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Autore: Carme93    01/06/2017    2 recensioni
Anno 2021.
I Dodici della Profezia si preparano ad adempiere al loro destino, mentre la comunità magica piomba nel caos; ma è il tempo anche di affrontare i problemi e le discriminazioni sociali ignorate per secoli. E ancora una volta toccherà ai ragazzi far aprire gli occhi agli adulti. Ragazzi che a loro volta sono alle prese con i problemi tipici dell'adolescenza e della crescita.
Inoltre si ritroveranno a interagire anche con studenti stranieri e quindi con civiltà e realtà completamente diverse dalla loro. Questo li aiuterà a crescere, ma anche a trovare una soluzione per i loro problemi.
Questa fan fiction è la continuazione de "La maledizione del Torneo Tremaghi" e de "L'ombra del passato", la loro lettura non è obbligatoria ma consigliata.
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Nuova generazione di streghe e maghi | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione, Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo I
Il ritorno dell'incubo
 
Era stata una giornata buia e tempestosa. Le onde si erano abbattute ininterrottamente e violentemente sull’isoletta in mezzo al mar del Nord, alcune più alte continuavano anche a sera inoltrata a superare la scogliera e infrangersi sulla fortezza di pietra scura e massiccia che vi si ergeva al centro. Era stata costruita ben cinque secoli prima, quando l’isola era stata la dimora di un mago oscuro, che si faceva chiamare Ekrizdis, e che l’aveva magicamente occultata alla vista di maghi e babbani. Era un luogo tetro e maledetto, alcuni avrebbero voluto distruggerlo, ma era abitato dai dissennatori, orribili creature che si nutrono della felicità umana, per questo nessuno ebbe il coraggio di farlo. Quando nel 1718 Damocles Rowle divenne Ministro della Magia decise che la fortezza sarebbe diventata la nuova prigione dei maghi e i dissennatori ne sarebbero state le guardie. Già impregnata di magia oscura, da quel momento la fortezza trasudò ancor più disperazione e dolore. Nessuno fu mai capace di evadere per secoli e nessuno ne uscì vivo. I più impazzivano in breve tempo. Eldritch Diggory, Ministro della Magia dal 1733, fu il primo, dopo quindici anni dalla sua apertura, a recarvisi e ne rimase sconvolto. Purtroppo morì prima di trovare una valida alternativa e solo Kingsley Schacklebolt, Ministro dal 1998, la liberò definitivamente dai dissennatori.
Il cielo cupo e lampeggiante non faceva presagire un miglioramento per la notte, ma ormai i guardiamaghi e gli Auror di stanza erano abituati. Era luglio, ma il vento freddo che spirava si insinuava nelle ossa. Manuel si strinse addosso il mantello di lana e sbuffò. Era tutta colpa dei suoi genitori se si trovava in quello schifosissimo posto. Rabbrividì e decise di muoversi o sarebbe congelato. Chissà se qualcuno si sarebbe preso la briga di andare a cercarlo e scongelarlo o sarebbe rimasto per sempre in quel lugubre e squallido corridoio. Per essere precisi non era colpa loro se si trovava in quel postaccio, era stato il Capitano Potter a mandarcelo. Aveva accidentalmente creato un po’ di confusione nello svolgimento del compito che gli era stato assegnato. Perché mandare degli Allievi che avevano appena concluso il primo anno dell’Accademia se non sono abbastanza maturi? Perché gli Auror più esperti avevano ben altre preoccupazioni. Perché gli adulti avevano sempre una risposta a tutto? E perché la davano tanto per scontata? Manuel e alcuni suoi compagni avrebbero dovuto sorvegliare la villa in cui gli Africani, rapiti e sfruttati da Bellatrix Selwyn, erano stati accolti in attesa di capire cosa ne sarebbe stato di loro. In realtà dubitava fortemente che quella folle e i suoi uomini avessero il minimo interesse a riprendersi quella gente, non per niente i turni di ronda erano perennemente noiosi e conseguentemente cercava un modo di passarsi il tempo. E quale modo migliore se non giocare con le palle rimbalzati Tiri Vispi Weasley? Si era sempre vantato di essere un campione, ma anche ai campioni è permesso fare degli errori, no? A quanto pare no. La sua collega era spuntata all’improvviso per riferirgli che i rumori che avevano sentito in precedenza non erano altro che due bambini che litigavano, cosa che aveva già ipotizzato. Che altro avrebbe dovuto essere? Ma era così tanto concentrato sul suo gioco che non l’aveva sentita da sobbalzare violentemente e perdere il controllo della pallina che, a tradimento, era schizzata oltre il basso muretto del giardino e aveva colpito in pieno una babbana che passava di lì. Ed era colpa sua se le palle ribalzanti Weasley quando colpiscono qualcuno si allargano fino ad avvolgere il malcapitato? Mica le aveva inventate lui! Fatto sta che erano dovuti intervenire gli obliviatori e Manuel si era beccato una sfuriata dal Capitano per aver messo in imbarazzo l’intero corpo Auror e sul fatto che se avesse continuato così non sarebbe mai diventato un Auror; una seconda da Simon Scott, il direttore dell’Accademia, per la sua costante indisciplina e sul fatto che lo avrebbe presto cacciato a calci (decisamente zero delicatezza); e infine dai suoi genitori, Auror perfetti e indomiti, per aver gettato vergogna sulla sua famiglia. Un po’ ripetitivi gli adulti, no? E comunque la colpa era solo dei suoi genitori, se fosse stato per lui non sarebbe mai diventato un Auror, invece loro sognavano una famiglia di combattenti di maghi oscuri. Appunto gli adulti erano privi di fantasia. Fino a quel momento aveva tentato di accontentarli per quieto vivere, ma Azkaban era davvero troppo. Entrò nella stanzetta al piano terra dove c’erano gli altri guardiamaghi e alcuni suoi colleghi. Era un luogo spoglio e lugubre, come il resto dell’edificio. Lì, però, c’era un bel caminetto acceso e vi era un piacevole tepore.
