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Autore: Always_Always    02/06/2017    7 recensioni
Post 4x13 | Bellarke
Perché nell'Arca loro sono solo quelli che restano. Quelli che devono fare i conti con ciò che è stato.
E perché Clarke è una presenza costante che c'è anche quando è lontana.
(...)"È solo che, sai, non ne parlate. Dico, mai".
"Di cosa dovremmo parlare?"
"Di chi avete perso".(...)
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bellamy Blake, Clarke Griffin, John Murphy, Raven Reyes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Home (where is?)'
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Nota: il finale di stagione mi ha fatto impazzire. È stato bello, è stato toccante, è stato talmente Bellarke che quasi mi si è fermato il cuore. Per questo, come altri, ho voluto cimentarmi anche io nei possibili Missing Moments che ci saranno poi nella quinta stagione (che sembra infinitamente lontata). Se vi va, lasciatemi una recensione! Buona lettura.
 


The leftovers (love never dies, why did you?)


 
If you must wait, wait for them here in my arms as I shake
If you must weep, do it right here in my bed as I sleep
If you must mourn, my love, mourn with the moon and the stars up above
If you must mourn, don't do it alone




(You, Keaton Henson)
 


#1

"Bellamy?"
Echo è la prima ad accorgersene perché è la più vicina. Gli altri stanno ancora arrancando per recuperare l'ossigeno che hanno perso, ma non appena avvertono il tono preoccupato della terrestre scattano verso la sua direzione - sono esausti e spaventati eppure pronti a lottare e Echo capisce che anche loro, seppur così diversi da lei, sono dei guerrieri.
Bellamy Blake, capelli arruffati, velo di sudore lungo la fronte, pugni stretti e rigidi come se fossero di marmo, dà loro le spalle e si allontana imboccando il corridoio buio dell'Arca. Per un istante nessuno ha la forza di dire niente. Nonostante l'affetto smisurato che provano per il loro leader - il loro nuovo, unico, leader - nessuno osa seguirlo perché tutti hanno il timore di restare schiacciati sotto il peso del suo dolore. Nessuno di loro ha la forza per sostenere qualcuno come Bellamy Blake - nessuno di loro è Clarke.
"Dove va?"
Murphy è quasi tentato di raggiungerlo - hanno condiviso tanto, insieme, e ha abbastanza dimestichezza con il carattere scontroso di Bellamy Blake da voler fare un tentativo, soprattutto perché Bellamy ha salvato loro la vita e sa che glielo deve. Alla fine però è Raven a muoversi per prima e a scomparire nel corridoio. Pensa che potrebbe correrle dietro e darle man forte, ma poi desiste: Raven sa meglio di tutti loro cosa si prova a guardare la Terra strapparti dalle braccia qualcuno a cui tieni troppo.

Stanno via dieci minuti. Forse quindici. In quel lasso di tempo Murphy e gli altri tirano il fiato, si stringono tra loro, riprendono dimestichezza con quell'astronave immensa che per tempo immemore sono stati costretti a chiamare casa - è convinto di sentire un lamento soffocato, d'un tratto, provenire dal buio; lo sguardo affranto degli altri gli fa capire di non essere stato l'unico.
Quando alla fine Raven e Bellamy fanno ritorno - seri e contriti, uno accanto all'altra - tutti hanno la strana sensazione che non sia cambiato niente. E che, al tempo stesso, sia cambiato tutto.
"Diamoci da fare," comincia Bellamy, autoritario, "non è ancora ora di riposarsi".
La sua voce è ferma ma non come quando erano sulla Terra.



