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Autore: Roiben    04/06/2017    1 recensioni
«Questo vuoto. A volte ho l’impressione di venir risucchiato al suo interno e di non poterne più uscire»
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«Vorrei che rimanessi per sempre»
«Anche io»
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Ci sono momenti in cui si chiede cosa lo trattenga ancora lì, in un luogo così estraneo e lontano dalla sua natura.
[Storia direttamente collegata a “La Strada Verso Casa”]
Genere: Fantasy, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Emily Jane Pitchiner, Kozmotis 'Pitch' Pitchiner, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Strada Verso Casa'
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Insieme

~·~

La Strada Verso Casa





~ Parte Prima ~





2038 d.c. – settembre







I suoi occhi dorati sono persi da lunghi minuti nei riflessi cristallini del piccolo lago, quando una leggera folata di vento annuncia un nuovo arrivo. Poco dopo Akh atterra leggero sul ramo sopra il quale Pitch è seduto.


«Stai bene?» chiede, un po’ preoccupato, lo spirito della Luce.


Pitch distoglie lo sguardo dal laghetto e lo punta sullo spirito, annuendo adagio.


«Sì. Volevi parlarmi?».


«Non io. Faccio il messaggero, ora; come Hermes» borbotta Akh, visibilmente contrariato.


Pitch distende le labbra in un morbido sorriso rilassato e fa segno all’altro di accomodarsi al suo fianco.


«Dimmi tutto» lo invita gentilmente.


«Emily Jane dice che ha bisogno di parlare con te di una certa questione» annuncia Akh.


«Ne sono certo» sospira Pitch.


«Non penso ti lascerà in pace tanto facilmente» lo avvisa di buon grado.


«No, non lo credo neppure io» ammette.


Akh lo osserva attentamente, mentre Pitch torna per un momento a perdersi nei recessi del lago (o più probabilmente di sé stesso).


«Vuoi che le dica che non ti ho trovato?» tenta incerto.


Pitch sbuffa una mezza risata. «Non ci crederebbe nessuno. E lei tenterebbe per l’ennesima volta di farti arrosto».


«Uh… Beh, io ci ho provato» borbotta Akh, imbarazzato.


«Lo apprezzo» assicura. «Va’ pure, goditi il vento» soffia, piegando le labbra in un mesto sorriso e osservandolo spiegare le grandi ali e prendere quota.


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«Volevi vedermi?» si annuncia Pitch, comparendo in un istante al suo fianco su un’altura dalla quale si può scorgere una parte dello sconfinato paesaggio verdeggiante che li circonda.


Emily Jane sobbalza impreparata, nonostante debba ormai essere avvezza alle repentine apparizioni del padre.


«Sì, io…» tentenna, nervosa «devo parlarti».


«Capisco» sospira Pitch. «Ebbene, io sono qui. Ti ascolto» avanza, seppur evidentemente a disagio.


«Perché vuoi andartene?» chiede repentinamente Emily Jane, in un tono che ha l’aria di un’accusa.


Pitch trasale, sia al tono che alle parole, e per un attimo chiude gli occhi, cercando la calma necessaria.


«Emily Jane, non ho intenzione di andarmene. Ho cercato più volte di spiegartelo. Io…» esala, esasperato, portandosi una mano fra i capelli. «È qualcosa che devo fare, che… sento necessario».


«Ma non lo è!» protesta lei con veemenza.


«Lo è, invece» replica lui, seccamente. «Tu non lo senti. Io sì. Questo…». Il respiro di Pitch si fa d’un tratto erratico, la sua mano si posa sul petto. «Questo vuoto. A volte ho l’impressione di venir risucchiato al suo interno e di non poterne più uscire» sospira con voce strozzata.


«Papà».


«So che vorresti capire, ma non ho idea di come spiegarti. Ci sono momenti in cui è quasi dolore, e in quei momenti vorrei poter essere altrove. Sento che potrei impazzire, perché mi sento come spezzato» ammette in un lieve singulto.


Sospira, mentre le braccia tiepide e sottili di Emily Jane lo circondano e lo avvolgono, facendolo sentire meno perso.



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2038 d.c. ottobre







Promettimi che tornerai”.


Sulla mia anima”.


Emily Jane, affacciata alla finestra che dà sul tramonto, si mordicchia pensierosa le labbra e prega: prega che suo padre abbia la possibilità di mantenere la parola, prega che nulla al mondo vada storto e che lui possa realmente fare ritorno come promessole. Lei non permetterà che vada diversamente. “Non questa volta. Mai più” impone caparbiamente a sé stessa, attendendo pazientemente alla finestra, mentre il cielo imbrunisce. “Mai più”.


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«Pitch».


«Sì» sospira lui, mentre un angolo delle sue labbra si solleva.


È incerto; non sa bene se farsi avanti o attendere che sia lei a mostrargli, ancora una volta, la via.


«Tu sei… s-sei…» tenta Katherine, sconvolta.


«Qui» le risponde lui, decidendo questa volta per lei la direzione da prendere.


Katherine porta una mano tremante sulle labbra, dalle quali sfugge un singhiozzo, poi un altro.


«Come… q-quando…» balbetta.


«Io… avrei voluto poter venire prima, ma non ci sono riuscito» ammette dispiaciuto.


La testa di Katherine è zeppa di domande, ma su tutto si impone l’unica cosa che valga veramente la pena di sapere.


«Sei tornato» soffia, incredula.


Il sorriso di Pitch è un poco tremante, ma rimane e sembra così reale, così… adesso.


A Katherine, in quel momento, non interessa affatto né il come né il quando. Adesso è ciò che davvero importa. E adesso lui è lì, di fronte a lei. Il suo Pitch.


Improvvisamente sorride, prendendo di sorpresa lo spirito che sbatte freneticamente le ciglia confuso, e con rapidità sconcertante colma la distanza che ancora li separa e si aggrappa tenacemente al suo collo, stringendo e stringendo fino quasi a soffocarlo. Per loro fortuna non è umano.


