entrambi i suoi alunni. «Della Torre» la riprese, avvicinandosi e allungando una mano «Il telefono».
Andrea non oppose alcuna resistenza.
«E tu, Salvemini…» continuò, tornando alla sua cattedra «Conosci così bene le opere del Brunelleschi da poterti permettere di guardare quello che fanno i tuoi compagni? Mi sapresti dire in che anni siamo?».
«Intorno al Settecento?» provò ad indovinare.
Andrea sbuffò sonoramente. «Ma almeno lo sai cos’è il Rinascimento?».
«No, preferisco avere una vita sociale, secchiona!».
«Meglio secchiona che capra!».
«Vediamo cosa dirai quando questa capra getterà i tuoi bei quadernini nel cesso!».
«Cos’è, vuoi forse un’altra sospensione?».
«Ragazzi, adesso basta!» li riprese entrambi l’Amatuzzi, minacciando di segnalare il loro comportamento sul registro.
Quando dopo due ore suonò la campanella, i suoi compagni si alzarono, la sigaretta stretta tra le dita o, per i più precoci, già in bocca. Anche Andrea fece per alzarsi e prendere dallo zaino il suo spuntino, ma dovette posare il cofanetto sul banco quando la professoressa le fece segno di raggiungerla, lo sguardo serio.
Salvemini, insieme al suo gruppetto di finti rockettari, la superò, urtandole volontariamente la spalla. «Ora sono tutti cazzi tuoi, secchiona» le sussurrò ridendo.
Andrea si diresse alla cattedra.
«Posso riprenderlo?» chiese, indicando il telefono posato vicino al registro di classe.
«Certo» acconsentì la donna «Ma non lo voglio più vedere durante le mie lezioni, sono stata chiara?».
«Si…».
«Hai una buona media Della Torre, non vale davvero la pena abbassarla per un brutto voto in condotta».
Andrea sollevò il sopracciglio destro. “Buona media?” pensò  “Soltanto una buona media? Ma se ho tutti nove!”.
«Va bene. Posso andare adesso?».
«No, aspetta, non ti ho chiamata per questo. Mi chiedevo: ti andrebbe di fare una certa cosa…?».
 
Vittoria si asciugò le mani bagnate sui jeans. Non erano neanche le undici e già la carta igienica nei bagni era finita, o forse nessuno l’aveva rimessa a posto dal giorno prima. Appoggiò la schiena alla parete, nel corridoio del quarto piano praticamente semideserto. Si divertiva a considerarla una zona quasi off limits, almeno per gli altri studenti. A destra e a sinistra solo le sale dei professori, la segreteria e, proprio davanti a lei, la porta dello studio del direttore, perennemente chiusa.
Si rigirò la sigaretta fra le dita, buttando un occhio alle finestre che si affacciavano sul cortile interno. Tutti i suoi compagni erano appollaiati sul muretto a mangiare e a fumare, qualcuno anche a copiare le risposte di greco prima che la Marchiandi decidesse di fare un controllo a tappeto.
Non le andava particolarmente a genio saltare i suoi quindici meritati e agognati minuti di intervallo, ma sperava che Matteo avesse abbastanza pietà di lei da ricordarsi di prenderle un caffè alle macchinette e tenerglielo da parte. Senza un briciolo di caffeina in corpo sarebbe stato davvero difficile reggere le due ore di greco successive.
Dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni estrasse il nuovo iphone, aprendo una scheda internet e cliccando sull’icona che aveva salvato fra i preferiti: On my own.
«Oh, eccoti…» si lasciò sfuggire con curiosità quando vide che la storia di Cecille92 era stata aggiornata proprio quella mattina. Ne scorse le righe tutto d’un fiato, mangiando ogni parola, estraniandosi per una manciata di minuti da quella mattinata così noiosa.
«Io impiego un’intera settimana per scrivere il pezzo e tu lo finisci in meno di dieci minuti: non mi rendi la vita facile!» le aveva scritto una volta in un messaggio privato.
Vittoria fra sé e sé aveva sorriso. «Prendilo come un complimento: se non mi fosse piaciuto mi sarei fermata a metà pagina».
L’aveva scoperta un paio di anni fa ed era subito diventata la sua autrice preferita. Non si era mai accontentata di nessuna serie che aveva trovato su quel sito: alcune erano davvero troppo scontate, alcune così piene di errori grammaticali da rovinarle la vista, altre, sì, si potevano salvare, ma nessuna l’aveva entusiasmata veramente. Sapeva di avere dei gusti molto difficili, ma aveva fatto bene a non accontentarsi. Le piaceva il modo in cui scriveva quella ragazza, la sua delicatezza nel tratteggiare la psicologia dei personaggi, il modo in cui dipingeva gli ambienti, anche quelli più comuni, e poi le emozioni che lasciava trasparire, il suo sarcasmo, i colpi di scena. Le aveva lasciato decine e decine di recensioni, ovviamente tutte positive – cosa non affatto scontata – e tra una risposta ed un’altra trovare dei punti di incontro era diventato naturale. La inorgogliva trovare di tanto in tanto, fra le note a fondo pagina, una dedica solo per lei. Non poteva dire di conoscerla a fondo, ma le chiacchierate che erano solite farsi, a volte anche a degli orari improponibili, le davano un senso di calma e sollievo. Sì, in un certo senso poteva dire che si fosse creata una buona sintonia tra di loro.
Era così immersa nella sua lettura che si accorse a malapena dell’arrivo di un’altra ragazza, la quale si sedette sul pavimento, senza troppe pretese, aspettando che arrivassero i professori e il direttore.
«Scusami…» la sentì dire e le ci volle qualche istante per capire a chi si stesse rivolgendo. Alquanto scocciata sollevò gli occhi dal telefono.
«Non adesso» le disse semplicemente, alzando un dito nella sua direzione per farle capire che le sarebbe occorso ancora un altro minuto.
L’altra le riservò un’occhiataccia da dietro quelle spesse lenti, ma rimase in silenzio. Non era molto alta e i capelli scuri erano stati evidentemente pettinati alla bell’e meglio. Un cardigan chiaro le copriva le spalle, ma ancora qualche secondo lì per terra e di chiaro non avrebbe avuto più molto.
Vittoria ultimò la sua lettura.
 