#2

I primi giorni sono i più difficili e la parola d'ordine è compromesso.
Chiudere gli occhi sotto i fari della serra e immaginare che si tratti del sole; aumentare il getto della doccia e fingere che si tratti della pioggia; scordarsi del profumo del muschio, del canto degli uccelli, del rumore delle foglie sotto i piedi e della frescura del vento sulla propria faccia per riabbracciare le flebili cantilene dei sistemi di ventilazione, di illuminazione, di sicurezza.
L'Arca non offre distrazioni. L'Arca è muta e immensa, dispersa nello spazio - è una tomba dentro un'altra tomba, un non posto fuori dal tempo che rischia di inghiottirli nella sua statica inesistenza giorno dopo giorno; ma ogni volta che Murphy sente di impazzire - ogni volta che trova Emori in un angolo della loro stanza, scossa dai singhiozzi e dal panico di chi non è abituato alla claustrofobica realtà dell'Anello e di chi si è visto strappare la libertà dalle mani - è sempre la presenza stoica di Bellamy Blake a tenerli a galla.
"Non sarà per sempre," ripete a tutti come un mantra, "quest'attesa ha una data di scadenza", e poi immancabilmente trova un modo per farli resistere.
Murphy sa che se mai Bellamy dovesse cedere, allora sarebbero davvero tutti perduti.



#3

L'Arca gli incute uno strano timore come se lo spiasse di sottecchi, per questo Murphy passa gran parte delle sue giornate a tenere d'occhio gli altri - ed evitare di concentrarsi su se stesso. 
Il primo a ritrovare l'equilibrio è Monty. Murphy non può dire con esattezza per quale motivo il piccolo ingegnere si aggiri per l'Arca con un sorriso ogni giorno più luminoso, ma se dovesse indovinare - e quando si tratta delle persone è bravo a farlo - giurerebbe che Monty quassù si senta al sicuro. Come se tutto ciò che ha dovuto passare quando era sulla Terra - aiutare Bellamy e Clarke a uccidere quelli di Mount Weather, sparare a sua madre, vedere Jasper morire davanti ai suoi occhi - qua sopra non possa raggiungerlo. Certo c'è voluto un po' perché le sue mani tornassero a funzionare come un tempo, ma Monty non si è perso d'animo e ogni giorno dopo la colazione - che consumano rigorosamente insieme per volere del cancelliere Blake, come a Murphy piace chiamarlo - si ritira nella serra e si occupa della loro alimentazione. Harper è spesso insieme a lui. Murphy si è accorto che entrambi hanno ripreso a sorridere ed è sinceramente contento per loro. Gli piacerebbe che anche Emori tornasse a ridere - non che sia mai stata una tipa molto allegra, sia chiaro, però sulla Terra era tutto più facile perché non doveva abituarsi ai corridoi stretti e allo spazio immenso.
Forse è per questo che l'Arca gli incute timore e gli impedisce di raggiungere la stessa serenità di Monty: a Murphy la Terra ha tolto molto ma ha donato altrettanto; sulla Terra è stato libero; sulla Terra ha incontrato Ontari, poi Emori, e ha potuto dimostrare che non era soltanto John Murphy l'assassino, il viscido bugiardo corrotto e sleale, ma anche una persona capace di amare. Solo che tutte le azioni buone che ha compiuto sono rimaste laggiù, sono diventate cenere, mentre lui è bloccato quassù.
Forse John Murphy ha soltanto paura che l'Arca lo faccia tornare a essere quello è stato e che non vuole essere più.



#4

Hanno dovuto scegliere le loro stanze e Murphy ha notato che nessuno è voluto tornare nell'alloggio che gli era stato assegnato prima dell'arrivo sulla Terra. Lui ha lasciato che fosse Emori a scegliere per entrambi, troppo occupato a guardare Bellamy e Raven battibeccarsi a vicenda.
"Se pensi che ti lascerò dormire in cella come un prigioniero ti sbagli di grosso", l'ha minacciato Raven.
"Hai finito?" è stata la risposta, e adesso Bellamy alloggia proprio lì, nel reparto in isolamento.
Murphy odia tornare in quei corridoi - troppi brutti ricordi sono legati a quelle pareti, troppi incubi, troppi volti di chi ha deluso; proprio non si capacita di come faccia Bellamy a restare tranquillo. Ci ha messo un po', Murphy, a capire - ed è stato necessario che origliasse una conversazione tra lui e Raven per mettere insieme i pezzi.
"Cazzo, Bell, non sei un criminale".
"Lo so".
"No, non lo sai. Fai finta di saperlo. Ma questo tuo continuare a punirti—"
"Andiamo, Raven, falla finita: sull'Arca le stanze sono tutte uguali".
"Quindi è una coincidenza che tu abbia scelto proprio la sua?"
Non è riuscito a sentire nient'altro, ma non ce n'è stato bisogno. Murphy si era sempre chiesto, in quei giorni, perché mai Bellamy si fosse preoccupato di tappezzare la sua stanza (la sua cella) con disegni della Terra - e gli era parso strano che uno come Bellamy Blake fosse tipo da pastelli e matite.
Poi si era ricordato: non era Bellamy quello con la mania per il disegno. 
Era Clarke. 



