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Autore: clairemonchelepausini    05/06/2017    6 recensioni
Anita è poco più di una ragazzina quando è promessa in sposa. Ora, dopo che sono passati vent’anni e tante cose sono cambiate, anche il suo modo di vedere il mondo sembra diverso, più maturo.
Anita Wagner in Penwick è una giovane donna dai modi gentili, elegante e di una rara bellezza, moglie di un signore del feudo, uno dei più grandi della città. Grazie al suo spirito combattivo, alla sua voglia di non arrendersi e di vivere la sua vita, si dimostrerà in grado di tenere testa al marito, agli uomini suoi sudditi e a chiunque si troverà sulla sua strada per contrastarla. Alla fine, riuscirà ad affermarsi? Anita Wagner è un nome che non si dimenticherà, o almeno è quello in cui spera la donna.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NOTE
La storia è stata scritta per la sfida “L'oca EFPiana versione scrittura” indetto da Principe Dracula sul gruppo face book “EFP famiglia: recensioni, consigli e discussioni”.
Il mio prompt era questo:
 
Nome: ////
Cognome: Wagner
Età: ///
Data di nascita: 24 settembre 1309
Particolarità fisica: ///
Carattere: Donna dalla grande eleganza lei è la moglie del proprietario del feudo locale.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 




Nella piccola cittadina dell’Italia meridionale, si estendeva il feudo degli ormai noti Penwick, tramandato di generazione in generazione e ora di proprietà del più giovane, Harry.
La luce illuminò l’immensa distesa feudale ed entrata dalle finestre andò a riscaldare i due corpi che giacevano abbracciati, con il viso sereno e un sorriso appena accentuato sulle labbra.
Mentre il sole lentamente sorgeva, diversi colori segnavano la fine della notte e l’arrivo del giorno.
«Buongiorno, mia adorata moglie» affermò il marito non appena aprì gli occhi e vide la sua sposa al suo fianco, con i capelli marroni sparsi sul cuscino, le guance appena colorate di rosa e gli occhi di un immenso color cioccolato.
 «Oh, marito mio! Mi viziate così» replicò la donna, imbarazzata ma contenta perché dopo vent’anni di matrimonio lui continuava a trattarla come la prima volta.
Il signor Penwick, dopo essersi alzato, iniziò a prepararsi con l’abito militare che portava ogni giorno, salvo negli eventi di festa, mentre la moglie subito dopo aver indossato una vestaglia di seta si diresse nella camera accanto per dare da mangiare a Leonardo, il piccolo principino di casa.
Anita prese in braccio il figlio, si sedette nella sedia a dondolo e scostando la camicia da notte iniziò ad allattarlo.
 
Il feudo era in festa dopo il lieto evento, quando Harry Penwick - in persona - presentò agli amici, al popolo e a tutti i presenti, l’ultimo o meglio, il primo arrivato in casa.
«È con immenso piacere che presento a voi tutti Leonardo Fabrizio John Penwick».
Partirono un misto di applausi, fischi e auguri di ogni bene, mentre al suo fianco sedeva la moglie con un immenso sorriso e con gli occhi lucidi.
La coppia ebbe solo quella sera di pace, perché il giorno dopo che la donna si riprese iniziarono le discussioni e i litigi.
«Sapete, moglie cara, quanto io detesti vedere che allattate. Per questo ci sono le allevatrici, non è un compito che spetta a voi, alla moglie di un rispettabile signore del feudo» disse con voce pacata ma ferma, cercando di non far agitare troppo la moglie.
«Marito mio, e voi sapete altrettanto bene quanto io non sia come le mogli degli altri nobili. Mi avete sposato perché non avevate scelta, ma avete saputo fin da subito come la penso su determinate questioni. Ho partorito da pochi giorni e già iniziate ad essere padrone» rispose la moglie alzando le sopracciglia come a voler dire che la conversazione era conclusa.
«Forse non sono stato chiaro, io vi vieto categoricamente di farlo. Non voglio che poi si venga a dire che il signor Harry Penwick ha permesso a sua moglie di allattare il figlio».
«Io vi sto dicendo che non ho intenzione di non farlo. Nella mia famiglia - di nobili - lo abbiamo fatto per generazioni e mai nessuno ci ha mancati di rispetto…»
«Io non sono vostro padre, sono vostro marito» adirato continuò lui, voltando le spalle e cessando la conversazione.
Il giorno stesso arrivò l’allevatrice e la moglie non ebbe più modo di dire la sua.
Quella situazione durò pochi giorni, perché Anita la mandò via e continuò lei stessa l’allattamento. C’erano stati giorni di fuoco, ma alla fine il marito dovette arrendersi, accorgendosi della sua felicità e del fatto che il figlio cresceva bene.
 