«E ho fatto bene, direi. Sei solo una stupida che è entrata a gamba tesa nella mia vita senza permesso e in meno di un anno me l’ha rovinata. Non voglio più vederti Noemi. Per me hai smesso di esistere».
 
Spalancò gli occhi per il finale inaspettato e dentro la sua testa l’immagine di Sasha prese forma in maniera molto chiara. Adorava quel personaggio, lo sentiva molto vicino, se non dal punto di vista fisico, almeno caratterialmente. E Noemi…bhe. Noemi era la classica ragazzina innamorata che con la sua semplicità sarebbe riuscita a far sciogliere anche una ragazza dal cuore di pietra come lei. Abbastanza nella norma, tutto sommato, ma d’altronde un po’ di romanticismo era d’obbligo.
Si fermò sul fondo della pagina e recensì il capitolo:
 
Ciao ragazzina! Finalmente aggiorni, sembra passata una vita! È sempre bello ricontrollare e vedere cos’hai scritto. Non mi dilungherò sulla forma, perché lo sai come la penso, credo tu sia molto brava. Per quanto riguarda Sasha e Noemi, un confronto ci voleva e l’hai reso in maniera magnificamente burrascosa. Mi piace che non sia sempre tutto rose e fiori. Effettivamente Noemi ha fatto il passo più lungo della gamba, e sappiamo come reagisce Sasha quando deve affrontare un cambiamento, ma sono sicura – o almeno lo spero – che riusciranno a chiarirsi. Sono molta curiosa di sapere come però, visto che la nostra “seme” si è lasciata scappare qualche cattiveria di troppo. Buon lavoro ragazzina, continua così!
 