#5

Monty ha sintetizzato un liquore. 
Murphy non ricorda quando è stata l'ultima volta che ha ingerito qualcosa che non fosse pipì depurata e appena ha mandato giù uno shot della nuova bevanda ha fatto salti di gioia. Monty ha deciso di chiamarla Jordan - tutti l'hanno trovata una splendida idea anche se fa un po' strano, a Murphy, bersi Jasper. Certo però è sempre meglio della pipì depurata.
È stata una serata piacevole, quella. Come una delle prime che hanno passato sulla Terra, quando Bellamy era tornato con un puma da arrostire e non appena avevano acceso i falò aveva cominciato a piovere - la loro vera, prima pioggia. 
Sull'arca non c'è un puma arrosto, non ci sono nemmeno i falò, o la pioggia, o tutta quella marmaglia di ragazzini che balla e ride respirando la libertà; ma c'è l'alcool e tutti ne usufruiscono fino a superare il limite.
"All'Arca," dice Bellamy alzando il bicchiere, "e a tutti quelli che abbiamo perso".
"A Finn e Sinclair", dice Raven.
"A Jasper e Maya", continua Monty.
"A Lincoln e Charlotte", aggiunge ancora Bellamy.

A Clarke, pensano tutti.

"A Roan", sussurra infine Echo, come se avesse il timore di essere ascoltata - con l'imbarazzo di sentirsi fuori posto. Ma Bellamy rivolge il bicchiere verso di lei e con gli occhi fissi nei suoi risponde: "Li ricorderemo sempre".
È stata la prima sera in cui Murphy ha beccato Echo sgattaiolare nella stanza di Bellamy.



#6

Raven non smette un istante di correre. 
C'è sempre qualcosa di nuovo da fare sull'Arca: che sia aggiustare tubi, sincronizzare sistemi, assemblare marchingegni e migliorarne altri - tutte cose che John Murphy ha rifiutato in principio di comprendere - Raven non resta mai con le mani in mano e forse è un bene che proprio lei, il meccanico più brillante di tutto il Popolo del Cielo, possa tenere la mente occupata. 
"Sto progettando una moto a energia solare, per quando torneremo. Mi aiuti?"
Non che ci sia molto altro da fare, rintanati nello spazio. E Murphy ha comunque deciso che se mai Raven dovesse finire le idee, romperà qualche cosa di proposito giusto per non farle mancare il lavoro. Non sa quando ha cominciato a preoccuparsi così tanto per Raven Reyes - o forse sì: da quando il proiettile che le ha conficcato nella schiena l'ha resa zoppa. Non gli piace ricordare quel brutto momento, preferisce sostituirlo con i sorrisi timidi che Raven ha ricominciato a rivolgergli da lontano, e alle battute insolenti che sono soliti tirarsi dietro per sostituire gli abbracci - si è accorto che volere bene a Raven è qualcosa che lo fa sentire completo e non ha nessuna intenzione di rinunciarvi.
"Reyes, hai fatto un rumore infernale, stanotte".
"Stavo sistemando l'alimentatore di energia".
"Potresti farlo quando non devo dormire?"
"Non pensavo avessi il sonno leggero, Bella Addormentata".
"Sono delicata: ormai dovresti conoscermi".
Però Raven non tiene la mente occupata solo per se stessa. Murphy se n'è accorto dopo un po' anche se è sempre stato lampante.
"Bellamy".
"Che altro c'è, Raven?"
"Devi venire a vedere".
Lo sguardo premuroso di Raven si poggia su Murphy e poi scivola su quello di Bellamy. La sua mania di azione, il suo agire agire e agire coinvolge sempre anche Bellamy Blake - all'inizio Murphy pensava che fosse normale che il loro leader avesse le mani in pasta in tutti gli affari che riguardavano l'Arca, poi ha capito: Raven Reyes non trova ogni giorno qualcosa da fare solo per dissetare la sua smisurata ossessione compulsiva. Lo fa perché sa che Bellamy Blake, forse più di lei, ha bisogno di distrazioni.
È stato quando quella considerazione è diventata ovvietà che Murphy ha capito il ruolo fondamentale di Raven Reyes: Bellamy tiene a galla tutti, e lei tiene a galla lui.