«Tutto in ordine, Miller?» lo accolse Williamson, uno degli Auror più anziani del Dipartimento. Aveva una lunga coda di cavallo, ormai completamente grigia.
«Sì, signore» rispose senza entusiasmo. Da quando erano stati tolti i dissennatori in un primo momento il compito di sorvegliare i detenuti era stato affidato agli Auror, ma poi erano stati addestrati appositamente dei guardiamaghi. In un periodo di pace sarebbero stati più che sufficiente e gli Auror sprecati. A maggior ragione ora che la comunità magica era in pericolo. Il più anziano era seduto rigidamente a una piccola scrivania in un angolo e leggeva alcuni documenti, a parte loro due c’era solo un altro Auror poco più grande di Manuel. Non avevano molta confidenza, ma per fortuna Shawn era molto più alla mano di altri colleghi, che al momento lo guardavano come un bambino cattivo. Nonostante in apparenza sembrasse rigido, in realtà aveva uno spirito solare e allegro. Nella stanza erano presenti anche tre guardiamaghi, che si riposavano prima di dare il cambio ai colleghi nella sorveglianza del perimetro esterno della fortezza. Con quel tempaccio la voglia era naturalmente sotto zero. C’era qualcosa che a Manuel non tornava però: i tre non si stavano lamentando. Da quando era arrivato qualche giorno prima le loro lamentale erano state il fastidioso sottofondo delle sue giornate. Incrociò lo sguardo del suo collega, che aveva smesso di guardare attraverso la finestrella sottile, quasi un buco nella parete, con sbarre di ferro. Con un cenno li indicò i tre. Due erano intenti a giocare a carte, apparentemente un innocuo passatempo ma in realtà giocavano d’azzardo (naturalmente di nascosto a Williamson). Il terzo leggeva attentamente una rivista di Quidditch e ogni tanto rendeva gli altri partecipi delle novità del mercato.
«I Cannoni di Chudley hanno cambiato di nuovo allenatore» disse.
«Figurati. Avranno battuto ogni record ormai» replicò uno dei due colleghi mentre distribuiva le carte.
 Parte del tavolo era ingombro di edizioni della Gazzetta del Profeta. Svogliatamente Manuel ne scorse alcuni titoli, che purtroppo già conosceva. D’altronde in casa sua si parlava solo di quello, anche il suo fratellino di soli undici anni stava subendo lo stesso lavaggio del cervello che aveva già subito lui.

DIMITRI VULCHANOVA CONFESSA: BELLATRIX SELWYN VOLEVA JAMES POTTER MORTO.

Sotto seguiva l’articolo e la notizia era ripresa più volte per tutto il giornale. Naturalmente vi era solo una parte della verità. I suoi genitori glielo avevano ripetuto fino alla noia: meglio evitare i giornalisti, non parlare mai senza essersi consultato prima con un superiore e anche in quel caso non rivelare mai troppo. Le tre regole d’oro. Ma che senso aveva? Quello che i giornalisti non sapevano, inventavano. I loro non comment si trasformavano in pagine e pagine di cronaca. Un altro recitava:

CONVOCATA URGENTEMENTE LA CONFEDERAZIONE INTERNAZIONALE DEI MAGHI.
A seguito degli ultimi avvenimenti che hanno coinvolto non solo il nostro paese, ma anche alcune isole africane si è ritenuto opportuno convocare la Confederazione Internazionale dei Maghi. La data precisa non è stata ancora decisa, ma sarà resa nota nei prossimi giorni e si pensa sarà a fine mese. Dopotutto le questioni da trattare sono così urgenti da non poter rimandare ulteriormente…
 
LA CONFEDERAZIONE SI RIUNIRÀ IL 1 AGOSTO IN ITALIA
La decisione è stata resa nota ai giornalisti dal Ministro Weasley in persona solo nella tarda serata di ieri. Per questioni di sicurezza non ha voluto rendere note le modalità secondo le quali si svolgerà il suo trasferimento in Italia, né chi formerà la sua scorta. Anche il Capitano Potter si è rifiutato di darci ulteriori notizie. A questo punto, però, dobbiamo chiederci anche in che posizione la Gran Bretagna parteciperà all’incontro. Le voci circolate negli ultimi mesi sono abbastanza eloquenti: gli altri Ministeri vogliono sapere da noi che cosa sta accadendo. Ancora una volta il nostro paese è motivo di preoccupazione internazionale. Essendo aumentate le aggressioni ai danni dei Babbani, si teme anche un richiamo ufficiale se non addirittura una sanzione. I ripetuti attacchi di Bellatrix Selwyn hanno sconvolto più volte la comunità babbana, tanto che gli Obliviatori e il Comitato Scuse ai Babbani hanno dovuto fare gli straordinari. Ci si chiede quindi come risponderà il Ministro Weasley a queste possibili e prevedibili accusa. A noi ha risposto in modo chiaro e fermo che (cont. Pag. 3 e segg.)