«Sei tornato. Sei tornato» continua instancabile a ripetere al suo orecchio, lasciando cadere qualche lacrima sul suo collo.


«Sì, l’ho fatto» mormora, avvolgendola fra le braccia e tenendola stretta a sé.


«Mi sei mancato. Così tanto» sussurra, con ancora il volto seppellito nel suo collo.


«Anche tu» ammette senza esitazioni.


Si sente bene. Bene come mai è veramente stato da quando non è più un essere umano. Si sente… vivo, per quanto assurdo possa apparire. Aveva quasi scordato quella sensazione di essere finalmente completo che ha sentito e sente ora, con lei e con nessun altro.


«Stai piangendo» soffia Katherine sulla sua maglia umida.


Pitch trema per un lungo momento e prova a scostarsi, appena un poco, senza però riuscirci.


«Mi dispiace» si scusa, senza ben sapere il perché.


«No» soffia Katherine, scuotendo lentamente la testa e carezzando il suo volto. «No, Pitch. Va tutto bene. Anche io mi sento così» rivela.


Pitch spalanca gli occhi, sorpreso, e la scruta preoccupato.


«Da-davvero?».


Katherine annuisce piano e sorride.


«Ma… stai bene?» si accerta lui.


«Adesso sì, Pitch. Molto».


I suoi occhi dorati sono ancora sgranati. Non ci aveva mai pensato. Non era affatto qualcosa che avesse preso in considerazione e, in ogni caso, difficilmente avrebbe potuto trovare una soluzione. Eppure…


«Non intendevo procurarti dolore» mormora tristemente.


«Oh, Pitch. È accaduto, e tu non potevi farci proprio nulla. E comunque è cominciato prima che tu scomparissi».


«Prima?» rantola tremante.


Che cos’ha fatto? Come è potuto accadere? Aveva giurato che l’avrebbe protetta, invece è riuscito a farle nuovamente del male.


«Pitch, basta. È passato, non sei responsabile per ciò che è stato. E anche se lo fossi, non è qualcosa che si possa cambiare, neppure volendolo».


«Ma… K-Katherine, io» tentenna Pitch.


«Shh. Non ora. Ora stringimi e vedi di farlo per bene, così tengo da parte la mia scorta per un po’» scherza la ragazza.


Per quanto sembri incredibile, a Pitch sfugge una lieve risata e le obbedisce prontamente, desideroso quanto lei di una buona scorta di serenità.


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Stanno sonnecchiando su una panchina, godendosi il tiepido sole pomeridiano e la reciproca vicinanza che riesce, chissà come, ad alimentare la sensazione di calore. Le dita di Pitch scorrono leggere e delicate fra i capelli di Katherine, mentre lei ha il capo posato sul suo petto, sopra il suo cuore tranquillo, e sulle sue labbra permane l’ombra di un sorriso felice. Qualche minuto più tardi gli occhi verdi di Katherine si socchiudono contro il cielo terso; sospira.


«Quando… sei tornato?» tenta, incerta.


Pitch posa il mento sul capo della ragazza e chiude un momento gli occhi.


«Ufficialmente, un anno dopo essere scomparso».


Katherine sussulta e sgrana gli occhi.


«Un… anno?» domanda confusa.


Lui si limita ad annuire pacatamente e a stringerla maggiormente a sé.


«Sono… p-passati dieci anni» continua, tremante.


«Ne sono conscio» ribatte, ancora a occhi chiusi.


Avverte il respiro di lei rallentare, dopo aver corso freneticamente, tenuto cocciutamente sotto controllo dalla volontà della ragazza.


«Spiegami» pretende, decisa.


Pitch accenna un sorriso compiaciuto e riapre gli occhi, fissandoli in quelli verdi di lei. Poi inizia a narrarle la sua nuova avventura.


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«Com’è stato?» soffia Katherine, alla conclusione del lungo racconto di Pitch. «Ha fatto male?» vuole sapere, seppur consapevole delle conseguenze.


Gli occhi dorati di Pitch si perdono qualche momento in quelli addolorati di Katherine. Sa ciò che lei gli sta chiedendo. Sono piuttosto in sintonia, ormai, e riesce a comprendere i suoi ragionamenti e le sue necessità. Preferirebbe non doverle parlare di quello, ma lei sembra averne bisogno, così decide di accontentarla.


Cauto, annuisce. «Sì. Non puoi neppure immaginare quanto, e di questo sarò eternamente grato» sospira, affondando poi il naso nei suoi capelli soffici e profumati.


Le braccia di Katherine si stringono nuovamente attorno al suo collo e il suo viso ora fronteggia quello dello spirito con uno sguardo serio e triste insieme che lo fa fremere d’inquietudine.


«Mi dispiace» dicono le sue labbra, confondendo Pitch.


Scuote la testa e fa scorrere i polpastrelli sulla guancia serica della ragazza.


«Perché?».


Lo sguardo di Katherine, sicuro fino a un momento prima, si abbassa colpevole.


«Perché sono stata io a farti tornare, dieci anni fa».


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«Cosa? Non… n-non capisco» tentenna Pitch, fissandola confuso e un po’ sconvolto.


«Io non… avevo in mente tutto questo. Ho solo pensato che se ci avessi creduto, come mi avevi detto tu, se lo avessi fatto con sufficiente convinzione, allora… avrei potuto riaverti con me, almeno per un po’» mormora Katherine, tremante.


Pitch deglutisce, costernato. La portata di ciò che è accaduto è piuttosto sconvolgente e lo schiaccia con sadico divertimento.


«Lo hai fatto tu» soffia, lo sguardo perso nel vuoto.


«Sì» conferma Katherine, desolata. «Ti giuro che se solo avessi avuto idea delle conseguenze, io…».


Pitch, finalmente, risolleva lo sguardo e la vede davvero.


«No» replica deciso. «Non è questo il motivo per cui sono sconvolto. Comprendo benissimo che non avresti mai potuto immaginare ciò che sarebbe accaduto». Sbuffa una risata amara. «D’altronde, chi mai avrebbe potuto farlo? No, non è questo ciò che mi turba» ribadisce serio.