#7

La radio ha gracchiato.
Non è stato un sogno: la radio ha gracchiato davvero. Raven ha cominciato a lavorare al sistema di comunicazione subito dopo essere arrivati sull'Arca ma prima di adesso non era mai riuscita a raggiungere un risultato - e non era stato facile digerire la sconfitta, soprattutto da una che non accetta mai un insuccesso come risposta.
L'idea iniziale era stata quella di mettersi in contatto con i superstiti chiusi dentro al bunker, ma Murphy aveva capito subito che l'intenzione taciuta era un'altra e verteva su una speranza ancora più flebile: quella che Clarke, per grazia divina, fosse sopravvissuta. Gli era parso chiaro di non essere l'unico ad aver capito le vere intenzioni di Raven e Bellamy quando tutti, chi prima e chi dopo, avevano ricominciato a sperare.
"Se riusciamo a metterci in contatto…"
"Se è ancora viva…"
"Se il sanguenero ha funzionato…"
Nessuno ha mai detto eplicitamente 'Speriamo che Clarke sia viva', perché è come se ci fosse una regola taciuta, in mezzo a loro, che rende i nomi dei morti al limite dell'impronunciabile e soltanto in rare occasioni si può venir meno a quella regola: quando sono ubriachi o soli.
Ma dopo il gracchiare della radio - con conseguente sbuffo definitivo della suddetta, che ne ha segnalato la totale distruzione interna - le cose sono precipitate.
"Maledizione!" ha sbottato Raven.
"Puoi aggiustarla?" l'ha incalzata Bellamy. "Raven, puoi aggiustarla?"
"Credo di sì".
"Allora fallo".
E Murphy ricorda la luce nello sguardo acceso di Bellamy, qualcosa che non ha visto più dopo che è stato costretto a chiudere la porta della navicella, giù nel laboratorio di Becca. Ricorda di aver sperato che le cose avrebbero potuto aggiustarsi - in barba al suo pessimismo cosmico - e ricorda che tutti si sono mostrati più forti e determinati, come se quel piccolo gracchiare di quella dannata radio avesse potuto ridare energia a tutti.

Ma la radio non ha più gracchiato. Nemmeno una volta.



#8

Ci sono giorni in cui Murphy è più preoccupato per Bellamy di quanto non lo sia per se stesso. Pensava che con il tempo le cose fossero migliorate - che beccare Echo fuggire costantemente dalla stanza di Bellamy prima dell'orario di colazione fosse una di quelle piccole note positive che mostravano come Bellamy si stesse riprendendo dalla batosta che aveva preso, che custodiva gelosamente dentro di sé e che tutti - nonostante fosse bravo a non mostrarlo - sapevano esistesse.
Ma Bellamy Blake non mangia spesso, non dorme bene, non riposa mai. Bellamy Blake passa metà del suo tempo a risolvere problemi che Raven gli propina e l'altra metà ad osservare una Terra devastata in cui il rosso e l'arancione la fanno da padrone - è un pastrocchio di colori sgargianti, un pianeta di lava e sangue, una poltiglia di ricordi aguzzi e speranze perdute.
"È sempre bellissima", sussurra Harper sovrappensiero, sfiorando con le dita il vetro della finestra.
Bellamy non risponde; lo sguardo fisso davanti a lui, oltre la finestra, diventa più profondo e irraggiungibile, aggrappato a memorie che sono state e che adesso non sono più.
"Sì, lo era", dice soltanto e Murphy non sa più dire a chi si riferisca.