Mentre Anita cullava il piccolo, sorrise a quel ricordo, uno dei pochi che conservava con orgoglio. Era la moglie di un importante proprietario feudale e come tale aveva limiti di parola. Le donne dei signori non avevano nessun diritto e lei tanto meno. Erano state vane le sue richieste perché secondo il marito una donna doveva solo occuparsi della casa, dei figli e dedicare il tempo libero al lavoro di tessitura. Difficile ammetterlo, ma per lei quella fu una vera e propria vittoria.
 
«Disciplina. Un cavaliere non ha bisogno di ricevere ordini di ciò che va fatto, deve essere in grado di anticipare le mosse del suo sovrano. E, non dimenticate la lealtà. Così come i vassalli e i valvassori sono fedeli a se stessi, anche i cavalieri al proprio signore» insegnò Penwick ai suoi cavalieri appena nominati. [cit Elisa di rivombrosa]
 Era una lezione che si ostinava a fare ogni anno, cambiando le parole per esprimere comunque lo stesso concetto.
«Disciplina. Fedeltà. Coraggio» urlarono a gran voce i cavalieri, sguainando le spalle e alzandole al cielo.
Il signor Harry li guardò ammirato, consapevole che un giorno anche suo figlio si sarebbe unito a loro, per poi occupare il suo posto come signore del feudo.
Mentre nel cortile s’impartivano lezioni, nell’ultimo piano del feudo, destinato alla famiglia nobile, Anita discuteva animatamente con la sua dama di compagnia.
Elisa era una donna che aveva incontrato per strada, affamata, senza vestiti e che lei aveva accolto senza dire nulla al marito. Aveva ordinato ai servi di occuparsi di lei, le aveva regalato alcune vesti e quando il marito era tornato a casa, aveva trovato la giovane come dama di compagnia. Non aveva avuto nulla da dire, non poteva replicare e solo le due donne sapevano la verità.
«Se posso parlare con franchezza, mia signora…» timidamente chiese lei, mentre i suoi occhi azzurri andavano a posarsi su quelli di Anita che la guardavano sorridente.
«Suvvia Elisa, quante volte vi ho detto di darmi del tu?»
«Perdonatemi, ma… Non posso proprio farlo E… Se dovesse entrare vostro marito?»
«Non preoccupatevi di lui, so badare a me stessa» rispose ferma, prendendo le sue mani e chiudendole in quelle della dama.
«Ora ditemi, e così brutta la situazione che si vocifera al borgo?» domandò la donna, preoccupata delle sorti del proprio feudo.
«Mia signora, c’è malcontento ovunque. I contadini si lamentano per i campi, i vassalli per i loro appezzamenti e i servi non fanno altro che parlare male del feudo e del signor padrone» abbassando lo sguardo confessò, poco prima che le guance si colorassero di un rosso acceso.
«Oh Signore mio!»
Quella sera stessa Anita parlò con il marito, ma lei era solo una donna. Cosa ne poteva mai capire?
 