Manuel sbuffò e sfogliò il giornale alla ricerca dell’articolo che più l’aveva turbato, in fondo la Confederazione non era un problema: la facevano tutti tanto lunga, ma voleva proprio vedere gli altri Ministeri al loro posto. Si sarebbero trovati nelle stesse difficoltà, ne era certo. La questione calda in quei giorni riguardava i folletti della Gringott: avevano licenziato uno spezzaincantesimi. Naturalmente ciò che preoccupava non era il licenziamento in sé, ma il fatto che il mago si era presentato ferito al San Mungo e in seguito aveva sporto denunciata presso il Dipartimento di Regolazione e Controllo delle Creature Magiche. I folletti si erano difesi affermando che era stato lui ad attaccarli per primo e anche loro presentavano delle ferite. Dove stesse la verità era difficile stabilirlo.

 
SITUAZIONE IN STALLO ALLA GRINGOTT. ANCORA TENSIONI TRA MAGHI E FOLLETTI.
Dopo l’aggressione di alcuni giorni fa ai danni di Edwin Hambleton, la tensione alla Gringott rimane alta. Alcuni spezzaincantesimi che hanno osato protestare, sono stati licenziati dai folletti. Altri hanno deciso di dare le dimissioni. Chi, invece, è rimasto teme costantemente di poter essere aggredito, come è accaduto al signor Hambleton (che ha gentilmente, nonostante non abbia superato ancora lo shock, di concederci una sua intervista, vedi pag. 11). Richard Parkinson ha proposto agli altri Capi di Dipartimento e al Ministro Weasley un radicale cambiamento: «È arrivato il momento che i maghi prendono in mano le redini della loro economia. Non devono essere più degli esseri inferiori a occuparsene» ha dichiarato questa mattina. Similmente si è pronunciato Blaise Zabini, esperto di legge magica (cont. pag. 6).

I rapporti tra maghi e folletti erano sempre stati tesi, ma in un momento così delicato come quello che stavano attraversando con le forza della Selwyn ogni giorno più forti e numerose, non era certo il caso di provocare una rivolta dei folletti. Chiamarli essere inferiori poi non era stata una bella mossa. Non aveva mai amato Storia della Magia, ma non aveva dimenticato la crudeltà di cui si erano mostrati capaci i folletti durante le loro rivolte. Sarebbero potuti diventare peggio dei Neomangiamorte. Quasi divertente aveva, però, trovato un articolo nell’ultima copia della Gazzetta del Profeta:

 
DISORDINI CAUSATI DA UN GRUPPO DI MAGHINÒ. GLI AUROR: ABBIAMO ALTRI PROBLEMI.
Ancora nuovi atti di vandalismo a Diagon Alley e nella Londra babbana adiacente. E ancora la stessa firma: Squibs. Chi sono? Realmente dei Maghino o qualcuno che si diverte a firmassi così? Intanto questa notte è stata imbrattata la facciata del Ghirigoro e il proprietario furioso, Corbin Hackett (intervista pag. 15), si è recato al Ministero, ma sia gli Auror sia gli agenti della Squadra Speciale Magica hanno liquidato la faccenda, chi affermando che non rientrasse nelle loro responsabilità chi rimandando le indagini. Il signor Hackett, vistosi palesemente ignorato dal Ministero, ha iniziato a sobillare gli altri negozianti di Diagon Alley e le proteste sono diventate sempre più vivaci.

Manuel non riusciva a capacitarsi di quanto le persone fossero stupide: erano sulla soglia di una nuova guerra e loro pensavano a quelli che dovevano essere degli stupidissimi ragazzini, che si divertivano a creare un po’ di scompiglio?
«Usciamo un attimo, signore» disse Shawn. Williamson annuì distrattamente. «Che cosa volevi dirmi?» chiese a bruciapelo, appena si furono allontanati leggermente nel corridoio.
«Non ti sembrano troppo tranquilli i guardiamaghi? Di solito si lamentano sempre».
«Soprattutto quei due. Sì, lo so. Però l’altro giorno si sono beccati una strigliata da Williamson. Magari si trattengono perché è presente».
«Ho uno strano presentimento» borbottò Manuel poco convinto. «Odio questo posto» sbuffò alla fine.