#9

Emori si è abituata alla vita sull'Arca - è una sopravvissuta, in fondo, Murphy non ha mai avuto dubbi in proposito, nonostante i primi terribili tentativi - e ora si aggira per i corridoi come se fosse la sua casa natale.
"Sai, mi stavo chiedendo", gli dice, abbracciandolo da dietro, "come hai fatto a sopravvivere così a lungo sulla Terra dopo aver vissuto in un posto dove non succede mai niente?"
"Fortuna", è la risposta di Murphy.
"Allora è stata una fortuna che tu abbia incontrato me".
"Sicuramente".
Emori lo volta per baciarlo. Murphy sente che le sue labbra non sono più bramose e selvagge come quando erano sulla Terra, dove bisognava vivere appieno ogni secondo stando sempre attenti perché la morte era pronta a prenderti a ogni minimo passo falso. È come se anche Emori fosse meno selvaggia, meno terrestre. Ha sempre avuto questa caratteristica camaleontica, perché come spesso gli ha ripetuto quando erano in mezzo al deserto "ti devi adattare se vuoi sopravvivere". Però Murphy sente che anche lei, come Monty, si sta lasciando andare e non sa se esserne contento o dispiaciuto.
Murphy si riscuote nel momento in cui Emori si siede sopra le sue gambe. "I tuoi amici come stanno?"
"Lo sai, sono anche i tuoi amici".
"Sì..." Emori alza le spalle, "ma è strano chiamarli così".
"Stanno bene, comunque".
"Sicuro?"
"Perchè me lo chiedi?"
Emori inarca le sopracciglia. "Curiosità", risponde, ma Murphy sa che c'è più di questo e l'espressione che le rivolge è così eloquente che alla fine Emori si arrende. "È solo che, sai, non ne parlate. Dico, mai".
"Di cosa dovremmo parlare?"
"Di chi avete perso".
"Sappiamo bene chi abbiamo perso".
"Ma non li avete mai pianti".
Murphy la guarda senza parlare e Emori continua. "So cosa pensi, e credimi, nemmeno io so perché in un momento simile mi tornino in mente le tradizioni di un popolo che è stato solo capace di ripudiarmi; ma - e sai che è così - avete bisogno di chiudere con il passato". Si volta verso la finestra, verso la Terra. "Quando torneremo laggiù, tornerà anche tutta la nostalgia che questo posto ci sta facendo ignorare", guarda di nuovo Murphy, "e sarà troppo tardi. È questo, il momento giusto. Piangere e condividere il dolore per quelli che abbiamo lasciato indietro. Solo così potremo andare avanti".
"È complicato", risponde lui.
"Lo è sempre".
Emori ha ragione, Murphy questo lo sa. Ma ci sono molte cose che lei ignora, tantissime sfumature di emozioni che sono sempre rimaste sepolte, anche quando potevano mostrarsi, e che adesso che è troppo tardi fanno male e non possono né vogliono essere dimenticate.
I terrestri sono fatti così: accettano la morte come percorso naturale della vita; ma loro la vivono come una colpa, un fardello che devono portarsi appresso e che non verrà mai cancellato.