Lei lo guarda incerta e scuote la testa senza capire.


«La tua presenza in questo mondo, in qualche modo, sembra impedire che la mia si estingua completamente. Quando le mie energie si sono esaurite, in teoria, avrei dovuto perdermi definitivamente, o quanto meno… mutare in modo irrevocabile la mia essenza. Invece non sono scomparso; una parte di me, di ciò che sono e sono sempre stato, è rimasta, in attesa che qualcosa riaccendesse la scintilla. E tu lo hai fatto. Ma non hai fatto solo questo, no. Continuando a esistere, a vivere, hai permesso che lo facessi anche io. Mi chiedo se…» soffia Pitch, eccitato e turbato assieme.


«Pitch?» pigola Katherine, un po’ spaventata.


Pitch la fissa negli occhi e assottiglia lo sguardo.


«Mi chiedo se possa trattarsi di una regola a doppio senso».


«Cioè?» indaga lei, dubbiosa.


«Quando giungerà il tuo momento, ti verrà concesso di abbandonare questa vita?».


«C-come?» rantola Katherine, costernata.


Pitch fa scorrere una mano, dolcemente, lungo una sottile spalla della ragazza, in un impacciato tentativo di conforto.


«È una possibilità» ammette. «E visti gli sviluppi appena emersi, non mi sento di scartarla a priori, nonostante appaia abbastanza grottesca e inaspettata» spiega razionalmente.


«Non… sono certa che sia un’idea confortante» mugola Katherine, appoggiandosi al suo petto in cerca di sostegno.


«Probabilmente no» concorda Pitch, stringendola a sé e sospirando appagato.


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«Pitch» mormora un po’ assonnata, senza accennare a staccarsi da lui.


«Mh?».


Katherine sorride e stringe fra le dita il cotone nero della sua maglia.


«Quanto tempo puoi rimanere?» si arrischia a chiedere.


Pitch solleva uno sguardo comprensivo su di lei.


«Tu cosa vorresti?» chiede a sua volta.


Katherine ridacchia divertita, poi lo colpisce piano sulla spalla.


«Sai che i tuoi giochetti psicologici non funzionano con me» lo ammonisce.


«Lo so. Ma dimmelo lo stesso. Solo per questa volta, ti prego» le chiede con voce piccola.


Lei lo scruta, attenta, e infine comprende e scuote la testa.


«Non puoi cambiare le cose in questo modo. Lo so io, che ho a mala pena l’età per sposarmi, a maggior ragione dovresti saperlo tu, che sei in giro da millenni» lo sbeffeggia.


Pitch sorride. «Sei proprio crudele».


«Lo sono?».


«Oh, sì» sospira, tornando ad abbracciarla perché sembra proprio non averne mai abbastanza.


«Vorrei che rimanessi per sempre» decide infine di accontentarlo, guardandolo nei suoi occhi tristi.


«Anche io» mormora, poggiando la fronte sulla sua.


«Ma non puoi» offre Katherine, comprensiva.


«No» conferma a malincuore, «non posso».


«Allora quanto?» insiste Katherine, ora decisa più che mai ad avere una risposta valida.


«Questa sera dovrò andarmene».


Katherine boccheggia e si scosta bruscamente, guardandolo allucinata.


«Ma è… prestissimo» rantola intontita.


«Lo so, io… ho promesso…» tenta invano.


«Ah, sì. Un’altra di quelle tue promesse senza capo né coda, immagino» ribatte sarcastica.


«Ehi! Non sono affatto…» prova inutilmente a protestare Pitch.


«Come no. Lo sono eccome. Esattamente come le occasioni in cui mi dicesti che saresti rimasto. Te le ricordi, sì? Quante erano?» lo rimbecca duramente.


«Mh» replica solo Pitch, senz’altro da poter aggiungere. Nulla che suoni sensato, per lo meno.


«Giusto» conferma Katherine. Poi lo fissa assottigliando gli occhi e costringendolo ad agitarsi nervosamente sul posto. «Intendi farti rivedere, un giorno?» si informa, con un tono stranamente gelido.


«Katherine, io…» tentenna Pitch, incerto.


«Capisco» ribatte asciutta, prima di scostarsi e rimettersi in piedi.


Pitch sbarra gli occhi e, con una strisciante sensazione di panico che ingabbia la sua mente, si alza a sua volta e le si para di fronte.


«No, ti prego, aspetta. Non è questo che intendevo».


«Ah no? Cosa intendevi, dunque?» sibila, delusa.


Lentamente, Pitch allunga una mano e raccoglie una di quelle di Katherine, trovandola ancora così piccola rispetto alla sua. Sorride malinconicamente.


«Probabilmente non sarà domani, ma non sparirò di nuovo per undici anni, Katherine. Non credo nemmeno di potermelo permettere, se devo essere sincero» ammette, con un’ondata di angoscia al solo pensiero.


L’espressione di Katherine, ora, è un poco più rilassata, anche se rimane guardinga.


«Dimmi quando» insiste.


Pitch sospira e accarezza il dorso della sua mano con il pollice, come faceva quando era una bambina.


«Credi che un mese sia un tempo eccessivo?» prova.


Può avvertire il suo corpo irrigidirsi a quelle parole. Spera che sia ancora abbastanza lucida da vedere la verità in esse.


Apparentemente lo è. «Un mese» soppesa, pensierosa. «E… fra un mese rimarrai più di qualche ora?» indaga.


I lineamenti dello spirito si distendono impercettibilmente. Annuisce.


«Farò in modo che succeda. So ancora essere persuasivo».


Katherine sorride e Pitch respira, finalmente.


«Non ne dubito affatto» soffia divertita. Poi lo scruta, di nuovo seria. «Io ci conto, Pitch. Ti assicuro che se fra un mese non sarai davanti a me, verrò a cercarti. E quando ti troverò (perché puoi star certo che lo farò), pregherai di essere ancora un gatto» lo avverte, facendolo piacevolmente rabbrividire.