Premette il tasto invio e internet le ricaricò in automatico la pagina, dandole conferma.
«Dimmi» disse poi all’altra ragazza, mettendo via il cellulare e passandosi una mano fra i capelli biondi nel tentativo di sistemarsi il ciuffo. «Scusami, non volevo essere maleducata, ma stavo leggendo una cosa importante».
Lei la guardò di sbieco, decisamente poco convinta. Gli occhi scuri, anche se grandi e ben definiti, erano duri e severi, la mascella squadrata e tesa. Sarebbe stata anche carina se avesse assunto un’espressione meno scocciata.
«Figurati» le rispose in monotono «Sei qui per…» lasciò la frase a metà quando un sonoro bip-bip la interruppe. Vittoria la osservò mentre guardava il display illuminato e per una frazione di secondo vide quel viso così burbero addolcirsi, l’espressione rilassarsi, le labbra distendersi.
Si grattò la punta del naso pensando che dovesse essere per forza il messaggio di qualche fidanzato, anche se non era sicura che lei avesse mai avuto quell’espressione quando le arrivava una nota vocale da Giorgio. Fece spallucce. Forse erano solo due modi diversi di concepire l’amore.
La mora chiusa il telefono e lo rimise a posto. «Dicevo…» continuò guardandola e riassumendo l’espressione che aveva tenuto prima, anche se gli occhi lasciavano intendere una certa felicità che non poteva essere mascherata «Sei qui per il colloquio sui rappresentanti d’istituto?».
Vittoria annuì. «E tu per cosa sei qui?» le domandò.
«Per lo stesso motivo».
«Ah…» fece dubbiosa «Non sapevo che quelli dell’Artistico avrebbero avuto un loro rappresentante quest’anno. Abbiamo sempre fatto tutto noi».
«Già, forse è per questo che me l’hanno chiesto».
«Con quale lista partecipi?».
«Lista?».
«Si…qualche collaboratore dell’ultimo anno».
«Ma io sono al terzo».
«Sei al terzo anno e non hai una lista?».
«La mia professoressa non ha specificato come requisiti la maggiore età e il marchio di una brigata» ribattè acida.
«Ok, ok, ragazzina, calma» sorrise alzando le mani e stranamente la vide arrossire all’istante.
«Non chiamarmi ragazzina!» la rimbrottò.
«Ma tu sei una ragazzina» specificò.
«Non importa».
«Non ho un altro nome con cui chiamarti» spiegò con semplicità, fermandosi la sigaretta dietro l’orecchio.
«Non ce l’hai perché non me l’hai chiesto» sbuffò.
«Sei sempre così acida o oggi è una giornata particolare?».
«Magari è particolare per te, visto che avevi una cosa così importante da leggere da liquidarmi in meno di tre secondi».
Vittoria incrociò le braccia al petto. «Sto ancora aspettando di sapere come devo chiamarti».
«Andrea» rispose controvoglia.
La bionda attese qualche istante prima di continuare, alzando gli occhi al cielo: «Non mi chiedi il mio?».
«Se ci tieni a dirmelo, fallo e basta».
«Certo che sei proprio un bel peperino, sai? Meno male che non sono una ragazza permalosa, altrimenti dietro di te ci sarebbe una platea di nemici».
«Chi ti dice che non ci sia?».
«Non mi meraviglia di certo» accennò un sorriso sardonico.
Andrea tamburellò con le dita sull’avambraccio. «Non ho capito: vuoi dirmi il tuo nome di tua spontanea volontà oppure ti piace sentirtelo chiedere?».
«Diciamo che sono abbastanza narcisista» la guardò maliziosa.
«Non mi meraviglia di certo» le fece il pappagallo.
«Senti, ma noi due ci conosciamo? Hai un viso familiare».
Lei contraccambiò il suo sorriso, ma non c’era nessuna traccia di divertimento «Ah, allora te ne sei ricordata».
«Tu…» ci pensò su Vittoria e quando un’immagine definita le balenò nella testa battè il pugno destro sul palmo sinistro «Tu sei quella che due anni fa ci ha fatto sospendere».
«Perché tu e i tuoi amici mi avevate ficcato la testa nel cesso prima di uscire da scuola? Già, proprio io».
Sollevò le spalle «San Valentino caccia al primino» spiegò come se fosse una motivazione sufficiente, ma poi vedendola farsi nera in volto aggiunse: «Oh, quanto astio… non te la sarai mica presa».
«Certo che no. Quando vado in chiesa prego il signore di farmi rivivere quella sensazione. Sai, per appagamento personale».
«Matteo è un tipo particolare, a lui piace scherzare sempre».
«Suppongo sia divertente fare i gay col culo degli altri».
«Ok, ok» scandì, alzando le mani in segno di tregua «Forse la mia è stata una constatazione…azzardata».
«No, è stata stupida» puntualizzò.
«Va bene, è stata stupida».
«Allora quelli del classico non sono poi molto svegli».
«No, infatti. A noi basta esserlo più di voi» le fece l’occhiolino.
Andrea serrò la mascella. «Come scusa?» chiese inalberandosi, appoggiandosi al muro per alzarsi, come se stare in piedi la rendesse più minacciosa.
«Hey tigre, non ti scaldare. Se ti piace giocare a questo gioco con me devi anche saperti difendere. Non basta attaccare».
La mora dovette mordersi un labbro per non ribattere con parole troppo offensive.
«Per quello che vale, comunque» continuò Vittoria dopo qualche istante di silenzio «Ho sempre pensato che anche quelli dell’Artistico dovessero avere un loro rappresentante. Insomma, noi non ce ne intendiamo poi molto di pennelli e…» fece dei giri con la mano «Tele, fogli, matite…robe così».
«Tele, fogli, matite e robe così?» ripetè «Stai scherzando? Credi che andare all’Artistico significhi solo, non so, scarabocchiare un po’ con i colori?».
«Guarda che il mio non voleva essere un commento offensivo».
«Bhe, non sembrava».
Arcuò le sopracciglia chiare. «Non è che forse sei tu che la stai prendendo troppo sul personale solo perché ti senti in difetto?».
«In difetto, io? Con i figli di papà?».
«Non so, forse ti trovi meglio con i rastaman e la marjuana».
«Io non ho i rasta e non mi faccio di marjuana».
«Così come io non sono una figlia di papà».
Silenzio.
«Se davvero vuoi essere una rappresentante d’istituto insieme a me – a noi» specificò «Credo sarà necessario mettere da parte questi luoghi comuni. Senza contare che saresti in netta minoranza».
«Io non ho alcun pregiudizio».
«Ah, no?» le sorrise, allungando una mano verso di lei, in segno di pace.
«No» disse stringendola.
«Allora credo tu debba migliorare nell’esposizione orale, ragazzina».
Arrossì di nuovo. «Non chiamarmi ragazzina».
«Va bene, ragazzina».
   
 
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