«Non credo che qualcuno lo ami» mormorò serio e triste Shawn. «Domani rientrerò a Londra. Al mio posto verrà Erik Danielson. Vedi di non provocarlo, troverà solo più divertente fare in modo che la tua punizione si allunghi».
Manuel lo fissò imbronciato. «Tu quando torni?».
«Il più tardi possibile spero. Non ti hanno spiegato all’Accademia che qui non ci vuole venire nessuno e quindi si deve fare a rotazione?».
«I miei genitori sono Auror, i miei fratelli sono Auror» sbuffò esasperato. «Sono praticamente cresciuto nel corpo Auror. Per me l’Accademia è solo una formalità».
«Infatti dicono che sei stato ammesso solo perché tuo padre ha fatto pressioni».
Manuel fece una smorfia e annuì. «Mi ero impegnato affinché mi escludessero alle selezioni».
«E ora cerchi di farti espellere?».
«No, solo di sopravvivere».
«Che cosa vorresti fare?».
«Non lo so… Mi piacciono gli animali… La mia vita è sempre stata programmata con l’obiettivo di diventare Auror, quindi non ho mai riflettuto troppo sul mio futuro…».
«Se non vuoi fare l’Auror, vattene. Questo lavoro non fa per te e…».
«Scusa tanto, ma la predica me l’hanno già fatta» sbottò Manuel interrompendolo e spostandosi bruscamente per tornare nella stanzetta. Meglio annoiarsi con i guardiamaghi.
«Non è una predica, ma un consiglio» disse Shawn quando già gli aveva dato le spalle. «Bisogna sapersi sacrificare quando si fa questo lavoro. Non vedo la mia bimba da una settimana».
Manuel non si voltò e non replicò. Imbronciato si appoggiò alla stessa finestra cui era stato il collega fino a poco prima. La pioggia continuava a battere. Quei discorsi li aveva sentiti un milione di volte. La sua attenzione fu attratta dai tre guardiamaghi che si alzarono di scatto.
«Dove andate?» chiese istintivamente.
«A fare il nostro lavoro, moccioso» rispose sgarbatamente il più grosso dei tre.
«Non le sembra presto? Signore?» disse concitatamente a Williamson appena rimasero soli. Il mago alzò lo sguardo su di lui e lo scrutò con severità: «Se finalmente si sono decisi a comportarsi in modo disciplinato, Miller, non vedo quale sia il problema. Mancano solo cinque minuti al cambio di guardia e gli altri ragazzi sono sotto la tempesta da ore, mi sembra il minimo che siano puntuali».
La sua inquietudine aumentò, anche se non sapeva spiegarsi perché. «Vado a fare un giro di ricognizione». Non ne aveva la minima voglia, ma al cenno di assenso dell’altro si affrettò a lasciare la stanza. Vagò per un po’, annoiato sempre di più e stanco. Avrebbe voluto raggiungere al più presto la sua brandina. Non che dormisse bene, ma meglio di niente.
«Manuel!».
Shawn correva verso di lui agitatissimo. «Siamo circondati. Dobbiamo dare l’allarme. Sbrigati dobbiamo andare da Williamson».
«Non così in fretta, Lattes» gracchiò una voce alle sue spalle.
Manuel gelò. Era un Neomangiamorte. Shawn, bacchetta in mano, fronteggiò l’avversario. Passi concitati indicavano che ne stavano arrivando altri. «Avverti Williamson e date l’allarme!» gli urlò Shawn, proprio mentre apparivano altre maschere d’argento. «Muoviti!».
Con il cuore in gola fece marcia indietro e corse verso la stanzetta. Non avrebbero mai fatto in tempo. Azkaban era caduta.
«Signore!» urlò spalancando la porta. Williamson era dove l’aveva lasciato. Sobbalzò quando entrò di corsa nella stanza.
«Miller, sei impazzito…».
«I Neomangiamorte. Shawn li sta trattenendo». Manuel lo vide sbiancare e correre verso il cammino. Gettò una manciata di polvere volante nel camino e urlò «QUARTIER GENERALE DEGLI AUROR».
Non ebbe la possibilità di vedere altro perché i Neomangiamorte invasero la stanza. Erano solo tre. Prima di correre via ne aveva contati almeno cinque. E mancava anche Shawn. Deglutì a vuoto e tentò di allontanare il pensiero che al giovane collega fosse accaduto qualcosa. Ma fu con rabbia che si scagliò contro i nemici. La sua reazione li colse impreparati così ne schiantò uno con forza per poi fronteggiare gli altri due. Non era semplice. Sembravano più esperti. Più di lui sicuramente. Forse avrebbe dovuto applicarsi di più durante le lezioni in Accademia. Ma dopotutto non esisteva un manuale su come sconfiggere folli assassini. Un incantesimo lo prese in pieno petto e fu scagliato contro il muro. Gli si mozzò il fiato. Sentiva l’avversario incombere su di lui. Il dolore però lo teneva in uno stato di semicoscienza e non era abbastanza lucido per difendersi. Non voleva morire a vent’anni. Forse i suoi genitori si sarebbero sentiti in colpa. Mai sai che consolazione…
«Miller, fatti forza».