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Il cielo cremisi annuncia la fine di un’altra giornata, ma Pitch non sembra decidersi a staccarsi dalla ragazza che trattiene fra le braccia. “Un mese: che idea balorda” borbotta fra sé. Si insulta mentalmente, tremando al solo pensiero di quanto lungo potrebbe risultare. Certo, ha atteso dieci anni per poter fare ritorno da lei, ma allora non sarebbe stato in grado di raggiungerla neppure se ci avesse provato con tutto sé stesso. E lo voleva, lo voleva davvero.


«Sei pronto?» sussurra Katherine contro il suo collo.


«No» ammette Pitch, avvertendo un peso posarsi sul suo cuore.


Le labbra di Katherine si dischiudono in un sorriso esitante. Solleva il viso e accarezza piano il volto dello spirito.


«Nemmeno io lo sono. Ma se vuoi tener fede almeno a una dei tuoi milioni di promesse, direi che questo è decisamente il momento giusto per farlo» lo deride, con un fastidioso groppo in gola.


Pitch scuote la testa, mesto.


«Mi dispiace. Ti giuro che farti soffrire era davvero l’ultima delle mie intenzioni. Eppure, pare proprio che io non riesca a fare altrimenti» si rammarica.


«È successo, invece. E succederà ancora, Pitch, oppure saremo noi a farlo accadere».


«Saremo noi» mormora Pitch, riflettendo.


Katherine annuisce. «Sì, esatto. Ora vai, o farai tardi e qualcuno se la prenderà con me» lo sprona.


Pitch si sporge e posa un bacio sulla sua fronte.


«Grazie».


Katherine sorride e scuote la testa.


«Non ringraziarmi. E ricordati che ti aspetto» replica, picchiettando minacciosamente l’indice contro il suo petto.


Sta ancora sorridendo, quando Pitch svanisce nel nulla, lasciandola nuovamente sola. Il suo sorriso si affievolisce ma non scompare completamente. Lui tornerà, questa volta ne è certa. Lui tornerà, per lei.


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Ha giusto il tempo di posare i piedi sul soffice terreno ricoperto di muschio e accertarsi di essere giunto a destinazione tutto intero, che qualcosa gli si getta addosso con un po’ troppa forza. Già pensa di dover fare i conti con qualche imboscata imprevista, quando il suo naso intercetta odore di pioggia e polline. Allora abbassa gli occhi, posandoli su una nuvola di lunghi capelli neri avvinghiata al suo petto. Sospira, già stremato.


«Emily Jane» mormora, posando con delicatezza una mano sulla sua schiena.


«Infine sei qui» borbotta la donna, combattuta tra il ritrovare un minimo di compostezza e la necessità di non lasciarlo allontanare neppure di un solo passo.


«Così pare» conferma Pitch, quasi divertito (quasi, se solo la preoccupazione non fosse ben superiore).


Lei lo scruta senza riuscire a placare l’ansia che l’ha tenuta in tensione per l’intera giornata. Neppure averlo davanti senza un graffio e all’apparenza in perfetta salute sembra servire a tranquillizzarla.


«Stai bene? Non… ti hanno fatto del male, vero?».


Pitch scuote lentamente la testa e si massaggia il collo. Non pare, dopo tutto, che essere riuscito (per una volta) a fare ciò che si era ripromesso sia servito a molto.


«Nessuno mi ha fatto del male, Emily Jane. D’altronde, non era questo lo scopo del mio viaggio».


«No, certo, ma avrebbe comunque potuto accaderti qualunque cosa, nel mentre» insiste lei, irremovibile.


«Qualcosa?» dubita, osservando con attenzione negli occhi agitati della figlia. «Qualcosa di che genere, esattamente?».


Lei lo fissa attonita, quasi gli fossero cresciute due teste in più.


«Scherzi?» sbotta, mollando finalmente la presa sulle sue braccia e raddrizzando rigidamente la schiena. «Hai forse già dimenticato quanti sono quelli che preferirebbero saperti morto e sepolto (sotto qualche tonnellata di terra), piuttosto che libero di gironzolare a tuo piacimento per il loro prezioso pianeta?» chiede, con una nota isterica nella voce.


Pitch rimane un momento spiazzato, infine si rende conto del reale significato delle parole della figlia e schiude le labbra, indeciso su cosa replicare.


«È… questo che pensi? Questo a cui hai sempre pensato?».


«Naturalmente! Ma dal modo in cui mi guardi pare proprio che io sia l’unica, al momento, ad avere certe preoccupazioni».


Lo sguardo di Pitch si indurisce e le lancia un’occhiata affatto lieta.


«Se credi che passerò il resto della mia esistenza nascosto sotto un qualche sasso sperduto in questa maledetta foresta, forse non mi conosci abbastanza bene» sibila irritato.


Emily Jane solleva seccamente il mento e accetta la sfida all’ultimo sguardo incendiario.


«Quindi cosa? Andrai a farti una passeggiata per il mondo come se niente fosse e scommetterai la tua testa su chi sarà il primo a staccartela?».


Ecco, questa chiacchierata non era affatto nei piani di Pitch che, ora come ora, si ritrova spiazzato e leggermente offeso dall’attuale atteggiamento disfattista della sua unica figlia.


«Sono ancora sufficientemente lucido da fare in modo di evitare certi incontri, suppongo. E anche se fosse, so ancora difendermi discretamente. O magari, chissà, potrei pensare di risolvere qualcuno dei vecchi dissapori semplicemente parlandone».


La risata sarcastica di Emily Jane lo turba più del dovuto e non lo predispone esattamente a un dialogo civile e ragionato.


«Oh, ma certo! Penderanno tutti dalle tue labbra» sbotta.


Perfetto: e addio serenità” rimugina acidamente dentro di sé.


«Sai che c’è? Ad averlo saputo prima, non mi sarei dato tanto da fare per tornare in tempo» sibila offeso, poco prima di scomparire fra le ombre della foresta, lasciandosi dietro solo silenzio e una basita Madre Natura.