«Padre! Padre!» esclamò la piccola Wagner, mentre lo accolse con le braccia aperte.
«Piccola mia, sapete bene quanto questi gesti non siano consoni per una signorina come voi» la rimproverò il padre poco prima di metterla a terra ma subito dopo averle accarezzato una guancia.
«Ora, venite qua» la richiamò facendola sedere sulle gambe.
«Siete una piccola donna e per questo voi dovrete lottare il doppio degli uomini. Non si dica mai che le donne Wagner non sappiamo usare il cervello. Bambina mia, dovrete fare attenzione perché non tutti sono come il tuo vecchio babbo. Gli uomini nobili pensano che le donne debbano essere circoscritte tra le mura domestiche, ma quando un giorno crescerete, capirete che non potrete essere quel tipo di donna. I nostri antenati hanno sempre scritto la storia e non hanno mai lasciato che nessuno la scrivesse al loro  posto» affermò orgoglioso, mentre due occhietti marroni lo guardavano affascinanti ma confusi.
«Sarà difficile per voi capirmi adesso, ma un giorno le mie parole vi faranno da guida. Non ve lo nascondo: sarà difficile, ma siete una Wagner e nulla vi fermerà» ammise l’uomo, accarezzando la testa della figlia e baciandole la fronte prima di lasciarla andare dalla sua istruttrice.
 
Il marito si era appena addormentato quando quel ricordo si fece vivido in lei. Anita sorrise, si asciugò una lacrima scesa sul suo viso, guardò il marito, gli baciò una guancia e poi chiuse gli occhi con la consapevolezza di essere una donna forte, proprio come lo era stata sua madre e sua nonna prima di lei.
 
Quel giorno, il piccolo Leonardo faceva i capricci, così dopo averlo messo a letto, la donna andò a cambiarsi, togliendosi la camicia da notte e indossando uno dei suoi bellissimi abiti cuciti a mano. Anita teneva i capelli raccolti, lasciando però ricadere sulle spalle alcune ciocche; indossava una camicia panna e sopra una tunica lunga con strascico di color bordeaux arricchita da pietre preziose. Al collo portava la collana regalatagli dal marito per il loro primo Natale e infine, portava una cintura che gli stringeva la vita delineando i perfetti fianchi e uno splendido fiocco all’altezza del bacino che lasciava cadere nel retro dell’abito in due estremità di strisce lunghe.
 «Bentornato, marito mio».
«Oh, ma siete sempre un incanto!» esclamò baciandole la guancia per poi sedersi a tavola.
Il pranzo sembrava procedere bene, ma un occhio attento avrebbe visto quanto il signor Harry fosse nervoso e quanto la signora Anita fosse impaziente.
Ci volle poco perché le cose cambiassero.
«Posso parlarvi?» domandò cauta la donna, prima di spostarsi nell’altra sala.
«Certo, ditemi pure».
«Ho saputo….»
«Sapete bene quanto io detesti che mia moglie si metta a conversare con la servitù» affermò contrariato, lanciandole uno sguardo torvo.
«Penso che ormai vi sarà chiaro che sono una donna capace di fare le proprie scelte» ribadì Anita, accomodandosi vicino alla finestra.
«Stavo dicendo… Ho saputo che il nostro feudo non sta attraversando un buon momento»
«Ma cosa dite?»
«Solo quello che ho sentito».
«E voi, ascoltate le voci di poco conto? Sapete che hanno sempre di che lamentarsi» rispose sorridendo, ma spostò il peso da una gamba all’altra, segno che non stava dicendo la verità e che quella conversazione lo stava innervosendo.
«Marito mio…»
«Ora basta» urlò, facendo tremare Anita e colmando i suoi occhi di lacrime.
La donna si era promessa che non avrebbe mai permesso a nessun uomo di trattarla male nè di dargli la possibilità di farlo, così cacciò indietro le lacrime e si alzò.
«Questo tono potrete usarlo con i vostri vassalli, cavalieri, ma non con vostra moglie» obiettò, lasciandolo indietreggiare leggermente.
«Scusatemi è solo che…»
«Ho capito…. Ma….»
«Ma cosa pensate di capirne? Non avete idea di cosa significhi gestire un feudo o delle responsabilità che ci sono o dei problemi cui devo sempre trovare una soluzione. Voi pensate sempre di saperne più di me» adirato rispose, ma non fece in tempo a replicare che il marito la guardò male.
«Un titolo non vi da nessun diritto di parlarmi in questo modo, né tanto meno di trattarmi come una stupida» inveì Anita, puntandogli un dito contro.
«Ho sentito dire così, ho visto il malcontento della gente e so quanto essa è insoddisfatta».
Ma si accorse troppo tardi di ciò che disse e al solo suo sguardo capì di aver fatto il più grande errore.
«D’ora in poi vi sarà vietato di passeggiare con la vostra dama di compagnia al Mercato, potrete fare tutto ciò solo con me. Inoltre, non potrete più uscire da sole senza il mio permesso. Dato che pensate di essere migliore, resterete chiuse nel vostro abitacolo domestico» riferì Penwick, poco prima di voltarsi e andarsene, terminando così la conversazione.
Anita non pianse, ma sentì rimontare dentro di lei rabbia e frustrazione. Sapeva cosa doveva fare, ma ebbe paura e così maledicendo se stessa lasciò scappare una lacrima che bagnò il suo delicato viso.
No, non poteva agire ma quando si avvicinò alla culla del figlio e lo vide sorridere, seppe che doveva farlo.
Indossò gli abiti di Elisa, la quale non era per nulla d’accordo, ma capì ben presto che non sarebbe riuscita a fargli cambiare idea. Si mise il mantello con il cappello e uscì, stando attenta agli uomini di guardia che il marito aveva fatto mettere davanti al portone d’ingresso.
 