Williamson lo stava scuotendo con un braccio, poi si sentì mollare. Impiegò ancora qualche secondo a riprendersi. Tutto accadde molto velocemente. Il più anziano stava duellando con un solo Neomangiamorte. L’altro era già stato schiantato. All’improvviso, però, Williamson cadde in ginocchio con un braccio insanguinato.
«No!» si ritrovò a urlare e rapidamente colpì il Neomangiamorte prima che desse il colpo di grazia. «Signore! Come sta?».
«Legali, Miller!» biascicò Williamson, tentando di fermare il sangue.
«Oh, sì certo» mormorò atterrito. Fece come gli era stato detto e poi lo aiutò a rimettersi in piedi.
«I rinforzi stanno arrivando. Dobbiamo muoverci. Dov’è Shawn? E i guardiamaghi?».
«Shawn mi ha coperto le spalle mentre venivo ad avvertirla» mugugnò mentre la veste si macchiava del sangue dell’anziano. Non ne aveva mai sopportato la vista.
Williamson s’incupì e gli allontanò le mani con uno strattone. Per un attimo sembrò ancora più vecchio.
«Sono sicuro che sta bene» mormorò flebilmente.
«Non è che mi svieni davanti al sangue?».
«No». O almeno non gli era mai successo. «Shawn sta bene» ripeté, perché il vecchio si ostinava a non dargli ascolto.
«Se stesse bene, sarebbe qui» rispose rabbioso. «Andiamo!».
Manuel rimase fermo dov’era. «Dove?».
Williamson gli gettò un’occhiataccia e uscì in corridoio. «I rinforzi sono arrivati. Stanno combattendo fuori. Senti questo clamore? Raggiungiamoli. Possiamo prendere i Neomangiamorte alle spalle e dare una mano ai nostri».
«Sta scherzando, vero? Ci uccideranno dopo due secondi!» replicò Manuel, che in realtà non sentiva nulla.
L’Auror neanche gli rispose e Manuel lo seguì. Dopotutto era un ex-Grifondoro, non un fifone. Quando però arrivarono al luogo in cui aveva incontrato Shawn, non ascoltò minimamente i richiami del superiore e si inginocchiò accanto all’amico. Non era mai stato un tipo sentimentale, ma allungò la mano, gli accarezzò il volto e gli chiuse gli occhi. Trattenne a stento un singhiozzo.
«Ragazzo» la voce di Williamson era più dolce e si era incrinata notevolmente, come se anche lui stesse trattenendo le lacrime. «Fa parte del nostro lavoro, purtroppo. Lo sapeva. Sapeva a che cosa andava incontro».
«Io non voglio fare l’Auror. Non voglio. Mi hanno costretto i miei genitori!» sbraitò con le lacrime agli occhi. Quel ragazzo gentile e simpatico non l’avrebbe più incoraggiato, non gli avrebbe dato più consigli. Era rimasto lui indietro, gli aveva detto di andarsene. Avrebbe potuto mandare un patronus a Williamson. Aveva mandato lui e gli aveva coperto le spalle. Gli aveva salvato la vita. Perché era inutile prendersi in giro, con tutti quei nemici neanche in due avrebbero avuto la meglio su di loro.
«Ora non è il momento» tentò Williamson. «Hanno bisogno di noi».
L’ultimo consiglio di Shawn era stato quello di andarsene. Era stato l’unico oltre il professor Paciock, il direttore di Grifondoro, a chiedergli cosa volesse farne lui della sua vita. Si strappò di dosso la veste verde e rimase con la maglietta a maniche corte e i pantaloni stretti della divisa. «Combatterò da civile».
«Non ho mai visto una cosa del genere» borbottò Williamson e si avviò verso l’uscita. Fu subito chiaro che la situazione fosse diversa da quella che aveva immaginato. La tempesta infuriava e Manuel rabbrividì. Auror, Neomangiamorte ed evasi combattevano tra gli scogli, ma non si distinguevano a causa delle raffiche di acqua e vento. Mai in vita sua si era sentito tanto smarrito.
 
«Harry!».
Harry Potter si spostò i capelli bagnati dalla fronte e si voltò verso il suo migliore amico.
«Hai qualche idea? Non si capisce nulla!».
Le parole gli giunsero a stento, ma annuì. «Williams! Dov’è?».
Ron scrollò le spalle, ma urlò la sua richiesta agli uomini più vicini. Ci volle un po’ però che l’Auror lo raggiungesse. Era fradicio e sembrava affaticato. Zoppicava. «Maximillian, bisogna creare una barriera contro pioggia e vento e gettare un incantesimo antismaterializzazione. Prendi i più esperti in incantesimi».
«Si, signore» replicò quello e con un cenno del capo scomparve nella confusione.