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La tenue luminosità argentea della Luna, riflessa sulle piume, fa sembrare le sue ali metallo fuso. Ci sono momenti in cui si chiede cosa lo trattenga ancora lì, in un luogo così estraneo e lontano dalla sua natura aperta e luminosa. Spesso, perfino nei giorni più sereni, ci sono punti nella foresta in cui si potrebbe pensare che sia sempre notte. Dovrebbe proprio portarci Anubis a fare un giro; ci sguazzerebbe di certo in quell’oscuro groviglio all’apparenza inestricabile. Akh sorride un momento, al pensiero, e un attimo dopo i suoi occhi allenati scorgono un’ombra più fitta delle altre ai piedi di un albero. Angola le ali e rapido precipita in basso in una picchiata controllata che smorza a pochi metri dal suolo, distendendo armoniosamente le piume e toccando morbidamente terra a qualche passo dall’ombra. Solo che, come immaginava, non si tratta propriamente di un’ombra, ma di Pitch, rannicchiato strettamente fra le grosse radici di una quercia secolare. Cauto, gli si fa vicino.


«Ehi» bisbiglia appena, con l’unico intento di palesare all’altro la propria presenza.


Di scatto, Pitch solleva il capo e fissa su di lui il suo sguardo affilato.


«Akh» raschia ruvidamente.


La sua voce è roca e cedevole. Akh reclina il capo di lato, interdetto dal comportamento dell’altro. Piano, si accosta di qualche passo ancora e, solo allora, nota il suo viso sciupato e gli occhi stanchi.


«Cos’è accaduto?» chiede cauto.


«Ah, un poco di tutto» soffia Pitch, in un pessimo tentativo di fare dell’ironia.


«Il tuo viaggio non è andato come speravi?» si informa con genuina preoccupazione.


Gli occhi dell’altro sembrano allargarsi, presi da qualche pensiero importante.


«No, è… andato tutto bene» mormora Pitch. «Circa» aggiunge incerto.


«Circa, quanto?» indaga Akh, impensierito.


«Ahm… Beh, abbiamo avuto momenti poco simpatici, ma li abbiamo egregiamente superati, insieme».


«Bene» si compiace Akh, sorridendo. «Quindi, come mai non siete ancora insieme a ricordare i bei momenti?» si informa, dubbioso. «Perché sei già tornato?» vuol capire.


Pitch lo osserva, indeciso; sembra intento a riflettere, poi accenna un sorriso tirato.


«Dovevo… fare ritorno» prova a spiegare, senza tuttavia essere in grado di trovare le giuste parole.


Akh rimane inutilmente in attesa; infine, comprendendo che non avrà facilmente la spiegazione anelata, si siede accanto all’altro e, poggiata una spalla a quella di Pitch, attende che lui sia pronto.


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Quando Pitch, dopo avergli narrato più dettagliatamente del suo incontro con Katherine, gli spiega di averla dovuta lasciare per tornare lì, Akh lo scruta confuso e corrucciato, scuotendo la testa.


«Avresti dovuto rimanere con lei, almeno qualche giorno. Avrebbe certamente giovato a entrambi» commenta pacato.


«Lo so. Non era possibile» replica laconicamente Pitch.


Akh lo squadra, accigliato. Qualcosa gli sfugge, oltre agli occhi dell’altro.


«Ma certo che lo era. Che diavolo hai da fare, qui? Non è che tu abbia tutti questi impegni improrogabili in agenda» tenta di scherzare.


«Emily Jane attendeva il mio ritorno» cerca inutilmente di spiegare Pitch.


«Sicuro! Beh, con tutto il tempo che ha atteso in passato, cosa vuoi che sia qualche giorno in più» fa innocentemente notare.


Tuttavia, nonostante la fioca luce della Luna, può comunque osservare l’ingrigirsi dell’incarnato dell’altro spirito. Ed è in quel momento che si fa sospettoso.


«Pitch, che cosa c’è sotto, veramente?» insiste, deciso a capirci qualcosa.


«Le avevo promesso che… sarei tornato al più presto» pigola Pitch.


Akh sbuffa spazientito. «Capisco, ma una manciata di ore, per attraversare il globo e ritorno, è un po’ troppo presto. E francamente non mi sembra il caso che tu ti metta a sprecare inutilmente energie per passare con Katherine una quantità di tempo così ridicola. I benefici che ne trai sono sicuramente inferiori rispetto ai danni di un viaggio tanto impegnativo e di un distacco che, da quanto posso capire, sembra essere stato piuttosto traumatico. Quindi: almeno avete in programma di rivedervi a breve?» insiste Akh.


«Un mese» soffia Pitch, pregando in cuor suo di non essere udito.


«Cosa?!» sbraita Akh, mandando in fumo le sue esili speranze. «Ma sei imbecille? E in che modo conti di arrivarci, alla fine di questo fantomatico mese?» ringhia attonito.


«Con… un po’ di fortuna?» tenta timidamente Pitch.


Akh lo fissa allucinato, indeciso se prenderlo a sberle o strapparsi i capelli. Infine solleva gli occhi al cielo, frustrato.


«Ah, sarà stata deliziata dalla notizia, Katherine» immagina, con una tonnellata di sarcasmo.


«Non proprio» ammette Pitch, contrito.


Lo spirito della Luce si massaggia stancamente le tempie doloranti e sospira.


«Non ti capisco, davvero. Perché devi farti del male in questo modo? E alla ragazza, non hai pensato?».


Pitch lo fissa con occhi grandi e atterriti, e Akh comprende di aver nuovamente aperto bocca a sproposito.


«Scusa. Ho detto una cavolata» si affretta a rimediare. «Questo però non spiega la tua decisione. Vorrei capire che diamine di necessità c’è che tu sia qui, bloccato senza poter fare nulla, quando potresti invece essere là e lavorare attivamente per stare finalmente bene».


«Te l’ho detto» protesta debolmente Pitch, evitando accuratamente il suo sguardo.