Era passata una settimana da quando Anita aveva agito alle spalle del marito e, a quanto detto da suoi cuochi e servi, il malcontento sembrava scemare. Tuttavia, quella sera stessa il marito prima di rientrare scoprì la verità e infuriato entrò in casa.
«Ma come vi siete permessa?» gridò a gran voce, con tono autoritario che rare volte usava.
«Calmatevi, vi prego. Spaventerete il piccolo» disse avanzando verso il marito.
«E buon Dio, posso almeno sapere di cosa mi state accusando?»
«Non mentite. Odio quando lo fate».
«Davvero mi fate così stupido?» iniziò, ma prima di lasciarle il tempo di parlare continuò.
«Non dite cose di cui potreste pentirvi».
«Io non ho ancora capito il perché di questo vostro ardire, non vi mancherei mai di rispetto» ammise poco dopo.
In quel momento non ci vide più e fece un gesto che in vita sua non aveva mai fatto e che aveva giurato non avrebbe mai fatto.
Nella stanza si sentì il suono di uno schiaffo. Lo sguardo scioccato della donna, la guancia rossa e… il marito cercò di avvicinarsi a lei.
«Non osate!» lo minacciò con sguardo furente.
«Perdonatemi».
L’uomo cautamente si avvicinò, lasciò che le sue mani si posassero una su un fianco per attirarla a sé e l’altra sulla sua guancia arrossata.
«Vi chiedo scusa. Lo so, è imperdonabile, ma quando mi hanno detto che… Voi avete agito alle mie spalle» timidamente disse, sapendo che nulla era paragonabile al suo gesto.
Anita a quelle parole capì e anche se stava sbagliando, voltò le spalle al marito e se ne andò.
Lui poteva non crederle, ma aveva fatto una cosa giusta. Il feudo stava reagendo, i servi stavano lavorando e suo marito, il signore del feudo, era visto come un uomo buono.
 