Harry schiantò un Neomangiamorte e ne impegnò un altro in duello. Non si vedeva nulla. Avevano scelto bene la notte per evadere. E i suoi uomini erano a malapena sufficienti per affrontarli. Fortunatamente Williamson aveva dato l’allarme repentinamente e le squadre si erano recate lì subito con una serie di passaporte. Un’evasione era l’ultima cosa di cui avevano bisogno, perciò aveva schierato quasi tutti i suoi uomini. Non voleva perderli su quell’isola maledetta, ma vi erano momenti in cui pensava che presto il mare, tanto era impetuoso, li avrebbe risucchiati tutti. Buoni e cattivi. Indistintamente. Pensavano realmente di poter fuggire da lì? I Neomangiamorte avevano portato abbastanza bacchette per tutti gli evasi? Quanti erano fuggiti? Avevano liberato tutti indiscriminatamente o solo i Mangiamorte? Schiantò il suo avversario e lo legò. Era solo un stupidissimo mercemago. Non vedeva se non a pochissimi metri da sé e aveva perso completamente il controllo dei suoi uomini. Magra consolazione era che i Neomangiamorte fossero nelle stesse condizioni. Poi all’improvviso vento, pioggia e onde cessarono di abbattersi su di loro. Le urla roche dei combattenti si levarono nel silenzio degli elementi in modo innaturale. Sfere dorate si levarono in cielo. Maxi era riuscito a erreggere la barriera magica. Certo, questa poteva rivelarsi un’arma a doppio taglio. Ma non potevano continuare a combattere nelle condizioni precedenti. Ma quanto sarebbe durato?  Se gli uomini che l’avevano eretta si fossero stancati, si sarebbe indebolita rapidamente. E Maxi era già provato. L’aveva portato con sé perché era un Auror esperto, ma dalla sua andatura claudicante era evidente che il suo ginocchio malandato gli stesse facendo male.
Valutò celermente la situazione: i suoi uomini era sparsi per l’isola e combattevano con maggiore accanimento ora che le condizioni erano migliori; c’erano corpi disseminati a terra. Non avrebbe saputo dire di chi fossero. Con rabbia colpì un altro mercemago e un altro ancora. Chi guidava quella spedizione?
«Harry, se continuiamo così finiremo per annientarci a vicenda» mormorò Adrian Wilson, uno dei suoi fidati sotto ufficiali.
Ne era consapevole. «Avete individuato chi comanda?» domandò per prendere tempo. Non potevano lasciarli andare come se nulla fosse, meno che mai fargli conquistare Azkaban! Quella fortezza era inespugnabile. «Guadagnate l’ingresso! Se ne prendono possesso, siamo finiti!» ordinò terrorizzato alla sola idea. Continuò a combattere, sentendosi svuotato. Non affrontava uno scontro del genere da quando aveva sconfitto Voldermort. La stanchezza e la tensione iniziavano ad avere la meglio e se era così per lui, lo era anche per i suoi uomini. Individuò nella mischia un Neomangiamorte con l’uroboro appeso al collo. Non ebbe bisogno di vederlo in volto per riconoscerlo.
«Lestrange!» urlò fuori di sé, scagliandogli una maledizione. Quello la parò e reagì con prontezza.
«Sono venuto a riprendermi mio fratello, Potter. Un uomo di cuore come te, dovrebbe comprendere».
Harry non rispose ma tentò di colpirlo ancora una volta, una spallata in piena schiena, però, lo fece cadere sugli scogli. Sentì le pietre strigargli la pelle e strinse i denti per il dolore del colpo.
«Non così facilmente Potter. Mio fratello non la prenderà se gli do una mano. Non vedo l’ora di fare due chiacchere con tua suocera. Vediamo quanto troverà divertente veder morire il marito davanti ai suoi occhi!».
Il disprezzo e l’odio trasudavano dalle parole di Rodolphus Lestrange. Era ancora più brutto di quanto Harry ricordasse. Si era messo seduto in posizione tale da poter subito scattare. Doveva solo trovare il momento giusto. Trascorsero alcuni secondi interminabili in cui si chiese se avrebbero attaccato contemporaneamente e quale fosse il modo migliore per disimpegnarsi e trovarsi in posizione più avvantaggiata rispetto ai due. Quello che non si aspettava era di veder la vita lasciare gli occhi di Rodolphus Lestrange e saltò indietro appena in tempo per non farsi travolgere dal suo corpo. Anche Rabastan lo fissava sconvolto. Un uomo emaciato, il volto scavato e sofferente si ergeva con la bacchetta ancora puntata. Le vesti che indossava, lacere, strappate e in alcuni punti macchiate di sangue, non lasciavano adito a dubbi: era un detenuto. Però aveva un volto famigliare. Harry lesse appena in tempo il furore negli occhi di Rabastan e si frappose tra i due, scagliandogli una maledizione che quello però evitò. In quel momento la barriera crollò e Harry sentì l’urlo sofferto di Ron. Avrebbe riconosciuto la sua voce tra mille, ignorò Rabastan che incitava i suoi uomini a smaterializzarsi e lo raggiunse. Mandò a sbattere contro uno scoglio il Neomangiamorte che lo stava torturando e si chinò su di lui.
«Ci sono» biascicò l’altro, permettendogli di aiutarlo. 