«No che non lo hai fatto!» si inalbera Akh, seccato dai modi evasivi dell’altro. «Tu hai detto solo che avevi… promesso…» esita. Per un attimo sembra che le rotelline della sua testa si siano inceppate in un ragionamento troppo complesso, poi un lampo di comprensione balena accecante dentro di lui e Akh maledice tutta la dannata stirpe piantagrane dei Pitchiner. «Non glielo hai detto!» lo accusa, gridando sconvolto. «A che diavolo hai pensato? Perché non le hai parlato del fatto che devi stare vicino alla ragazza, se desideri anche solo sperare di stare bene e scongiurare la possibilità di impazzire del tutto?».


«Non… sapevo come dirglielo» esala Pitch, tremante.


Akh scatta in piedi come una molla, l’espressione di qualcuno che ha solo voglia di fare a pezzi ogni cosa.


«E immagino che a lei non sia venuto alcun dubbio» sibila, a un soffio dal perdere definitivamente la pazienza.


«Ha… d-detto che non ritiene sia una buona idea che… c-che io mi allontani da qui» soffia costernato.


Akh si schiaffa pesantemente una mano sulla fronte e ringhia frustrato.


«Ma voi lo fate apposta a infilarvi in questi assurdi casini?! Non ce la fate proprio, per una volta nella vostra vita, a parlare chiaro?» grida, svegliando mezza foresta.


«T-teme che qualcuno dei miei antichi nemici possa volermi fare del male» tenta inutilmente di spiegare.


«Certo, così evitiamo che qualche spirito vendicativo ti stacchi la testa, ma in compenso finirai con il dare di matto, così lontano dalla parte mancante della tua anima. Pitch, ma come diavolo ragioni?» sbotta incredulo.


«Ho… provato a spiegarle che mi fa male, ma…» tentenna Pitch.


«Al diavolo!» ringhia Akh, spazientito. «Se non ci riuscite voi, ci penserò io» decreta minaccioso.


«C-cosa?» incespica Pitch, interdetto e preoccupato.


«È facile: trovo tua figlia e le illustro le tue opzioni (che non esistono affatto, per la cronaca)».


«Akh… A-Akh, aspetta, non…» tenta, allarmato.


«Scordatelo. È ora che certe questioni vengano chiarite» dichiara irremovibile Akh, un momento prima di spiccare il volo, lasciando Pitch impietrito e ancora seduto rigidamente sotto la quercia.


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Akh ha brevemente riflettuto sulla possibilità di fermarsi un momento, prendersi del tempo per smaltire la rabbia e ritrovare un poco di lucidità. Ma infine ha deciso che non gliene frega niente di essere lucido e sereno, che per quello che deve fare andrà benissimo anche così, con i nervi a fior di pelle e un’emicrania da primato. E al diavolo anche la diplomazia.


Atterra bruscamente di fronte all’entrata della dimora di Madre Natura e dà un paio di pesanti calci al portone, palesando graziosamente la propria presenza.


«Emily Jane Pitchiner, esci fuori immediatamente, dobbiamo parlare!» sbraita spazientito.


Qualche minuto dopo la porta si spalanca e un’allucinata padrona di casa lo fissa dall’entrata.


«Akh, che diavolo succede? Sei impazzito?» esclama incredula.


Akh fa una smorfia infastidita e, senza troppe cerimonie, supera la donna e si fa largo nell’atrio.


«Non io, signora. Voi lo siete: tu e il tuo paparino. Ma adesso basta, ne ho fin sopra i capelli dei vostri inutili e dannosi silenzi, delle vostre decisioni sconsiderate, dei vostri piani al limite dell’idiozia» sbotta Akh, imbestialito.


Lei continua a fissarlo, interdetta, senza comprendere di che diavolo stia parlando.


«Forse dovresti spiegarti meglio» fa pacatamente presente.


«Forse invece dovresti cercare di usare le orecchie per ascoltare» ribatte seccamente Akh. «E magari gli occhi per vedere».


«È quello che faccio» ribatte asciutta.


Una risata amara sgorga dalla gola dello spirito della Luce.


«Sì, come no. E io sono uno stramaledetto angelo del paradiso. Ma fammi il piacere» le grida addosso. «A cosa credi ti servirà costringerlo recluso in casa tua? Pensi che proteggerlo da presunti nemici esterni lo salverà? Credi che nasconderlo al mondo servirà a tenerlo in vita per sempre? Sei davvero così cieca, Emily Jane? Non lo vedi che sta male, che non potrà mai essere completo, lontano da lei? Non hai mai davvero prestato ascolto alle sue parole, quando ti ha parlato del vuoto che sente dentro? Non ti sei mai chiesta cosa succederebbe se la sua fonte di controllo venisse a mancare una volta per tutte?».


«Lui è… uno spirito» soffia Emily Jane, pallida.


«Io sono uno spirito! Lui era un essere umano, uno che è stato ucciso da creature oscure, e poi posseduto da quelle stesse creature. Non possiede un nucleo completo. Non ha neppure un’anima integra. Non sarà mai uno spirito, non nel modo in cui lo siamo tu o io. Devi mettertelo in testa una volta per tutte. Devi capire, finalmente, che non è possibile paragonarlo a qualunque altro spirito tu conosca o abbia conosciuto, perché non lo è e non lo sarà mai completamente. Ti è chiaro il concetto? Riesce, finalmente, a entrarti in testa?».


Lei lo guarda con occhi grandi e atterriti, le sue labbra tremano quando soffia «Non me ne ha mai parlato» con voce confusa.


Akh sospira, frustrato. «Probabilmente no. Ma non hai più sei anni, Emily Jane. È davvero necessario che ti si spieghi ogni singola volta come stanno le cose? Mi è parso che conoscessi abbastanza bene il passato di tuo padre. Non sei in grado di trarre da te le conclusioni?».


«Lui ha detto… c-che aveva bisogno di vederla, ma…» tenta.