“Ti troverai in una situazione in cui non vedrai via d’uscita, ma in realtà ce n'è sempre una. Figlia mia, sono moglie anch’io e so quanto questo sia difficile, soprattutto per noi donne; ma siamo delle Wagner e niente potrà mai spezzarci. Se cadrai, troverai in te la forza per rialzarti. Io sarò sempre con te” lesse ad alta quella lettera – ancora una volta- datagli dalla madre prima di morire.
 
E con quelle parole decise che avrebbe parlato con il marito.
Non ci fu il tempo né il momento perché il piccolo Leonardo si sentì male e quando guarì furono inviati alla festa di compleanno del Marchese Lucien Danforth a cui non potevano mancare, ma promise a se stessa che una volta tornati avrebbero affrontato quella spinosa conversazione.
Harry Penwick indossava un semplice abito elegante, uguale a quello di altri uomini in sala se non per qualche particolare che la moglie aveva aggiunto.
La vera scoperta quella sera non fu il festeggiato ma Anita Wagner. 
Il valletto le tolse la mantella pellegrina semicircolare nera, chiusa sul petto dai doppi bottoni infilati in due occhielli sferici di color oro. Quel gesto così semplice fece girare verso di sé l’intera sala, rimasero tutti scioccati ad ammirare la sua bellezza, persino il marito rimase senza parole.
Anita per quella sera aveva scelto un abito rosso scuro in broccato, lungo e con strascico, la cui bellezza era il corpetto chiuso dai lacci davanti e ricamato sul petto e le braccia coperte da una stoffa leggera anch’ essa ricamata. La gonna larga e ampia era a sua volta arricchita da disegni di fiori dove s’intravedevano perline e piccole pietre preziose, lasciando la parte davanti dell’abito semplice, senza ricami. Aveva anche deciso di osare, arricciando e profumando i capelli per poi lasciarli scendere sulle spalle come seta mentre aveva fermato alcune ciocche sul capo con un diadema; aveva inoltre colorato appena le guance, pitturato gli occhi di un blu tendente al nero e le labbra di un rosso acceso.
Era la donna più elegante della sala e il marito dovette accorgersene dato che mentre scendeva le scale prese di sottobraccio la moglie e la strinse a sé.
«Oh mia cara» riuscì ad esclamare solamente, strappandole un lieve e veloce bacio sulle labbra.
Anita non si ritirò, anzi rispose a quel bacio che tanto attendeva.
È vero, avevano litigato, ma lei amava quell’uomo testardo e lui amava lei.
«Signor Marchese, io e mia moglie vi auguriamo altri cento di questi compleanni» affermò, facendolo sorridere.
La serata procedeva al meglio, tutti si complimentavano con lui per avere una bellissima donna al suo fianco e con lei per sfoggiare un abito con tanta eleganza e carattere.
Il signor Penwick si trovava con alcuni dei mariti riuniti in cerchio a parlare dei feudi mentre le mogli dei rispettivi erano sedute a sorseggiare del te, chiacchierando tra loro.
Non si sa come, finirono con il parlare di Anita, sotto lo sguardo attento e stupito del marito per  ciò che la gente pensava di lei.
«Sa far funzionare il cervello mille volte meglio di tante nobil donne che conosco e anche dei loro mariti» disse il marchese Danforth, provocando l’invidia dell’amico.
«Non c’è peggior cieco di chi si ostina a non voler vedere» affermò il duca suo cugino, lasciando la frase a metà e voltandosi verso Penwick.
«Scusate, che intendete dire?» domandò leggermente innervosito.
«Che vostra moglie è tanto bella quanto intelligente» prontamente rispose.
Quando stava per chiedere altre delucidazioni, ebbe la risposta.
«Offenderei la vostra intelligenza se spiegassi l’evidenza» e a quelle parole seguì un gesto della mano che indicava il gruppo delle mogli in cui Anita spiccava tra tutte.
Lui si avvicinò, ma la donna era troppo presa dal discorso per accorgersene.
«Non vorrei sembrarvi scortese, ma da quanto aiutare i propri mariti, è ritenuta un’azione indegna?»
«Da quando siamo donne».
«Ma da questo vostro discorso si evince che l’essere donna è indice di poca intelligenza. E… »
«Signora Penwick, scusate, ma voi credete davvero che vostro marito vi lascerebbe gestire il feudo?»
Anita si sentì a disagio, non solo perché lo aveva fatto e aveva agito alle spalle del marito, ma soprattutto perché sapeva di esserne capace.
«Contessa, mi permetto di prendere la parola» affermò Penwick affiancando la moglie e mettendole le mani sui fianchi come da supporto.
«Non vorrei sembrarvi sgarbato, ma c’è chi ne sarebbe capace e chi no ovviamente».
Detto ciò prese le mani di Anita e la portò via, lasciandosi alle spalle il chiacchiericcio delle donne e la loro invidia.
Forse non aveva agito bene o forse era la prima volta che dimostrava di sapere quanto sua moglie valesse.
Quella sera non parlarono, si presero del tempo per amarsi così come avevano sempre fatto.
La conversazione che tanto auspicava Anita non arrivò mai, né il marito le permise di interferire con il feudo.  In realtà la donna continuò ad aiutarlo proprio come aveva fatto la prima volta, ma a differenza di allora il signor Penwick non disse mai nulla, pur sapendolo.
La cosa non gli piaceva e spesso si era ritrovato a borbottare facendosi anche sentire da lei, ma poteva nascondere le azioni delle moglie dietro le proprie. E se grazie a questo poteva avere un feudo appagato e una moglie felice, allora era ciò che avrebbe continuato a fare.
Anita Wagner, proprio come chi prima di lei, combatté sempre per ciò in cui credeva e non avrebbe mai smesso di essere chi voleva.
Aveva anche agito alle spalle del marito mentre lui si prendeva i meriti, ma sapeva che un giorno si sarebbe riscattata. Sarebbe stata ricordata per il coraggio e la forza di essere una donna alla pari, in tempi in cui l’uomo era considerato l’unica figura capace di entrare nella società e nella storia. Una storia che questa volta, così come molte altre in futuro, sarebbe stata scritta da una figlia, una madre e una moglie: Anita Wagner, una donna che ha dovuto presentare il pugno di ferro in un guanto di velluto.
 




