#10

È il primo anniversario del loro ritorno sull'Arca - il primo anniversario del Praimfaya - e Raven continua a fare su e giù per l'Anello; è così nervosa che potrebbe uccidere qualcuno.
"Dove diavolo si è cacciato?"
"Reyes, se ti piace così tanto dovresti dirglielo".
"Vaffanculo, Murphy".
Certo, Murphy la prende in giro, ma sa bene che non è quel tipo di affetto che porta Raven ad avvicinarsi inesorabilmente a Bellamy.
"Stargli con il fiato sul collo non lo aiuterà di certo", continua poi, e stavolta dice sul serio. "Lascialo in pace. Almeno per oggi".
Raven continua a camminare avanti e indietro, il tono sempre più nervoso. "È proprio perché è oggi che non posso lasciarlo in pace. Cosa credi, che mi diverta a fargli da baby-sitter?"
lui il baby-sitter, di tutti noi".
"Lo so, questo".
"Allora dagli un attimo di tregua. Non è che possa scappare, sai".
"Non è quella la mia preoccupazione", Raven finalmente si ferma, dritta davanti a lui. Murphy le legge nello sguardo un'indecisione ambigua, che poco si addice al suo carattere pragmatico. "Lui… ha dei momenti no".
"Abbiamo tutti dei momenti no".
"Tu non l'hai visto. Non sai come ha reagito".
"Clarke è morta. Sarei più sorpreso se non avesse reagito affatto".
Raven sobbalza quando Murphy dice che 'Clarke è morta' - Clarke è un tabù taciuto e lui odia che sia così perché Emori ha ragione: sarebbe di aiuto per tutti se potessero parlarne, se potessero condividere la perdita. Ma forse nessuno di loro ha la forza per andare avanti. Non ancora.
"Ho cercato di parlargli", risponde Raven, "di farlo parlare, ma non ne vuole sapere".
"Bellamy non è tipo da aprirsi con gli altri, lo conosci".
Raven alza le spalle. "Con Clarke lo faceva".
Murphy annuisce e Raven prosegue. "È stato lui a starmi vicino quando ho perso Finn. E adesso… Clarke era il Finn di Bellamy, ed è morta. Se continua a tenersi tutto dentro, la situazione peggiorerà".
"Bellamy Blake è portato all'autodistruzione", ribatte lui, poi gli viene in mente un altro pensiero e si accorge che l'ha avuto anche Raven nel momento in cui incrocia il suo sguardo.
Anche Clarke era portata all'autodistruzione.
Raven abbassa la testa. Resta un istante in silenzio e quando risolleva lo sguardo i suoi occhi sono più lucidi. 
"Credi che… avrei dovuto lasciarle un minuto in più?"
Murphy sospira e scuote la testa. "Non avevamo un minuto in più".
"Lo so, ma forse…" Raven si morde le labbra. "Forse il computer avrebbe resistito. Forse Clarke era fuori dal laboratorio e—"
"Raven, no", la interrompe lui. "Se avessimo aspettato, saremmo morti tutti".
Lei lo guarda con gli occhi grandi e colmi, trabocca insicurezze che non ha più la forza di trattenere - dopotutto, è l'anniversario; per tutti loro.
"Ho detto io a Clarke di occuparsi dell'antenna. Io l'ho lasciata andare. E se non avesse capito le mie direttive? Se fosse incappata in un problema che io sarei stata in grado di risolvere?"
"Perfino Echo sarebbe riuscita a capire le tue direttive, e stiamo parlando di una terrestre convinta che una radio sia una tecnica di combattimento".
"Ma se fossi stata al suo posto…"
"Saremmo comunque morti tutti: con la tua gamba non saresti tornata in tempo. E sappiamo chi è stato a renderti zoppa. Questo vuol dire che è colpa mia se Clarke è morta?"
Raven si zittisce, scuote la testa. Poi alza le spalle.
"È che…" una lacrima scivola dai suoi occhi. "Ci ho provato. Ho provato ad aiutarlo, ho provato a stargli accanto, ma…" un'altra lacrima, "ma io non sono Clarke".
"Lo so", Murphy è tentato di abbracciarla per confortarla ma non sa proprio come fare e alla fine rinuncia. "Nessuno di noi è Clarke. Ma tu e Bellamy, insieme, ci state tenendo vivi. Forse nessuno riuscirà più a collaborare con Bellamy nel modo in cui faceva lei e forse lui non riuscirà più a fidarsi così ciecamente di qualcun altro, ma è grazie a voi che stiamo andando avanti. Grazie a te e a lui. Insieme".
Raven tira su con il naso. "Però mi manca".
"Quella testarda Principessina so-tutto-io?" Murphy sospira. "Anche a me".
Restano uno di fronte all'altro per un po', in silenzio, contando solo sulla presenza dell'altro - sul reciproco respiro, sul reciproco rispetto, sulla sofferenza che sanno essere condivisa. Poi Raven abbozza un sorriso e Murphy capisce che la tempesta è passata.
"Essere consolati da John Murphy. Devo aver raggiunto il livello più basso della mia vita".
"Ma se mi adori".
"Oh certo. Il tuo charme è leggenda".
"Te lo ripeto, bellezza: Emori mi ha messo gli occhi addosso per prima".
Entrambi ridono, poi Raven si incammina per il corridoio. Prima di andare via, si volta a guardarlo.
"Murphy… grazie".