«Stare con lei» precisa Akh. «E non per una manciata di ore; non saranno sufficienti, se è questo che pensi. È tornato per qualche assurda promessa, ma non significa che fosse una scelta adeguata. Sarebbe stato più utile se fosse rimasto con lei per qualche giorno; per entrambi, ma in particolare per lui. Adesso è qui» sbuffa Akh, scuotendo la testa incredulo, «e pare le abbia detto che avrebbe fatto ritorno fra un mese».


«Un mese?» chiede Emily Jane, crucciata. «Non ne sapevo nulla».


«Non ne dubito» replica Akh, sarcastico. «Per caso gli hai anche dato del tempo per metterti al corrente degli sviluppi?».


Lei si irrigidisce al ricordo del loro ultimo e poco piacevole incontro.


«Non proprio» ammette.


«Chiaramente. Farò ciò che posso per convincerlo ad anticipare la partenza, perché tu lo sappia» l’avverte di buon grado. «Se è per la sua incolumità che temi, posso offrirmi di accompagnarlo, se lo credi utile» propone dubbioso.


«Lo faresti?» chiede sorpresa.


Per la prima volta da ché è giunto da lei, Akh abbozza un sorriso.


«Se può servire a fugare le vostre paranoie, farei questo e altro» la prende benevolmente in giro.


Emily Jane replica con un vago sorrisetto tremolante e, incerta, annuisce.


«Grazie» mormora impacciata.


«Risparmia il fiato. Ci dovrai parlare. Sono stufo marcio di fare da traduttore ai vostri cavolo di silenzi enigmatici. È il caso che ne discutiate da persone adulte e mature» la rimprovera pacatamente.


Emily Jane sospira, poi annuisce.


«D’accordo, hai ragione. Io… gli parlerò e… farò in modo di farmi spiegare ciò che non sembra io abbia mai avuto ben chiaro» concorda.


«Bene» soffia Akh, soddisfatto. «Lui è vicino al laghetto, sotto la grossa quercia: vallo a riprendere, prima che si faccia venire una sincope a furia di complicate supposizioni e oscure previsioni» scherza con un poco di impaccio.


Detto questo, con un ultimo cenno di saluto, si risolleva in volo, pronto a godersi quel che resta di una notte che avrebbe dovuto essere dolce e serena, e che invece si è rivelata un mattone sullo stomaco.


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«Padre» bisbiglia Emily Jane, avvicinandosi con circospezione alla nera figura ancora adagiata sotto la quercia.


Il suo richiamo non ottiene tuttavia risposta. Scavalcando agilmente radici e arbusti, la donna lo raggiunge e si china al suo fianco, posando cautamente una mano sulla sua spalla.


«Papà» ritenta.


Sfiora il suo viso con le dita e si rende conto solo allora che lui si è addormentato. Con un sorriso tremolante accarezza i suoi capelli, poi lo stringe a sé e lascia che il vento li trasporti velocemente di nuovo a casa. Parlerà con lui quando si sarà risvegliato.


Ciò che tuttavia non aveva previsto era che si sarebbe a sua volta addormentata in sua compagnia. Per questo la mattina, quando si ridesta, si ritrova stretta al corpo ancora sopito del padre. Rimane a lungo a osservarlo riposare, ripensando alle parole di Akh e alla sua presunta incapacità di vedere ciò che invece dovrebbe essere chiaro. Per lei non lo è stato affatto e, a quel punto, ha davvero bisogno di capire dove ha sbagliato e perché. Soprattutto perché.


Sospira. Tutto ciò che voleva e che tutt’ora desidera è che lui stia bene e sia al sicuro. Non è accettabile che per ottenere una cosa sia necessario rinunciare all’altra. A costo di seguirlo come un’ombra per proteggergli le spalle, otterrà entrambe.


Un respiro più profondo attira tutta la sua attenzione. Emily Jane torna a osservare la figura del padre, sapendo che presto sarà nuovamente desto e che una chiacchierata chiarificatrice l’attende.


Un tenue mugolio scivola fra le labbra socchiuse di Pitch, poi le sue ciglia sfarfallano nella penombra della camera e i suoi occhi mettono finalmente a fuoco l’ambiente, che non è affatto la foresta, come sarebbe stato logico aspettarsi dopo essersi addormentato ai piedi della quercia.


«Mh» soffia confuso.


«Ti ho riportato io a casa» lo tranquillizza Emily Jane, scorgendo le preoccupazioni del padre.


Pitch sposta lo sguardo su di lei e deglutisce nervoso.


«Va tutto bene, non preoccuparti» assicura.


Ma per lui c’è ben poco di sicuro, e il modo in cui la scruta ne è un segno tangibile.


«Perché?» soffia cauto.


Emily Jane prova un sorriso, fallisce e sospira di nuovo.


«Ho parlato con Akh» si risolve quindi a spiegare, così da chiarire qualche dubbio.


«Capisco» replica Pitch, asciutto.


Non sembra, tutto sommato, che lui intenda renderle le cose facili. Ma quando mai è successo, in fondo?


Lei lo fissa, incerta sul modo in cui iniziare quella necessaria conversazione. Invece, con sua sorpresa, lui l’anticipa.


«Non posso rimanere qui. Non in modo stabile. Non credo sopravvivrei».


Emily Jane sussulta alle sue parole e impallidisce.


«Avresti… potuto parlarmene prima» obbietta incerta.


«L’ho fatto» specifica lui, scuotendo leggermente il capo. «Forse avrei dovuto spiegarlo più chiaramente, ma…».


«Sì, avresti dovuto» conferma lei con voce traballante. «Perché pare che io sia un po’ dura di comprendonio».


«Emily Jane, questo non è vero» tenta, imbarazzato.


«Lo è, invece. Lo è. Non riesco mai a… comprendere. E quando succede, di solito, è sempre tardi».


«Non è tardi» obbietta Pitch.


«Lo sarebbe stato, se Akh non si fosse messo in mezzo!» sbotta spazientita dai suoi stessi limiti. «Non sei l’unico ad avere un problema, padre. È ovvio che ne ho uno anche io, e bello grosso per giunta».


Pitch, con sua sorpresa e sgomento, sorride.