Harry si guardò intorno: era finita. I Neomangiamorte si stavano smaterializzando con alcuni evasi. Il vento e le onde ripresero a sferzare l’isola con rinnovato entusiasmo, ma almeno la pioggia aveva smesso di cadere. Deglutì. Quanti uomini aveva perso? Si voltò a guardare Ron. Era pallido, tremante e sembrava pronto a vomitare, ma non era più un ragazzino: la vita da Auror l’aveva temprato e fissava con durezza il tragico spettacolo che si estendeva di fronte ai loro occhi.
«Rick, raduna gli uomini e occupatevi immediatamente dei feriti» ordinò al vice sotto Capitano che si era accostato in attesa di ordini.
«Signore». Harry serrò la mascella riconoscendo sotto il volto serio di Erik Danielson quasi un ghigno di trionfo. «La barriera è crollata perché Maximillian Williams si è smaterializzato! L’ha fatta crollare apposta».
«Portatelo da me appena si farà vivo» ordinò a denti stretti e gli voltò le spalle. Si fidava ciecamente di Maxi, non per niente l’anno precedente l’aveva spedito a Hogwarts accanto ai suoi figli. Non poteva essere lui la spia. Non era lui, lo sapeva per certo. La spia era lì con loro, in quello stesso momento gli passò vicino abbastanza per poter cogliere il suo sguardo perso. Da quando aveva capito chi fosse la probabile spia, aveva compreso pienamente il comportamento tenuto da Silente nei confronti di Draco Malfoy.
«Signore».
«Adrian» replicò stancamente, mentre l’uomo veniva raggiunto da Rick Lewis, Dora Morgan e Gabriel Fenwick. «Fatemi rapporto». Rispettò il protocollo, nonostante avrebbe preferito non sapere. Non poteva fare altrimenti.
«I miei uomini stanno bene» annunciò inaspettatamente Rick. «Solo qualche ammaccatura».
«Aaron Spencer-Moon, un Allievo, è stato ferito. Non riusciamo a medicarlo. E non è l’unico. La maledizione che l’ha colpito assomiglia molto al sectusempra, ma non sono sicura che non è quello. Lui e gli altri feriti devono essere subito trasferiti al San Mungo» disse, invece, Dora Morgan.
«Abbiamo già chiamato i soccorsi» comunicò Rick.
Similmente si pronunciò Gabriel Fenwick che, però, sembrava cupo e sofferente. Tanto che Harry gli chiese se fosse ferito, alla sua risposta negativa, che poco lo convinse, si rivolse ad Adrian che era nero in volto.
«Ho perso due uomini. Shawn Lattes ed Evelyn Baker». Harry strinse i denti mentre Mark Miller si avvicinava.
«Scusate, signori, ma Capitano credo che lei debba venire. Williamson si rifiuta di andare al San Mungo».
«Me ne occupo io» sospirò.
Non ebbe difficoltà a trovarlo all’ingresso della fortezza dove erano stati portati i feriti e anche i due Auror morti. Williamson sembrava aver perso tutto il suo autocontrollo mentre stringeva a sé il corpo senza vita di Shawn. Sapeva che l’avrebbe trovato in quelle condizioni, ma non era realmente preparato. Sembrava di essere tornati indietro di ventitré anni. Se il suo ruolo e la sua coscienza non gli avessero imposto di continuare, sarebbe scappato. Scappato da quel dolore, mai sopito, che sperava essersi lasciato alle spalle.
«Come glielo dico a Charis? Come?» chiese in preda ai singhiozzi, quando Harry gli scosse la spalla. Non seppe rispondergli, così fissò la sua attenzione sul ragazzo che appoggiato al muro li fissava sconvolto. Gli si strinse il cuore. Era stato lui a mandarlo lì. Eppure pensava che sarebbe stato più al sicuro: attaccare Azkaban in quel modo? Chi avrebbe mai potuto prevederlo? Ma era successo. Era stato letteralmente buttato giù dal letto da Rose e Cassy. Quando Williamson aveva contattato il Quartier Generale erano già pronti a intervenire. Con un moto di pietà e affetto paterno sostenne Manuel per le spalle, mentre si accasciava a vomitare in un angolo. Tremava ed era gelato. Perché indossava una magliettina leggera? Cos’era accaduto dentro la fortezza? Quando i conati si calmarono gli pose il suo mantello sulle spalle, ma con sua sorpresa il ragazzo lo respinse.
«Non voglio essere un Auror. Non voglio» gracchiò.
«Non essere stupido» lo redarguì con più severità di quanto avrebbe voluto e gli calcò il mantello addosso. «Se morirai per ipotermia, non avrà importanza ciò che vuoi».
«Williamson, Shawn Lattes avrà le esequie degne di un Auror. Da eroe. Stai tranquillo».
A quelle parole Harry gelò e si voltò di scatto verso Danielson che le aveva pronunciate. L’anziano Auror, però, le aveva ignorate totalmente. Forse non l’aveva neanche sentite.
«Danielson, cosa vuoi?» ringhiò Harry.
«Abbiamo preso Williams. Ha opposto resistenza mentre lo disarmavamo».