Spazio d'autrice:
Salve a tutti... Questa è la seconda storia che fa parte sempre della sfida dell'Oca, ma devo dire che stavolta è stato arduo riuscire nell'impresa.
Il prompt non era difficile, ma l'epoca sì, dato che si aggirava intorno al 1300 e intorno a lì, se non sbaglio è il periodo del Medioevo (non vorrei dire una cavolata), comunque è un periodo storico e non volevo usare termini, modi di dire che stonassero e quindi ho iniziato a fare alcune ricerche.
Ho perso tanto a pubblicare anche per questo, oltre che al fatto che non era facile per me.
Non vi sto annoiare con altri dettagli, ma spero di aver sviluppato bene la consegna, di aver usato modi, termini e vestiario adeguato ( ne sono quasi sicura) anche perchè molte ricerche dicevano sempre le stesse cose che poi anch'io ho inserito. L'unica differenze e che dalle ricerche è emerso che quasi tutte le donne dell'epoca erano bionde o si tingevano per esserlo, ma io ho cambiato questo fattore.
Beh, non so cosa dire se non grazie a chiunque la leggerà e recensirà e anche al lettore silenzioso.
E... poi un grazie va a mia sorella che mi ha aiutato nel creare la storia, alle mie amiche e a mia cugina che sa sempre consigliarmi su ciò che è meglio o cosa no.
Grazie a tutti voi ;)
Buona lettura <3
Alla prossima,
Claire

 
   
 
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