«Cos’hai da sorridere in quel modo? Lo trovi divertente?» sibila piccata.


«Forse» ammette Pitch. «In realtà sorrido perché per un momento mi hai rammentato tua madre».


Emily Jane trattiene bruscamente il respiro e trema leggermente.


«Lei… mi manca molto» soffia angosciata. «E a te?».


«Ogni singolo giorno» conferma Pitch, addolorato.


Poggia il capo sulla spalla del padre, mentre lui le accarezza la schiena con gesti lenti e gentili.


«Non permetterò che tu stia ancora male. Voglio che tu sia sereno, che tu possa vivere ancora a lungo senza… s-senza più doverti preoccupare per gli altri. Non… voglio più vederti soffrire, papà» ringhia angosciata.


«Ah, Emily Jane, sai che queste tue speranze sono mera utopia. Quando mai la mia vita è stata tranquilla e priva di intoppi?».


«Lo sarà da adesso» si intestardisce lei.


Lui le sorride tristemente e la stringe maggiormente a sé.


«Non funzionerà. Ma devo ammettere che apprezzo il pensiero».


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Un’improvvisa folata di vento lo investe nel mezzo della sua tranquilla passeggiata in mezzo ai boschi. “Come cappuccetto rosso” soppesa Pitch, sorridendo fra sé; anche se, sospetta, verrebbe più facilmente scambiato per il lupo cattivo. Il tempo di voltarsi per capire cosa ci sia di nuovo all’orizzonte e Akh lo strattona nella direzione opposta a quella che avrebbe desiderato seguire. Pitch non si prende comunque la briga di protestare; sarebbe perfettamente inutile e dispendioso per le sue energie.


«Dove andiamo?» si limita a indagare prudentemente.


«A casa di tua figlia, per cominciare» replica Akh, sibillino.


«Mh» commenta incerto Pitch, ma senza aggiungere altro.


Immagina che il resto lo scoprirà giunti a destinazione, così si rassegna a seguire docilmente lo spirito della Luce.


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«Akh!» esclama sorpresa Emily Jane, ritrovandoselo inaspettatamente in salotto. «Padre?» aggiunge, incuriosita, vedendolo al seguito di Akh. «È capitato qualcosa?» si impensierisce, notando lo sguardo cupo dello spirito della Luce.


«Non ancora. Ma con voi due c’è da aspettarsi il peggio, in effetti» si lagna Akh, mollando finalmente il polso di Pitch.


«Quindi» si incuriosisce la donna, «come mai siete entrambi qui? A quest’ora, normalmente, gironzolate come barboni per la mia tenuta».


Le gote di Pitch assumono una delicata sfumatura rosata che lo fa apparire curiosamente umano, e i suoi occhi si sgranano per la sorpresa e l’imbarazzo. Tuttavia non apre bocca e si limita a distogliere lo sguardo.


Al contrario Akh arruffa le penne e incrocia le braccia al petto, seccato e un po’ offeso.


«Barbone lo dici a qualcun altro, vipera» borbotta stizzito.


Si rivolge poi a Pitch con uno sguardo che sembra un’accusa, ma invece di infierire soffia uno sbuffo e gli indirizza un veloce gesto, a indicargli di sedersi.


Pitch ritiene che potrebbe essere una buona idea e segue di buon grado il suo silenzioso ordine mascherato da consiglio.


«Ebbene?» rompe lo stallo Emily Jane, spazientita. «Si può sapere a cosa devo questa vostra gentile visita?».


Akh la squadra truce e si lascia sfuggire un sordo ringhio esasperato.


«Avete avuto modo di parlare, voi due, mi auguro» si accerta, pregando di non rimanere deluso anche in questa circostanza.


«Non credo che questi siano…» tenta Emily Jane, irritata.


«Finisci la frase e ti giuro che ti faccio volare fuori dalla finestra, di nuovo» minaccia Akh.


Emily Jane sta per dare in escandescenze, ma Pitch si rimette velocemente in piedi, portandosi fra i due e allargando le braccia.


«Basta, ora! Non serve che cerchiate di ammazzarvi a vicenda».


La donna cerca invano di protestare, ma il padre allarga una mano e le fa silenziosamente capire quanto sia preferibile tornare a sedersi. Poi torna a rivolgere l’attenzione ad Akh.


«Sì, abbiamo parlato» conferma, sperando che questo possa tranquillizzarlo almeno in parte.


Akh lo fissa sospettoso per un interminabile istante, poi sbuffa e sembra sgonfiarsi, mentre la rabbia evapora lasciandosi dietro unicamente un senso di spossatezza.


«Non aspetterai un mese» annuncia a un atterrito Pitch.


«Come, prego?» si accerta infatti quest’ultimo.


Akh assottiglia gli occhi e contrae la mascella.


«Non hai tutto quel tempo. Aspettare un mese non è solo inutile, è soprattutto dannoso».


Pitch sfarfalla le ciglia, interdetto, socchiude le labbra, aggrotta le sopracciglia e mette il broncio.


«La tua malsana abitudine di fare promesse che non puoi mantenere deve proprio finire, Pitch. Ti accompagnerò da lei, come ho fatto negli ultimi anni. Tre giorni, non di più. Se fra tre giorni non sarai pronto a partire, ti ci porterò per i capelli; sei avvisato» lo minaccia senza mezzi termini Akh.


«A me piacciono i miei capelli» borbotta Pitch, scocciato per quella fastidiosa imposizione.


Akh ghigna, divertito. «Beh, motivo in più per farti trovare pronto e disponibile, no?».


Pitch incrocia strettamente la braccia al petto e incassa la testa fra le spalle, mantenendo cocciutamente il broncio.


«Per me va bene» replica a sorpresa Emily Jane.


Sia Akh che Pitch lo guardano stralunati, ma mentre Akh si riprende velocemente e annuisce compiaciuto, Pitch la fissa con occhi sbarrati e inorriditi che strillano chiaramente “Traditrice!”.


Emily Jane fa spallucce e torna a sorseggiare il suo tea delle cinque come se niente fosse.



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