#11

Alla fine riesce a trovarlo. Murphy non sa perché sia andato a cercarlo; forse perché Raven era davvero scossa, o perché Bellamy è suo amico, o forse perché non aveva niente di meglio da fare - francamente non gli importa. Non appena mette piede nella zona di lancio - quella del portello d'entrata da dove sono arrivati, che, esattamente un anno prima, ha rischiato di accoglierli come cadaveri a causa della mancanza di ossigeno - vede Bellamy seduto contro la parete, le braccia abbandonate lungo i fianchi, le ginocchia piegate, la mano che regge il collo di una bottiglia di The Baton, gli occhi incollati alla finestra enorme davanti a lui.
"Murphy", dice Bellamy non appena lui fa un passo nella sua direzione - però continua a guardare fuori, "che ci fai qui?"
"Raven ti stava cercando".
"Ha bisogno di me?"
"Non più, no".
Bellamy non aggiunge altro ed entrambi restano in silenzio. Murphy lo osserva senza riuscire a riconoscerlo perché non c'è niente di Bellamy Blake in quel ragazzo stanco, triste e sbronzo - anche se quegli occhi scuri sono lucidi e vigili come sono sempre stati.
"Wishkey, eh?" ricomincia Murphy.
Bellamy scuote la testa. "Jordan. La bottiglia di The Baton era vuota quando siamo arrivati".
"Beh, meglio di niente. Ti spiace se mi faccio un goccio?"
Bellamy gli allunga la bottiglia e osserva Murphy scolarne un sorso. "Bevine uno anche per me", sussurra, perso nei suoi pensieri.
"Come?"
"Ho detto: non finirlo".
Murphy gli restituisce la bottiglia, indeciso se andarsene o meno, poi il suo sguardo spento comincia a dargli fastidio e non riesce più a stare in silenzio. Bellamy Blake non può ridursi così, anche a costo di beccarsi un pugno.
"Sai, Bell, quest'aura da bello e dannato che ti ostini a portarti appresso - e che, per carità, ti farà anche molto sexy - non può più andare avanti".
Bellamy alza un sopracciglio e si volta a guardarlo. "Di che stai parlando, Murphy?"
"Sai di cosa sto parlando".
"Io sto bene".
"No, non stai bene". 
Bellamy gli lancia un'occhiataccia, poi si volta di nuovo verso la Terra e i suoi occhi vengono inghiottiti un'altra volta dai ricordi. Murphy sta quasi per andarsene quando Bellamy schiude le labbra e, con un filo di voce, dice: "Me l'aveva detto che non sarebbe sopravvissuta".
Murphy s'irrigidisce. Non si aspettava davvero che fra tutti quelli tra cui avrebbe potuto scegliere decidesse di parlare proprio con lui. Ma forse è l'alcool che non lo fa ragionare con saggezza.
"Me l'aveva detto", continua Bellamy, "e io non l'ho ascoltata".
"Nessuno poteva sapere—"
"Avrei dovuto proteggerla, e non l'ho fatto. Avrei dovuto salvarla, e non l'ho fatto. Avrei dovuto dirle…" si ferma, incerto. Murphy non ha bisogno che lui continui - non ha bisogno che dica ad alta voce quello che urlano i suoi occhi e che gli ha già ripetuto Raven.
Clarke era il Finn di Bellamy.
"… e invece è morta", aggiunge Bellamy, con i pugni chiusi. Beve un altro sorso di Jordan e riprende. "Quindi , non sto bene. Ma a te che importa?"
"Ne va della mia sopravvivenza", risponde Murphy, "Sei tu che mandi avanti la baracca, qui".
Bellamy arriccia le labbra in una smorfia. "Non lascerò che qualcuno muoia. Non più. Puoi starne certo".
E Murphy sa che non c'è più niente da dire perché è già tutto lì, in quelle parole diluite nell'alcool. Bellamy non infrangerebbe mai una promessa fatta ai morti - una promessa fatta a Clarke.
Per il resto, devono solo dimenticare. Spera solo che il tempo guarisca tutti.



 
If you must leave, leave as though fire burns under your feet
If you must speak, speak every word as though it were unique
If you must die, sweetheart, die knowing your life was my life's best part
If you must die, remember your life




(You, Keaton Henson)
 


 
   
 
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