«Occupati dei feriti» ordinò gelido. A grandi falcate si diresse di nuovo fuori. Imprecò: aveva ripreso a piovere, fortunatamente non forte come prima.
«Harry, perché hai dato ordine di fermare Maxi?» gli chiese a bruciapelo Adrian Wilson affiancandolo.
«Avevo chiesto di portarlo da me. Danielson interpreta gli ordini a modo suo».
«Signore!» disse subito Maxi. Era provato anche lui dallo scontro, ma a parte qualche graffio sembrava illeso.
«Restituitegli la bacchetta» ordinò. Gli uomini che lo tenevano in consegna obbedirono all’istante. D’altronde dopo uno scontro del genere non comprendevano la necessità di disarmare un amico e collega.
«La barriera non poteva durare ancora a lungo e comunque non avrebbe avuto senso. In più i Neomangiamorte stavano tentando di abbatterla».
«Avresti comunque dovuto aspettare l’ordine di un superiore» commentò sorpreso Adrian.
Maxi sospirò e annuì. «Lo so. Ho agito di testa mia. Mi dispiace e spero che questo non si sia ripercosso sulla squadra».
«Questo è assurdo! In una situazione del genere agisce di testa tua e dice che gli dispiace? Mi sembra di sentire le mie figlie! Ma loro hanno quindici anni!».
Harry sbuffò. «Danielson, chi ti ha detto di seguirmi?».
«Non vorrà lasciar correre?» ribatté l’Auror.
«Perché?» chiese Harry fissando dritto negli occhi Maxi e ignorando Danielson.
«Gregory è stato colpito da una maledizione. Sanguinava copiosamente e non riuscivo in alcuno modo a rimarginare la ferita. Quando ho spezzato la barriera per materializzarmi con lui, ero consapevole di quello che stavo facendo. Ma preferisco essere messo sotto processo che vedere morire quello che per me è un fratello sotto i miei occhi. I suoi figli hanno già perso la madre, non avrei potuto neanche guardarli negli occhi se non avessi fatto il possibile per salvarlo».
«Come sta?» chiese Adrian incerto.
«Non lo so. L’ho lasciato alle cure dei medimaghi e sono tornato qui».
«Ci sono delle regole…» iniziò Danielson.
«Basta così» disse Harry gelido. «Maxi, va’ pure da Gregory e dai tuoi figliocci. Di questa storia, però, dovremmo riparlarne».
Maxi annuì e si congedò.
Harry si avvicinò a Dora Morgan, una dei quattro sotto vice Capitani e le sussurrò: «Te la senti di andare a parlare tu con la famiglia di Evelyn Baker?».
La donna sospirò e annuì. Aveva gli occhi arrossati. «L’ho vista crescere in Accademia. Mi sento in dovere di farlo. Potresti mandare Rick a casa, però, se non hai bisogno di lui? Abbiamo dovuto svegliare Zac prima di uscire ed era preoccupatissimo. Non voglio che i ragazzi stiano troppo da soli».
«Certo» assentì Harry. In effetti avrebbe dovuto mandare un patronus a Ginny. Hermione sarebbe stata lì in brevissimo tempo. In fondo non potevano tener lontana la Ministra della Magia. Per questo non invidiava Ron, almeno lui poteva tenere Ginny al sicuro il più possibile.
Individuò due occhi scuri che guardavano fissi davanti a sé senza davvero vedere. Occhi vuoti di chi ha perso sé stesso. Non poteva permetterlo, se l’era ripromesso. Si avvicinò al giovane e gli mise una mano sulle spalle. Quello alzò gli occhi e lo guardò come da molto lontano. «È stata una nottata lunga, va’ a riposare. I prossimi giorni saranno un inferno».
Il ragazzo annuì, ma non si mosse. Harry non lo perse d’occhio neanche un secondo, persino mentre Adrian gli mostrava l’elenco dei prigionieri evasi, continuò a fissarlo. Dopo un po’ si smaterializzò. In quel momento avrebbe pagato per essere un legilimens naturale. Ma non lo era. Solo il tempo avrebbe detto se aveva fatto la scelta giusta.

Angolo autrice:

Ciao a tutti!
Sono tornata! Sono felicissima di pubblicare questa nuova storia :-D E spero che vi piacerà. In questo capitolo non appaiono ancora i ragazzi della Nuova Generazione, ma tranquilli già nel prossimo cominceranno a prendersi lo spazio che spetta ai protagonisti ;-) Come vedete la Selwyn sta procedendo quasi indisturbata con i suoi piani, stavolta ha attaccato persino Azkaban!
La maggior parte dei personaggi di questo capitolo sono marginali, con esclusione, naturalmente, di Harry e Ron. Manuel credo proprio che lo rincontreremo più avanti, ma ripeto non avrà un ruolo importante. Al contrario il ragazzo ‘misterioso’ di cui non ho fatto nome alla fine, per quanto la sua apparizione sarà fugace, avrà un ruolo importante.
Fatemi sapere che cosa ne pensate. Le critiche se costruttive, sono sempre ben accette ;-)
Vi auguro una buona serata,
Carme93
   
 
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